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DIRITTO COMMERCIALE: Continuazione delle SOCIETA' DI PERSONE.

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DIRITTO COMMERCIALE:  Continuazione delle SOCIETA' DI PERSONE.


Nelle società di persone le entità conferibili sono molto ampie, purché suscettibili di valutazione economica e la disciplina più rilevante è la previsione del socio d'opera.

Socio d'opera = socio che si obbliga a prestare la propria opera all'interno della società.

C'è distinzione tra

R socio d'opera



R colui che lavora alle dipendenze della società perché si tratta di un rapporto di lavoro

subordinato: ha retribuzione garantita, cosa che non accade nel caso del socio d'opera visto

che rischia insieme con tutti gli altri soci di capitali.

Dunque il conferimento di servizi, anche intellettuali, fa assumere al soggetto la qualità di socio e non di lavoratore subordinato.

Poi le 2 qualifiche potrebbero anche coesistere purché i servizi che formano oggetto del conferimento non siano gli stessi che vengono prestati a titolo di lavoro subordinato.

Sul socio d'opera è accollato il rischio dell'impossibilità della prestazione, anche se deriva da causa a lui non imputabile, perché l'art.2286, 2° comma, in tema d'esclusione, afferma che gli altri soci possono escluderlo per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l'opera conferita.

Quindi, sotto questo profilo, la sua posizione è pari a quella di un socio che ha conferito un bene in godimento. Viene escluso, se anche per colpa non sua, non è più in grado di svolgere l'opera promessa.

La cosa più importante, sostenuta dalla dottrina più autorevole, è il trattamento riservato al socio d'opera in caso di scioglimento della società. Questo socio partecipa all'eventuale attivo che residua dopo il rimborso del valore nominale di chi ha conferito capitale.

Es. ci sono 2 soci e uno ha conferito la propria opera alla società, mentre l'altro conferisce denaro per 100.

Al momento dello scioglimento della società si scopre un saldo di 300: viene conferito 100 al socio di capitale e il residuo verrà ripartito tra i 2 soci in proporzione alla parte a ciascuno attribuita ai guadagni. Significa che non c'è la valutazione del conferimento d'opera nel momento in cui si afferma che deve essere ritenuta per principio una somma anche a suo favore. Ci sarà solo un residuo attivo e su questo competerà insieme ai soci di capitale. Salva diversa pattuizione, non potrà avere il rimborso del valore della sua prestazione di servizi.

Il punto non è pacifico perché il prof. Di Sabato sostiene che anche al socio d'opera vada attribuito il rimborso del valore del suo apporto. Quest'autore si basa sull'art.2282, in tema di scioglimento, afferma che il saldo di liquidazione è destinato al rimborso dei conferimenti. L'articolo non fa distinzione tra conferimenti e quindi non si dovrebbe privare il socio d'opera anche del valore del suo conferimento.

Il Cottino e gli altri si attengono al fatto che solo il residuo vada diviso tra i soci.

Il Di Sabato ritiene che anche i conferimenti di servizio vadano capitalizzati.

Quasi tutti fanno distinzione tra

R conferimento di capitale: oggetto sono denaro o proprietà di beni

R conferimento di patrimonio: oggetto sono conferimenti di servizi e il godimento di beni

Secondo la tesi dominante c'è profonda distinzione tra i due perché mentre i conferimenti di capitale sono ascrivibili a capitale, tali non lo sono i conferimenti di servizi.

In caso d'amministrazione disgiuntiva, la legge afferma che la rescissione dei soci amministratori e non va calcolata a maggioranza secondo la quota di partecipazione agli utili. Il legislatore ha stabilito la maggioranza non secondo la quota di capitale sottoscritta, ma secondo la quota di partecipazione agli utili proprio perché ci possono essere soci che conferiscono servizi, i quali non sono ascrivibili a capitale. Se la maggioranza fosse conteggiata solo in base alla quota di partecipazione al capitale, nulla potrebbe pretendere chi ha conferito servizi.

Ipoteticamente si potrebbe avere una s.s. anche solo con soci d'opera. Quindi si avrebbe una società senza capitale perché i conferimenti di servizi non sono ascrivibili a capitale.

Quest'ipotesi è sottoscritta alla s.s., perché la s.n.c. ha un capitale e quindi deve esserci almeno un socio di capitale.

