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L'ARTE AFRICANA IN OCCIDENTE NEL XX SECOLO - PICASSO E L'ARTE NERA, LA FIGURA UMANA NELL'ARTE AFRICANA



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L'ARTE AFRICANA IN OCCIDENTE NEL XX SECOLO


Se l'arte giapponese era stata fondamentale fonte d'ispirazione per l'impressionismo ed il simbolismo, quella "negra" è il cardine degli interessi dei Fauves e della rivoluzione cubista di Picasso, un interesse accentuato dalla grande presenza di manufatti "primitivi" che arrivarono in Europa dalle colonie.

Si è molto scritto sul ruolo determinante esercitato da questo tipo di scultura nel rinnovamento delle arti urative europee nei primi due decenni del '900. Appena all'inizio del secolo, la scultura nera era conosciuta soltanto da qualche esploratore che parlava con orrore degli "orripilanti piccoli idoli" dei selvaggi, e da qualche etnologo che ne collezionava gli esemplari con altri fenomeni della vita africana, senza tuttavia pensare che si potessero prendere sul serio quali manifestazioni d'arte. Quando un artista osservava una di queste immagini, provava un senso di compiacimento al pensiero di quanto l'arte civilizzata avesse superato questi maldestri e grossolani abbozzi della ura umana.



Verso il 1907, a Parigi, alcune persone che si interessavano ai movimenti artistici contemporanei cominciarono a parlare della scultura nera. Alcuni pittori che cercavano di produrre certi effetti sulla tela individuarono nei "feticci" e nelle maschere create dai loro colleghi africani opere d'arte da ammirare e a cui ispirarsi nella rivoluzione urativa che avevano intrapreso, trovando in quelle opere una corrispondenza che confortava le loro ricerche. Dichiararono che le statuette di legno scolpite parecchi secoli prima da ignoti artisti erano superiori, sotto molti punti di vista, ai prodotti minuziosamente rifiniti delle accademie; che esse non erano semplicemente infantili tentativi di copiare le statue europee, bensì dei tentativi vittoriosi di fare delle statue di un genere completamente diverso. Anche se apparivano sproporzionate, esse erano fatte con un'abilità consumata allo scopo di produrre effetti che gli europei non avevano saputo nè vedere nè apprezzare.

La critica accademica replicò che simili postulati erano assurdi; disciplinati dai canoni greci della bellezza scultorea, i suoi occhi si rifiutavano di scorgere in tali feticci qualcosa di più di un comico grottesco, ripugnante, o tutt'al più stranamente bizzarro. Ma alcuni giovani artisti (Fauves e Cubisti), ribelli ai canoni soffocanti dell'Accademia e impegnati nella trasformazione radicale del linguaggio urativo europeo, avevano tratto ispirazione dalle opere degli artisti neri, attribuendo a questi un'assoluta libertà d'invenzione che nella realtà essi non avevano. Essi si misero perciò a copiare i motivi neri, interpretandoli con la pietra o con la pittura, trattando dei soggetti moderni alla maniera nera, adottando nelle opere certe audaci semplificazioni, certe deformazioni, certe soluzioni ardite nella resa dei volumi.

L'interesse che pittori e scultori portavano alla forma nera, le applicazioni varie che ne facevano su soggetti ben lontani dalla vita africana stanno ad indicare che vi si trova un qualche significato da un punto di vista puramente estetico. L'aspetto che più interessava gli artisti europei stava nella soluzione formale: la forma era sempre di rara efficacia, assai lontana dal modo occidentale di sentire e pertanto feconda d'ispirazione per questi artisti .



PICASSO E L'ARTE NERA


Come per molti degli artisti d'inizio secolo, l'arte africana non ha mancato di influenzare anche la fase iniziale del cubismo di Picasso. Per Pablo questo tipo di arte è in parte spontaneità, fedeltà agli istinti e alle passioni, spiritualità e valore magico, ma soprattutto superamento delle leggi prospettiche tradizionali. L'arte nera è stata subito da lui interpretata in senso strutturale e di simbolo "razionale", mentre fino allora era stata spunto  a caratterizzazioni espressioniste oppure a sintesi decorative. Per Picasso, e i cubisti in generale, invece è proprio la sintassi dell'arte nera a essere presa come modello linguistico per la sua pittura.

Egli era attratto dalla scultura nera perché ne ammirava la qualità concettuale, l'elemento plastico e formale di quest'arte.

