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Le conseguenze della rivoluzione industriale - Marx e i Surrealisti

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Tesina multidisciplinare


Le conseguenze della rivoluzione industriale

Marx e i Surrealisti









Indice




storia: rivoluzione industriale


filosofia: marx ed il materialismo storico


letteratura: movimenti ed avanguardie letterarie e artistiche


arte: surrealismo e pittura


conclusioni
PREMESSA


PROGRESSO TECNICO


Le scoperte della scienza e le loro applicazioni pratiche apportarono mutamenti nella vita dei popoli d'Europa .Se la macchina a vapore aveva dato all'industria una formidabile potenza di lavoro, l'invenzione del motore a scoppio rappresentò un ulteriore progresso, ma le più importanti invenzioni avvennero nel campo dell'elettricità.


Dopo il 1870 l'impiego industriale dell'elettricità assunse larghe proporzioni: Grammer costruì il primo tipo di dinamo e successivamente lo perfezionò; del 1884 è l'invenzione dei trasformatori, che permise al celebre inventore americano Edison di darci la lampada ad incandescenza; non tardarono l'utilizzazione della caduta d'acqua dalle montagne e quindi la possibilità del trasporto della forza elettrica a distanza, l'applicazione dell'elettricità alla trazione; specialmente negli Stati Uniti i tranvai elettrici ebbero un rapido sviluppo, dopo l'invenzione degli accumulatori elettrici.


La macchina fu applicata al ciclo produttivo: nacque così la grande industria e con essa i grandi complessi meccanizzati.


Per renderci conto del rivolgimento economico dell'industrialismo ci riferiamo, anche questa volta, all'Inghilterra, dove, nel corso della prima metà del secolo XIX, si attuò un profondo rivolgimento economico. In questa nazione le forze economiche si ingigantirono: l'industria laniera, che da secoli trovava nelle risorse del Paese la materia prima sufficiente, già nel 1820 importava dall'estero dieci milioni di libbre di lana; cifra che si triplicò dieci anni dopo, per aumentare di dieci volte intorno al 1850.

Pure impressionante fu lo sviluppo dell'industria cotoniera e di quelle estrattive del carbone e del ferro, materie prime indispensabili all'economia nazionale britannica e largamente esportate all'estero.

Fra i centri dell'industria tessile meccanizzata ricordiamo Manchester e Birmingham in Inghilterra; in Italia, Como e Bergamo per la seta, Biella per la lana e molti centri della Lombardia per il cotone.

Le industrie siderurgiche provvidero a costruire il materiale ferroviario (locomotive, carrozzoni, rotaie) e tutte le macchine necessarie all'agricoltura, per seminare, per mietere, per trebbiare.

L'agricoltura non volle rimanere indietro rispetto all'industria nei metodi di coltivazione, nelle opere di irrigazione e di bonifica, per aumentare e migliorare il rendimento della terra e far fronte alle necessità di un enorme aumento della popolazione.

L'Italia, paese essenzialmente agricolo, si aggiornò rapidamente, sia meccanizzando l'agricoltura, sia facendone risorgere l'industria. Gli Stati che maggiormente si preoccuparono di questi problemi furono il regno di Sardegna, con Carlo Alberto, dove si costituì nel 1842 l'Associazione agraria per promuovere studi di miglioramento dei terreni, e la Toscana, per iniziativa di grandi proprietari terrieri, quali Cosimo Ridolfi e Bettino Ricasoli.

Ma la grande industria ha bisogno di enormi capitali per poter prosperare; il singolo non è all'altezza di affrontare le spese per il rinnovo periodico dei macchinari d'impianto, che sono assai costosi. Sorsero così società in nome collettivo e anonime per azioni, che unirono le forze di capitalisti, i quali a loro volta venivano spesso aiutati dalle Banche di credito.

Nel secolo XIX le Banche furono le so vvenzionatrici delle imprese economiche ed assunsero un'importanza nazionale, a volte anche internazionale, non solo economica ma spesso politica. Emblematico per l'Italia fu l'intreccio tra gruppi monopolistici (Ansaldo, Fiat, Breda, Edison, tanto per citarne alcuni) ed il 'quadrumvirato' onnipotente delle banche miste ( Banca Commerciale, Credito Italiano, Banca di sconto e Banco di Roma), che aveva come obiettivo dichiarato di assicurarsi il controllo dell'intera economia italiana.


CONSEGUENZE POLITICHE


Le modificazioni nella struttura economica (grande industria e banche) portarono variazioni anche negli indirizzi politici e sociali dei popoli. In politica ci si orientò verso l'unità e il liberalismo.

Perché l'industria potesse prosperare ed il commercio potesse assumere carattere internazionale, era necessario che lo Stato fosse unitario, in quanto la mancanza di barriere politiche era la fine di quelle doganali, intollerabili al libero espandersi delle attività economiche.

Infatti gli sforzi per la creazione dell'industria incontravano un duplice ordine di difficoltà: gli ostacoli posti alla libera circolazione delle merci per le vie naturali del traffico e le persecuzioni poliziesche contro ogni iniziativa.

Ora quegli Stati, che, come l'Italia e la Germania, non avevano realizzato l'unità politica, si sentirono sollecitati a raggiungerla, anche per l'affermarsi nell' Europa della grande industria.

In Italia le industrie cercavano un più ampio mercato, un più libero svolgimento. Si fecero allora disegni di una unione doganale: la Lombardia anelava di essere ricongiunta ai suoi porti naturali ed al resto della penisola. In questo ordine di idee, che è un preludio all'unificazione politica, sotto la spinta del sentimento di nazionalità erano entrati, alla vigilia della prima guerra di indipendenza, anche i governi più retrivi; nel 1841 l'Austria proponeva al Piemonte un'unione doganale austro-italiana, che non era destinata a riuscire; il 3 novembre 1847, per iniziativa di Pio IX, veniva stipulata una prima unione doganale tra lo Stato Pontificio, la Toscana, il Piemonte; poco dopo parve accedervi anche il Regno delle Due Sicilie.


IL SORGERE DEL PROBLEMA SOCIALE


A dare una positiva dimostrazione del progresso della vita materiale, basta addurre qualche dato relativo all'andamento demografico dell'Europa nel secolo XIX.

La popolazione europea, secondo autorevole calcolo, era di circa 180 milioni al principio dell'800; cifra che si raddoppierà verso la fine del secolo.

