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Analisi della poesia: Il passero solitario

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Analisi della poesia: Il passero solitario



Della raccolta "Canti" di Giacomo Leopardi fa parte la poesia "Il passero solitario", scritta nel 1819-l820. In questa sono rilegate molte sue opere, come "A Silvia", "Il sabato del villaggio", "L'infinito" e "La quiete dopo la tempesta".

In questa poesia il poeta descrive il comportamento normale del passero per poi soffermarsi al suo, simile ma non normale; i due hanno in comune molte cose, ma alla fine della poesia si arriva alla conclusione che il passero "non si dorrà; che di natura è frutto ogni sua vaghezza" mentre Leopardi si "pentirà e spesso, ma sconsolato, si volgerà indietro".


Si tratta di una canzone di cinquantanove versi endecasillabi o settenari. Si divide in tre strofe, di lunghezza diversa, così come anche i soggetti di ognuna (I il passero, II il poeta, III l'unica ma grande differenza); il ritmo è lento. Il linguaggio tende al classico con termini come: core, augelli, sollazzo, german, loco natio, aprica, fia. Il tema principale è la solitudine, seguito da quello della giovinezza, reso con formule come: "dell'anno e di tua vita il più bel fiore" e "primavera".




Nella prima strofa si trovano rime baciate (vv. 14-l5), alternate (vv. 3-5) o incatenate (vv. 7-l0-l1-l2-l6) e alcuni enjambement significativi (alla camna/cantando vai, e così trapassi/dell'anno e di tua vita). Gli spazi sono aperti e alti (vetta della torre antica, camna, valle). Frequente è l'uso di suoni liquidi e continui, come la r e la s, e di vocali aperte e lontane, come la a e la o. C'è una metonimia (Primavera dintorno/brilla nell'aria) che riporta alla luce, al caldo e alla stagione che dopo l'inverno ritorna trionfante e vigorosa, piena di vita nuova. Nel chiasmo invece, è sottolineato l'elemento uditivo: "greggi belar, muggire armenti". In seguito la ripetizione dei tre non (non comni, non voli, non ti cal d'allegria) che suscitano negatività, vengono affiancati dal verbo cantare per far capire che nonostante ciò il passero è felice. I periodi sono complessi, spesso con il verbo alla fine, e prevale l'ipotassi.

In questa strofa si parla della vita e del passero, degli altri animali e infine del comportamento dell'uccello.


Anche nella seconda strofa compaiono rime baciate (vv. 23-24, 26-27) e alternate (vv. 17-l9, 29-31, 40-42-43-44) e gli enjambement sono: "quanto somiglia/al tuo costume il mio!", "strano/al mio loco natio", "in questa/remota parte" e "il guardo/steso nell'aria". Gli spazi sono aperti e bassi (borgo, vie). Costante è l'uso di a, o e u e di consonanti come m, n e s. Ritornano poi gli elementi uditivi (suon di squilla, tonar di ferree canne, rimbomba) che vanno a contrapporsi a quelli naturali della prima strofa. Ci sono tre metonimie: "lo sereno" il cielo, "nostro borgo" nostro paese, e "ferree canne" fucili. I periodi sono più lineari e l'ipotassi continua a prevalere.

Qui, con un effetto specchio rispetto alla strofa precedente, si parla prima del comportamento di Leopardi, poi della gioventù sua coetanea e infine della sua vita.


La terza strofa inizia con "Tu, solingo augellin" (v. 45) che è collegato con l' "Io solitario" (v. 36) della strofa precedente, e ciò mette subito in risalto la contrapposizione tra i due elementi. Come sempre ci sono rime baciate (vv. 49-50, 57-58) e gli enjambement più frequenti acquistano sempre più valore (sera/del viver tuo, del tuo costume/non ti dorrai, è frutto/ogni vostra vaghezza, la detestata soglia/evitar non impetro, il dì futuro/del dì presente). I periodi sono complessi, con varie subordinate. Qui, invece, i suoni che prevalgono sono più aspri, velati e silenziosi grazie alla frequenza di r, s e v. La ripetizione nelle tre domande del "che" spiega l'incertezza di Leopardi quando pensa a che succederà nel futuro, fatalmente connesso al presente e al passato.

Il tema fondamentale, e mai esplicitato, di quest'ultima strofa è la morte: essa toccherà l'uccello, comunque felice della sua vita, perché trascorsa secondo il volere della natura; invece per il poeta non sarà così, egli infatti si pentirà della sua scelta di aver vissuto una vita non vissuta dicendo "Ahi, pentirommi, e spesso, ma sconsolato, volgerommi indietro".



In tutta la poesia ricorre l'elemento della natura (fisico o morale); il poeta all'inizio l'ammira e la decanta servendosi anche della primavera. Alla fine invece le attribuisce una valenza negativa, quasi maligna, poiché d'essa fa parte la "vecchiezza" e così anche la morte. Leopardi è in conflitto con la natura e ciò viene evidenziato dalla connessione del v. 22 e dell'ultima strofa: egli non sa come, ma non gli importa della felicità, della giovinezza, dell'amore, e va così contro la normalità; però il passero solitario, pur comportandosi come lui, ha la natura favorevole. È come se il poeta le attribuisse la colpa di tutto, che l'ha fatto diverso da tutta la "gioventù del loco" che "mira ed è mirata", che ha sentimenti, passioni, amicizie e amori.

E così, tipica della poesia leopardiana, ricorre la solitudine, amata e odiata.




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