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DIRITTO COSTITUZIONALE - FORMA DI STATO - LA FORMA DI GOVERNO ITALIANA - IL PARLAMENTO -Legge La Pergola (86/1989)



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DIRITTO COSTITUZIONALE



STATO:

-POPOLO (cittadinanza: legge 91/1992);

-TERRITORIO (terraferma, mare continentale, . );

-SOVRANITA': potestà di governo assoluta, esclusiva ed originaria, che fa capo allo stato e che viene esercitata sul suo territorio;

la titolarità spetta secondo le varie teorie:

stato-persona;

nazione (cittadini tutti uguali);

popolo: con le costituzioni rigide (si al principio rappresentativo; art 1.2 cost.: . al popolo che la esercita nella forma e nei limiti della costituzione);

Rousseau propugnava la c.d. democrazia radicale (no al principio rappresentativo).



FORMA DI STATO:

"spiega il rapporto tra l'apparato statale e la società"

stato assoluto: regime politico in cui il potere spetta al sovrano senza limitazione: legibus solutus;

stato liberale -monoclasse;

-principio della libera iniziativa privata (lasciar fare, lasciar passare);

-principio rappresentativo;

-stato di diritto (supremazia della legge);

-principio di legalità: l'agire della pubblica amministrazione deve basarsi sulla legge;

stato democratico sociale (a democrazia pluralista):

governo dell'economia tra le funzioni dello stato (stato sociale=maggiore equità);

principio di costituzionalità: i principi e i valori dello stato vengono enunciati in costituzioni rigide;

pluralismo;

stato totalitario: - esaltazione della collettività nazionale;

fiducia nel capo;

partito unico di massa;

concentrazione dei poteri nel capo;

soppressione delle libertà fondamentali;

stato socialista: - collettivizzazione dei mezzi di produzione;

subordinazione del diritto (la legalità socialista era drogabile);

partito comunista;

stato democratico e sociale oggi: - vasta base sociale;

riduzione della pressione fiscale per favorire gli investimenti (a seguito della globalizzazione);

sussidiarietà verticale (agli enti territoriali);

sussiadiarietà orizzontale (alle formazioni sociali non lucrative);

stato regionale: ad alcune regioni vengono conferite sfere di autonomia nel campo dell'amministrazione, della legislazione e delle finanze.








FORMA DI GOVERNO:

" modo in cui si articola e si ripartisce il potere politico tra parlamento, governo e capo dello stato"


Principio di separazione dei poteri:

legislativo: al parlamento;

esecutivo : al governo;

giudiziario: alla magistratura.

parlamentare: il governo formula un indirizzo politico di cui è responsabile dinanzi al parlamento, il quale può in ogni momento revocarlo togliendogli la fiducia. Per cui il governo, titolare dell'esecutivo, è controllato dal parlamento eletto dal popolo. Il capo dello stato ha funzione di pura rappresentanza.

Presidenziale: viene applicato il principio della separazione dei poteri rigidamente: il presidente eletto dall'intero corpo elettorale presiede e dirige i governi da lui nominati e non può essere sfiduciato (può essere accusato dal congresso tramite l'impeachment).

Semi presidenziale: il capo è eletto dall'intero corpo elettorale, è indipendente dal parlamento e nomina un governo che deve avere la fiducia del parlamento. E' possibile la coabitazione cioè la convivenza tra parlamento e capo di stato con ideali diversi.

Direttoriale: il governo (direttorio) viene nominato dal parlamento e non può essere revocato per sfiducia. Lo stesso direttorio funge da capo di stato.
































LA FORMA DI GOVERNO ITALIANA

La forma di governo delineata dalla costituzione italiana è una forma di governo parlamentare a debole razionalizzazione in cui cioè sono previsti solo limitati interventi del diritto costituzionale.

Elemento essenziale del diritto costituzionale italiano è la razionalizzazione del rapporto di fiducia. All'art 94 cost. viene espressa la disciplina del rapporto di fiducia, con l'obiettivo di garantire maggiore stabilità al governo: "il governo deve avere la fiducia delle due camere; ciascuna camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale; entro 10 gg dalla sua formazione il governo si presenta alle camere per ottenere la fiducia; il voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non comporta obbligo di dimissioni; la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della camera e non può essere messa in discussione prima di 3 gg dalla sua presentazione".

Caratteristiche essenziali della società e del sistema politico italiano sono stati per molti anni (fino al referendum del 18/04/1993) il sistema proporzionale, la costituzione post elettorale della maggioranza, un sistema multipolare (con esclusi i due estremi dalla conventio ad exludendum).

Negli anni '90 è cambiata completamente la tendenza: non si votava più il partito ma il programma considerato migliore e inoltre il referendum ha segnato il passaggio al maggioritario; tutte queste cause hanno portato una maggiore necessità di formare una coalizione prima delle elezioni, da intendersi come necessità istituzionale ai fini della fiducia. Si è passati cosi da un multipartitismo esagerato al bipolarismo, prerogativa essenziale appunto del sistema maggioritario.

