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GIOVANNI PASCOLI - LA VITA, LE IDEE, LA POETICA, L'IDEOLOGIA POLITICA, LE RACCOLTE POETICHE, I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA, LE SOLUZIONI FORMALI, IL



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GIOVANNI PASCOLI


LA VITA


Giovanni Pascoli nacque il 31 Dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia rurale, di condizione abbastanza agiata: il padre, Ruggero, era fattore della tenuta La Torre, di proprietà dei principi Torlonia. Era una tipica famiglia patriarcale, molto numerosa: Giovannei era il quarto di ben 10 li. La vita sostanzialmente serena di questo nucleo familiare venne però sconvolta da una tragedia. Il 10 Agosto 1867 il padre fu ucciso. La morte di quest'ultimo creò difficoltà economiche alla famiglia. Al primo lutto in un breve giro di anni ne seguirono altri, in una successione impressionante: nel 1868 morirono la madre e la sorella maggiore, nel 71 il fratello Luigi, nel 76 Giacomo.

Giovanni sin dal 1862 era entrato coi fratelli Giacomo e Luigi nel collegio degli Scolopi ad Urbino, dove ricevette una rigorosa formazione classica. Nel 71 poté proseguire gli studi a Firenze; nel 73, grazie al brillante esito di un esame ottenne una borsa di studio presso l'Università di Bologna, dove frequentò la facoltà di Lettere. Negli anni universitari Pascoli subì il fascino dell'ideologia socialista. Partecipò a manifestazioni contro il governo.



Nel 1882 si laureò. Iniziò subito dopo la carriera di insegnante liceale, prima a Matera, poi dal 1884 a Massa. Qui chiamò a vivere con sé le 2 sorelle, Ida e Mariù, ricostituendo così idealmente quel "nido" familiare che i lutti avevano distrutto. Nel 1887, sempre con le sorelle, passò ad insegnare a Livorno, dove rimase sino al 95.

La chiusura gelosa nel "nido" familiare e l'attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta che cerca entro le pareti del nido la protezione da un mondo esterno, quello degli adulti, che gli appare minaccioso ed irto di insidie. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti riproponendo il passato di lutti e di dolori, inibendo al poeta ogni rapporto colla realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del nido.

C'è in lui lo struggente desiderio di un vero nido, ma il legame ossessivo con il nido infantile spezzato gli rende impossibile la realizzazione del sogno.

La vita amorosa ai suoi occhi ha un fascino torbido, è qualcosa di proibito e di misterioso, da contemplare da lontano. Egli, non sa concepire il rapporto con la donna se non nelle forme morbose della violenza. Le esigenze affettive del poeta sono interamente soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle, che rivestono un'evidente funzione materna.

Nel 1895, con la sorella Mariù si trasferisce in camna; la sua vita era quella appartata, senza scosse e senza grandi avvenimenti esterni, del professore, tutto chiuso nella cerchia dei suoi studi, della sua poesia, degli affetti familiari. Una vita esteriormente serenza, ma in realtà turbata nell'intimo da oscure angosce e paure.

All'inizio degli anni Novanta aveva pubblicato una prima raccolta di liriche, Myricae(1891), La Vita Nuova, Il Marzocco, Il Convito.

MYRICAE si ampliava sempre più ad ogni nuova edizione. Nel 1897 uscirono i Poemetti; nel 1903 i Canti di Castelvecchio, nel 1904 i Poemi conviviali. Dal 92 per ben 12 anni vinse la medaglia d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam.

Negli ultimi anni volle gareggiare col maestro Carducci e col fratello minore e maggiore D'Annunzio nella funzione di poeta civile, vate dei destini della patria e celebratore delle sue glorie, con una serie di componimenti raccolti in Odi ed Inni, Poemi del Risorgimento, Poemi italici, Canzoni di Re Enzio.

Oltre che con le sue poesie Pascoli espletò questo suo compito con una serie di discorsi pubblici. Il poeta però era ormai minato dal male, un cancro allo stomaco. Si trasferì a Bologna per le cure, ma si spense poco dopo, il 6 aprile 1912.


LE IDEE


LA VISIONE DEL MONDO

La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, dato il clima culturale che dominava negli anni in cui egli compì i suoi studi liceali e universitari, gli anni Settanta dell'Ottocento.

Tale matrice è ravvisabile nell'ossessiva precisione con cui egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica, e di impianto positivistico sono spesso le fonti da cui trae le osservazioni sulla vita degli uccelli, protagonisti di tanti suoi componimenti poetici.

Anche in lui insorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e di ordinamento del mondo: al di là dei confini limitati raggiunti dall'indagine scientifica, si apre l'ignoto, il mistero, l'inconoscibile, verso cui l'anima si protende ansiosa, tesa a captare i messaggi enigmistici che ne provengono.

Il mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato, disgregato. Le sue componenti si allineano sulla ina come si offrono ad una percezione casuale, ad un'impressione momentanea, non si compongono mai in un disegno unitario e coerente. Non esistono neppure gerarchie d'ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande.

Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia di Pascoli; i particolari fisici, sensibili sono filtrati attraverso la peculiare visione soggettiva del poeta, e in tal modo si caricano di valenze allusive e simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi. Anche la precisione botanica e ornitologica assume poi ben diverse valenze: il termine preciso diviene come la formula magica che permette di andare al cuore della realtà, di attingere all'essenza segreta delle cose.

