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La polemica classico-romantica in Italia



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La polemica classico-romantica in Italia


La polemica tra classicisti e romantici scoppiò in Italia nel 1816 e durò circa dieci anni. A provocarla fu un articolo di Madame de Stäel, una scrittrice francese, intitolato Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni. Nell'articolo Madame de Stäel invitava i letterati italiani a conoscere le letterature straniere e a liberarsi del vecchio classicismo,che è la tendenza a riprendere lo stile e i temi dei classici nella letteratura e nelle arti, e a staccarsi dunque dalla mitologia greco-romana, che il resto d'Europa aveva già abbandonato e dimenticato

Nell'articolo era implicita l'accusa di arretratezza rivolta i letterati italiani, alcuni dei quali, diceva la Stäel, erano degli eruditi che andavano "continuamente razzolando nelle antiche ceneri, per trovarvi forse qualche granello di oro."; altri erano superficiali e vanesi, capaci solo di scrivere opere ricche di belle parole, ma vuote d'ogni pensiero, che stordivano le orecchie e lasciavano sordi i cuori altrui.



Quando fu conosciuto, l'articolo fu interpretato come una denigrazione della gloriosa tradizione culturale italiana e suscitò la reazione sdegnosa dei classicisti. Ne fu portavoce lo stesso traduttore dell'articolo, Pietro Giordani, intellettuale e scrittore , il quale rispose che l'imitazione dei poeti stranieri contemporanei era inutile quanto dannosa per gli Italiani.

Era inutile, perché i letterati italiani erano da secoli sulla via dell'imitazione la su orme ben diverse, su quelle, cioè, dei poeti classici, che avevano raggiunto la perfezione attingendo la bellezza ideale, eterna ed immortale. Era poi dannosa, perché l'imitazione dei poeti stranieri avrebbe offuscato l'italianità della letteratura. Già nel Settecento la traduzione delle opere francesi, tedesche ed inglesi aveva causato l'imbarbarimento della nostra lingua e c'era voluto lo sforzo dei Puristi per depurarla dai barbarismi. Pertanto aprirsi alle letterature contemporanee straniere significava correre il rischio di un nuovo e più nocivo imbarbarimento.

Nella polemica intervennero altri classicisti,  dei quali meritano particolare menzione Giacomo Leopardi e Vincenzo Monti.

Il Leopardi partecipò ad essa nel 1816, quando, poco più che adolescente, scrisse una lettera ai compilatori della "Biblioteca italiana", che però non venne pubblicata, e nel 1818, quando scrisse il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Nei due interventi Leopardi si dichiara contrario alle traduzioni di opere straniere, specialmente di autori nordici, che infarciscono le loro poesie di esagerazioni e di scene truculente, di paesaggi foschi, uccisioni, orrori, incesti, streghe, spettri, scheletri e creature mostruose, tutte cose lontanissime dalla "vera, castissima, santissima, leggiadrissima natura".

Il Monti interviene nella polemica più tardi, nel 1825, col Sermone sulla mitologia, un epitalamio in endecasillabi sciolti, composti per celebrare le nozze del lio della marchesa Antonietta Costa di Genova. Il De Sanctis definì il Sermone "l'ultimo rantolo della scuola classica", sia perché esso era stato composto quando la polemica classico-romantica andava spegnendosi e il Romanticismo sembrava ormai vittorioso, sicché il Monti, settantenne, si sentiva un sorpassato, sia per il tono elegiaco con cui il Monti rimpiangeva le belle favole della mitologia classica, spazzate via dal Romanticismo, definito sprezzantemente audace scuola boreale (cioè nordica, con allusione alla sua origine germanica) e sostituite dal nudo, arido vero, ossia dalla squallida realtà quotidiana, che è la "tomba" della poesia.