In Italia si fa la distinzione tra 2 tipi di crisi di governo:

parlamentari: determinate dalla mancata concessione della fiducia;

extra parlamentari: determinate dallo scioglimento della coalizione di maggioranza.


IL GOVERNO

Il governo è un organo complesso formato dal p d c, dai ministri e dal c d m.

La costituzione regola nel titolo III il ruolo del governo:

Formazione: art 92.2 (nomina); 93 (giuramento); 94 (rapporto di fiducia);

Struttura: art 92.1 (composto da . );

Funzionamento: art 95 (con riferimento alla l. 400/1988) segue 3 principi:

responsabilità politica di ciascun ministro;

direzione politica collegiale incentrata nel c d m;

direzione politica monocratica (basata sui poteri del p d c).

Rapporto con la pubblica amministrazione: art 95; 97; 98.


L 400/1988: ha razionalizzato gli strumenti di garanzia dell'unità politica e amministrativa del governo, seguendo le seguenti direttrici:

concentrazione delle decisioni relative alla politica generale del governo nel c d m (art 2);

attribuzione al p d c dei poteri relativi al funzionamento del c d m (art 5);

attribuzione al p d c di poteri strumentali per il coordinamento delle attività dei  ministri (art 5);

ha razionalizzato anche varie ure di organi governativi non necessari:

vice presidente del  c d m;

consiglio di gabinetto;

comitati interministeriali;

ministri senza portafoglio;

sottosegretari di stato;

viceministri;

commissari straordinari del governo.



Il rapporto di fiducia ( art 94)

Si intende l'atto di gradimento politico con cui il parlamento aderisce al programma politico del governo.

Essa impegna a seguire l'indirizzo politico e il programma esposto nelle c.d. dichiarazioni programmatiche. Il governo che ha ottenuto la fiducia però, no sempre è in grado di orientare l'operato in direzione conforme al programma; in questo caso si pone la questione di fiducia su un disegno di legge, su un articolo o altro, ritenendoli necessari per la realizzazione del programma. In questo modo il governo sposta la responsabilità della crisi politica sul Parlamento, la cui non approvazione vale da vera e propria mozione di sfiducia.

Sfiducia individuale ad un ministro è intervenuta la CC con la sentenza 7/1997: si fa scaturire l'istituto della sfiducia individuale dal rapporto tra parlamento ed esecutivo, il quale si basa sulla responsabilità collegiale del governo e su quella individuale dei ministri per i loro dicasteri (art 95). Di conseguenza se c'è responsabilità, c'è anche un rapporto fiduciario che può venir interrotto.

Revoca: con atto uguale e contrario alla nomina (decreto);

rimpasto: sostituzione di 1 o più ministri, di solito per evitare una crisi di governo.


Formazione del governo

L'art 92 si limita a dire che il p d r nomina il p d c e su sua proposta i ministri.

La formazione si articola in 4 fasi:


I fase, è rappresentata dalle c.d. consultazioni (aprono il procedimento). Il c d s incontra i presidenti dei gruppi parlamentari, i presidenti delle 2 camere e gli ex presidenti della repubblica.


II fase, eventuale conferimento di un mandato esplorativo o di un reincarico, e poi incarico per la formazione del governo che di regola viene accettato con riserva (fino a quando l'incaricato non ha svolto l'attività con successo).

Attività dell'incaricato: sonda le opinioni dei vari capi gruppo parlamentari disposti alla coalizione, mettendo a punto un programma di governo che interessi i più, in modo tale da poter contare sulla fiducia. Inoltre deve stilare una lista dei ministri da proporre al c d s. Terminato ciò deve o sciogliere la riserva accettando l'incarico, o rinunciare.


III fase, se riesce a formare un governo che gode di un consenso nella maggioranza parlamentare il c d s deve nominarlo con decreto. Questo decreto viene controfirmato secondo l'art 1 della l 400/1988, dallo stesso p d c. All'atto della nomina presenta la lista dei ministri il quale emette decreti di nomina.


IV fase, si ha il giuramento di p d c e ministri ai sensi dell'art 1.3della l 400/1988.

Entro 10 gg (art 94.2 cost) il governo deve presentarsi davanti a ciascuna camera per ottenere il voto di fiducia.


Settori della politica governativa

Politica di bilancio e finanziaria:  l'insieme dei poteri di proposta, di direzione e di controllo fa capo al ministro dell'economia e delle finanze una volta presentati vari documenti quali il dpef, la legge finanziaria e la legge di bilancio.

Politica estera: si sostanzia nella stipula dei trattati internazionali e nelle relative attività preparatorie.

Politica militare, politica comunitaria, politica informativa e di sicurezza.





IL PARLAMENTO

La struttura del parlamento può essere bicamerale o monocamerale. La costituzione italiana ha optato per la prima alternativa, prevedendo l'articolazione in 2 camere (dei deputati e dei senatori).

Art 55.1: "il parlamento si compone della camera dei deputati e del senato della repubblica"

Esiste il bicameralismo imperfetto e quello perfetto, e si distinguono a seconda delle funzioni che vengono affidate alle camere: se sono le medesime siamo in bic. perfetto, se invece divergono siamo in bic. imperfetto. La conseguenza del bicameralismo perfetto è l'appesantimento del processo decisionale parlamentare che richiede doppia approvazione, e in caso di modifica del disegno di una ulteriore doppia approvazione.

