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NONLUOGHI - M. Augè



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NONLUOGHI - M. Augè

Definiamo "nonluoghi" tutte le strutture necessarie alla circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli, aeroporti), i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi . tutti gli spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare mai in relazione, spinti dal desiderio frenetico di consumare, di accelerare le operazioni quotidiane o considerati come porta di accesso ad un cambiamento (reale o simbolico).

Marc Augé definisce i "nonluoghi" in contrapposizione ai luoghi antropologici.

Il luogo antropologico è una costruzione simbolica e concreta dello spazio che da sola non può rendere conto delle problematiche e delle contraddizioni della vita sociale alla quale però si riferiscono tutti coloro ai quali essa assegna un posto; poiché l'antropologia è antropologia dell'antropologia degli altri il luogo antropologico è  allo stesso tempo un principio di senso per coloro che lo abitano e un principio di intelligibilità per colui che lo osserva.



I luoghi antropologici possiedono tre principali caratteristiche:

Ø  IDENTITARI

Ø  RELAZIONALI

Ø  STORICI

La mappa della casa, le regole di residenza, i quartieri di un villaggio, gli altari, i posti pubblici, la divisione del territorio corrispondono per ciascun uomo ad un insieme di possibilità, prescrizioni e interdetti il cui contenuto è allo stesso tempo spaziale e sociale. Nascere significa nascere in un luogo, essere assegnato a una residenza. In tal senso il luogo di nascita è costitutivo dell'identità individuale. In generale il dispositivo spaziale è ciò che esprime l'identità del gruppo (le origini del gruppo sono spesso diverse ma è l'identità del luogo che lo fonda, lo raccoglie e lo unifica) ma è allo stesso tempo ciò che il gruppo deve difendere contro le minacce esterne e interne perché il linguaggio dell'identità conservi un senso (identità).

In uno stesso luogo possono coesistere elementi distinti e singoli ma di cui è impossibile negare le relazioni reciproche e l'identità condivisa che conferisce loro l'occupazione di uno stesso luogo comune. Così, per esempio, le regole di residenza che in molti villaggi assegnano un posto al bambino lo situano in una conurazione di insieme in cui egli condivide con altri "l'iscrizione" al suolo (relazione). Storico il luogo lo è necessariamente dal momento in cui, coniugando identità e relazione, esso si definisce da una stabilità minima; lo è nella misura in cui coloro che vi vivono possono riconoscervi dei riferimenti che non devono essere oggetti di conoscenza. Il luogo antropologico è storico per coloro che lo vivono in quanto sfugge alla storia come scienza (storicità).

Il luogo antropologico è anche geometrico. Possiamo stabilire ciò partendo da tre forme spaziali semplici che possono essere applicate a dispositivi istituzionali differenti e che costituiscono le forme elementari dello spazio sociale: linea, intersezione delle linee e punto d'intersezione. Concretamente possiamo parlare di itinerari, di assi o sentieri che conducono da un luogo a un altro e che sono stati tracciati da uomini, di crocevia in cui essi si incontrano e si riuniscono, di centri più o meno monumentali, religiosi o politici, che definiscono spazi e frontiere al di là dei quali altri uomini si definiscono in rapporto ad altri centri e ad altri spazi.

I "nonluoghi" sono prodotti della società della surmodernità (traducibile con supermodernismo), incapace di integrare in sé i luoghi storici che vengono banalizzati e confinati in posizioni marginali alla stregua di curiosità o oggetti interessanti.

La surmodernità, intesa come ulteriore evoluzione del postmodernismo, fa riferimento ai fenomeni sociali, culturali, intellettuali ed economici connessi allo sviluppo delle società complesse alla fine del XX secolo, con particolare riferimento al superamento della fase postindustriale e alla diffusione della globalizzazione. La condizione di surmodernità, a causa delle sue stesse contraddizioni, offre un ottimo terreno di osservazione e un ottimo oggetto alla ricerca antropologica.

La surmodernità è caratterizzata da tre ure dell'eccesso (o sovrabbondanza)

Ø  Sovrabbondanza di avvenimenti (eccesso di tempo)

Ø  Sovrabbondanza di spazio (eccesso di spazio)

Ø  Individualizzazione dei riferimenti (eccesso di ego)

La difficoltà di pensare il tempo deriva dalla sovrabbondanza di avvenimenti del mondo contemporaneo. L'accelerazione della storia corrisponde a una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.



La sovrabbondanza spaziale è strettamente correlata al restringimento del pianeta nel senso che oggi, grazie ai mezzi di trasporto rapido, siamo in grado di raggiungere in poche ore qualsiasi parte del mondo; inoltre nella nostre case siamo continuamente bombardati da immagini che ci danno una visione istantanea di avvenimenti in atto all'altro capo del pianeta. La sovrabbondanza spaziale del presente si esprime in mutamenti di scala, nella moltiplicazione dei riferimenti immaginifici e immaginari e nelle accelerazioni dei mezzi di trasporto. Tutto ciò comporta modificazioni fisiche considerevoli: concentrazioni urbane, trasferimenti di popolazione e moltiplicazione dei "nonluoghi" (in opposizione alla nozione sociologica di luogo, associata da Marcell Mauss e da tutta una tradizione etnologica a quella della cultura localizzata nel tempo e nello spazio).