Patrimonio sociale e capitale sociale

La società conferitaria diventa proprietaria esclusivamente dei beni conferiti in proprietà, non di quelli conferiti in godimento.

Capitale sociale è la parte indisponibile del patrimonio netto e più rigidamente vincolata a garanzia dei creditori. E' una garanzia supplementare perché è quella parte di capitale netto    che non può essere disposta. Le riserve sono disponibili, a parte la riserva legale. Il capitale sociale è semplicemente una posta ideale che è vincolata perché è una parte del netto indisponibile.

Ha funzione di vincolo perché è proprio l'individuazione di quella parte dell'attivo che non è distribuibile ai soci. Inoltre, serve nel bilancio per determinare se c'è una perdita o un utile.

Può esistere una s.s. con soli soci d'opera perché a nozione di capitale sociale è del tutto assente nelle s.s.

Non esiste alcuna norma che si preoccupi di tutelare il capitale nella s.s.

Non è nemmeno previsto nelle s.s. che sia valutato il conferimento inizialmente.

Nella s.n.c. è diverso perché se paragoniamo la disciplina del capitale della s.n.c. a quella delle società di capitali, sembra roba da poco; ma paragonata alla s.s. vi sono profonde differenze.

Art.2295 n°6: vanno indicati i conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione.

Questo ci consente di determinare l'ammontare del capitale, cosa che non è prevista nelle società di persone.

Diversamente da quanto rigidamente stabilito nelle società di capitali, non c'è nessuna regola che prevede la valutazione dei conferimenti diversi dal denaro. I conferimenti diversi dal denaro sono rimessi alla libera valutazione delle parti.

Nelle società di capitali tutti i conferimenti diversi dal denaro sono sottoposti a rigida valutazione in omaggio al principio dell'esatta formazione del capitale.

Tutto ciò non avviene nelle s.n.c., perché l'esatta formazione del capitale è principio tipico delle società capitalistiche. Non si può a fronte di un immobile che si dichiara valere 100, quando in realtà vale 50, attribuire azioni per un valore nominale di 100.

La valutazione dei conferimenti diversi dal denaro è rimessa alla libertà dei soci nella s.n.c.

Ci sono però 2 norme 2303 e 2306 che disciplinano parzialmente il capitale nella s.n.c.

Rappresentano una garanzia minima ai creditori, ma non sono paragonabili alle norme delle società di capitali.

Art.2303: è vietata la ripartizione tra i soci d'utili che non si siano realmente conseguiti.

Sono somme fittizie perché non rappresentano veramente l'esuberanza del patrimonio netto (=attività - passività) rispetto al capitale sociale.

Però se si verifica una perdita non c'è obbligo giuridico, come nelle società di capitali, di ridurre il capitale sociale. L'art.2303 non afferma che se si verifica una perdita, si è costretti a ridurre il capitale sociale. Nella s.n.c. se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi ripartizione degli utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

La sanzione è indiretta: è vero che si parla di riduzione, ma non c'è l'obbligo di riduzione se si verificano perdite. Il vero obbligo è non distribuire utili fino a che non si sia reintegrata la perdita o non si sia fatta la riduzione.

Quindi la riduzione del capitale per perdite non è altro che arretrare la cifra del capitale.

E' una riduzione nominale perché bisogna adeguare la cifra del capitale al valore patrimoniale. Quindi la consistenza attuale del patrimonio netto va posta in corrispondenza con la cifra nominale del capitale. Ecco perché la riduzione è nominale e non reale.

Nelle società di persone la riduzione di capitale è sempre facoltativa.

Diventa uno strumento necessario se si vogliono distribuire gli utili.

Quindi le vere regole poste sono quelle dei limiti alla distribuzione degli utili, non c'è l'obbligo di ridurre il capitale. Sono i soci che scelgono:

R se riducono il capitale potranno distribuire gli utili

R se non lo riducono non potranno distribuirli

Non ci sono regole inderogabili poste a tutela dei terzi.

Nel caso in cui il valore del patrimonio netto corrisponde alla cifra nominale del capitale ci sono norme che tutelano anche i terzi, negli altri casi non è possibile. Quindi non si può adeguare la cifra del capitale sociale nominale alla consistenza attuale del patrimonio netto. Ciò è possibile solo se si vogliono distribuire gli utili.

Art.2306: riduzione del capitale per esuberanza. E' una riduzione reale.

La disciplina è diversa da quella delle società di capitali.