Ciascun ramo del parlamento ha una organizzazione interna complessa, dove agiscono: presidenti d'assemblea, gli uffici della presidenza, le commissioni, i gruppi parlamentari, le conferenze dei capi gruppo .

I due presidenti hanno il compito di regolare l'attività di tutti gli organi facendo osservare il regolamento. Le differenze sostanziali fra i due presidenti sono che il presidente della camera dei deputati presiede il parlamento in seduta comune, l'altro invece supplisce il capo dello stato nelle ipotesi di impedimento.

La costituzione ha previsto anche il parlamento in seduta comune (art 55.2), che però viene riunito solo per compiti elettorali e per la funzione accusatoria.

Ciascuna camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti (art 64.1); ogni regolamento definisce le regole di funzionamento del parlamento le quali devono avere un certo grado di stabilità e possibilmente essere condivise sia dalla maggioranza che dalla minoranza.


Funzionamento

L'art 61.2 cost crea l'istituto della prorogatio: istituto in virtù del quale l'organo scaduto non cessa di esercitare le sue funzioni fino a quando non si sia provveduto al suo rinnovo, questo per garantire la continuità funzionale al parlamento.

La validità della seduta richiede il quorum strutturale: maggioranza dei componenti;

La validità della deliberazione richiede il quorum funzionale: maggioranza dei presenti.

L'ordine dei lavori si basa sulla predisposizione del programma (argomenti da trattare), del calendario (per singole sedute) e dell'ordine del giorno (organizza ogni singola seduta); la conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari determina il tempo a disposizione dei gruppi per la discussione degli argomenti.


Le prerogative parlamentari stabilite dall'art 68 cost

Insindacabilità in qualsiasi sede per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari;

immunità penale in virtù della quale il parlamentare non può essere sottoposto a misure restrittive della libertà personale o domiciliare senza previa autorizzazione della camera di appartenenza.

La l 140/2003 ha difeso l'insindacabilità, che finisce per coprire la quasi totalità della vita politica del parlamentare, e ha riconfermato l'immunità penale, stabilendo che in attesa di autorizzazione della camera il procedimento resta sospeso.


La funzione legislativa

L'art 70 cost afferma che " la funzione legislativa spetta è esercitata collettivamente dalle 2 camere", e gli art dal 71 al 74 descrivono le modalità.

La funzione di controllo

Avviene tramite interrogazioni (riguardo la veridicità o meno di un fatto)o tramite interpellanze (per conoscere quale sia l'intenzione politica del governo).

L'art 82 cost attribuisce a ciascuna camera di istituire commissioni di inchiesta su materie di pubblico interesse.

Legge La Pergola (86/1989)

L'appartenenza dell'Italia alla comunità europea pone al parlamento l'esigenza di recepire le direttive comunitarie in tempi ragionevoli, e di avere cognizione degli indirizzi comunitari sui grandi temi. La legge 86/1989 introduce la legge comunitaria che prevede 3 tipi di recepimento:

quello immediato attraverso disposizioni contenute nella stessa legge;

la delega al governo, quando occorre predisporre una normative di particolare complessità, con il parere delle commissioni parlamentari competenti sullo schema di decreto legislativo;

l'autorizzazione al governo ad attuare in via regolamentare le direttive.


Il processo di bilancio

Art 81 cost: "le camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal governo; l'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per i periodi non superiori a 4 mesi; con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese; ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte".

L'art 81 fornisce solo i precetti essenziali poi completati da leggi ordinarie che ne hanno precisato il senso.

A norma della l. 468/1978 lo stato deve approvare:

un bilancio preventivo annuale;

un bilancio preventivo pluriennale.


La l. 362/1988 ha introdotto uno strumento di programmazione: il documento di programmazione economico - finanziaria (DPEF), per permettere al parlamento di conoscere ogni 30 Giugno le linee di politica economica e finanziaria del governo.


L'art 81 al comma 3 prevede che la legge di approvazione del bilancio non possa stabilire nuovi tributi e nuove spese, per questo la l. 468/1978 introdusse la c.d. legge finanziaria per poter modificare le entrate e le spese indicate nel bilancio e poter quindi attuare manovre di bilancio diverse.

Nel corso degli anni è stata definita legge omnibus, dando luogo a problemi, primo fra tutti l'espansione della spesa pubblica.

Era necessaria una riforma attuata appunto dalla legge 362/1988 e dalla legge 208/1999, ora lo scopo della legge finanziaria è di disporre ogni anno del quadro di riferimento per ogni periodo del bilancio plurimo, gli interventi a modifica della normativa vengono attuati tramite apposite leggi indicate nei singoli DPEF.


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

La costituzione italiana prevede un presidente della repubblica distinto e autonomo dal governo, dotato di poteri propri, che è il capo dello stato e rappresenta l'unità nazionale (art 87.1 cost).