La terza ura dell'eccesso è la ura dell'ego, dell'individuo.

Quanto meno nelle società occidentali l'individuo si considera un mondo in sé, egli si propone di interpretare da se stesso per se stesso le informazioni che gli vengono date o che percepisce dall'esterno. Mai come oggi le storie individuali sono state così esplicitamente implicate nella storia collettiva ma allo stesso tempo mai i riferimenti dell'identificazione collettiva sono stati così fluttuanti; la produzione individuale di senso è dunque oggi più che mai necessaria.

Agli antropologi si pone dunque dinnanzi una nuova questione: comprendere come integrare nella loro analisi la soggettività di coloro che osservano e come ridefinire le condizioni della rappresentatività.

I non luoghi sono incentrati solamente sul presente e sono rappresentativi della nostra epoca, caratterizzata dalla precarietà (non soltanto lavorativa), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio, da un individualismo solitario. Le persone transitano dai non luoghi ma nessuno vi abita.

I luoghi e i "nonluoghi" sono strettamente interrelati tanto che spesso è difficile distinguerli. Raramente esistono in forma pura, in genere sono gli spazi dello standard, in cui nulla è lasciato al caso e tutto al suo interno è calcolato con precisione (il numero di decibel, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità di informazione). I "nonluoghi" hanno assunto una valenza positiva e rassicuratrice (si pensi al franchising, ossia alla ripetizione continua di strutture commerciali simili tra loro in tutto il mondo): gli utenti non si preoccupano del fatto che i centri commerciali siano tutti uguali tra loro ma godono della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del mondo qualunque cosa di cui abbiano bisogno.

Da questa situazione discende uno dei paradossi del "nonluogo": il viaggiatore di passaggio, smarrito in un paese sconosciuto, ritrova se stesso nell'anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e di altri "nonluoghi".

Il rapporto tra non luoghi e i suoi fruitori avviene di solito tramite simboli, parole o voci preregistrate. Esempio evidente sono i sectiunelli affissi negli aeroporti "vietato fumare", "non superare la linea bianca davanti agli sportelli". L'individuo nel "nonluogo" perde tutte le sue caratteristiche e i ruoli personali per continuare ad esistere solo come cliente o fruitore, ruolo definito da un contratto più o meno tacito che si firma con l'ingresso in un "nonluogo".

L'uso dei "nonluoghi" è destinato all'utente medio, all'uomo generico senza distinzioni, non persone ma entità anonime. Il cliente acquista il suo anonimato solo dopo aver fornito la prova della sua identità, solo dopo aver controfirmato il contratto. Non c'è conoscenza individuale, spontanea e umana, non c'è riconoscimento di un gruppo sociale, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. "Una volta l'uomo aveva un'anima e un corpo, oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano" (Stefan Zweig, 1946). Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell'entrata o dell'uscita (o altra interazione diretta) nel/dal "nonluogo", per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/passeggeri/clienti. La società non pone limiti d'ingresso ai "nonluoghi" a patto però che si rispettino una serie di regole: farsi identificare come cliente solvibile e quindi accettabile, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e are.



L'antropologia è sempre stata un'antropologia del qui e dell'ora. L'etnologo è colui che si trova da qualche parte (il suo qui del momento) e descrive ciò che osserva e che ascolta in quello stesso momento; ogni etnologia suppone l'esistenza di un testimone diretto di un'attualità presente mentre tutto ciò che allontana dall'osservazione diretta allontana dall'antropologia. L'antropologo teorico che fa appello ad altre testimonianze e a campi diversi dai suoi, ricorre a testimonianze di etnologi e non a fonti dirette da interpretare.

Il qui europeo, occidentale, acquista il suo senso in rapporto all'altrove lontano (una volta coloniale, oggi sottosviluppato) che gli antropologi inglesi e francesi hanno privilegiato. L'opposizione del qui e dell'altrove (Europa - resto del mondo) non può servire come punto di partenza per opporre due antropologie se non presupponendo ciò che ci siamo proposti di smentire e cioè che esistono due antropologie distinte.

È sbagliato affermare che gli etnologi tendono a ripiegare sull'Europa a causa dell'esaurirsi delle realtà antropologiche lontane; in Africa, in America, in Asia esistono ancora oggi possibilità di studio concrete; esistono molti buoni motivi per lavorare sull'Europa il cui esame ci può condurre a mettere in discussione l'opposizione Europa -  altrove dalla quale siamo partiti.



Dietro la questione dell'etnologia vicina si profila un doppio interrogativo: oggi l'etnologia dell'Europa può aspirare allo stesso grado di sofisticazione e complessità di concettualizzazione proprio dell'etnologia delle società lontane? I fatti, le istituzioni, le modalità di raggruppamento (lavoro, tempo libero, residenza), i modi di circolare specifici del mondo contemporaneo sono passibili di uno sguardo antropologico?

