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AZIONE DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

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AZIONE DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

L'art.24 Cost. fissa una regola fondamentale: "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi". ½ sono ipotesi eccezionali in cui colui che può agire in giudizio non è titolare del diritto (perché in generale invece deve esserlo). Abbiamo già esaminato i tre elementi di identificazione dell'azione (soggetti, oggetto o petitum, titolo o causa petendi) che si possono desumere dagli artt.163 e 414 c.p.c. Ora quindi possiamo individuare le categorie più ampie di azioni che sono: le azioni di cognizione (dirette a formare un provvedimento del giudice relativamente all'accertamento, o comunque all'esistenza, di un diritto); le azioni esecutive (dirette a dare vita ad un processo nel quale si deve cercare di realizzare, sia pur coattivamente, la volontà contenuta o in una sentenza o in un altro titolo esecutivo); le azioni cautelari (dirette a far conseguire nel più breve tempo possibile, ma in via provvisoria, la tutela; queste azioni possono essere cautelari conservative o cautelari di anticipazione ed in ogni caso devono essere seguite da un processo a cognizione). Più significativa è la distinzione tra le varie azioni di cognizione; a riguardo bisogna dire che esse possono essere: azioni di accertamento; azioni di condanna; azioni  costitutive.

Le azioni di accertamento (dette di mero accertamento o anche dichiarative) sono quelle azioni per le quali il giudice si limita solo ad accertare l'esistenza o l'inesistenza di un diritto senza prendere un altro tipo di provvedimento, in quanto il fine dell'attore è proprio una sentenza di mero accertamento. Non è sempre possibile agire in giudizio solo per chiedere una pronuncia di accertamento ed anche se non vi è nel nostro ordinamento una norma avente portata generale in tal senso, esistono ugualmente una serie di norme, sparse, dalle quali si può desumere probabilmente la volontà del legislatore e cioè che l'azione di accertamento esiste ma non è illimitata; infatti tra le norme del nostro ordinamento ci sono vari articoli in cui si fa riferimento all'accertamento, tra questi abbiamo:



l'art.949 c.c. stabilisce che il proprietario può agire in giudizio per far accertare l'esistenza del diritto (azione negatoria);

l'art.1079 c.c. stabilisce che il titolare della servitù può agire in giudizio per far accertare l'esistenza del diritto e anche per far cessare le eventuali turbative (qui la sentenza non sarà solo di accertamento);

l'art.99 c.p.c. stabilisce che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente (quest'articolo, a differenza dei precedenti articoli del codice civile, non fa riferimento solo a diritti assoluti ma a tutti);

l'art.100 c.p.c. stabilisce che per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse (quest'articolo ribadisce che non c'è una limitazione a stare in giudizio; quindi per proporre una domanda di accertamento è necessario avervi interesse);

l'art.2907 c.c. stabilisce che alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte;

l'art.2909 c.c. stabilisce che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti (quindi sembrerebbe che ogni sentenza ha un accertamento del diritto idoneo a fare stato).

In sostanza da queste norme si può estrarre la regola generale che bisogna riconoscere esistenti nel nostro ordinamento le azioni di mero accertamento, quindi ritenerle ammissibili, ma si può anche estrarre il limite alla possibilità di agire in giudizio per un mero accertamento di un diritto. Infatti riprendendo gli artt.949 e 1079 possiamo dedurre che se non c'è un soggetto che contesta la proprietà o la servitù (o che comunque pone in contestazione un diritto reale del soggetto) l'azione di mero accertamento non è ammissibile (ad esempio non si può agire in giudizio per far dichiarare la proprietà di un certo bene se nessuno la reclama) in quanto vi sarebbe un processo inutile anche perché non si saprebbe nei confronti di chi muovere il processo. Questo limite (della contestazione) che abbiamo individuato rappresenta il c.d. interesse ad agire. L'interesse ad agire è una categoria fondamentale nelle azioni di accertamento, proprio perché se il soggetto non ha interesse non può agire in giudizio. La particolarità delle azioni di accertamento è che esse fanno riferimento a diritti assoluti (in quanto vi deve essere una contestazione, una turbativa, in merito all'uso del diritto) e questo può essere considerato un limite alla proposizione dell'azione di accertamento (infatti si può agire nei limiti in cui si abbia interesse e ciò può avvenire nei limiti dei diritti assoluti). Un ulteriore limite alla possibilità di agire in giudizio in via di mero accertamento è stato prospettato dalla dottrina e non consiste nel sostenere che a determinati soggetti non compete quell'azione ma consiste nel sostenere che a quei soggetti compete un'azione più efficace (vedi il caso dell'art.1079 c.c. secondo cui l'azione è diretta anche a far cessare le turbative).