La costituzione si limita a :

fissare alcune caratteristiche quali il distacco dalla maggioranza;

fissare l'irresponsabilità politica nell'art 89;

assicurargli poteri quali le nomine del presidente del consiglio, dei ministri, il potere di scioglimento anticipato delle camere, . ;

fissare dei limiti all'esercizio dei suoi poteri, come ad esempio la controfirma.


A fare la differenza ai fini degli argini costituzionali entro cui opera il presidente, è l'equilibrio del governo e del sistema politico; infatti se è basato su accordi post elettorali aumenta il suo potere dato che si trova nella condizione di scegliere il presidente del consiglio, se invece è basato su rapporti stabili di coalizione tra i partiti il presidente si limita a garantire il rispetto di alcuni valori costituzionali tramite l'esercizio di alcuni suoi poteri. I suoi poteri sono a fisarmonica!!!

Elezione

Il presidente è eletto dal parlamento in seduta comune, i requisiti per essere eletto sono indicati nell'art 84 cost:

la cittadinanza italiana;

almeno 50 anni di età;

godimento di diritti civili e politici.

All'elezione si procede per iniziativa del pres. della camere che 30 gg prima della scadenza convoca il parlamento in seduta comune.

L'elezione avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza de 2/3 dell'assemblea. Una volta eletto presta giuramento di fedeltà davanti al parlamento.


La controfirma ministeriale e la irresponsabilità del presidente

La costituzione stabilisce all'art 89 che "nessun atto del presidente della repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità, inoltre gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal presidente del consiglio".

La controfirma dunque è requisito di validità dell'atto e la sua apposizione rende irresponsabile il presidente per l'atto adottato, trasferendo la relativa responsabilità in capo al governo.


Soluzione delle crisi di governo

Il capo dello stato dispone di 2 poteri:

il potere di nomina del presidente del consiglio (art 92);

il potere di scioglimento anticipato delle camere (art 88).

Quando il presidente della repubblica nomina il presidente del consiglio adotta un atto che non solo è preso d'accordo con quest'ultimo, che deve controfirmarlo, ma ritiene di avere il consenso delle forze politiche che dovranno sostenere il governo con la fiducia.

Allo stesso modo lo scioglimento delle camere è un atto complesso alla cui formazione partecipano egualmente sia il capo di stato, sia il governo.


Atti formalmente e sostanzialmente presidenziali:

atti di nomina;

rinvio delle leggi;

messaggi presidenziali;

esternazioni atipiche;

convocazione straordinaria delle camere.


Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi:

emanazione di atti governativi aventi valore di legge;

promulgazione della legge;

concessione della grazia e commutazione delle pene.












REGIONI E GOVERNO LOCALE

La costituzione italiana aveva previsto uno stato regionale e autonomista, basato su autonomia politica delle regioni (art 115), autonomia legislativa (art 117), e amministrativa (art 118); in chiave strumentale secondo l'art 119 era fornita alle regioni una certa autonomia finanziaria.

Questa disciplina doveva essere applicata su tutte le 15 regioni ordinarie, per le regioni speciali (Sicilia, sardegna, Friuli, trentino, valle d'aosta) era definita un'autonomia più ampia negli statuti di ciascuna regione approvati con legge costituzionale.

Nonostante la previsione della costituzione, le regioni ordinarie sono state istituite solo nel 1970 in quanto l'esercizio delle funzioni da parte delle regioni richiedeva che lo stato tramite decreto di trasferimento trasferisse loro le funzioni amministrative e il personale. Però non si è mai riusciti a svolgere a di fondo questo compito.

Una svolta fondamentale c'è stata con la l. 59/1997 (legge Bassanini) la quale introduceva il seguente principio:

"alle regioni ed agli enti locali dovevano essere attribuite tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura ed alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori, con la sola eccezione di quei compiti e funzioni amministrative proprie dello stato (difesa, forze armate, rapporti con le confessioni, . )

Prima della legge Bassanini la regione esercitava solo le funzioni amministrative nelle materie in cui aveva competenza legislativa, con la riforma invece si è interpretato l'art 118 in maniera evolutiva, dando a regioni ed enti locali le funzioni amministrative anche su materie in cui lo stato aveva funzione legislativa.

Nel 2001 il parlamento ha approvato la legge cost 3/2001, legge di riforma  organica del titolo V della parte II della costituzione. La nuova disciplina a mutato l'assetto dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali. La riforma, piuttosto che delineare uno stato federale con uno stato centrale e i singoli stati membri che restano "padroni" dell'ordinamento degli enti territoriali minori, ha disegnato una Repubblica delle autonomie articolata su più livelli territoriali di governo (comuni, città metropolitane, province, regioni).

La costituzione ha previsto che la repubblica è articolata in comuni, province, città metropolitane, regioni e stato, tutti dotati di autonomia. Il nuovo testo dell'art 114 pone sullo stesso piano lo stato e gli altri enti territoriali minori garantendo a ciascuno di essi una propria sfera di autonomia.

Di conseguenza, essendo stato ed enti territoriali di pari rango, la legge statale e quella regionale sono pure pariordinate e la prima ha perduto quella posizione di prevalenza: lo stato ha perduto la potestà legislativa generale.