La risposta alla prima domanda è affermativa, almeno da parte di etnologi europeisti e in una prospettiva a venire anche se posta in questi termini la domanda è fuorviante: dovremmo interrogarci su di una insufficiente capacità di simbolizzazione delle società europee e su di una insufficiente capacità degli etnologi europeisti ad analizzarla.

Per quanto riguarda il secondo interrogativo bisogna innanzitutto sottolineare il fatto che esso non si pone unicamente a proposito dell'Europa: ogni approccio antropologico globale deve prendere in considerazione  una miriade di elementi tra loro interagenti, indotti dall'attualità immediata: vita sociale, lavoro salariato, impresa, sport-spettacolo, media . svolgono su tutti i continenti un ruolo ogni giorno più importante. Tali osservazioni spostano il centro del discorso: non è l'Europa ad essere in ballo ma la contemporaneità come tale, nei suoi svariati aspetti.

L'inchiesta etnologica ha i suoi vincoli e l'etnologo ha bisogno di circoscrivere, anche in modo approssimativo, i limiti di un gruppo che conoscerà e che lo riconoscerà. Noi sapremo solo quello che coloro cui parliamo e che vediamo ci dicono di coloro cui non parliamo e non vediamo. L'attività dell'etnologo sul campo è un'attività di geometra del sociale, di manipolatore di scale: egli fa da sé un universo significativo, esplorando se necessario universi intermedi o consultando i documenti utilizzabili. Nulla impone che questi tipi di problemi si pongano in modo differente in africa o in una fabbrica parigina.

Tutte le grandi strade dell'antropologia hanno teso a elaborare un certo numero di ipotesi generali che trovavano la loro ispirazione iniziale nell'esplorazione di un caso singolo ma che sfociano nell'elaborazione di conurazioni problematiche che andavano altre quel caso specifico. La loro esistenza deve essere considerata come parte costituente della letteratura etnologica  mentre l'argomento delle dimensioni, quando se ne parla a proposito di società non esotiche, concerne solo un particolare aspetto dell'inchiesta ossia il metodo (non l'oggetto).

La questione principale che si pone  a proposito della contemporaneità vicina non è di sapere se e come si possa condurre un'inchiesta su un insediamento periurbano, un'impresa o un club vacanze ma di sapere se ci sono aspetti della vita sociale contemporanea che appaiano idonei a una ricerca antropologica proprio come le questioni della parentela, del matrimonio, del dono o dello scambio si sono imposte in un primo tempo all'attenzione (come oggetti empirici), poi alla riflessione (come oggetti intellettuali) degli antropologi dell'altrove.

La ricerca antropologica si occupa, nel presente (cosa che basta a distinguerla dalla storia) della questione dell'altro (tutti gli altri: l'altro degli altri cioè l'altro etico o culturale che si definisce in rapporto a un insieme di altri ritenuti identici; l'altro sociale in rapporto al quale si istituisce un sistema di differenze familiari, politiche, economiche . ), unico suo oggetto intellettuale, a partire dal quale sono definibili differenti campi di investigazione. L'individuo interessa l'antropologia non soltanto perché è una costruzione sociale ma anche perché ogni rappresentazione dell'individuo è necessariamente una rappresentazione del legame sociale che gli è consustanziale: il sociale comincia con l'individuo e dunque questo diventa oggetto di osservazione antropologica. Marcel Mauss poneva serie limitazioni alla definizione dell'individualità passibile di osservazione etnologica e non ritiene inoltre possibile che la società moderna possa costituire un oggetto etnologico veramente padroneggiabile (oggetto dell'etnologo sono per lui società ben localizzate nel tempo e nello spazio). Egli ritiene che l'uomo studiato dai sociologi non è l'uomo composito e controllato delle moderne classi alte ma l'uomo ordinario o arcaico che si lascia definire come una totalità. Il concetto di totalità però limita e mutila quello di individualità pensata come rappresentativa della cultura, come individualità-tipo, espressione di una cultura essa stessa considerata come un tutto..

Bisogna però imparare a dubitare delle identità assolute tanto sul piano collettivo che su quello individuale. Le culture lavorano senza mai costruire delle totalità compiute e gli individui, per quanto semplici li si immagini non lo sono mai abbastanza da non situarsi in rapporto all'ordine che assegna loro un posto: essi esprimono la totalità solo da un certo angolo.

Qualunque sia il livello al quale si applica la ricerca antropologica, essa ha per oggetto l'interpretazione dell'interpretazione che altri danno alla categoria dell'altro ai vari livelli spaziali e sociali.

L'antropologia non tende a lasciare terreni esotici per rivolgersi ad orizzonti un po' più familiari ma è il mondo contemporaneo stesso che, a causa delle sue trasformazioni accelerate, richiama lo sguardo antropologico, una riflessione metodica e rinnovata sulla categoria dell'alterità.








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