È inoltre importante dire che nel nostro sistema c'è una doppia regola che l'interprete deve tener presente: quella dell'economia dei giudizi (che tende ad evitare la duplicazione dei processi, ritenendo che in è meglio agire in un unico giudizio che accerti il diritto e dia vita a qualche altro provvedimento piuttosto che permettere che le due cose siano oggetto di giudizi diversi) e quella dell'effettività della tutela giurisdizionale (che auspica l'utilizzo di strumenti che possono consentire al soggetto una tutela più efficace; infatti se l'attore ha la possibilità di proporre un'azione più efficace come quella di condanna non può chiedere solo l'accertamento del diritto). La doppia regola esaminata non viene però condivisa da tutti, ma il limite dell'interesse ad agire è sicuramente valido. Secondo l'opinione prevalente la sentenza di mero accertamento, proprio perché si limita solo ad accertare il diritto, non può che avere efficacia ex tunc (da quando il diritto esiste); quindi è una sentenza dichiarativa, si limita cioè solo a dichiarare la situazione giuridica in essere e non anche a costituirla.

Per quanto riguarda le azioni di condanna, oltre alla sentenza di condanna come categoria ampia, esistono: la condanna in futuro, la condanna con riserva delle eccezioni e la condanna generica (cioè esclusivamente sull'an e non anche sul quam). La sentenza di condanna si ha in tutte quelle ipotesi in cui la parte non si limita soltanto a chiedere l'accertamento dell'esistenza o dell'inesistenza del diritto ma chiede la pronuncia di un ulteriore provvedimento nei confronti del convenuto. Il presupposto delle azioni di condanna è l'esistenza di una prestazione in generale, infatti mentre per le azioni di accertamento la situazione sostanziale di riferimento è il diritto assoluto, reale, per le azioni di condanna la situazione sostanziale di riferimento è il diritto di obbligazione (inteso ad esempio non solo come il amento di una somma di denaro ma inteso anche come il diritto a consegnare o rilasciare un bene); l'azione di condanna si avrà nel momento in cui la prestazione non è stata eseguita, non vi quindi è un vero e proprio problema di interesse ad agire in quanto lo stesso presupposto dell'azione, cioè l'inadempimento, rappresenta in un certo senso l'interesse. In sostanza nelle azioni di condanna l'interesse ad agire perde significato perché è compreso proprio nello stesso presupposto dell'azione di condanna (l'inadempimento). Una prima caratteristica importante delle azioni di condanna è che esse portano all'uso della sentenza che è il titolo esecutivo (titolo per l'esecuzione forzata). L'art.474 c.p.c. stabilisce che l'esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. L'art.282 c.p.c. poi stabilisce che la sentenza di 1° grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti. In passato la sentenza di condanna non era provvisoriamente esecutiva, bisognava quindi farsi due gradi di diritto per aversi una sentenza esecutiva, che consentisse cioè l'esecuzione forzata; successivamente, nel 1990, vi è stata la riforma che ha portato la sentenza di condanna ad essere provvisoriamente esecutiva fin dal 1° grado. Il giudice di 1° grado non può sospendere la sentenza perché questo è un potere che ha il giudice di appello. Il nostro processo esecutivo è innanzitutto di tipo remissivo (presuppone l'inadempimento) ed inoltre ha ad oggetto prestazioni di natura fungibile (che permettono per la loro natura di arrivare all'adempimento dell'ordinaria prestazione). Quindi si potrebbe sostenere che per le prestazioni infungibili il nostro sistema non possa funzionare, ma in realtà non è così perché ad esempio anche nei casi di obbligazioni di non fare o di obbligazioni infungibili la sentenza deve essere esecutiva, questo lo deduciamo da situazioni presenti nel nostro ordinamento (ad esempio l'art.7 c.c. prevede per una prestazione infungibile una situazione di condanna con un doppio contenuto: il risarcimento del danno e la cessazione dell'abuso anche per il futuro).