La classe sociale dominante in Europa era la borghesia, costituita, oltre che dai piccoli proprietari, dai professionisti e dai banchieri, soprattutto dagli industriali e dai commercianti. Fu la borghesia a promuovere ed a sostenere il movimento per la riforma elettorale e per l'abolizione del dazio del grano; fu la borghesia a portare sul trono di Francia Luigi Filippo; ad una direttiva tipicamente borghese si improntò la politica degli storici Thiers e Guizot, come uomini di pubblico governo.

Ma accanto alla borghesia, che accentrò nelle sue mani la    grande industria, venne a costituirsi il proletariato industriale; con il sorgere del cosiddetto « quarto stato » ha origine il problema sociale del secolo XIX.

Il progresso industriale, l'accentuato fervore della vita moderna, le povere condizioni agricole di molte regioni favorirono l'affluire di molta gente dalla campagna in città, determinando così il fenomeno dell'urbanesimo, non preoccupante dapprima, finché non raggiunse alte cifre, ma poi divenuto un assillo per i governanti, che ai sempre più numerosi immigrati non poterono dare un collocamento; e le torme di disoccupati determinarono nei centri urbani uno stato di disagio e di inquietudine, quando addirittura la crisi economica non porto ad atti di rivolta e di violenza.

Del resto la crisi fu generale; il pauperismo, condizione un po' di tutti i tempi, diventò uno dei più grossi malanni, tanto più di fronte ad un capitalismo sempre più potente.

La grande industria e la sua organizzazione hanno consegnato in mano di pochi la ricchezza, il dominio dei prezzi, il dominio dei mercati; ha anche determinato tuttavia il sorgere e lo sviluppo del pauperismo. Sciolte dalla Rivoluzione le organizzazioni operaie, la classe lavoratrice fu messa alla discrezione dei capitalisti, che la consideravano strumento di lavoro da sfruttare il più possibile. La mano d'opera era esorbitante; i lavoratori, per trovare collocamento, dovettero accontentarsi di paghe modeste se non di fame, di orari di lavoro assai gravosi, in condizioni igieniche miserevoli.

Tra il 1830 e il 1850 sono già presenti gli elementi della « grande trasformazione » che investirà, nel corso del secolo, la società mondiale. In questi decenni il cambiamento si manifesta non solo nei sistemi produttivi e tecnologici, ma anche nelle forme di aggregazione degli uomini, nelle condizioni della vita quotidiana, nelle espressioni del sentimento e del costume. In una sua sectiunea[1], A. Caracciolo sottolinea che questo mutamento è ineguale, procede cioè a « pelle di leopardo » segnando in modo significativo la differenza tra le diverse nazioni, ma anche, all'interno dei singoli paesi, il divario tra regione e regione (alcune di esse sono ca­ratterizzate da sviluppo economico e da grosse concentrazioni urbane, altre da ristagno e dalla presenza di aree agricole totalmente abbandonate). Il mutamento evidenzia anche l'insufficienza della dimensio­ne nazionale rispetto ad un'economia che tende a diventare mondiale, come è dimostrato dai livelli in­ternazionali raggiunti dalla finanza. L'unificazione mondiale capitalistica si esprime, tuttavia, anche in molte altre forme, propriamente umane, come gli spostamenti sempre piú rapidi e frequenti, causati da necessità economiche e culturali. E, insieme agli uomini, viaggiano anche nuovi valori, nuovi sim­boli, nuove merci, nuovi sistemi di pagamento e di scambio, creando, pur in una pluralità di esperien­ze, un alto grado di uniformità nelle consolidale strutture borghesi.

Per difendersi contro le vessazioni di un capitalismo inumano, i lavoratori si unirono in associazioni e sindacati operai.

Alla risoluzione della questione sociale si rivolse da un lato lo Stato, mediante l'emanazione di leggi sociali, e dall'altro il Socialismo, che rappresentò un vasto movimento di idee, promosso da uomini solleciti a risolvere i nuovi problemi sociali in un clima di superiore giustizia.


1. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E MARX


La Rivoluzione industriale, nata in Inghilterra, stava, all'epoca della formazione di Marx, estendendosi a poco a poco ai paesi continentali, e in prima linea alla Francia e al Belgio, dove Marx trascorse gli anni dal 1843 al 1848. ­E se in questi paesi non erano ancora giunti tutti quegli effetti sconvol­genti che la rivoluzione industriale aveva prodotto in Inghilterra, Engels, che proprio in quegli anni si legava a lui dal duplice vincolo di stretta amicizia e di feconda collaborazione, stava vivendola da vicino proprio in Inghilterra e ne descriveva in pagine indimenticabili il drammatico qua­dro. E questo dovette fare su Marx una profonda impressione, tanto da spingerlo a vedere un futuro di miseria crescente e, quindi, di tinte ancora piú fosche. Era la tragica contraddizione di uno sviluppo produt­tivo e di una conseguente ricchezza, prima di allora mai apparsa nella storia, e, contemporaneamente, di una condizione sempre piú miserabile delle masse, che appariva peggiore della stessa schiavitú. Hegel, il mae­stro cui Marx doveva la sua iniziazione filosofica, aveva colto questa contraddizione e aveva cercato di esprimerla e risolverla filosoficamente nella dialettica[2].

Contraddizioni fra l'accu­mularsi di ricchezza e la disperazione della miseria, fra l'illimitata capa­cità creativa dell'uomo e le risorse crescenti della tecnica da un lato e, dall'altro, la condizione di abbrutimento e disumanità cui la maggio­ranza degli uomini era condannata, infine contraddizione non solo fra classe dominante e classe oppressa, ma fra due modi di vita, due culture, due mondi la cui coesistenza diventava sempre piú impossibile. Due nazioni totalmente estranee, due mondi incompatibili, e tuttavia inestricabilmente congiunti nella dinamica della stessa società, donde sofferenze atroci continue, crisi, guerre, rivoluzioni e aspre lotte sociali: una società che poteva trovare una giustificazione razionale solo nella concezione di un processo storico che avanza attraverso antagonismi, lotte e tensioni continue, e nella quale i momenti di tran­quillità sono solo apparenti, perché le contraddizioni permangono e la­vorano a distruggere l'ordine esistente e a prepararne un altro.