In precedenza operava il principio del parallelismo delle funzioni per il quale nelle materie di competenza legislativa delle regioni queste ultime esercitavano anche le funzioni amministrative, mentre in tutte le altre le funzioni amministrative spettavano allo stato.

Con la legge Bassanini si è cercato di dare anche ai comuni la generalità delle funzioni amministrative ad eccezione di quelle che vengono conferite ad enti più grandi per assicurarne l'esercizio unitario sulla base dei principi di:

sussidiarietà: il livello di governo superiore interviene solo quando l'amministrazione più vicina ai cittadini non ce la faccia;

differenziazione: enti dello stesso livello possono avere competenze diverse;

adeguatezza: le funzioni devono essere affidate ad enti che abbiano requisiti sufficienti di efficienza.

Con la riforma costituzionale, pertanto, si è stabilito che l'amministrazione pubblica dovrà essere essenzialmente un'amministrazione locale





Le conferenze

Sono i congegni istituzionali più rilevanti per quanto riguarda l'attuazione del principio di leale collaborazione tra stato e regioni nelle materie in cui i relativi interessi coincidono. Tutte le conferenze (stato, città e autonomie locali; permanente tra stato, regioni e province di trento e  bolzano) sono riunite insieme nella conferenza unificata.


Un problema politico-istituzionale che ha sempre accomnato l'evoluzione dello stato regionale è stato quello dei rapporti tra stato e regioni da una parte, e gli enti locali dall'altra. Per molto tempo, nonostante l'art 5 (la repubblica riconosce e promuove le autonomie locali) molte regioni evitavano di attribuire ai comuni le funzioni amministrative nelle materie di loro competenza e tendevano a mantenere una posizione di sopraordinazione e di controllo nei confronti degli enti locali.

Fino al 2000, numerosi interventi di legge hanno modificato la disciplina, che ora si basa sui seguenti principi:

il comune è l'ente che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo;

la provincia è l'ente locale intermedio, il quale rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove e coordina lo sviluppo;

comuni e province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa;

la generalità dei compiti va attribuita a comuni e province con esclusione delle funzioni che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale.

Con la riforma del 2001, sono state costituzionalizzate le città metropolitane che possono essere istituite nelle zone delle grandi città capoluogo di regione d'italia, e possono annettere anche i comuni attigui; queste città metropolitane ottengono le stesse funzioni della provincia ed assumono un proprio statuto.

Con la legge 3/2001 la condizione degli enti locali è cambiata profondamente, assumendo anche riconoscimento dalla costituzione, a partire dall'art 114 che pone gli enti sullo steso piano della regione e dello stato. All'art 118 c'è l'altra innovazione, cioè intendere l'amministrazione pubblica come amministrazione locale. Conseguenza di questi due art/i è che:

gli enti locali possono darsi un proprio statuto;

gli enti locali sono titolari di funzioni proprie oltre a quelle loro conferite con legge statale e regionale.


Finanza regionale e finanza locale

L'art 119 cost riconosce e garantisce l'autonomia finanziaria, sia per quanto riguarda le entrate che per quanto riguarda le uscite, a favore di comuni, province, città metropolitane e regioni:

i suddetti enti territoriali devono avere entrate proprie e il potere di concorrere a determinarne quantità e composizione;

devono poter stabilire come spendere le proprie risorse.

Lo stato non ha però perduto il potere di intervenire nella finanza regionale, infatti si tratta di potestà legislativa concorrente nell'armonizzare i bilanci e nel coordinare il sistema tributario.

I diversi enti locali avranno poi diverse risorse in base alla ricchezza economica del territorio, proprio per questo è previsto un fondo perequativo a favore dei territori con minore capacità fiscale.









Forma di governo regionale


Legge costituzionale n.1/1999

La legge 1/1999 ha modificato gli art dal 121 al 126 della costituzione introducendo una forma di governo regionale basata sull'elezione popolare diretta del presidente della regione.

Questa legge ha previsto:

una forma di governo transitorio fino a quando la regione non disciplinerà autonomamente la sua forma di governo attraverso uno statuto e una legge elettorale;

una forma di governo disciplinata dallo statuto di ciascuna regione, che sia in armonia con la costituzione (art 123).

In attesa dei nuovi statuti regionali la disciplina transitoria è quella della vigente legge elettorale più le seguenti innovazioni:

sono candidati alla presidenza della regione i capolista delle liste regionali;

è proclamato presidente della regione il candidato con più voti validi in ambito regionale;

il presidente della regione fa parte del consiglio regionale;

entro 10 gg dalla nomina a presidente egli deve nominare la giunta;

se il consiglio approva una mozione di sfiducia entro 3 mesi si procede a nuove elezioni di consiglio regionale e presidente della regione (principio del simul stabunt, simul cadent).