Possiamo notare che per le obbligazioni infungibili il legislatore accanto o ha previsto all'obbligazione principale una misura coercitiva per indurre il soggetto ad adempiere spontaneamente oppure l'interprete non può crearla attraverso l'interpretazione; quindi in quest'ultimo caso di fronte ad un obbligo che potrebbe non essere eseguito né spontaneamente, né coercitivamente, la dottrina ha cercato di trovare nel nostro ordinamento una norma che generalizzi la misura coercitiva per le ipotesi in cui il provvedimento del giudice ha natura infungibile. Questa norma è stata ritenuta l'art.388 c.p. che stabilisce al 1° comma che "chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni"; mentre al 2° comma che "la stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito". Questa norma è generale e può essere usata in qualsiasi momento, anche se c'è il rischio di sfruttare la paura del penale per poter conseguire l'efficacia delle sentenze civili. In conclusione possiamo dire che la misura coercitiva nel nostro sistema non esiste come misura generale, ma esiste in ipotesi specifiche ed è variamente caratterizzata, perché in alcuni casi è una misura che accresce l'obbligo del debitore (art18 stat. dei lav., art.28 stat. dei lav.). L'azione di condanna quindi porta ad una sentenza che ha come conseguenza quella di essere titolo esecutivo, sia nel caso in cui la condanna abbia ad oggetto obblighi fungibili che nel caso in cui abbia ad oggetto obblighi infungibili, soltanto che in quest'ultimo caso il procedimento non funziona e di qui l'esigenza di trovare strumenti efficaci dato che le misure coercitive (che sia aggiungono a quelle principali) previste dal legislatore per alcune situazioni non sono suscettibili di applicazione estensiva. In sostanza il sistema è strutturato solo sulle obbligazioni fungibili e solo in via repressiva, mentre in generale non funziona per le obbligazioni infungibili. Un'altra caratteristica delle azioni di condanna è che esse costituiscono titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale; questa è un mezzo di garanzia insieme all'ipoteca volontaria e a quella legale. Un'ultima caratteristica (individuata dall'art.2953 c.c.) importante delle azioni di condanna è che la sentenza di condanna trasforma la prescrizione da breve in decennale (questo sta a significare che se un diritto, soggetto a prescrizione, viene accertato con sentenza di condanna, non è più soggetto a prescrizione breve ma decennale). Ora dobbiamo descrivere i vari tipi di condanna, ma premettiamo che le azioni di condanna si ricollegano come situazioni sostanziali di riferimento, alle obbligazioni; mentre le azioni di accertamento si ricollegano come situazioni ai diritti reali assoluti della persona. Le azioni di condanna presuppongono l'inadempimento quindi non si pone il problema dell'interesse, in quanto l'inadempimento legittima il creditore ad agire in giudizio.

Condanna generica: L'art.278 c.p.c. stabilisce che quando è accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio (ma in realtà anche il tribunale monocratico), su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione. Questa disposizione prevede come suo presupposto la domanda di parte con la quale l'attore viene a chiedere la condanna del convenuto al amento di una somma di denaro, in quanto ha diritto ad una determinata prestazione. Se vi è il diritto della richiesta della tutela , il giudice può frazionare la sua decisione in due distinti momenti: quello precedente in cui decide sull'an, cioè in ordine all'esistenza del diritto, e quello successivo in cui decide sul quam, cioè in ordine alla quantificazione del diritto stesso.

La pronuncia sull'an è un tipo di condanna generica perché non ha una quantificazione. La sentenza di condanna generica non è un titolo esecutivo (non ha la possibilità di essere portata all'esecuzione e secondo la dottrina maggioritaria non è neanche idonea a far attuare la trasformazione da prescrizione breve a prescrizione decennale); essa può essere considerata una sentenza di accertamento più che di condanna e più precisamente è una "condanna di accertamento" che contiene qualcosa che è propria della sentenza di condanna: l'iscrizione per l'ipoteca giudiziaria. Sappiamo che l'ipoteca si iscrive per una somma che è determinata dal capitale, dagli interessi e dalle spese; mentre poiché nella sentenza di condanna generica non abbiamo una somma come capitale (perché si accerta solo l'esistenza del diritto) il legislatore dà la possibilità al creditore agente d'iscrivere l'ipoteca giudiziaria determinando lui (senza essere eccessivo) il valore dell'importo per il quale iscrivere l'ipoteca. Nel 2° comma dell'art.278 c.p.c. viene stabilito che il collegio, con la stessa sentenza di condanna generica e sempre su istanza di parte, può condannare altresì il debitore al amento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene raggiunta la prova; anche in questo caso si tratta di una sentenza non definitiva perché il processo andrà avanti, solo che qui all'accertamento si aggiunge una quantificazione, sia pure parziale, del diritto (sentenza provvisionale). Mentre nel processo ordinario funziona la sentenza provvisionale, in quello del lavoro funziona l'ordinanza (sicuramente più agile e più nell'interesse del lavoratore). La norma che abbiamo esaminato è una norma di accelerazione che può consentire ad un soggetto di aver una risposta più veloce. La sentenza di condanna generica si basa sempre sull'inadempimento del convenuto.

Condanna in futuro: Questo tipo di condanna ha natura eccezionale, quindi non suscettibile di interpretazione analogica e ricorre solo nei casi previsti dalla legge; essa è un provvedimento che il giudice assume in prospettiva futura (non nell'attualità della situazione) e quando il convenuto non è ancora inadempiente. Quindi in determinati casi il legislatore consente all'attore di agire per conseguire un titolo esecutivo da poter realizzare però nel momento in cui il convenuto diventi inadempiente. Nel nostro ordinamento le ipotesi in cui è ammissibile la condanna in futuro sono tutte riconducibili alla materia delle locazioni. Nell'ambito della condanna in futuro non essendosi verificato ancora l'inadempimento il conduttore (convenuto) non potrà mai essere condannato alle spese del giudizio.