Dare il nome alle cose è come scoprirle per la prima volta; questa soggettivazione del reale può accostarsi una percezione visionaria, onirica: il mondo è allora visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva, le cose sfumano le une nelle altre. Si instaurano così legami segreti fra le cose, che solo abbandonando le convenzioni della visione corrente, logica e positiva, possono essere colti. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumentiinterpretativi non razionali, che trasportano di colpo, senza seguire tutti i passaggi del ragionamento logico, nel cuore profondo della realtà. Tra io e mondo esterno, tra soggetto e oggetto non sussiste quindi per Pascoli vera distinzione. La sfera dell'io si confonde con quella della realtà oggettiva, le cose acquistano una fisionomia antropomorfizzata, si caricano di significati umani: l'assiuolo, la siepe.

La visione del mondo pascoliana si colloca a buon diritto entro le coordinate della cultura decadente e presenta cospicue affinità, al di là delle difformità di tono, con la visione dannunziana.


LA POETICA

Da questa visione del mondo scaturisce con perfetta coerenza la poetica pascoliana, che trova la sua formazione più compiuta e sistematica nell'ampio saggio Il fanciullino, pubblicato sul "Marzocco" nel 1897. L'idea centrale è che il poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose "come per la prima volta", con ingenuo stupore e meraviglia, come dovette vederle il primo uomo. Al pari di quest'ultimo anche il poeta fanciullino dà il nome alle cose e deve usare una "novella parola" e deve rendere il "sorriso" e la lacrima che c'è in ognuna di esse. Dietro questa metafora del "fanciullino" è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza "aurorale", prerazionale, concezione che ha le radici ancora nel terreno romantico.

Grazie al suo modo alogico di vedere le cose, il poeta-fanciullo, "senza farci scendere ad uno a uno i gradini del pensiero", come è proprio del procedimento della ricerca scientifica, ci fa sprofondare immediatamente nell'"abisso della verità". Inoltre questo atteggiamento consente una conoscenza profonda della realtà, permette di cogliere direttamente l'assenza segreta delle cose, senza mediazioni. Non solo, ma il fanciullino scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose.

Il poeta appare un "veggente" cioè colui che ha un potere quasi superomistico, ossia riesce a cogliere quello che le persone comuni non riescono a vedere.

La concezione della poesia pure: per Pascoli la poesia non deve avere fini estrinseci, pratici; il poeta canta solo per cantare. La poesia, proprio in quanto poesia senza "aggettivi", poesia pura, assolutamente spontanea e disinteressata, può ottenere "effetti di supreme utilità morale e sociale".

Il sentimento poetico infatti, dando voce al fanciullino che è in noi, sopisce gli odi e gli impulsi violenti che sono propri degli uomini, induce alla bontà, all'amore, alla fratellanza. Nella poesiapura del fanciullino per Pascoli è quindi implicito un messaggio sociale, un'utopia umanitaria che invita all'affratellamento di tutti gli uomini, al di là delle barriere di classe e di nazione che li separano e li contrappongono gli uni agli altri.

Pascoli ripudia il principio aristocratico del classicismo che esige una rigorosa separazione tra ciò che è alto e ciò che è basso. Ricchi di poesia per lui non sono solo gli argomenti elevati e sublimi, ma anche quelli più umili e dimessi. La poesia è anche nelle piccole cose, che hanno un loro "sublime" particolare, una dignità non minore di quelle auliche.


L'IDEOLOGIA POLITICA

Dai principi letterari di Pascoli affiora una concezione di tipo socialista, di un socialismo umanitario e utopico, e affida alla poesia la missione di diffondere l'amore e la fratellanza.

L'adesione all'anarchismo e al socialismo era un fenomeno diffuso tra gli intellettuali piccolo-borghesi del tempo. L'insofferenza ribelle nei confronti delle convenzioni e la protesta contro le ingiustizie avevano una matrice culturale, risalivano cioè ad un clima ancora romantico, ma avevano anche più concrete motivazioni sociali, quali le inquietudini di un gruppo che si sentiva minacciato nella sua identità dall'avanzata della civiltà industriale moderna, privilegiando nuove competenze e nuovi saperi: a ciò si univa il risentimento e la frustrazione per i processi di declassazione a cui il ceto medio tradizionale era sottoposto.

In questo quadro sociologico rientrava perfettamente la ura del giovane studente Giovanni Pascoli, proveniente dalla piccola borghesia rurale, declassato e impoverito, che quindi, trasformava in rabbia e in impulsi ribelli contro la società l'emarginazione di cui era vittima.

Pascoli sentiva soprattutto gravare su di sé il peso di un'ingiustizia immedicabile, l'uccisione del padre, lo smembramento della famiglia, i lutti, la povertà: tutto ciò gli sembrava l'effetto di un meccanismo sociale perverso, contro cui era necessario lottare.

Il movimento inarco-socialista non aveva basi ideologiche rigorosamente definite.

Arrestato per una manifestazione antigovernativa, il giovane studente venne tenuto mesi in carcere e processato. Fu per lui un'esperienza terribile: quando uscì assolto dal processo, abbandonò definitivamente ogni forma di militanza attiva.

Il 1879, l'anno del processo subito da Pascoli, fu anche l'anno di una svolta capitale del socialismo romagnolo che, traendo una lezione salutare dal fallimento dei moti anarchici, abbandonò il pensiero utopico di Bakunin per accostarsi a quello di Marx. Era inevitabile che Pascoli, socialista più di "cuore" che di "mente", non potesse seguire il movimento in questa sua trasformazione dall'utopia ai programmi politici concreti. Non solo, ma il socialismo marxista si fondava essenzialmente sul concetto di "lotta di classe", sull'inconciliabilità di interessi fra capitale e lavoro.