La legge stabilisce che gli amministratori non possono rimborsare ai soci i conferimenti eseguiti o liberarli dall'obbligo di eseguirli.

Nelle società di capitali l'obbligo a conferire si assume solo per i 7/10 perché il conferimento deve essere effettivo per tutto ciò che non corrisponde ai 7/10 in denaro.

Nelle società di persone si assume l'obbligo di conferire e così si acquista la qualità di socio.

Ci possono essere dei conferimenti non ancora eseguiti.

Se il capitale fosse esuberante, gli amministratori potrebbero liberare i soci dai versamenti che devono ancora eseguire. Oppure, se non ci sono più versamenti da eseguire, potrebbero rimborsare i soci del loro conferimento.

La regola generale è che, durante la vita della società, gli amministratori non possono rimborsare i soci dei conferimenti o liberarli da quelli promessi.

L'unica ipotesi ammessa è la riduzione del capitale esuberante: questo vale sia per le società di persone sia di capitale.

Se gli amministratori, fuori dei casi previsti dalla legge, restituissero ai loro soci i conferimenti o li liberassero da questi, commetterebbero illecito civile e penale.

Ma il patrimonio è la garanzia primaria dei creditori, anche nelle società di persone.

Poi ci sono i soci a responsabilità illimitata.

Il fatto che l'operazione di rimborso potrebbe ledere i creditori, questi potrebbero fare opposizione e dimostrare di subire un danno da questo tipo d'operazione.

La decisione di ridurre il capitale può essere eseguita solo dopo 3 mesi dal giorno dell'iscrizione nel registro delle imprese della decisione della riduzione del capitale.

La riduzione comporta modifica dell'atto sociale ma che comporta che questa modifica possa essere resa priva d'efficacia se un creditore fa opposizione. Si decide prima in un ordinario giudizio di cognizione sull'opposizione stessa.

E' una tutela minima che la legge offre ai creditori. E' minima perché la stessa fattispecie della riduzione del capitale ha aspetti in comune con la riduzione del capitale esuberante prevista per le società di capitali.

Siamo partiti dal concetto che nella s.s. potrebbe non esservi capitale. Nelle società di persone commerciali ci deve essere. Perché la regolamentazione relativa è così diversa rispetto alle società di capitali? Nelle società di capitale, a differenza delle società di persone, il capitale assume un'importanza considerevolmente diversa:

R ci sono norme che presiedono al principio dell'esatta formazione del capitale

R il capitale è intangibile tranne che con l'adozione di determinati procedimenti rigidamente

stabiliti dal legislatore. La tutela dei creditori assume un'importanza di proporzioni

benessere diverse rispetto a quella che assume nelle società di persone. Infatti, c'è un

principio generale d'intangibilità del capitale fuori dei casi ammessi dalla legge.

Nelle s.s. la presenza del capitale è parzialmente regolato dal legislatore, ma questa regolamentazione non è paragonabile a quella che assiste il capitale nelle società di capitali.

Nelle società di persone, oltre al capitale sociale, si ha la responsabilità illimitata dei soci come ulteriore garanzia ai creditori.

Quando si afferma che la società risponde con il suo patrimonio, vuol affermare che la società risponde illimitatamente. Ma una cosa è la responsabilità illimitata della società, altra cosa è la responsabilità illimitata dei soci delle società di persone. Questo concetto è dettato dal principio d'autonomia patrimoniale. Bisogna ricordare il concetto di localizzazione: le obbligazioni sociali sono localizzate nel patrimonio sociale. Questo significa che la società risponde con il proprio patrimonio illimitatamente. Che poi accanto ci siano dei soci che rispondono illimitatamente o limitatamente, ciò non toglie che la garanzia offerta dal patrimonio della società sia illimitata.

Si è poi detto che tutti i soci hanno diritto di partecipare agli utili o alle perdite che si verificano durante la gestione della società. Però, c'è un limite posto all'autonomia privata. E' il limite posto dal patto leonino: il nostro ordinamento lascia libere la parti di stabilire la quota che ognuno deve avere d'utili o perdite con il solo limite del patto leonino. La legge afferma all'art.2265 che è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.

E' difficile trovare dei patti così espliciti; spesso sono patti più complicati. Quindi dottrina e giurisprudenza affermano che si deve guardare al dato sostanziale. Si viola il patto leonino anche quando si stabilisce una soglia così alta prima di poter avere qualcosa, o così bassa per poter are, che in sostanza si fa un patto leonino.