Per tutto il 1907 Picasso si dedica, anche scolpendo ure in legno dipinto, a saggiare le possibilità espressive del linguaggio dell'arte nera. Secondo quanto afferma lui stesso, si sensibilizzò alle opere dell'arte africana al museo Trocadèro di Parigi (oggi Musèe de l'Home), in cui lo interessarono in particolare le maschere, i bassorilievi dogon, o del Congo,  della Nuova Caledonia, descritte da lui stesso come una "rivelazione". Colpito dall'aspetto "razionale" di tale arte (razionalità intesa come necessità di esprimere l' "idea e non l'aspetto" delle cose) ne acquistò addirittura qualche esemplare. Ha così inizio il cosiddetto "periodo negro", periodo in cui molti studi dimostrano tentativi di cogliere quelle "forme primarie" che più direttamente esprimevano, nei limiti delle possibilità che il disegno e il colore comportavano, tutto ciò che la ragione e i nostri occhi percepiscono. Anche se i modi di semplificazione e schematizzazione della ura umana ottenuti dall'arte nera e da Picasso (disinteresse, inosservanza dell'aspetto realistico e del bello) erano gli stessi, gli obiettivi erano differenti: per Picasso infrangere i criteri acquisiti di bellezza significava esasperare il suo spirito innovatore nel tentativo di distaccarsi dall'oggettività della realtà; per l'artista africano la bellezza estetica era semplicemente trascurabile prediligendo l'aspetto simbolico e celebrativo dell'arte.

Picasso voleva distruggere tutto in una volta. E il mito della bellezza femminile era il meno. Egli si rivoltava contro all'intera arte occidentale dal primo Rinascimento in poi, per questo intendeva superare tutte le forme di bellezza e perfezione di derivazione accademica ed accostarsi a soluzioni più innovative.



In quadri del 1908 le sintesi "nere" a cui Picasso guarda saranno ora soprattutto quelle volumetriche di statuette del Gabon e della Costa d'Avorio. Il blocco ossessivo dei "Tre nudi" di Leningrado di quel periodo era stato il punto culminante della ricerca di un'arte schematica, profondamente strutturata, dell'essenza simbolica del primordiale nell'arte arcaica e nelle sculture nere.



LA URA UMANA NELL'ARTE AFRICANA


Le sculture secondo la cultura africana, non rappresentano il sacro, sono il sacro; allo stesso modo la maschera non evoca lo spirito ma è lo spirito stesso. Ciò spiega in parte perché lo scultore nero non si interessa in maniera particolare all'aspetto naturale delle cose. L'intento della rappresentazione di ure umane non consiste nel voler dare effetti naturalistici, ma è legato ad una serie di aspetti simbolici, celebrativi legati ai culti religiosi, trascurando la verosimiglianza anatomica.

Alcune maschere sommano persino tratti umani e di animali in immagini inquietanti che hanno origine in tempi lontani, quando uomini e animali vivevano a stretto contatto, prima che vi fosse una chiara distinzione tra natura e cultura.

Le deformazioni frequenti, la semplicità e l'economia di decorazioni, attribuite in passato a incapacità degli autori di dare forma compiuta alle loro opere, sono invece l'espressione di scelte formali e coscienti; scelte conformi a modelli ideali noti ai destinatari, che sono patrimonio della cultura del gruppo etnico, e che possono apparire incomprensibili alla cultura occidentale.

Dal punto di vista formale il corpo umano è reinventato liberamente: l'artista africano possiede grande capacità di reinterpretare lo scheletro strutturale delle ure, e una capacità di sintesi dei volumi che costituiscono un processo in grado di conferire maggiore forza espressiva rispetto alla semplice copia della realtà.

Le ure umane, pur nella loro estrema diversità, sono quasi sempre caratterizzate da una frontalità e da una simmetria che inducono un senso di compostezza e dignità, di energia contenuta oltre che di monumentalità.



BIBLIOGRAFIA:


AA.VV, "Arte dell'Africa Nera", a cura di ArtificioSkira, Firenze-Milano.

Franco Russoli e Fiorella Minervino, "L'opera completa di Picasso-cubista", collana "Classici dell'Arte Rizzoli, Milano.

J. Golding, "Cubism. A History and an Analysis 1907-l914", 1959 (ed. italiana 1963).




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