Era questo un principio che ripugnava alle tendenze più profonde dell'animo di Pascoli, il quale, nella sua prospettiva utopica, idealista, intrisa di pietà evangelica, non poteva accettare conflitti violenti, ma sognava un affratellamento di tutti gli uomini, di tutte le classi sociali, come si è visto nel Fanciullino.

SOCIALISMO era per lui un appello alla bontà, all'amore, alla fratellanza, alla solidarietà fra gli uomini, voleva dire impegno ad alleviare le sofferenze degli infelici e le miserie dei poveri, a diffondere la pace.

Alla base vi era un radicale pessimismo, la convinzione che la vita umana non è che dolore e sofferenza, che sulla terra domina solo il male: per questo gli uomini, vittime della loro infelice condizione, devono cessare di farsi del male fra loro.

Dal cristianesimo primitivo, Pascoli traeva la concezione del valore morale della sofferenza, che purifica ed eleva: dolore e lacrime possono divenire un tesoro prezioso, le vittime del male del mondo sono per un certo verso delle creature privilegiate, perché la sofferenza le rende moralmente superiori. Per questo, il dolore perfezionando il nostro animo, deve insegnare il perdono.

Il poeta rievocando ossessivamente l'uccisione del padre in numerose poesie, egli presentava sé stesso e la propria famiglia come esempi per eccellenza di vittime del male del mondo, proclamando invece la necessità dell'amore e del perdono nei confronti dei persecutori.

Tra le varie CLASSI SOCIALI non vi dovevano essere odi e conflitti, ma concordia. Ogni classe, doveva conservare la sua distinta fisionomia, la sua collocazione nella scale sociale, ma doveva collaborare con tutte le altre, con amore fraterno e spirito di solidarietà. A questo fine era necessario evitare la bramosia di ascesa sociale, che poteva generare scontri e sopraffazioni.

Il segreto dell'armonia sociale consiste per Pascoli nel fatto che ciascuno si contenti di ciò che ha, che viva felice anche del poco.

IL SUO IDEALE DI VITA si incarna nell'immagine del proprietario rurale, che coltiva personalmente la terra e guida con equilibrata, amorevole saggezza la sua famiglia. La proprietà per il poeta è un valore sacro e intangibile, la base indispensabile della dignità e della libertà dell'individuo; la felicità è possibile solo nella dimensione del piccolo podere. Pascoli mitizza così il mondo dei piccoli proprietari agricoli come mondo sereno e saggio, baluardo che difende i valori fondamentali, la famiglia, la solidarietà, la laboriosità.

Era un mondo che in realtà, negli anni di Pascoli, stava ormai sendo, cancellato dai processi di concentrazione capitalistica. In luogo del piccolo proprietario subentravano grandi entità impersonali. Pascoli con il poemetto la siepe innalzava egualmente il suo inno a quella realtà che andava sendo, rifugiandosi nel sogno di un passato idealizzato e contrapponendolo ai processi moderni di sviluppo capitalistico, al trionfo della grande industria, all'estendersi delle grandi metropoli, che generavano in lui orrore e angoscia.

Il fondamento dell'ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare, che si raccoglie entro la piccola proprietà. Ma questo senso geloso della proprietà, del "nido" chiuso ed esclusivo, si allarga ad inglobare l'intera nazione.

Si collocano qui, in questa zona privata, intima,, le radici del nazionalismo pascoliano. Per questo egli sente con tanta partecipazione il dramma dell'emigrazione: l'italiano che è costretto a lasciare il suolo della patria è come colui che viene strappato dal "nido", dove ci sono le radici più profonde del suo essere. Esistono nazioni ricche e potenti, "capitaliste", e nazioni "proletarie", povere, deboli, oppresse. Tra queste vi è l'Italia, che non riesce a sfamare i suoi li e deve esportare mano d'opera, destinata, nei paesi stranieri, ad essere schiavizzata. Ebbene le nazioni "proletarie" hanno il diritto di trovare la soddisfazione dei loro bisogni, anche con la forza. Pascoli arriva dunque ad ammettere la legittimità delle guerre condotte dalle nazioni proletarie per le conquiste coloniali; in tal caso, per l poeta, si tratta di guerre non di offesa, ma di difesa. Sulla base di questi principi, nel 1911 Pascoli arriva a celebrare la guerra di Libia come un momento di riscatto della nazione italiana, dando una coscienza nazionale alle sue plebi e attribuendo loro dignità civile attraverso il possesso della terra. In tal modo, non senza contraddizioni concettuali, Pascoli fonde insieme socialismo umanitario e nazionalismo colonialistico.




LE RACCOLTE POETICHE

MYRICAE Fu la prima raccolta vera e propria, uscita nel 1891 in edizione fuori commercio e contenente 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Il volume si ampliò già dalla seconda edizione del 1892, che conteneva 72 componimenti, ma cominciò ad assumere la sua fisionomia definitiva solo a partire dalla quarta, del 1897, in cui i testi salivano a 116. Il titolo latino è una citazione di Virgilio.

Nel Fanciullino: si tratta in prevalenza di componimenti molto brevi, che all'apparenza si presentano come quadretti di vita campestre; ma in realtà i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione non sono dati oggettivi, ma si caricano di sensi misteriosi e suggestivi, sembrano alludere ad una realtà ignota. Spesso le atmosfere che avvolgono queste realtà evocano l'idea della morte; ed uno dei temi più insistitamente presenti nella raccolta è il ritorno dei morti familiari.