Quindi l'autonomia privata può stabilire come si debbano attribuire gli utili o le perdite nei limiti del divieto del patto leonino.

E' nullo il patto, non viene colpita da nullità la singola partecipazione, a meno che non si dimostri che quel socio abbia dato il proprio conferimento proprio per quel patto; in tal caso c'è nullità del singolo conferimento. Se esiste il patto leonino è questo patto ad essere nullo. Non è nulla la singola partecipazione, né tanto meno tutto il contratto di società. Se si dimostra che il socio ha stipulato il contratto di società perché c'è un patto leonino che lo favorisce allora la sua partecipazione è inficiata di nullità. Se in più il contratto di società è stato stipulato proprio per avere quel soggetto, e quindi la sua partecipazione è essenziale, allora cade il contratto.

A parte quest'eccezione, si ha, nel caso di nullità del patto, una sostituzione automatica del patto nullo con le clausole previste dalla legge.

Quali sono le clausole? Sono norme suppletive. 

Se il contratto nulla dice, le parti spettanti agli utili e alle perdite si presume che siano

proporzionali ai conferimenti.

Es. il socio ha conferito 100 patisce perdite per 100 o avrà utili per 100.

Se neanche il valore di conferimento è stato stabilito, le parti si presumono uguali.

Si presume che ogni socio abbia conferito in parti uguali.

Se è stata stabilita solo la % di partecipazione agli utili, si presume che nella stessa % si partecipi alle perdite

La parte spettante al socio d'opera, se non è determinata contrattualmente, verrà stabilita dal giudice secondo equità.

Quindi la legge prevede dei criteri legali di ripartizione in assenza di una specifica disciplina delle parti. Se le parti hanno già predeterminato tutto, queste norme non si applicano.



Diritto agli utili

Il prof. Cottino fa prima una distinzione.

Non bisogna confondere

R responsabilità illimitata

R partecipazione alle perdite

La responsabilità illimitata dei singoli soci in una società di persone riguarda i rapporti tra la società e i terzi.

Il concetto di partecipazione alle perdite attiene ai rapporti interni di divisione del cattivo esercizio della gestione sociale. Ci sono delle regole per la ripartizione delle perdite stabilite dalle parti o, in mancanza, dalla legge con il divieto del patto leonino.

Nelle società di persone si diventa soci già solo con l'obbligo di conferire, ma nessuno può essere obbligato a conferire più di quanto promesso al momento della costituzione della società. Se ciò accadesse, questa sarebbe una causa d'esclusione del socio che ha obbligato a conferire.

Quindi le regole sono:

nessun socio può obbligare gli altri a conferire

la responsabilità illimitata vale nei confronti dei terzi

la partecipazione alle perdite riguarda i rapporti interni

Mentre all'esterno il socio risponde con il suo patrimonio illimitatamente, all'interno la partecipazione alle perdite può essere diversa da socio a socio.

Questo sulla carta, perché poi quando la società va male e gli amministratori vanno a chiedere soldi ai soci per are i creditori, questi concetti vanno sfumando. Però un conto è che il socio spontaneamente faccia dei versamenti ulteriori, altro è l'obbligo di eseguire un versamento.

Di fatto, poi, nelle società di persone accade che i soci versino di più rispetto ai conferimenti promessi, ad esempio per evitare che la società fallisca o che falliscano essi in proprio.

Quindi il maggiore conferimento è "spontaneo" cioè volto ad evitare di fallire; comunque non è un obbligo.

La stessa cosa si fa per ripianare le perdite, purché non si violi il patto leonino.

Esiste un vero e proprio diritto agli utili nelle società di persone?

Nella s.s., l'art.2262 afferma che, salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte d'utili dopo l'approvazione del rendiconto.

Il rendiconto nelle s.s. è il bilancio per le altre società. Se la società dura più di un anno il rendiconto va predisposto ogni anno.

La s.n.c., se è commerciale, deve tenere le scritture contabili.

Le regole sono le stesse del bilancio delle società di capitali. Questo perché il conto profitti e perdite si chiude con il bilancio e l'art.2217 che prevede questo documento con riferimento all'imprenditore individuale, rimanda alle norme delle S.p.A. Quindi le stesse norme, se valgono per l'imprenditore individuale, valgono anche per la s.n.c.