Condanna con riserva delle eccezioni: Anche questo tipo di condanna lo troviamo nella materia delle locazioni nell'ambito del procedimento speciale della convalida di sfratto. Il procedimento per la convalida di sfratto si apre con una citazione (quindi l'atto introduttivo viene prima notificato alla convenuto e poi depositato nella cancelleria del giudice) e così come il processo civile in generale anche questo processo speciale per convalida si snoda per udienze e può avere uno sviluppo differente a seconda dell'atteggiamento che le parti assumono in udienza. Un possibile sviluppo del processo si ha quando all'udienza il convenuto-conduttore non e o e e non si oppone, allora in questo caso il giudice convalida la licenza o lo sfratto con ordinanza che chiude il processo speciale e costituisce il titolo esecutivo. Un altro possibile sviluppo del processo si ha quando il convenuto-conduttore e in udienza e si oppone, allora in questo caso l'opposizione trasforma il procedimento speciale per convalida in un processo a cognizione piena (quello che era un procedimento veloce e che consentiva di risolvere nel più breve tempo possibile i rapporti fra locatore e conduttore si trasforma in un processo che si svolge in tutta una serie di ulteriori udienze e si conclude con sentenza).


Il legislatore, in riferimento a quest'ultimo caso, ha distinto due ipotesi: quella in cui il conduttore propone eccezioni basate su prova scritta, in questo caso il giudice deve necessariamente trasformare il processo speciale in un processo a cognizione piena, e quella in cui l'attore propone delle eccezioni non basate su prova scritta, in questo caso il giudice può emanare un ordinanza di rilascio dell'immobile con riserva delle eccezioni (questa è un ordinanza provvisoria che comunque condanna il conduttore a rilasciare l'immobile salvo poi il processo a proseguire per accertare se le eccezioni da lui proposte sono o meno fondate). Nel caso di ordinanza di rilascio dell'immobile con riserva delle eccezioni abbiamo un provvedimento in via anticipata, di natura provvisoria, ma ugualmente un provvedimento di condanna  che prevede il rilascio dell'immobile senza che sia stata completata l'istruttoria relativamente alle eccezioni sollevate dal convenuto. Quindi il giudice se l'eccezione è fondata su prova scritta non potrà pronunciare l'ordinanza, mentre se l'eccezione non è basata su prova scritta il giudice può emanare o meno l'ordinanza di rilascio sulla base dei documenti prodotti fino a quel momento. Questa previsione è limitata quasi completamente alla materia delle locazioni. Per quanto riguarda le azioni costitutive dobbiamo fare riferimento all'art.2908 c.c. che stabilisce che nei casi previsti dalla legge l'autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con effetti tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Dalla testo di tale articolo è chiaro che le azioni costitutive sono tassative, cioè sono solo quelle espressamente previste dalla legge e possono aversi indipendentemente da quella che è la volontà delle parti. Nelle azioni costitutive la situazione di riferimento è il diritto potestativo, cioè quella situazione nella quale alla potestà di un determinato soggetto corrisponde la soggezione dell'altro. Esistono due tipi di azioni costitutive:

Le azioni costitutive necessarie che si hanno quando la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto giuridico si può ottenere solo con il processo (ad esempio la separazione giudiziale dei coniugi, il divorzio, l'interdizione ecc.; tutte situazioni che se non vi è il processo restano situazioni di fatto)

Le azioni costitutive non necessarie che si hanno quando la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto giuridico si può ottenere senza il processo, cioè attraverso l'accordo delle parti a livello contrattuale (ad esempio la comunione forzosa del muro può essere oggetto di un accordo delle parti che se non trovano l'accordo possono ottenere dal giudice una sentenza costitutiva).

Quindi in alcuni casi (azioni costitutive necessarie) il processo è necessario per giungere alla costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto giuridico, mentre in altri casi (azioni costitutive non necessarie) il processo serve solo perché non si è raggiunto l'accordo tra le parti. Un'ipotesi importante di azione costitutiva è quella prevista dall'art.2932 c.c. (esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto) in cui rientra il caso del contratto preliminare. Quando a seguito di un'azione costitutiva si ha una sentenza, questa può avere efficacia (costitutiva, modificativa o estintiva) a partire da momenti diversi; infatti se si tratta di un'azione costitutiva necessaria la sentenza ha efficacia con la sua emanazione anzi con il passaggio in giudicato, mentre se si tratta di un'azione costituiva non necessaria l'efficacia può retroagire al momento della domanda se la domanda ha per oggetto beni immobili e se viene trascritta, altrimenti l'efficacia si ha con il passaggio in giudicato.







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