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Saul di Vittorio Alfieri



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Saul di Vittorio Alfieri


Introduzione:

Il Saul è una delle opere più riuscite dell'Alfieri, tanto che lo stesso autore recitò spesso la parte del protagonista. Con questa tragedia Alfieri avrebbe voluto chiudere la propria attività di tragediografo, e in effetti, seguirono due anni di silenzio.

L'ispirazione che colse il poeta fu profonda, ed altrettanto intensa fu la composizione, tanto che Alfieri ebbe l'idea di scrivere il Saul il 30 marzo del 1782 (durante il soggiorno romano), stese in prosa la tragedia fra il 2 e l'8 aprile e, dopo una brevissima pausa, si dedicò alla versificazione, che completò il 26 settembre dello stesso anno.

La stesura dell'opera, così come sappiamo dalle testimonianze presenti nella Vita scritta da esso, fu preceduta e accomnata da un'intensa lettura della Bibbia, ed in particolar modo del Primo Libro dei re, in cui sono narrate le vicende di David e della sua successione al trono di Saul; lo steso Alfieri nell'autobiografia indica il Primo Libro dei re come la fonte decisiva della tragedia.

Tuttavia l'autore altera in modo consistente la vicenda biblica, in modo da concentrarla nelle ventiquattro ore del canone aristotelico, semplificandone l'intreccio ed arricchendola con alcuni particolari di sua invenzione.





Nel Saul l'autore non mette più in scena ure che incarnano individualmente caratteri unici, e che si scontrano con altri personaggi della stessa opera, ma rappresenta la battaglia psicologica all'interno di un unico personaggio, il re Saul, immerso nei suoi dilemmi e nei suoi drammi, eroico nella sua immensa forza, ma reale nella sua contraddittorietà.

Alfieri giunge con il Saul alla consapevolezza della reale miseria della condizione umana, che è ben rappresentata dal titano orgoglioso che scopre la sua intima debolezza, e non ha la forza di opporvisi attivamente perché non ha nessuno contro cui lottare, in quanto il disagio è tutto interiore, tanto che va incontro deliberatamente alla morte, unica forma di liberazione dal suo tormento.


Lo stile:

Al profondo disagio interiore che caratterizza la ura del re Saul e, più in generale, l'intera tragedia, corrisponde uno stile altrettanto contraddittorio, caratterizzato dall'alternarsi di lunghi monologhi () e battute estremamente brevi, talvolta addirittura monosillabiche (Atto quarto - scena II); questa alternanza esprime in modo estremamente efficace il conflitto interiore del re, che si trova solo a combattere contro la propria individualità.

Continue sono le variazioni di ritmo, le pause, le fratture presenti all'interno dei versi, le inversioni e gli enjambement.


Livello fonico: suoni aspri, scontri di consonanti

Livello lessicale: termini aulici, molto ricercati e raffinati, arcaismi.

Livello sintattico: molte inversioni, esclamazioni e interrogazioni

Livello metrico: versi aspri e spezzati, enjambement fortemente inarcati

Livello retorico: metafore e similitudini


Atto Primo, Scena I


DAVID

Qui freno al corso, a cui tua man mi ha spinto,
onnipossente Iddio, tu vuoi ch'io ponga?
Io qui starò. -Di Gelboè son questi
i monti, or campo ad Israèl, che a fronte
sta dell'empia Filiste. Ah! potessi oggi
morte aver qui dall' inimico brando!
Ma, da Saùl deggio aspettarla. Ahi crudo
sconoscente Saùl! che il campion tuo
vai perseguendo per caverne e balze,
senza mai dargli tregua. E David pure
era già un dì il tuo scudo; in me riposto
ogni fidanza avevi; ad onor sommo
tu m'innalzavi; alla tua lia scelto
io da te sposo . . . Ma, ben cento e cento
nemiche teste, per maligna dote,
tu mi chiedevi: e doppia messe appunto
io ten recava . . . Ma Saùl, ben veggio,
non è in se stesso, or da gran tempo: in preda
Iddio lo lascia a un empio spirto: oh cielo!
miseri noi! che siam, se Iddio ci lascia?-
Notte, su, tosto, all'almo sole il campo
cedi; ch' ei sorger testimon debb' oggi
di generosa impresa. Andrai famoso
tu, Gelboè, fra le più tarde etadi,
che diran: David qui se stesso dava
al fier Saulle.-Esci, Israèl, dai queti
tuoi padiglioni; escine, o re: v'invito
oggi a veder, s'io di campal giornata
so l' arti ancora. Esci, Filiste iniqua;
esci, e vedrai, se ancor mio brando uccida.