I romantici italiani mossi anch'essi da un sincero amor di patria ritennero giuste le critiche di Madame de Stäel, riconoscendo la decadenza italiana nel contesto della cultura europea ed impegnandosi a vivificarla e a modernizzarla. Essi si proposero pertanto di educare il popolo, abbattere lo steccato che da secoli il classicismo aveva innalzato tra gli intellettuali e le masse popolari, di creare una letteratura nuova, moderna, libera, nazionale, democratica. Anche se non accettarono i principi rivoluzionari del Romanticismo tedesco, tuttavia incondizionatamente accettarono l'altro principio romantico, quello del vero come argomento di poesia. Le fonti della poesia dovevano essere la storia, la religione, le tradizioni nazionali e popolari. Allo scopo poi di conquistare il più vasto pubblico possibile, i romantici italiani proposero l'uso di un linguaggio antiletterario, chiaro, semplice, comprensibile, veramente popolare. L'organo di diffusione delle idee romantiche fu la rivista "Il Conciliatore", così intitolato, perché mirava a "conciliare i sinceri amatori del vero" , come scrisse il suo redattore capo Silvio Pellico. Furono collaboratori del "Conciliatore" Giovanni Berchet ed altri letterati italiani. Erano tutti di idee liberali e ben presto attirarono i sospetti e gli interventi della censura austriaca. Perciò la rivista che aveva iniziato la pubblicazione nel settembre del 1818, venne soppressa dall'Austria nell'ottobre del 1819. Nello stesso anno in cui l'articolo di Madame de Stäel accendeva la polemica tra classicisti e romantici, apparve la Lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet, che viene considerata il manifesto del Romanticismo italiano. La Lettera sembra scritta sotto l'influenza stessa dell'articolo sull'utilità delle traduzioni, perché il Berchet, sotto il falso nome di Grisostomo, finge di inviare al lio, che è lontano in un collegio, la traduzione di due ballate del poeta tedesco Gottfried Bürger - Il cacciatore feroce e l'Eleonora- di argomento fortemente romantico per la presenza di elementi drammatici, avventurosi, lugubri. Tale occasione offre al Berchet lo spunto per parlare della nuova letteratura romantica e per metterne in evidenza, con notevole rigore logico, la modernità e la superiorità sulla poesia classica.



Tutti gli uomini - dice il Berchet - hanno una tendenza naturale alla poesia, ma questa tendenza è attiva in pochi privilegiati, che sono appunto i poeti; negli altri è passiva, simile ad una corda che vibra al solo tocco delle dita. Ma non tutti quelli che hanno la tendenza passiva sono in grado di comprendere la poesia: non la comprendono, ad esempio, gli Ottentotti (popolo dell'Africa meridionale qui assurto a simbolo di ignoranza e di barbarie), come il Berchet chiama gli uomini rozzi, ignoranti ed analfabeti, costretti ad essere privi di sensibilità e di vita intellettuale, ed i Parigini , che sono gli uomini eccessivamente raffinati, sofisticati, razionali, troppo civilizzati. La comprendono invece e la gustano, traendone vitale nutrimento, quelli che appartengono al popolo, una categoria di gente che il Berchet identifica con la piccola e media borghesia. Va qui notato che la diffidenza del Berchet e degli altri intellettuali verso la plebe e le masse contadine era un'eredità dell'Illuminismo e costituisce il grande limite del nostro Risorgimento. Il Berchet poi divide i poeti, coloro cioè che hanno la tendenza attiva alla poesia, in due categorie: quelli che, infatuati della loro presunta perfezione artistica, imitano i poeti greci e latini, rimasticandone i sentimenti , le credenze e la mitologia, e quelli che interrrogano direttamente o la natura, ricavandone i misteri e la morale della religione cristiana, o l'animo degli uomini contemporanei, ricavandone passioni, ideali e sentimenti veri, genuini, reali ed attuali. La poesia dei primi è "classica", e, poiché ricalca le orme dei poeti antichi, può definirsi "poesia dei morti"; la poesia dei secondi è romantica, ed essendo poesia moderna, nuova, originale, può definirsi "poesia dei vivi"; Perciò i poeti se vogliono essere veramente moderni, invece di rifriggere cavoli già putridi, come fa chi imita la poesia classica, devono essere coevi al loro secolo e interrogare l'animo del loro popolo e nutrirlo di pensiero e non di vento. Dalla nuova poesia romantica tutti gli Italiani potranno trarre giovamento, perché essa , ispirandosi ai sentimenti della gente comune, può educarli moralmente e civilmente e creare una comune patria letteraria, come premessa di una comune patria politica. Il Berchet conclude il suo discorso fingendosi di ritrattare le idee esposte, come se si fosse trattato di uno scherzo (perciò la lettera è detta semiseria), e facendo un'ironica esaltazione della poesia classica ed un'altrettanto ironica denigrazione della poesia romantica. Le idee esposte nella lettera non sono né profonde né originali, ma sono dettate dal buon senso; perciò esse ebbero una straordinaria diffusione, e per la loro efficacia divulgativa attirarono sul Berchet le simpatie dei romantici e le invettive dei classicisti.

Sicuramente più profonde ed originali sono invece le opere del Manzoni che trattano i problemi connessi con la nuova estetica romantica






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