Secondo l'art 123 ogni regione ha uno statuto che ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento; quindi una volta creato uno statuto ci si può discostare dalla forma di governo transitoria. Il sistema che ne segue prevede:

la costituzione fissa il criterio generale di elezione a suffr univ del presidente della regione che viene disciplinato dall'art 126;

vale il principio simul stabunt, simul cadent;

il consiglio può sempre votare la mozione di sfiducia;

le regioni nella loro potestà statutaria possono allontanarsi da questo modello verso un nuovo modo di elezione del presidente;

 













Forma di governo degli enti locali

La forma di governo del comune e della provincia è stata modellata dalla legge 81/1993 in seguito modificata dalla legge 265/1999. Tale forma di governo si basa sull'elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia, e pertanto in Italia è stato il primo caso di sistema elettorale che ha consentito la scelta diretta dell'esecutivo da parte del popolo.

Per quanto riguarda l'elezione dei consigli comunali e provinciali sono previste diverse modalità per i comuni con popolazione superiore o inferiore ai 15.000 abitanti.

Il sindaco ed il presidente della provincia durano in carica 5 anni e non possono candidarsi oltre il 2 mandato.

Nei comuni fino a 15.000 abitanti l'elettore esprime un voto per il candidato sindaco e  per la lista. È eletto sindaco il candidato che ottiene la maggioranza relativa; la lista che risulta vincitrice avrà 2/3 dei seggi del consiglio.

Nei comuni con più di 15000 abitanti e per l'elezione dei presidenti delle province l'elezione avviene a maggioranza assoluta, con la possibilità di un voto disgiunto e il premio di maggioranza.

In entrambi i casi è prevista la clausola di sbarramento che diretta a scoraggiare la frammentazione del sistema politico (si è stabilita la soglia del 3%).






AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

Il sistema giudiziario italiano di caratterizza per la presenza di più giurisdizioni:

i giudici ordinari: amministrano la giustizia civile e penale attraverso organi giudicanti e organi requirenti.

Organi giudicanti civili: si dividono in organi di primo grado (giudice di pace e tribunale) e di secondo grado (corte d'appello) in modo che le decisioni del giudice di pace si possono impugnare dinanzi al tribunale, e quelle di quest'ultimo si possono impugnare dinanzi alla corte d'appello.

Organi giudicanti penali: si dividono in organi di primo grado ( giudice di pace, tribunale, tribunale dei minorenni, corte d'assise) e di secondo grado (corte d'appello, corte d'assise d'appello, tribunale delle libertà).

Organi requirenti: sono i pubblici ministeri che esercitano l'azione penale e agiscono nel processo a cura di interessi pubblici, perciò il PM attivala giurisdizione penale per l'accertamento di eventuali reati e la condanna dei loro autori. Il PM non può scegliere se avviare o meno l'azione in relazione al tipo di reato, ma è tenuto a intraprendere la sua azione sempre in presenza di una notizia criminis dotata di fondamento (obbligo dell'azione penale).

I giudici amministrativi: sono i tribunali amministrativi regionali (TAR), istituiti uno in ogni regione. Alla giurisdizione amministrativa è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi, che prevede la possibilità che siano annullati gli atti della pubblica amministrazione (art 113 cost). Il criterio per distinguere il giudice ordinario da quello amministrativo è costituito dalla natura della situazione giuridica soggettiva da tutelare: al giudice ordinario spettano le controversie in materia di diritti soggettivi, al giudice amministrativo quelle in materia di interessi legittimi.

Interesse legittimo situazione di vantaggio che si possiede di fronte al potere dell'amministrazione e che si sostanzia nella garanzia della legittimità dell'atto amministrativo (pena l'annullamento dell'atto illegittimo).

I giudici tributari: sono le commissioni tributarie provinciali e regionali che esercitano mla giurisdizione nelle controversie fra i cittadini e l'amministrazione finanziaria dello stato.

I giudici militari: in tempo di guerra esercitano la giurisdizione come stabilito dalla legge, in tempo di pace invece la loro giurisdizione abbraccia solo i reati commessi da appartenenti alle forze armate.




Principi costituzionali in tema di giurisdizione

principio della precostituzione del giudice (o del giudice naturale): "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" (Art 25 cost): nessuno può trovarsi ad essere giudicato da un giudice appositamente costituito dopo la commissione di un determinato fatto.

Diritto di difesa: la costituzione garantisce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, e afferma che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di appello (art 24 cost) .

Questi due principi stabiliscono che il processo si caratterizzi per:

per il contraddittorio tra le parti tramite confronto dialettico paritario;

per la terzietà e la imparzialità del giudice.

A seguito della legge costituzionale 2/1999 questi 2 principi si trovano formulati nel nuovo testo dell'art 111 cost che ha consacrato la formula del giusto processo.







LE FONTI

Le fonti del diritto possono essere:

fonti di produzione: pongono le norme di comportamento costitutive del diritto e possono essere definite come ogni fatto abilitato dall'ordinamento giuridico a innovare il diritto oggettivo; esse a loro volta si dividono in :

fonti-atto: comportamenti consapevoli e volontari che danno luogo a effetti giuridici;

fonti-fatto: fonti non scritte determinate da fatti sociali o naturali (per esempio la nascita) idonei a produrre diritto.