IL MATERIALISMO STORICO


La concezione marxista della storia poggia tutta sulla tesi se­condo cui l'essere dell'uomo è determinato dai rapporti di produ­zione che l'uomo stesso stabilisce con la natura e con i suoi simili. D'accordo con Marx, Engels precisa: « Mi servo della parola ma­terialismo storico, per designare una concezione della storia che ri­cerca la causa prima e il grande motore di tutti gli avvenimenti sto­rici importanti nello sviluppo economico della società, nella trasfor­mazione dei modi di produzione e di scambio, nella divisione della società in classi che ne risulta e nelle lotte sviluppatesi fra queste classi » (F. Engels, Einleitung zur englíschen Ausgabe der « Entwicklung des Sozialitsmus von der Utopíe zur Wissenschaft », in K. MARX e F. ENGELS, Werke, Berlin, 1957 e sgg., vol. 22, p. 298).

Partendo dal presupposto che la storia è fatta da individui umani si­tuati in certe determinate forme di produzione della vita materiale gia precedentemente esistenti, Marx insieme ad Engels, conclude non solo con il rivendicare alle cause economiche la giusta parte da queste avute nella storia, ma attribuisce solamente a queste il ruolo di causa prima. L'unico soggetto della storia è quindi la struttura economica della società.


Il presupposto fondamentale di tutto ciò è che gli uomini per poter far storia debbono innanzi tutto poter vivere e ciò significa prima di tutto poter mangiare, bere, vestirsi, avere un'abitazione. La prima azione storica, condizione fondamentale per qualsiasi altra, è quindi produrre la vita materiale stessa mediante un rapporto attivo con la natura nelle forme e nei modi che i rapporti di produzione, in continua evoluzione, man mano assumono. La struttura economica e quindi l'unico elemento originale capace di condizionare la storia e insieme autocondizionarsi. Tutto ciò che, rigorosamente parlando, non entra a far parte del processo di produzione della vita materiale: diritto, politica, arte, religione, metafisica, morale e in generale ogni forma di coscienza che a ciò si ispira, tutto questo è sovrastruttura, riflesso, cioè emanazione della struttura economica, destinata conti­nuamente a mutarsi secondo il mutare di questa. L'illusione dell'auto­coscienza come coscienza autodeterminantesi è nata, secondo Marx, con la divisione del lavoro in manuale e mentale. La coscienza invece è fin dall'inizio un prodotto sociale, in quanto nasce, insieme con il linguaggio, dal rapporto necessario con gli altri uomini e con la natura, frutto di un rapporto, tale resta, subendo le modificazioni che tale rapporto subisce. Filosofia, religione, morale, diritto, arte, non hanno quindi una storia né uno sviluppo autonomo, costituiscono al piú un modulo a parte della storia dell'economia. E' questa riduzione della storia alla trasformazione dei rapporti di produzione che con­sente a Marx di imprimere al suo pensiero un carattere pragmatico e rivoluzionario. Se le idee sono frutto dell'azione reale dell'uomo sulle cose e non viceversa, allora « tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellet­tuale, risolvendoli nell'autocoscienza, trasformandoli in spiriti, fan­tasmi, spettri, ecc, ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ogni altra teoria » (op. cit., p. 30).


LA SOLUZIONE COMUNISTA


L'unica soluzione che consenta la realizzazione di un'umanità non piú alienata e libera è la società comunista che, abolendo la proprietà privata, consentirà una piena sottomissione dell'economia alla politica, una piena sottomissione cioè delle forze produttive alle forze dell'uomo, liberandolo cosí dalla ferrea necessità delle leggi di mercato. E' bene chiarire subito che per Marx « il comunismo non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente » (Die deutsche Ideologie, cit., p. 25). Il comunismo si preannuncia quindi come l'inevitabile sbocco della società capitalista avanzata. ciò grazie alla necessità dia­lettica che governa il vario susseguirsi delle forme che storicamente assumono i rapporti di produzione. La società comunista è già presente potenzialmente in quella capitalista e affinché questa perisca è necessario che in essa si siano sviluppate tutte le forme di forze pro­duttive cui può dare corso.

Marx si sofferma a lungo ad analizzare lo sviluppo necessario dei rapporti di produzione capitalistici, delineando la forma di una so­cietà capitalistica ideale, basata sulla sua teoria del plusvalore, la quale inevitabilmente dovrebbe dar adito al comunismo. La spietata concorrenza tra i detentori del capitale, porta questi ad aumentare progressivamente il capitale impiegato nella produzione mediante il reinvestimento di parte del plusvalore. L'aumento del capitale com­porta necessariamente l'aumentare dello sfruttamento capitalistico e quindi l'aumentare del proletariato. Inoltre, le migliorate cognizioni scientifiche e tecniche applicate alla produzione e quindi l'uso sem­pre più vasto e costante di macchinari portano all'automazione dei processi produttivi con il conseguente aumento della disoccupazione e quindi della miseria del Proletariato. L'aumento della produttività viene così ad essere direttamente proporzionale all'aumento della di­soccupazione o sottoccupazione. Il capitale, inoltre, distrugge pian piano ogni altra forma di Proprietà la cui origine e il cui sviluppo non è conforme alle sue leggi. L'applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento razionale della terra, la trasformazione dei mezzi di produzione in mezzi di produzione utilizzabili solo collettivamente, il progredire in altre parole della grande industria e del grande ca­pitale portano alla ssa della proprietà dei ceti medi, frutto del lavoro dei piccoli ceti medi e dei contadini. La società è ormai divisa in due classi antagoniste, l'una, molto ridotta, dei capitalisti, l'altra dei proletari, la quale va sempre piú ingrossandosi per l'afflusso in essa dei ceti medi rovinati dalla concorrenza del grande capitale. La stessa legge dell'accumulazione del capitale porta i restanti capitalisti a darsi spietata battaglia al fine di assorbire l'uno il capitale dell'altro.