Compaiono poi, sin dai testi più antichi, quelle soluzioni formali che costituiscono la profonda originalità della poesia pascoliana; egli sperimenta anche una varietà di combinazioni metriche inedite, versi brevi e in particolare il novenario.

Una fisionomia diversa possiedono i  POEMETTI, raccolti una prima volta nel 1897, poi ripubblicati con aggiunte nel 1900, ed infine, nelle veste definitiva, divisi in 2 raccolte distinte, Primi Poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909). Si tratta di componimenti più ampi di quelli di Myricae, che all'impianto lirico sostituiscono un più disteso taglio narrativo, divenendo spesso dei veri e propri racconti in versi, subentrano le terzine dantesche. Anche nei Poemetti assume rilievo dominante la vita della camna. All'interno delle 2 raccolte si viene a delineare un vero e proprio "romanzo georgico", cioè la descrizione di una famiglia rurale di Barga, colta in tutti i momenti caratteristici della vita contadina.

Il poeta vuole celebrare la piccola proprietà rurale, presentandola come depositaria di tutta una serie di valori tradizionali e autentici, in contrapposizione alla negatività della realtà contemporanea. La vita del contadino, chiusa nelle dimensioni ristrette del podere e del "nido" domestico, scandita dal ritorno ciclico delle stagioni e dall'avvicendarsi sempre eguale dei lavori dei campi, appare al poeta come un rifugio rassicurante. La rappresentazione della vita contadina assume quindi la fisionomia di un'utopia regressiva, nel senso che Pascoli proietta il suo ideale nel passato, in forme di vita che stanno sendo, travolte dallo sviluppo della realtà sociale ed economica moderna, in un processo ormai irreversibile.

Il mondo rurale pascoliano è idealizzato e idilliaco, ignora gli aspetti più crudi della realtà popolare, il bisogno, la miseria, la degradazione e l'abbrutimento della natura umana, ignora i conflitti sociali, la violenza della lotta per la vita. Pascoli si sofferma sugli aspetti più quotidiani, umili e dimessi di quel mondo, ma anche questa precisione non ha nulla di naturalistico. Non solo, ma il poeta vuole mettere in rilievo quanto di poetico è insito anche nelle realtà umili, la loro dignità "sublime".

I CANTI DI CASTELVECCHIO E LE "MYRICAE". Anche qui ritornano immagini della vita di camna, canti d'uccelli, alberi, fiori, suoni di campane, e rie una misura più breve, lirica anziché narrativa. I componimenti si susseguono nei loro temi, il motivo della tragedia familiare e dei cari morti. ½ è anche il rimando continuo del nuovo paesaggio di Castelvecchio a quello antico dell'infanzia in Romagna, quasi ad istituire un legame ideale tra il nuovo "nido" costruito dal poeta e quello spazzato via dalla tragedia. Non mancano però anche in questa raccolta i temi più inquieti e morbosi: il sesso, affascinante e ripugnante insieme (il gelsomino notturno), e la morte, che a volte appare un rifugio dolce in cui sprofondare, come in una regressione nel grembo materno (la mia sera).


I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA

LA PREDICAZIONE UMANITARIA E IL SENTIMENTALISMO Al filone detto "ideologico" della poesia pascoliana appartiene anche la predicazione sociale e umanitaria, il sogno di un'umanità affratellata. Da questo umanitarismo scaturisce poi una serie di temi ispirati ad un sentimentalismo patetico.

Questa predicazione si avvale anche di miti che trovano immediata eco in un pubblico di lettori appartenenti allo stesso ambito sociale: il fanciullino che è al fondo di ognuno di noi, che rappresenta la nostra parte naturalmente ingenua e buona, al di là degli odi e dei conflitti violenti di interessi; il nido familiare caldo e protettivo. Con quest'ultimo si collega il motivo ossessivamente ricorrente del ritorno dei morti, lugubre presenza nei versi pascoliani. Proprio perché crede nel valore pedagogico della poesia, Pascoli può allargare la sua predicazione a temi più vasti, che investono l'umanità intera. Per questo può anche assumere le funzioni del poeta ufficiale, del poeta vate che indica gli obiettivi del suo riscatto nelle guerre coloniali ed esalta il compito di assicurare la coesione nazionale proprio dell'esercito.

La prova di questa sintonia instauratasi tra il poeta e il pubblico è la sua fortuna scolastica: per tanti anni il Pascoli presente nei libri di testo fu proprio questo poeta predicatorio e sentimentale; data l'insistenza dei temi, il linguaggio spesso semplice, fu questo il poeta prediletto della scuola elementare. Egli stesso nei suoi scritti indicava esplicitamente i fanciulli come suo uditorio ideale; è questo il Pascoli che oggi gode di minor credito, e che non si legge più. Le trasformazioni del clima culturale e del gusto hanno portato alla luce un Pascoli tutto diverso, inquieto, tormentato, morboso, visionario, che ben si inserisce nel panorama del contemporaneo Decadentismo europeo.

È Pascoli che è in perenne auscultazione del mistero che è al di là delle cose più usuali, ciò sa rendere le "piccole cose" piene di sensi allusivi e simbolici, proietta nella poesia le sue ossessioni profonde.