Fonti di cognizione: costituiscono gli strumenti attraverso i quali è possibile venire a conoscenza delle fonti di produzione (per esempio la gazzetta ufficiale).

Le consuetudini

Prima si poteva dire che la consuetudine fosse la fonte-fatto per eccellenza; essa nasce da un comportamento sociale ripetuto nel tempo sino a che dimenticata o da sempre ignorata la sua origine, esso viene sentito come obbligatorio, giuridicamente vincolante. Oggi però è quasi ssa dagli ordinamenti moderni, ci sono solo alcune tracce:

Nelle disposizioni preliminari al codice civile (le c.d. preleggi) l'art 1 disegnando la gerarchia delle fonti del diritto italiano cita dopo la legge, i regolamenti e le norme corporative anche gli usi. Questo significa che nel nostro ordinamento le consuetudini sono poste all'ultimo gradino della gerarchia e possono agire in mancanza di leggi superiori (Consuetudinem praeter legem). L'art 8 delle stesse preleggi precisa che nelle materie regolate da legge e da regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati (consuetudinem secundum legem); non può esistere la consuetudinem contra legem.

In alcune disposizioni del codice civile sono espressamente richiamati gli usi, in particolare in materia di contratti.

In dottrina spesso si fa riferimento alle consuetudini, ma spesso si sbaglia anche perché si fa riferimento alle c.d. consuetudini interpretative che non sono comportamenti sociali a cui la stessa comunità attribuisce forza vincolante, ma la costante interpretazione di una disposizione di legge da parte di interpreti. Queste dunque non sono fonti del diritto, ma solo una interpretazione stabile degli interpreti rispetto al significato di una certa disposizione.


Il rinvio a norme di altri ordinamenti

Il principio di esclusività, che è espressione della sovranità dello stato, gli attribuisce il potere esclusivo di riconoscere le proprie fonti, per consentire alle norme prodotte da altri ordinamenti di operare all'interno dell'ordinamento statale si opera attraverso la tecnica del rinvio.

Esistono 2 tipi di rinvio:

il rinvio mobile è il meccanismo attraverso il quale l'ordinamento recepisce la norma dell'altro ordinamento con ogni sua futura modifica;

il rinvio fisso invece è il meccanismo col quale si recepisce solo la norma, e alle sue future modifiche sarà necessario un altro atto di recepimento.










L'INTERPRETAZIONE


L'atto normativo è un documento scritto attraverso il quale il legislatore esprime la sua volontà di disciplinare una determinata materia. Come tutti i testi scritti, l'atto normativo è articolato in enunciati, tramite i quali il legislatore cerca di esprimere la sua volontà normativa. Questi enunciati vengono chiamati disposizioni per la loro imperatività.

È un errore comune pensare che gli enunciati scritti possano avere un significato preciso e univoco, infatti il compito di riportare a coerenza e univocità il sistema delle disposizioni è affidato all'interprete.


Distinzione tra interpretazione e applicazione:

l'applicazione del diritto consiste nell'applicazione di una norma generale e astratta a un caso particolare concreto. Es. : la norma dice che se è compiuto da chiunque e in qualsiasi circostanza il comportamento X deve esserci la conseguenza Y; Tizio tiene il comportamento X, e Tizio avrà la conseguenza Y.

Questo è il sillogismo giudiziale: premessa maggiore (la norma), premessa minore (il fatto), la conclusione (applicazione della norma al fatto).

Questa però è dottrina, infatti nella realtà la norma si presenta come l'interpretazione delle disposizioni, e anche il fatto è frutto dell'interpretazione, della costruzione qualificando singoli eventi. (esempio del furto al supermarket).

Il legislatore può cercare di risolvere certi gravi dubbi o di "forzare" l'interpretazione dei giudici con l'aggiunta di nuove disposizioni cercando di precisare il significato (interpretazione autentica), ma non è opera di interpretazione, anche perché non sarebbe permessa proprio dal principio di separazione dei poteri che vede la contrapposizione tra legis-latio e legi-executio.

Spetta allora ai giuristi l'interpretazione, tramite le tecniche sviluppatesi negli anni; ma che fare in caso di antinomie?


Le antinomie

si chiamano così i contrasti tra norme; si ha antinomia quando le disposizioni esprimono significati tra loro incompatibili, quando qualificano lo stesso comportamento in modi contrastanti (lo permettono e lo vietano, lo dichiarano obbligatorio e facoltativo, . ).

Talvolta è possibile tramite la c.d. interpretazione sistematica, attribuire un significato che le renda entrambe compatibili, altre volte invece bisogna scegliere tra le disposizioni in gioco.


Per fare ciò esistono 4 criteri:

il criterio cronologico;

il criterio gerarchico;

il criterio della specialità;

il criterio della competenza.













CRITERIO CRONOLOGICO E ABROGAZIONE

Il criterio cronologico dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella più recente a quella più antica: lex posterior derogat priori. Negli ordinamenti moderni, caratterizzati dal dinamismo è una cosa indiscutibile, in quanto è ovvio che la legge non può essere dettata una volta per tutte, ma deve adeguarsi al cambiamento della realtà.