Il comunismo richiede per la sua realizzazione che si verifichino alcune premesse essenziali: prima di tutto che le forze di produzione abbiano raggiunto il massimo del loro sviluppo, altrimenti nella società comunista non si generalizze­rebbe altro che la miseria e col bisogno inizierebbe di nuovo la lotta per il necessario con tutte le sue deprecabili conseguenze. Inoltre bisogna che tale sviluppo delle forze produttive diventi universale du­rante l'era borghese, un comunismo infatti che nascesse come feno­meno locale avrebbe breve vita. Il persistere altrove del sistema capi­talistico o di altri piú arretrati ancora ne decreterebbe in breve la fine. L'esistenza di un ceto medio a metà strada tra il proletariato e la borghesia sarebbe infine il piú grave ostacolo sulla strada del comunismo. Tali premesse saranno tutte realizzate dallo sviluppo della società borghese cosicché la forma che i rapporti di produzione assu­meranno nel comunismo sarà ultima e definitiva. Infatti mentre in ogni precedente rivoluzione, la classe che ne era promotrice, riven­dica la promozione e l'attuazione di interessi e privilegi del tutto particolari liberando solamente se stessa, « questa lotta ha ora rag­giunto un grado in cui la classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non può piú liberarsi dalla classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia), senza liberare anche a suo tempo, e per sempre, tutta la società dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalle lotte fra le classi »(Manifest der kommuntstischen Partei, tr. it., Roma 1962, p. 40). I diritti e gli interessi del proletariato coincidono infatti con gli inte­ressi dell'umanità tutta, sia perché questa classe è diventata talmente numerosa da contenere pressoché tutta la popolazione, sia perché è talmente misera e spoglia di tutto che si può affermare che le sue rivendicazioni poggiano sui diritti dell'uomo in quanto tale e non sui diritti dell'uomo in quanto feudatario, latifondista, borghese, ecc. Da questo punto di vista il proletariato contiene gia in sé tutti gli elementi caratteristici della società comunista. Questa sancirà l'abo­lizione della proprietà privata che il proletariato non ha mai posse­duto, cosí come segnerà la fine della patria, della nazionalità, della famiglia, in quanto che per gli operai non c'è stata mai né patria, né nazione, né famiglia, almeno nel modo come i borghesi l'hanno concepita.

Alla rivoluzione che abbatterà ogni forma di produzione capita­listica, seguirà un periodo di dittatura del proletariato. Questa prima fase della società comunistica sarà caratterizzata ancora da un go­verno classista, il cui compito sarà di debellare definitivamente gli eventuali rigurgiti del capitalismo e sanare gli squilibri da esso creati nel settore produttivo ed in genere nella vita sociale. Solo in un secondo tempo, con la ssa della divisione del lavoro, avremo la piena attuazione del comunismo e con ciò la piena umanizzazione delle forze produttive. Il lavoro cesserà di essere attività coatta, per divenire spontanea manifestazione della propria personalità, desiderio di migliorare le sorti dell'umanità, di rendersi utili alla collettività, secondo le capacità proprie di ciascuno, La retribuzione corrispon­derà ai bisogni reali di ognuno, non piú quindi alla quantità o alla qualità del lavoro prestato.

Da notare a questo proposito che, mentre il materialismo sto­rico si basa sull'affermazione che l'uomo è interamente condizionato dai rapporti economici, nel descrivere la società comunista, Marx rovescia completamente tale posizione, prospettandosi un tipo ideale di uomo che è riuscito a condizionare razionalizzando, tutto il mondo dei rapporti economici. Risulterebbe cosí che il materialismo sarebbe valido ed effettivo solo in quell'epoca precedente il comunismo che Marx chiama preistoria dell'umanità, nella quale l'uomo è assoggettato e determinato dai rapporti economici. Il comunismo segnerebbe in­vece l'inizio della storia umana, di un'epoca cioè in cui sarà l'uomo, totalmente padrone del proprio destino, a fare la storia e non più forze a lui estranee.



2. MOVIMENTI ED AVANGUARDIE LETTERARIE E ARTISTICHE


Questa rivoluzione generale avvenuta sin dagli ultimi decenni dell'Ottocento ha chiaramente interessato tutto l'ambiente delle arti ed il quadro complessivo sociale e politico.

L'espansionismo industriale e la logica capitalista, che accetta come unica legge il profitto, portano la società europea a disconoscere lo spirito liberale presente nell'Ottocento e a sostituire ai principi di democrazia, d'uguaglianza e di solidarietà fra i popoli, valori quali la potenza e il diritto del più forte.

Come abbiamo visto, da una parte l'alta borghesia che, compiuta la rivoluzione industriale, mira alla salvaguardia dei privilegi acquisiti, dall'altra il  proletariato che, ispirandosi alle idee marxiste e sindacaliste minaccia di rovesciare l'ordine, tendono ad inasprire sempre di più il loro conflitto di classe.

Da questa situazione derivano un sentimento d'insicurezza, la sensazione di essere a una svolta decisiva della storia e un senso generale d'inquietudine generato senz'altro, come già accennato, dalla crisi delle illusioni positiviste ma in ugual modo da una serie di vicende storico‑politiche che sconvolgeranno l'intera Europa, non solo dal punto di vista militare (con l'impiego di eserciti smisurati e di micidiali armi di distruzione), ma anche da un punto di vista politico, sociale ed economico.

La guerra provocò un completo mutamento del quadro generale e degli stessi obiettivi per i quali era scoppiata.

L'anno 1917 costituisce, sotto tutti gli aspetti, un punto di svolta non soltanto per la prima guerra mondiale ma per il corso della storia contemporanea.

Con l'intervento degli Stati Uniti e con l'esplosione della rivoluzione in Russia, seguita dalla conquista del potere da parte dei bolscevichi, vennero modificati tutti i rapporti tra le forze in campo tanto che risultò accelerato il declino delle potenze europee a vantaggio dì quella americana, mentre l'intero assetto politico e sociale dei continente, già vacillante in conseguenza della guerra, sembrò venire sconvolto dalla ventata rivoluzionaria partita dalla Russia ed estesasi al centro‑Europa.


Venendo alle esperienze culturali di questo periodo, esse sono caratterizzate, in Italia, da una reazione antipositivistica e dalla rinascita d'un pensiero idealistico; agli inizi del secolo la fiducia positivistica nella ragione e nella scienza è in netto declino.

Un sistema di pensiero fondato unicamente sulle evidenze scientifico‑materialistiche degrada la ragione e priva l'uomo della sua libertà, disconoscendone la capacità inventiva e la consapevolezza della storia.

Tutto questo portò ad un nuovo irrazionalismo decadentistico e, di conseguenza, al ritorno di uno spiritualismo che, nelle varie forme in cui si esprime, riafferma il valore della realtà esterna per calarsi nell'animo umano.


Il movimento artistico che rappresenta ed esprime questa crisi spirituale (non necessariamente intesa in senso negativo) fu detto decadentismo.

Esso corrisponde alla crisi della cultura ottocentesca ed ha come centro di diffusione la Francia, Parigi, dove un gruppo di giovani letterati ed artisti urativi si organizza e decide l'avvio di una nuova arte contrapposta alla oggettività della ura, al tardo romanticismo victorughiano, al naturalismo zoliano e al rigido accademismo formale del parnassianesimo, ossia del movimento avviato negli anni Sessanta dai poeti del parnasse contemporaine , che esasperavano il culto dell'eleganza stilistica.