Al di là del poeta pedagogo, cantore della normalità piccolo borghese, si delinea un grande poeta dell'irrazionale, capace di raggiungere profondità inaudite. Perciò il poeta fanciullino può a buon diritto essere ritenuto il nostro scrittore più autenticamente decadente, riconoscendo al termine un valore culturale del tutto positivo.

I due Pascoli che abbiamo individuato hanno ovviamente una radice comune: la celebrazione del nido, delle piccole cose, della mediocrità apata del piccolo borghese, della fraternità umana.


LE SOLUZIONI FORMALI

Il nuovo modo di percepire il reale si traduce in soluzioni formali fortemente innovative.

- LESSICO: La sintassi di Pascoli è l'aspetto che colpisce più immediatamente: nei suoi testi poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione, di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, spesso collegate non da congiunzioni, ma per asindeto. Di frequente, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono le forma dello stile nominale.

- IL RIFIUTO DI UNA SISTEMAZIONE LOGICA DELL'ESPERIENZA: la frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dell'intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile.

- L'ATMOSFERA VISIONARIA:  La conseguenza è che gli oggetti più quotidiani e comuni, visti attraverso quest'ottica, presentano una fisionomia stranita, appaiono come immersi in un'atmosfera visionaria, o di sogno. Non essendovi più gerarchie, nel mondo pascoliano si introduce il relativismo che non ha più punti di riferimento esterni, oggettivi.

- IL LESSICO: MESCOLANZA DI CODICI DIVERSI: Pascoli non usa un lessico normale, fissato entro un unico codice, mescola tra loro codici linguistici diversi, allinea fianco a fianco termini tratti dai settori più disparati. È principio formulato nel fanciullino: il poeta, come vuole abolire la lotta fra le classi sociali, così vuole abolire la lotta fra le classi di oggetti e di parole. Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici, della lingua dotta, o ricavati dai modelli antichi, termini gergali e dialettali, una minuziosa, precisa terminologia botanica ed ornitologica, termini dimessi e quotidiani del parlato colloquiale, parole provenienti da lingue straniere, il gusto dei nomi propri antichi.

- L'INFRAZIONE ALLA NORMA E LA CADUTA DELLE CERTEZZE: il rapporto tra l'io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico, non è più un rapporto tradizionale.

- GLI ASPETTI FONICI: grande rilievo hanno poi gli aspetti fonici, cioè i suoni che compongono le parole. Quelle che più colpiscono sono quelle espressioni, cioè, che si situano al di sotto del livello strutturato della lingua e non hanno un valore semantico, non rimandano ad un significato concettuale. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche di versi d'uccelli o suoni di campane.

- L'ONOMATOPEA: queste non mirano certo ad una riproduzione puramente neutra, naturalistica, del dato oggettivo: indicano invece un'esigenza di aderire immediatamente all'oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta evitando le mediazioni logiche del pensiero e della parola codificata, rientrando insomma in quella visione alogica del reale che è propria di tutta la poesia pascoliana.

- IL FONOSIMBOLISMO: i suoni usati da Pascoli possiedono un valore fonosimbolico, tendono ad assumere un significato di per se stessi, senza rimandare al significato della parola. Tra questi suoni si crea una trama sotterranea di echi e rimandi.

- LA METRICA: la metrica pascoliana è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più consueti della poesia italiana, endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari, ecc., e gli schemi di rime e le strofe più usuali, rime baciate, alternate, incatenate, terzine, quartine, strofe saffiche. Ma in realtà questi materiali son piegati dal poeta in direzioni personalissime.

- IL VERSO FRANTUMATO: anche il verso è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause, segnate dall'interpunzione, da incisi, parentesi, puntini di sospensione. La frantumazione del discorso è accentuata dal fraquentissimo uso degli enjambements.

- IL LINGUAGGIO ANALOGICO: al livello delle ure retoriche , Pascoli usa largamente il linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora, la sostituzione del termine proprio con uno urato, che ha col primo un rapporto di somiglianza. Ma l'analogia pascoliana accosta invece in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote costringendo così ad un volo vertiginoso dell'immaginazione.

- LA SINESTESIA: è la sinestesia che possiede del pari un'intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme, diversi ordini di sensazioni.



PASCOLI è A CONTATTO CON IL DECADENTISMO INFATTI . .



IL DECADENTISMO


Movimento contemporaneo al Verismo. Si diffonde in Italia ed in Europa alla fine dell'800.

Il movimento si diffuse grazie a vari periodici, manifesti e riviste come -Lutèce (dal 1883), -la Revue Indèpendante (1884) -la Revue Wagnerienne.


Nel 1857 escono i "Fiori del male", raccolta di Bodler à i poeti sono angeli custodi in un mondo dominato dal male. Questi poeti vivono il contrasto tra le loro aspirazioni e l'impossibilità di realizzarle in questo mondo.

Nel 1876 esce l'opera "Il Meriggio di un fanno". I fauni sono creature mitologiche, ossia divinità dei boschi. In quest opera l'autore sogna il ritorno ad una vita primitiva dove regna la serenità.

Nel 1883 esce la poesia "Languore" di Verlairre che si definisce un poeta in un epoca di decadenza.



LA VISIONE DEL MONDO DECADENTE: viene radicalmente, dagli scrittori d'avanguardia di fine 800, rifiutata la visione positivistica. Infatti il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, perché l'essenza di esso è al di là delle cose, misteriosa ed enigmatica, per cui solo rinunciando al razionale si può tentare di ambire all'ignoto.