Il bilancio è sempre predisposto dai soci amministratori.

Poi c'è chi sostiene che il bilancio predisposto dagli amministratori deve essere

R approvato all'unanimità dagli amministratori e non dai soci che non hanno amministrato

R oppure l'approvazione del bilancio va fatto all'unanimità, ma essendo un documento redatto

da chi ha amministra verso chi non ha amministrato, l'approvazione compete solo ai soci

non amministratori. Il Cottino sostiene quest'ipotesi.

Indipendentemente da questo, l'approvazione di un rendiconto o di un bilancio nelle società di persone commerciale e non (s.s., s.n.c., s.a.s.) è condizione necessaria e sufficiente perché ogni socio possa pretendere l'assegnazione della sua parte di utili. E' chiaro sul punto l'art.2262.

Le cose sono diverse nelle società di capitali.

Art.2433: L'assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili.

Vuol dire che esiste un organo che delibera a maggioranza se

R distribuire l'utile

R non distribuirlo

R mandare l'utile a riserva

R decidere di autofinanziare la società

senza che il socio di minoranza possa dire alcunché. Questo perché non esiste un diritto agli utili che derivi dall'approvazione del bilancio.

Ogni socio ha diritto di ricevere quella parte di utili che l'assemblea delibera di distribuire; ma l'assemblea potrebbe anche decidere di non distribuire o di distribuire una parte.

Mentre non c'è nessun filtro tra l'approvazione del bilancio e il diritto conseguente agli utili nelle società di persone, in quelle di capitali il diritto è dato da una delibera maggioritaria dell'assemblea. E' vero che esiste diritto agli utili sulla carta, ma non è detto che sia distribuito. L'assemblea non è libera di fare quello che vuole perché ad esempio una politica di autofinanziamento protratta per anni e che sacrifica il diritto agli utili del socio di minoranza, comporterebbe un abuso di potere della maggioranza, se non adeguatamente motivata.

Invece nelle società di persone il diritto agli utili consegue direttamente dall'approvazione del bilancio. Non c'è una decisione dei soci che si frappone tra approvazione del bilancio e diritto agli utili. Sulla carta è così.

L'attribuzione dell'utile è lo scopo di lucro soggettivo.

Lo scopo di lucro oggettivo, cioè la creazione dell'utile, si presenta diversamente a seconda che si trovi in una società di persone o di capitali.

Può accadere che se la società va male, l'utile risultante non venga distribuito.

Sulla carta, cioè formalmente, c'è grossa distinzione giuridica tra

R il diritto agli utili nelle società di persone, che è un vero e proprio diritto soggettivo

risultante dall'approvazione del rendiconto o dal bilancio

R diritto agli utili di cui l'assemblea deliberi la distribuzione nelle società di capitali.

Nella sostanza le due situazioni tendono ad avere dei punti in comune quando anche nelle società di persone gli utili non vengono distribuiti.

Responsabilità del socio nelle società di persone

Nella s.s. e nella s.n.c. risponde, innanzi tutto, la società con il proprio patrimonio illimitatamente.

Art.2267: i creditori della società possono sempre far valere i loro diritti sul patrimonio sociale.

Quindi la garanzia primaria nelle società di persone è data dal patrimonio sociale, illimitatamente. E' la garanzia esclusiva nelle società di capitali.

Nelle società di persone, accanto alla garanzia offerta dal patrimonio sociale, vi è la garanzia illimitata offerta dai singoli soci.

Bisogna fare attenzione e considerare separatamente come la responsabilità illimitata si atteggi nella s.s. e nella s.n.c. Il principio che tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente di tutte le obbligazioni sociali (= quelle contratte dalla società nei confronti dei terzi) verso i creditori sociali, quindi il principio di localizzazione, nella s.s. è un principio che può essere derogato, cioè è una norma dispositiva. Infatti, l'art.2267 dice che la garanzia primaria è data dal patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci. Questa norma è applicabile solo alle s.s.

E' importante perché attiene a quell'aspetto dell'autonomia patrimoniale detto localizzazione e prevede che tale localizzazione sia graduata con riferimento alla s.s. Cioè la regola della responsabilità illimitata e solidale dei soci è derogabile. Le legge dice che rispondo delle obbligazioni sociali i soci che hanno agito in nome e per conto della società.

Quindi si può distinguere tra soci che agiscono in nome e per conto e soci che non agiscono in nome e per conto della società.