Il decadentismo viene divulgato a partire dal 1885, anno in cui Jean Moréas pubblica sul giornale 'Le aro', il Manifesto del simbolismo, da cui successivamente tutte le arti presero spunto per articolare una nuova attività artistica.


Nasce, alla pari della letteratura, la pittura e la musica decadente; pittori e musicisti non attingono, per la loro ispirazione, alla realtà oggettiva ma all'impressione ch'essa suscita nella loro soggettività: danno vita all'impressionismo.


L'Italia, sia pure in modo meno vistoso e profondo, specie in ambito letterario, subì l'influenza del decadentismo; già presente nell'arte di Fogazzaro, si affermò attraverso il romanzo Il piacere di Gabriele D'Annunzio e nella poetica de Il fanciullino dei Pascoli.


Ai primi del nostro Novecento, nel nostro Paese, lo spirito decadentistico soffia in varie direzioni, ora promuovendo una condizione di stanco e rinunciatario ripiegamento (crepuscolarismo), ora sollecitando l'irruzione degli istinti vitalistici (seppur con esiti diversi: dannunzianesimo e futurismo ),ora approfondendo le ragioni della crisi, manifestandone gli aspetti essenziali, con grande maturità e spirito creativo (Svevo e Pirandello).

Tuttavia, inizialmente l'Italia decadente accolse con moderazione il messaggio francese a causa dello spessore della tradizione classica, rinnovata prestigiosamente dal Carducci, del magistero del Croce col suo appello alla serietà della vita e dell'arte, del perdurare di alcuni principi di fondo del realismo manzoniano e verghiano, della nostra situazione storica, diversa da quella francese, e infine del senso della misura e dell'equilibrio che caratterizza lo spirito italiano.

Ciononostante in quest'epoca i legami che collegano i vari periodi storico‑culturali, che sono sempre esistiti nel passato (dall'Umanesimo al Rinascimento, dall'Illuminismo al Romanticismo, ecc.), comunque si infittiscono e si intrecciano, le scuole sì sovrappongono espandendosi anche fuori dei confini del paese in cui sono nate, dando luogo, nel corso degli anni, ad un movimento culturale ed artistico di livello universale.


I crepuscolari devono molto ai simbolisti francesi e belgi; D'Annunzio assimila tematiche e schemi da tutta l'Europa; il futurismo è un fenomeno mondiale, particolarmente operoso in Italia e in Russia; Pirandello è legato al futurismo e all'espressionismo, e presto il pirandellismo diventa un fenomeno di tutto il mondo; e così via sino ai nostri giorni. Propria di questo periodo, è inoltre, la nascita dell'avanguardia, termine che nella storia letteraria ed artistica indica numerosi movimenti culturali sorti in Europa tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento. Nasce l'esigenza fondamentale, tipica di alcuni gruppi d'avanguardia, verso una radicale uniformazione dei linguaggi artistici considerati troppo legati al gusto borghese e al suo conformismo. L'arte deve svincolarsi dall'oppressione del potere che si riproduce nel linguaggio accademico; solo allora può assumere forme nuove, più libere, rivoluzionarie.

Questo è lo scopo dell'avanguardia, perseguito a prezzo dell'eliminazione degli assetti comunicativi tradizionali e di una sfida violenta ad ogni convenzionalismo. L'esperienza dell'avanguardia ha un'importante funzione di rinnovamento, che coinvolge tutte le arti , dalla pittura al teatro, dalla musica al cinema.


Crepuscolarismo


Le esperienze letterarie del D'Annunzio e del Pascoli erano in piena attività, un gruppo di giovani poeti, prima a Roma, poi a Torino, dette origine ad una corrente di poesia, che a partire dal 1910 si disse 'crepuscolare', secondo il suggerimento del critico Borgese. Costui affermò, su 'La Stampa', che le raccolte poetiche di Moretti, Martini e Chiaves erano caratterizzate da una 'voce crepuscolare'.

Ricorrendo alla metafora del crepuscolo (il crepuscolo che prelude alla notte e non all'alba),, il Borgese colse pienamente i tratti tipici della poesia di quei giovani; una poesia che per i toni sommessi, le tinte appena accennate, l'atmosfera trasognata e malinconica fa davvero pensare all'ora del crepuscolo.

Il più significativo dei crepuscolari è Guido Gozzano, poeta acuto, gentile e triste; nelle sue opere traspare spesso la sua spiritualità malinconica, ripiegata su se stessa nella nostalgia di schiettezza e di semplicità, animata da una sottile ironia scontrosa e pudica. Siamo lontanissimi dalla retorica, dai gesti magniloquenti, dai sogni eroici e dallo stile enfatico del D'Annunzio.

I crepuscolari usarono un linguaggio di tipo prosastico, si rifugiarono nell'intimità degli affetti semplici e genuini, nella vita borghese senza slanci e ideali,, nella tranquilla e monotona esistenza della provincia, in un mondo dal gusto ormai superato eppur caro al cuore, che dolcemente vi si abbandona.

E' una poesia, quindi, volutamente antieroica, che rifiuta ogni forma di retorica e ogni slancio di ideali troppo vistosi ed abbaglianti per essere sentiti con verità e sentimento, e che guarda alle cose semplici e agli aspetti quotidiani della vita, al piccolo mondo chiuso della buona borghesia ottocentesca o della provincia sopita tra il verde delle ville un po' cadenti.

1 crepuscolari inaugurano la poesia del Novecento proprio per il modo disincantato con cui guardano alla vita, distruggendo i miti più che pericolosi che l'Ottocento aveva creato: il poeta‑vate e il poeta‑eroe, la poesia che celebra, esalta ed educa.

La poesia riscopre finalmente la vita e il suo fresco sapore. Essa diventa qualcosa di meno grande ma, forse, di più vero e schietto; il ripiegamento su se stessi si accompagna alla ricerca, umile e sincera, dell'esistenza con i suoi misteri e con il suo piccolo prezioso dono di felicità.

Da citare, quale rappresentante del movimento, oltre a Gozzano, anche Sergio Corazzini e la prima produzione poetica di Corrado Govoni, Arturo Onofri e di Aldo Palazzeschi.



Futurismo


Le esperienze avanguardistiche in letteratura sono state numerose. Il Manifesto (1909) di F.T. Marinetti, apparso sul giornale parigino 'Le aro', inaugura il futurismo in Italia, introducendone i principi.