Atto Secondo, scena I




ABNER Or, che in te stesso
appien tu sei, Saulle, al tuo pensiero,
deh, tu richiama ogni passata cosa!
Ogni tumulto del tuo cor (nol vedi?)
dalla magion di que' profeti tanti,
di Rama egli esce. A te chi ardiva primo
dir, che diviso eri da Dio? l' audace,
torbido, accorto, ambïzioso vecchio,
Samuèl sacerdote; a cui fean eco
le sue ipocrite turbe. A te sul capo
ei lampeggiar vedea con livid' occhio
il regal serto, ch'ei credea già suo.
Già sul bianco suo crin posato quasi
ei sel tenea; quand'ecco, alto concorde
voler del popol d'Israello al vento
spersi ha suoi voti, e un re guerriero ha scelto.
Questo, sol questo, è il tuo delitto. Ei quindi
d'appellarti cessò d'Iddio l'eletto,
tosto ch'esser tu ligio a lui cessasti.
Da pria ciò solo a te sturbava il senno:
coll' inspirato suo parlar compieva
David poi l'opra. In armi egli era prode,
nol niego io, no; ma servo appieno ei sempre
di Samuello; e più all'altar, che al campo
propenso assai: guerrier di braccio egli era,
ma di cor, sacerdote. Il ver dispoglia
d'ogni mentito fregio; il ver conosci.
Io del tuo sangue nasco; ogni tuo lustro
è d'Abner lustro: ma non può innalzarsi
David, no mai, s'ei pria Saùl non calca.

SAUL David? . . . Io l'odio . . . Ma, la propria
lia gli ho pur data in consorte . . .
Ah! tu non sai.-
La voce stessa, la sovrana voce
che giovanetto mi chiamò più notti,
quand'io, privato, oscuro e lungi tanto
stava dal trono e da ogni suo pensiero;
or, da più notti, quella voce istessa
fatta è tremenda, e mi respinge, e tuona
in suon di tempestosa onda mugghiante:
'Esci Saùl; esci Saulle' Il sacro
venerabile aspetto del profeta
che in sogno io vidi già, pria ch'ei mi avesse
manifestato che voleami Dio
re d'Israèl, quel Samuèle, in sogno,
ora in tutt'altro aspetto io lo riveggo.
Io, da profonda cupa orribil valle,
lui su raggiante monte assiso miro:
sta genuflesso Davide a' suoi piedi:
il santo veglio sul capo gli spande
l'unguento del Signor; con l'altra mano,
che lunga lunga ben cento gran cubiti
fino al mio capo estendesi, ei mi strappa
la corona dal crine; e al crin di David
cingerla vuol: ma, il crederesti? David
pietoso in atto a lui si prostra, e niega
riceverla; ed accenna, e piange, e grida,
che a me sul capo ei la riponga . . .-Oh vista!
Oh David mio! tu dunque obbediente
ancor mi sei? genero ancora? e lio?
e mio suddito fido? e amico? . . . Oh rabbia!
Tormi dal capo la corona mia?
Tu che tant' osi, iniquo vecchio, trema . . .
Chi sei? . . . Chi n'ebbe anco il pensiero, pera . . .-
Ahi lasso me! ch'io già vaneggio!

ABNER Pera,
David sol pera: e svaniran con esso,
sogni, sventure, vision, terrori.










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