Se per la visione comune le cose possiedono una loro oggettività che le isola le une dalle altre, per questa visione mistica tutti gli aspetti dell'essere devono essere collegati tra loro da arcane analogie e corrispondenze che sfuggono alla ragione e possono essere oltre solo in un abbandono di empatia irrazionale. Ogni forma visibile perciò non è che un simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di la di essa e si collega con infinite altre realtà in una rete segreta, che solo la percezione dell'iniziato può individuare.

La rete di corrispondenze coinvolge anche l'uomo: portando alle estreme conseguenze l'idealismo romantico, che negava consistenza autonoma alla realtà oggettiva, la visione decadente propone una sostanziale identità tra io e mondo, tra soggetto e oggetto, che si confondono in un'arcana unità. Una corrente profonda li unisce, al di sotto degli strati superficiali della realtà. L'unione avviene cioè sul piano dell'inconscio; in questa zona oscura l'individualità se e si fonde con un tutto inconsapevole e immemoriale. La scoperta dell'inconscio è il dato fondamentale della cultura decadente, il suo nucleo più autentico.

Se il mistero, l'essenza segreta della realtà, non può essere colto attraverso la ragione e la scienza, altri sono i mezzi mediante cui il decadente cerca di attingere a se stesso. Innanzitutto come strumenti privilegiati del conoscere vengono indicati tutti gli stati abnormi e irrazionali dell'esistere: la malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno e l'incubo, l'allucinazione. Gli stati d'alterazione possono essere anche provocati artificialmente, attraverso l'uso dell'alcol, dell'assenzio o delle droghe, l'oppio ecc .



Droghe, Alcol eccà come segno di protesta; erano visti come mezzo x cambiare la realtà detro la loro testa.



LA POETICA DEL DECADENTISMO


Tra i momenti privilegiati della conoscenza, per i decadenti, vi è soprattutto l'arte. Il poeta, il pittore, il musicista non sono solo abili artefici,ma dei sacerdoti di un vero e proprio culto, dei "veggenti", capaci di spingere lo sguardo là dove l'uomo comune non vede nulla, di attingere a dimensioni nuove dell'essere, da rivelare l'assoluto. L'arte è voce del mistero che obbedisce a sollecitazioni profonde, suprema illuminazione. Per questo l'arte appare il valore più alto, che va collocato al di sopra di tutti gli altri, anzi, deve assorbirli tutti quanti in sé.

Questo culto religioso dell'arte ha dato origine al fenomeno dell'estetismo. L'arte deve essere bella, fine a se stessa; il brutto viene visto come qualcosa di shockante, l'arte è solo per pochi. L'estesa è colui che assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali, il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, ma solo il bello, ed esclusivamente in base in base ad esso agisce e giudica la realtà. Egli si colloca così al di là della morale comune, in una sfare di assoluta eccezionalità rispetto agli uomini mediocri. Gli atti quotidiani della sua vita sono trasformati in materiali in una vera e propria opera d'arte. Arte e vita per lui si confondono, nel senso che la seconda è assorbita interamente della prima. Tutta la realtà è da lui filtrata attraverso l'arte. Va costantemente alla ricerca di sensazioni rare e squisite, si circonda degli oggetti più preziosi, quadri, stoffe, gioielli, libri antichi, prova orrore per la banalità e la volgarità della gente comune, che resta sorda alla rivelazione del Bello, di questa vera e propria religione.

Ne consegue anche che il poeta rifiuta di farsi banditore di idealità morali e civili: l'arte rifugge dalla rappresentazione della realtà storica e sociale e si chiude in una squisita celebrazione di se stessa, depurandosi di tutti gli intenti pratici utilitaristici, diviene cioè arte pura, poesia pura. Lo scopo primario non è educare ma è solo il bello.

Se la poesia è veicolo di una rivelazione del mistero e dell'assoluto, la parola poetica non può più essere strumento di una comunicazione logica, razionale, ma si propone di agire su una zona più profonda e oscura, assumendo un valore puramente suggestivo ed evocativo. Si determina di conseguenza una vera e propria rivoluzione del linguaggio poetico. Serve per distinguersi dalla plebaglia. Alle immagini nitide e distinte si sostituisce l'impreciso, il vago, l'indefinito, che solo è capace di evocare sensi ulteriori e misteriosi.


Ma se la poesia è pura suggestione irrazionale, segretamente allusiva al mistero, se è voce dell'inconoscibile e dell'ineffabile, se rinuncia alla comunicazione di un significato razionale, essa diviene inevitabilmente oscura, al limite dell'incomprensibilità. Anche se il poeta vuole comunicare, lo fa in forme cifrate, allusive, enigmatiche, rivolti a pochi iniziati, perché solo gli iniziati sono in grado di accedere al mistero e di comprendere il suo linguaggio.

Si rivela il carattere estremamente aristocratico dell'arte decadente, che rifiuta di rivolgersi al pubblico borghese, ritenuto mediocre e volgare, e si chiude nella torre d'avorio della sua suprema raffinatezza. La scelta è inoltre motivata dall'imporsi della nascente cultura di massa, che offre al grande pubblico prodotti fatti in "serie", meccanicamente ripetitivi, come i romanzi d'appendice o i racconti ameni pubblicati su giornali e riviste per famiglie. Anche se il poeta vuole comunicare, lo fa in forme cifrate, allusive, enigmatiche, rivolte a pochi iniziati, perché solo gli iniziati sono in grado di accedere al mistero e di comprendere il suo linguaggio. Si rivela da qui il carattere estremamente aristocratico dell'arte decadente, che rifiuta di rivolgersi al pubblico borghese, ritenuto mediocre e volgare, e si chiude nella torre d'avorio della sua suprema raffinatezza. La scelta è inoltre motivata dall'imporsi della nascente cultura di massa, che offre al grande pubblico prodotti fatti in serie. anche nelle arti urative l'avvento della fotografia consente l'indefinita riproducibilità tecnica delle immagini, distruggendo l'unica opera d'arte. Si delinea quindi una frattura radicale tra artista e pubblico, tra intellettuale e società.