Questo è un movimento artistico e letterario che, al netto rifiuto della tradizione unisce un'esaltazione della vita moderna,‑ in particolare nei suoi aspetti più caratteristici come la velocità, le macchine,, le nuove metropoli e i complessi industriali. Il termine 'futurismo' si oppone a 'passatismo' e vuol significare distacco, appunto, da una tradizione razionale, classica, accademica e anche sentimentale uccidiamo il chiaro di luna! s'intitola un libello del Marinetti.

Il futurismo ha sicuramente un peso notevole nel costume italiano negli anni che vanno dal 1915 al 1922. Esaltando l'audacia, la violenza, il militarismo, il nazionalismo e l'imperialismo, questo movimento anticipa e poi fiancheggia il Fascismo. Quando il Marinetti afferma che la guerra è 'la sola igiene del mondo' prepara il clima ideologico cui il Fascismo troverà larghi consensi ai suoi obiettivi imperialistici.

Nella letteratura il futurismo definisce gli aspetti peculiari per i quali uno scrittore possa qualificarsi come futurista; a ciò provvede il Marinetti col Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912). Questo testo contiene una serie di norme tecnico‑stilistiche finalizzate alla soppressione del discorso letterario tradizionale. E' questo, soprattutto, il merito dell'ideologia futurista, cioè quello di aver smosso una stagnante retorica, di stampo accademico, della società artistica del nostro primo Novecento.

La corrente futurista attraversa, oltre alla letteratura,, anche la pittura, la scultura, l'architettura, il teatro ed il cinema, lasciando in alcune di queste arti un'impronta non trascurabile.

Al di fuori del nostro paese, e più precisamente in Russia, è da menzionare Majakovskij, poeta, drammaturgo, scenografo, disegnatore e propagandista russo che aderì pienamente al movimento futurista conferendo alla poesia la stessa immediatezza dell'universo del lavoro e della rivoluzione, cantando la città. il cemento, le fabbriche, l'elettricità. Convinto marxista, fece uso di tecniche mirate al richiamo delle masse e di nuove forme poetiche, che improntarono a un folclore urbano lirico e ribelle i lunghi poemi in cui si mescolava lingua parlata, interrogativi, interiezioni e apostrofi impertinenti, includendo l'uso del dialetto, anche nelle sue espressioni volgari. Ne sono un esempio La nuvola in calzoni (1914) e poesie militanti come Ode alla rivoluzione (1918).


In campo pittorico, il futurismo annulla l'opposizione, propria della pittura tradizionale, tra ura ed ambiente e riesamina il concetto di forma non più ritratta nella sua immobilità ma nel dinamismo del proprio movimento. Caratteristica singolare dell'arte futurista è indubbiamente il tentativo di rappresentare contemporaneamente le diverse azioni e le successive posizioni di un soggetto in movimento, con risultati simili ad una fotografia stroboscopica o a una serie di fotografie scattate ad alta velocità e stampate su una singola lastra.

Ne è un esempio l'opera Bambina che corre sul balcone (1912) di Giacomo Balla .

Pur nella sua breve vita, conclusasi verso i primi anni Venti (ma negli anni Trenta gli storici parlarono di un secondo futurismo), il movimento esercita una profonda influenza su molti artisti, quali Marcel Duchamp, Fernand Léger e Robert Delaunay in Francia e gli esponenti del futurismo e del costruttivismo in Russia come GonC~arova. Malevic' e il già accennato Majakovskij.


Cubismo


Parallelamente al movimento dadaista prende vita, negli stessi anni, una corrente analoga e cioè il cubismo; avviato da Pablo Picasso e da Georges Braque, il cubismo rivoluziona il modo di rappresentare i soggetti ed il mondo circostante attraverso la loro scomposizione in piani e in forme geometriche elementari.

Questo stile afferma il rifiuto di due elementari. aspetti fondamentali della pittura europea dal Rinascimento in poi: la regola classica per la rappresentazione della ura umana e la rafurazione illusoria dello spazio ottenuta secondo la prospettiva da un unico punto di vista.

Influiscono profondamente sulla formazione di questo rivoluzionario metodo, l'opera del pittore Paul Cézanne, che dà risalto alle strutture geometriche della realtà circostante e la conoscenza dell'arte tribale africana e dell'Oceania,, con la sua scarsa attenzione alla resa realistica delle pose e della ura umana.

All'interno della corrente si identificano tre fasi. Nella prima, e cioè nel protocubismo, gli oggetti acquistano una forma cubica, con un contrasto netto tra le facce in luce e quelle in ombra; essi sono esposti in primo piano assumendo un carattere macroscopico che tende ad annullare lo sfondo. 1 colori sono caldi, tendenti al legno, utilizzati in gamme monocromatiche che variano da dipinto a dipinto.


La seconda fase, del cubismo analitico, gli oggetti, pur mantenendo una morfologia ancora cubica, aumentano le sfaccettature con il moltiplicarsi dei piani e quindi dei punti di vista. Braque e Picasso fanno uso di brevi testi da inserire nell'opera e introducono l'effetto trompe d'oeil, imitando le venature del legno. I colori, pur mantenendo una tendenza al monocromo, diventano metallici, leggeri e sfumati ai bordi.


La terza fase, del cubismo sintetico, gli oggetti divengono sempre più immateriali abbandonando la forma reale per lasciar posto all'idea che ognuno possiede dell'oggetto. Il disegno si fa sempre più esile, lasciando ampi spazi vuoti che vengono riempiti dal trompe d'oeil, da collages e scritte.


Dadaismo


Un'analoga opposizione contro l'arte convenzionale e a Zurigo nel 1915, a seguito di una diffusa protesta di stampo nichilista (definizione di varie filosofie i cui seguaci rifiutano ogni valore positivo e non credono in nulla), nei confronti della cultura occidentale, espressa soprattutto contro il militarismo durante e dopo la prima guerra mondiale. Questo movimento artistico e letterario, denominato Dada che in francese significa 'cavalluccio di legno', sarebbe stato scelto a caso da Tristan Tzara, saggista e poeta francese, sfogliando un dizionario.

Il dadaismo si diffonde ben presto sia oltreoceano, a New York, per opera di Man Ray, Marcel Duchamp e Francis Picabia e, contemporaneamente anche a Parigi, con Jean Arp , dove rappresenta il motivo ispiratore del surrealismo.

Nel tentativo di dare forma alla negazione totale di ogni estetica e di ogni valore sociale, gli artisti dada ricorrono spesso ad espressioni artistiche e letterarie volutamente incomprensibili. L'arte mira sostanzialmente a turbare il pubblico, cercando di spingerlo ad una riflessione sui canoni estetici comuni.