Solo nei riguardi dei secondi è ammesso un patto contrario: una parte dei soci nella s.s. può limitare la propria responsabilità nei confronti dei terzi. Ma per fare questo ci vuole un patto apposito e bisogna fare attenzione a che tale responsabilità limitata non vada attribuita a quei soci che hanno agito in nome e per conto della società.

I soci che agiscono in nome e per conto sono:

R sia i soci che gestiscono, cioè gli amministratori che hanno il potere di gestire la società

all'interno

R sia i soci che spendono il nome della società

Per questi è impossibile limitare la responsabilità.

Quindi sembra che ci voglia sia il potere di gestione interna sia la rappresentanza per far scattare questa norma. Ma la dottrina ha messo in luce che basta la gestione. Il prof. Cottino, Galgano e la maggioranza della dottrina interpretano in senso anti-letterale la norma.

Es. su 5 soci, solo 2 amministrano e hanno la rappresentanza. Questi non possono godere della

responsabilità limitata.

La regola della responsabilità illimitata non è inderogabile perché c'è una parte di soci, quelli che non hanno gestito, che possono predisporre con un patto di rispondere limitatamente.

Il punto è che i terzi devono sapere se un socio risponde limitatamente alla quota conferita nella società o no. Secondo la legge, nell'art.2267 2° comma, il patto deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In mancanza la limitazione della responsabilità o l'esclusione della solidarietà non è opponibile a coloro che non ne hanno avuto conoscenza.

Es. i soci A e B che hanno rinunciato ad amministrare rispondono limitatamente alla quota

conferita. Questo patto viene scritto e va portato a conoscenza dei terzi.

Prima dell'istituzione del registro delle imprese ci si chiedeva cosa fossero questi mezzi idonei.

Ad esempio lettere con ricevuta di ritorno.

Oggi è stata fatta una proposta dalla dottrina. Poiché anche le società di persone vanno iscritte nella sezione speciale del registro con funzione di pubblicità notizia.

La pubblicità legale serve a rendere opponibile un atto ai terzi, non solo a farglieli conoscere.

C'è chi ha sostenuto che, visto che nessuno ha mai detto cosa fossero i mezzi idonei, di iscrivere la limitazione di responsabilità nel registro delle imprese. Ma l'iscrizione è fatta per renderla opponibile ai terzi.

Quest'iscrizione è ancora compatibile con una funzione di pubblicità notizia?

Si avrebbe una sorta di applicazione della pubblicità dichiarativa nell'ambito di una società che viene iscritta solo ai fini della pubblicità notizia. Probabilmente questa via verrà seguita perché così l'atto è opponibile ai terzi.

Dunque si è detto che la limitazione di responsabilità, se è portata a conoscenza con mezzi idonei, è opponibile ai terzi.

Invece, non è mai limitabile la responsabilità dei soci di una s.n.c. La responsabilità illimitata nella s.n.c. è inderogabile. Se si trovasse una clausola che limitasse la responsabilità dei soci, essa non sarebbe nulla, ma avrebbe valenza solo internamente e non nei confronti dei terzi.

Ecco perché l'autonomia patrimoniale nella s.n.c. è più accentuata.

Es. socio deve are al creditore sociale 100; poi all'interno fa azione di regresso sugli altri

soci perché lui aveva limitato la sua responsabilità e quindi rivuole i soldi.

Sia nella s.s. sia nella s.n.c. chi entra a far parte di una società di persone già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.

Es. A costituisce s.n.c. nel 1985 e nel 1990 entra B. Il socio B risponde nei confronti dei terzi

anche per le obbligazioni sociali precedentemente contratte.

E' l'art.2269: chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.

Scioglimento del vincolo del socio

Se si verifica una causa di scioglimento del vincolo del socio, non viene meno la responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte prima dello scioglimento del vincolo.

Queste obbligazioni cadono anche sugli eredi del socio defunto: rispondono delle obbligazioni sociali fino al giorno in cui si ha lo scioglimento.

E' necessario però che i terzi sappiano che c'è stato scioglimento del vincolo. Nelle s.s., dove la legge non prevede il regime di pubblicità legale, ci vogliono mezzi idonei, cioè un patto, altrimenti si continua a rispondere.

Nella s.n.c. il mezzo idoneo è dato dall'iscrizione nel registro delle imprese.






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