Vari sono i mezzi tecnici attraverso cui lo scrittore decadente ottiene effetti di segreta suggestione. Innanzitutto la musicalità: la parola vale non tanto quale significato logico, ma quale pura fonicità, che si carica di valori magicamente evocativi e suscita echi profondi. Nella visione decadente la musica è la suprema fra le arti, proprio perché è la più indefinita, perché è svincolata da ogni significato logico e referenziale, dotata di misteriose facoltà suggestive, capace di agire sulle zone più oscure della psiche, di creare la comunione mistica con l'assoluto.

In secondo luogo vi è la sintassi che si fa vaga e imprecisa, altamente ambigua. Le singole parole assumono sfumature o significati diversi da quelli comuni. Ma lo strumento forse più usato è quello metaforico, analogico. La metafora era una ura retorica ben conosciuta e ampiamente usata dalla poesia antica, ma nella poesia decadente non ha più nulla del tradizionale ornamento dell'espressione, ed appare ben diversa dalla stessa metafora barocca. La metafora decadente presuppone una concezione irrazionalistica, è l'espressione di una visione simbolica del mondo, dove ogni cosa rimanda ad altro, allude alla rete di segrete relazioni che uniscono le cose in un sistema di analogie universali.

La metafora decadente inoltre non è regolata da un semplice rapporto di somiglianza tra due oggetti, ma istituisce legami impensati tra realtà fra loro remote.

Vi è poi la questione dei simboli. Infatti il rapporto simbolico è diverso da quello allegorico. Il simbolo è oscuro, misterioso, non codificabile in forma definitiva, allusivo, polisemico, cioè caricabile di vari sensi. Se l'allegoria si può tradurre perfettamente in termini concettuali, del simbolo non si possono dare equivalenti logici esaurienti, poiché esso lascia sempre un margine, un alone inafferrabile.

Affine alla funzione della metafora è quella della sinestesia. Essa è una fusione di sensazioni, nel senso che impressioni che colpiscono un senso evocano altre impressioni relative a sensi diversi.

Vi è poi la fusione dei vari linguaggi artistici, al fine di ottenere con un arte effetti che sono propri di arti diverse, suggestioni musicali con la parola, plastiche e visive con la musica.



TEMI DELLA LETTERATURA DECADENTE


La Malattia à è vista come il segno di una insofferenza alla realtà a loro contemporanea. Per questo motivo può diventare il motivo del riscatto e fonte di ispirazione letteraria (Svevo e Pirandello).


La Morte à intesa come segno di malattia (patologia) ma anche come atto di eroismo.


L'Estetismo à la vita dei letterati decadenti che abbracciarono questa poetica rispecchia la visione dell'arte intesa come elemento di eccezionalità, in grado di contrapporsi alla volgarità della vita quotidiana.


Il Veggente à è colui che ha un potere quasi superomistico, ossia riesce a cogliere quello che le persone comuni non riescono a vedere. Questo superuomo darà dei risvolti poetici nella letteratura politicizzata di D'Annunzio.




IL DECADENTISMO PASCOLIANO


Gli elementi che fecero di Pascoli un poeta decadente sono:

La costante attenzione all'aldilà delle cose. Anche le cose più comuni e banale hanno un alone di mistero, un significato ulteriore che solo il veggente fanciullino riesce a percepire;

Pascoli proietta nelle sue poesie le sue paure, le sue ansie, in sostanza i lati bui della sua psiche;

Pascoli tematizza gli aspetti irrazionali della realtà, cioè l'esistenza di forze misteriose che sconvolgono gli equilibri sociali;

L'approccio logico della realtà viene accostato a quello a logico, sensibile ed intuitivo;

Pascoli usa abbondantemente simboli, analogie, sinestesie, onomatopee, fonosimbolismi.



ALCUNE SUE OPERE SIGNIFICATIVE:


IN CAMPANELLO

Fa parte della sezione "Ultima passeggiata" della prima edizione Myricae.


È un Ode ad una vita semplice e umile della camna.

Parla di un gruppo di donne sedute davanti alla sbarra del treno che parlano del più e del meno mentre aspettano il passare del treno.


Questo ci fa vedere il contrasto tra vita pacifica della camna, senza alcun contatto con la modernità, e il treno visto come qualcosa di fuori luogo. Infatti si nota l'indifferenza del mondo contadino in confronto alla modernità. Le comari si raccontano cose banali x far vedere una vita della camna incontaminata, anche se è un ideale perché in realtà non è così. Infatti Pascoli da diritto alle cose banali di entrare in poesia dandone però un valore simbolico.



LA SIEPE

Fa parte della sezione "Accestire" all'interno dei Poemetti. Nel 1987; lo spunto fu offerto da un discorso tenuto da D'Annunzio dove esaltava il valore della proprietà, come base dell'integrità dell'individuo, contro l'ampliamento generato dal collettivismo socialista, e individua proprio nella siepe che recinge i campi il simbolo della proprietà privata.