La rivolta contro i canoni comuni, si basa sull'affermazione, di corrente romantica, dell'originaria bontà dell'umanità, corrotta successivamente dalla società. Per tali scopi i dadaisti utilizzano nuovi metodi, adoperando oggetti di scarto trovati nelle strade e lasciando, ad esempio, al caso la composizione degli elementi nelle loro opere.

Il pittore escrittore tedesco Kurt Schwitters è famoso per i collage di carta straccia e materiali di recupero, mentre Marcel espone opere d'arte realizzate con prodotti commerciali, come un portabottiglie e un orinatoio.

Surrealismo


Il movimento dadaísta e quello cubista hanno il loro declino nel corso degli anni venti ed alcuni dei loro esponenti rivestono un ruolo di primo piano nelle altre correnti di avanguardia dell'arte moderna, in particolare nel surrealismo.

Il surrealismo trova il suo atto di fondazione nella pubblicazione del Manifesto del Surrealismo redatto da André Breton nel 1924.

Dalla conoscenza della provvisorietà e della funzione essenzialmente protestataria e negativa di Dada nasce la volontà di alcuni suoi membri di dar vita ad un movimento che si ponesse finalità costruttive.. Tutto questo a partire dalla tabula rasa fatta durante l'esperienza precedente, appunto con il dadaismo. Se infatti l'anarchismo puro del dadaismo puntava unicamente sugli umori derisori della sua polemica, giungendo, al massimo, alla concezione della libertà come immediato e vitalistico rifiuto di ogni convenzione morale e sociale, il surrealismo sì presentava con la proposta di una soluzione che garantisca all'uomo una libertà realizzabile positivamente. Al rifiuto totale, spontaneo, primitivo di Dada, il surrealismo sostituisce la ricerca sperimentale, scientifica, appoggiandosi alla filosofia ed alla psicologia. In altre parole oppone all'anarchismo puro un sistema di conoscenza. Fondamenti culturali del sistema di conoscenza surrealista sono, sul piano individuale la psicanalisi freudiana, e su quello sociale il marxismo.

Nel manifesto del 1924 prevale l'impostazione freudiana, nel secondo manifesto del 1930 quella marxista. Quindi rifacendosi non solo alle teorie psicoanalitiche di Freud, ma anche alla critica del capitalismo di Marx, i surrealisti collocano l'origine delle inibizioni psichiche dell'individuo nel contesto politico della società borghese allo scopo di promuovere una battaglia culturale di liberazione dell'uomo da ogni condizionamento repressivo.

Il surrealismo è il tentativo di esprimere l'io interiore in piena libertà, come è realmente, senza l'intervento della ragione che, mettendo in atto meccanismi inibitori dovuti all'insegnamento che riceviamo fin dalla nascita, ci condiziona, obbligandoci a reprimere istinti e sentimenti, a nasconderli, seppellendoli nel più profondo di noi stessi, ad apparire come la società costituita vuole che siamo. Per raggiungere questa libertà occorre lasciarci guidare dall'inconscio, come accade nel sogno, quando le immagini si susseguono senza un legame apparente, rivelando la nostra realtà recondita, molte volte ignota a noi stessi. Il 'sogno' ed il 'magnifico' diventano, quindi, i luoghi in cui i surrealisti vivono le loro evasioni dal presente; il loro atteggiamento, tuttavia, non è basato esclusivamente sulla provocazione, ma è retto dall'intento di liberare tutto il patrimonio di sogni e fantasie che la coscienza stessa dell'uomo troppo spesso preclude. Sul piano della poetica questa aspirazione alla liberazione dell'uomo si concretizza nella costruzione di un'arte che percorra ed investighi le zone della psiche prima sconosciute o trascurate.

Il metodo sarà quello dell'automatismo psichico ed in particolare della scrittura automatica, che è anche alla radice, nella pratica psicanalitica. Surrealismo e automatismo psichico coincidono: il surrealismo diviene automatismo psichico, mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente che per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero con l'assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale.

La violazione della norma linguistica, l'alogicità, il nonsense, l'assurdo del dadaismo, che pure si riscontra nelle pagine dei surrealisti, trovano qui una diversa giustificazione teorica: sono la voce del profondo, dove i principi di non contraddizione, causa - effetto di successione temporale, non vigono più.

La scrittura automatica è un procedimento da non intendersi però come operazione meccanica e casuale, ma come sollecitazione psichica dell'inconscio, per costringerlo a rivelarsi: ci si arriva attraverso la concentrazione e l'isolamento.


I surrealisti si sono in effetti proposti di dimostrare non solo che il linguaggio «liberato», ossia che non obbediva più agli imperativi sociali della comunicazione, ma a una propria interna necessità, dava origine ad autentici «precipitati» del desiderio che, per il loro carattere insolito, imprevisto, provocavano un'emozione estetica intensa e al tempo stesso radicalmente differente da quella che può provocare un discorso premeditato, ma anche che l'esistenza ne risultava profondamente trasformata.

Proprio perché «l'immaginario», «il meraviglioso» non sono dei semplici ornamenti letterari, o il prodotto casuale della scrittura, bensì la manifestazione, il «messaggio» cifrato del desiderio che cerca di realizzarsi, il «parlante» ha il senso della gravità, del «valore di oracolo delle parole che pronuncia o che traccia sulla carta, dell'urgenza di decifrarne il senso per sapere chi egli sia e che cosa sia venuto a fare sulla terra» (Nadja, 1928).

Così dunque il meccanico, il fortuito, l'indeterminato, che la psicologia classica rigettava nella categoria dell'insignificante, nel suo rifiuto di prendere in considerazione l'inconscio, diventano al contrario per i surrealisti i significanti pri­vilegiati di ciò che si svolge sull'«altra scena». Avviene così che un episodio della vita quotidiana che per altri non rivestirebbe alcun significato, un paesaggio urbano o na­turale che il «passante frettoloso» non vede nemmeno, un oggetto trovato «per caso» e che altri riterrebbero privo di qualsiasi interesse, possono apparire carichi di un significato piacevole o spiacevole e, conseguentemente, per chi li sappia interrogare, dotati di un potere di rivelazione che il desiderio fa loro assumere in determinate circostanze.

Se dunque il surrealismo ha posto le condizioni per una nuova pratica artistica e una nuova   concezione della bellezza le cui manifestazioni non sono state e non sono esclusivamente letterarie, ma anche pittoriche e cinematografiche (con Masson, Tanguy, Mirò, Ernst, Buñuel, Dalí, Man Ray ecc.), è solo ponendosi contemporaneamente sul piano molto più vasto e più profondo di una rimessa in discussione delle giustificazioni ideologiche e morali grazie alle quali la borghesia impone la propria visione dell'uomo e del mondo, e cercando di promuovere innanzitutto uno stato d'animo, un atteggiamento di «assoluto non conformismo», che quelle manifestazioni artistiche ed estetiche, nella misura in cui sono anche un modo di «praticare la poesia», possono trovar­e la propria giustificazione in se stesse (Premier manifeste).

Per questa loro volontà di «trasformare la mentalità degli uomini» e di «cambiar­e la vita», i surrealisti dovevano inevitabilmente incontrare sulla propria strada coloro che avevano, con Marx, l'ambizione di «trasformare il mondo» in nome della propria concezione dell'uomo e del divenire della società.

In effetti all'inizio Breton e i suoi amici sembra si siano avvicinati ai comunisti sotto la pressione delle circostanze (in particolare la guerra del Rif nel 1925), che fecero loro prendere coscienza dell'impossibilità di rovesciare la borghesia con le loro sole forze e unicamente con delle dichiarazioni incendiarie sulla necessità di una distruzione totale della civiltà occidentale, contro tutto ciò che opprime l'individuo sia dal punto di vista materiale che spirituale: esercito, chiesa, famiglia, lavoro, colonialismo

Magritte: La Condition humaine

 
Sappiamo che questo avvicinamento fu effimero, e ciò per ragioni sia teoriche che pratiche, prima fra tutte il fatto che i surrealisti, lungi dal rinunciare alle loro analisi e al loro obiettivi propri, avrebbero preteso che i comunisti ne riconoscessero la portata rivoluzionaria e ammettessero quindi che la lotta per la liberazione economica sociale dell'uomo è inseparabile dalla lotta per la sua emancipazione totale, intellettuale, morale, artistica.


Dalì: Réminiscence archéologique de l'Angelus de Millet

 
Nel campo delle arti urative il surrealismo rivendica tra i propri precursori il poeta e artista britannico William Blake e il francese Odilon Redon.

Alla metà degli anni Venti aderiscono al surrealismo Jean Arp, Alberto Giacometti, René Magritte (a lato: «La Condition humaine 1933) e Joan Mirò.

Ernst: L'éléphant célèbes

 
Anche Salvador Dalì (a lato: «Réminiscence archéologique de l'Angelus de Millet 1934) aderisce al movimento, ma è in seguito accusato dalla maggior parte degli aderenti di perseguire esclusivamente interessi commerciali.

Ma è quella di Max Ernst (a lato: «L'éléphant célèbes , 1921) la ura significativa e dominante del surrealismo dalle origini fino ad oggi.

Proveniente dall'esperienza dadaista, Ernst, nel '25 scopre una nuova tecnica, il frottage che consiste nello sfregamento di una matita su un foglio sotto il quale è posto un oggetto qualsiasi, così da dar luogo a una forma disegnata e chiaroscurata in conseguenza delle sporgenze o delle rientranze di quell'oggetto; una forma astratta e concreta al tempo stesso, carica di suggestioni per lo spettatore.

Con questa tecnica, Ernst ci dà una spiegazione inerente al proprio modo di vedere la realtà e trasformarla in immagini diverse, riprendendo un'osservazione già fatta da Leonardo che,, anticipando di secoli estetiche future, nota come una qualsiasi macchia su un muro possa trasformarsi nella mente dell'artista suggerendogli nuove forme.


Il surrealismo è, infine, una delle poche avanguardie storiche che non si sia esaurita rapidamente ma che, anzi, abbia rivestito un ruolo primario nello svolgimento della pittura del nostro secolo fino ad oggi, non soltanto perché alcuni pittori propriamente surrealisti sono tuttora viventi e operanti, ma anche per l'influenza decisiva che ha avuto su molte tendenze artistiche degli ultimi decenni, come l'action painting (pittura d'azione) americana.



3. CONCLUSIONI



La storia stessa ha contraddetto Marx in ciò che riguarda le forme e le possibilità di sviluppo della società capitalista. Ciò assume particolare rilievo per un sistema che si proclama scientifico. Il capitalismo in parti­colare si è dimostrato piú duro a morire di quanto Marx non preve­desse, manifestando una notevole capacità di autoperfezionamento e di adattabilità a situazioni sempre diverse. La progressiva concen­trazione dei capitali, ad esempio, non è avvenuta; al contrario, la necessità di reperire capitali sempre piú consistenti, ha portato ad allargare a dismisura la schiera dei piccoli azionisti comproprietari dell'impresa. Il ceto medio, inoltre, formato da piccoli borghesi, com­mercianti, burocrati, professionisti liberi o formanti i quadri tecnici delle imprese private o pubbliche, invece di sparire andando a con­fluire nel proletariato, è aumentato a danno proprio di quest'ultima classe. La realtà è che sia il pensiero filosofico sia l'analisi economica marxista, difficilmente possono sfuggire all'accusa di essere ideolo­giche. In particolare, l'analisi della società capitalistica non è stata condotta da Marx in forma del tutto positiva e scientifica. L'imma­gine ideale che di essa ci dà poggia tutta sulla teoria del plusvalore che gioca cosí a questo riguardo il ruolo di un a‑priori. Le uniche classi prese in considerazione sono quella proletaria, per mezzo della quale il plusvalore si origina, e quella borghese che il plusvalore capi­talizza. Gli altri strati della popolazione, quelli che grazie al loro considerevole sviluppo, come abbiamo accennato, costituiscono oggi il ceto medio, sono del tutto trascurati perché nelle previsioni di Marx destinati entro breve tempo a sire assorbiti nel prole­tariato. La storia ha dato torto a Marx, il divario anzi l'abisso esi­stente tra proletariato e borghesia anziché aumentare fino a provo­care la rottura completa, è andato gradualmente a colmarsi proprio in quei paesi industrialmente piú avanzati che furono oggetto del­l'indagine marxista.




A. Caracciolo, Alle origini della storia contemporanea. Il Mulino, Bologna, 1989

Hegel scoprì le contraddizioni della società borghese, che davanti ai suoi occhi si innalzava sulle rovine dell'antico ordinamento familiare patriarcale: egli segnalò il con­trasto tra la piccola minoranza, che diveniva sempre piú ricca, e la grande maggioranza, che diventava sempre piú povera, e stabili che cosí deve avvenire per necessità di cose.





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