La politica di Pascoli è un socialismo umanitario.

Parla della sua proprietà che è segnata da una siepe.


Per Pascoli la proprietà è molto importante infatti la paragona alla moglie. Secondo lui rappresenta la propria libertà individuale. ½ è un rapporto Idilliaco tra uomo e natura. La siepe serve a proteggere. La siepe difende dai nemici e accoglie gli amici. ½ è una contrapposizione tra mondo chiuso delle tradizioni e il mondo nuovo, rivoluzionario, della cancellazione di tradizioni e valori.



























X AGOSTO

Venne pubblicata nel 1897 nella raccolta Myricae che fa parte delle Elegie (vicende tristi).


È una poesia di celebrazione del padre e condanna l'umanità degli uomini che è così cattiva e crudele da staccare una padre dalla propria famiglia.10 agosto = morte del padre. Infatti il padre viene ucciso mentre sta rientrando a casa dalle sue lie. Stessa fine fa una rondine e infatti il padre viene paragonato alla rondine.


Vi è una analogia tra la situazione del padre morto e di una rondine morta anch'essa. Crea analogie; questo sta a significare che il fanciullino è in azione. Pascoli perdona gli uccisori xkè vuole combattere il male con il bene. ½ è anche la presenza di Dio ma è lontano e quindi l'uomo è solo. ½ è anche un rapporto cielo e terra; terra vista come regno del male e cielo visto come regno del bene.



L'ASSIUOLO

Venne pubblicata nel 1897 nella raccolta Myricae che fa parte delle Elegie (vicende tristi).


Siamo in tarda serata (visto che si parla di morte). Pascoli descrive il paesaggio notturno con un verso di assiuolo nell'aria.


Vi è tutto un paragone di suono alla morte. Il verso dell'assiuolo per esempio, o il verso delle cavallette paragonati a strumenti di cerimonie funebri.

I poeti decadenti proiettano e riproducono le loro paure, i loro sentimenti e le zone misteriose della loro psiche.



























ITALY

Venne pubblicata nel 1904 fa parte dei Poemetti.


Italy è un poemetto che parla degli emigrati. I protagonisti sono Gita, Beppe, Molly partiti x l'America in cerca di fortuna. Ad un certo punto la piccola Molly si ammala di tisi e allora Gita e Beppe decidono di tornare per un po' nella loro terra natia, la Toscana, nella speranza che il clima salubre aiuti la guarigione della piccola. Superate le ostilità iniziali Molly si affeziona alla nonna che poi morirà e pronunciando un'unica parola italiana "si" che testimonia la riconciliazione con il nido familiare.


Vi è un impasto linguistico di italiano corretto, dialetto, inglese corretto, inglese italianizzato; Pascoli vuole trasmettere l'ideologia della migrazione come piaga sociale che spezza i nidi e cioè i lega,i sociali. ½ è un confronto tra tradizione e modernità.



UNA POETICA DECADENTE

Venne pubblicata nel 1897 nella raccolta Myricae e nei Poemetti.


Parla del fanciullino che c'è in noi, del sogno, della fantasia, delle fiabe .


Il fanciullino è quel lato della nostra personalità dentro di noi che si si spegne quando diventiamo adulti xkè non si hanno più le capacità di meravigliarsi, cogliere quello che i grandi non riescono a cogliere. Vi è un approccio istintivo a quello che sfugge. Qui l'amore non è soddisfare i bisogni materiali; ma l'amore qui è puro.. vi è il rifiuto razionale della realtà preferendo l'intuizione.

Vi è anche un messaggio politico: socialismo molto vago, socialismo umanitario che consiste nel comunicare agli uomini un ideale di fratellanza e di solidarietà; quindi l'abolizione della lotta di classe in nome di una vita modesta ma serena. Ci si deve accontentare.



IL NAZIONALISMO PASCOLIANO

È un testo razzista à il suo umanitarismo valeva solo x gli italiani. Le atre civiltà devono essere civilizzate xkè erano considerate civiltà barbare.


Disprezzo x gli Africani. Idea razzista simile a quella di D'Annunzio. La colonizzazione viene vista come un rimedio alla piaga dell'emigrazione perché le colonie vengono considerate come prolungamento della patria. ½ è l'ideale della proprietà . vi è anche l'idea che io come cittadino devo sire perché sono lio della madre patria e quindi devo dare tutto ciò che ho ad essa. Viene giustificata la guerra solo per dare una patria agli italiani.














URE RETORICHE


SINESTESIA à paragonare due cose che non c'entrano tra loro;

ONOMATOPEA à invenzione di parole che dal suono ci fanno capire l'azione o la cosa (es: cha cha cha delle comari);

ANALOGIA à paragone (es tra padre e rondine, ecc..);

SINEDDONE à sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo un legame logico;

CLIMAX à progressione, cioè serie ascendente di azioni che aumentano gradatamente di intensità;

CHIASMO à mettere due elementi simili al centro della frase per focalizzare l'attenzione di chi     lgge;

APOSTROFE à rivolgersi direttamente a qualcuno;

PERSONIFICAZIONE O ANTROPOMORFIZZAZZIONE à dare piante e cose un aspetto    umano;

ANAFORA à verbo ripetuto all'inizio di ogni verso (x farci cogliere quello che sente il poeta);

LATINISMO à mettere parole latine all'interno del testo;

METAFORA à dire qualcosa in un senso che richiami l'azione o la cosa che si desidera  menzionare;

SIMILITUDINE à


























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