La prevalenza della norma nuova sulla vecchia si esprime attraverso l'abrogazione (è l'effetto che la norma nuova produce nei confronti della norma vecchia, e consiste nella cessazione dell'efficacia della norma precedente). L'efficacia è l'idoneità di un fatto o di un atto a produrre effetti giuridici.

Vige il principio di irretroattività degli atti normativi, essi infatti dispongono solo per il futuro e non hanno effetti per il passato. Questo principio può però essere derogato, infatti è inserito all'art 11 delle preleggi come principio generale non recepito dalla costituzione (viene recepito solo riguardo le norme penali incriminatici).

Anche per l'abrogazione vale il principio di irretroattività: la vecchia norma perde efficacia dal giorno dell'entrata in vigore del nuovo atto, e questo significa non solo che non sarà più la regola dei rapporti giuridici sorti dopo quella data, ma anche che tutti i rapporti precedenti restano in piedi e rimangono regolati da essa. L'abrogazione, quindi, si usa in gergo dire che opera en nunc (da ora).

TIPI DI ABROGAZIONE:

L'art 15 delle preleggi elenca 3 ipotesi di abrogazione:

"per dichiarazione espressa del legislatore" (c.d. abrogazione espressa);

"per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti "(c.d. abrogazione implicita);

"perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore" (c.d. abrogazione tacita).

L'abrogazione espressa è il contenuto di una disposizione, e di solito è tra gli articoli finali in cui si scrive:"sono abrogate le seguenti disposizioni . ". Ovviamente ciò che il legislatore dispone vale per tutti (erga omnes).

L'abrogazione implicita non è disposta dal legislatore, che in questo caso non si è preoccupato di formulare una apposita disposizione, ma è il frutto dell'interpretazione del giudice che tra i suoi strumenti utilizza il criterio cronologico e preferisce la norma più recente a quella più vecchia. Di conseguenza questo procedimento ha valore solo nel singolo giudizio (inter partes) e non vincola gli altri giudici che secondo l'art 101 "sono soggetti solo alla legge".

L'abrogazione tacita è in tutto simile all'abrogazione implicita, l'unica differenza è che la prima porta a ritenere abrogata una o più leggi, la seconda invece porta a ritenere abrogata una o più disposizioni.


Abrogazione espressa

Abrogazione implicita

Abrogazione tacita

tempo

Ex nunc

Ex nunc

Ex nunc

spazio

Espressa dal legislatore

quindi:

Erga omnes

giudice tramite interpr. quindi :

Inter partes

giudice tramite interpr. quindi :

Inter partes

Portano a ritenere abrogato

Dipende dal legislatore

Una o più disposizioni

Una o più leggi

La deroga è diversa dall'abrogazione: è semplicemente una eccezione alla regola. Infatti la deroga nasce da un contrasto tra una norma generale (derogata), e una particolare (eccezione, derogante).

La differenza tra norma derogata e norma abrogata sta nel fatto che la prima vede limitato il sua campo d'azione (che aumenta in caso di abrogazione della deroga)e non perde proprio la sua efficacia, a differenza della seconda (che può essere riacquistata per volere del legislatore tramite la riviviscenza della norma abrogata).

La sospensione è simile alla deroga infatti è la sospensione dell'applicazione di una norma per un certo periodo e per certe categorie di persone.

CRITERIO GERARCHICO E ANNULLAMENTO

Il criterio gerarchico dice che in caso di contrasto tra 2 norme si deve preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato: lex superior derogat legi inferiori.

Anche questo è un criterio indiscutibile per gli ordinamenti moderni che sono strutturati secondo una pluralità di fonti disposte sui diversi gradini di una scala gerarchica.

La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l'annullamento.

L'annullamento è l'effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto, di una disposizione o di una norma. A seguito della dichiarazione di illegittimità l'atto, la disposizione o la norma perdono validità (conformità di un atto o di un negozio giuridico rispetto alle norme che lo disciplinano). L'atto invalido è viziato e mentre l'abrogazione opera nel ricambio fisiologico dell'ordinamento, l'annullamento colpisce le situazioni patologiche che si verificano in esso. I vizi possono essere di 2 tipi:

o   formali: riguardano la forma dell'atto (organo che lo emana, procedimento seguito);

o   sostanziali: riguardano i contenuti normativi (antinomia con altre disposizioni).

Quando un giudice dichiara l'illegittimità di un atto normativo, questa dichiarazione ha effetti erga omnes, in seguito ad essa l'atto annullato non può essere più applicato a nessun rapporto, anche se sorto in precedenza all'annullamento. Quindi al contrario dell'abrogazione, l'annullamento opera ex tunc, non solo per il futuro, ma anche per il passato. Questo vale però solo per i rapporti che possono essere ancora sottoposti al giudice, i c.d. rapporti pendenti (e non per quelli esauriti: già passati in giudicato, caduti in prescrizione, o cessati per acquiescenza).

Abrogazione

Annullamento

cronologico

Gerarchico

Fisiologia dell'ordinamento

Patologia dell'ordinamento

Ex nunc

Ex tunc

Erga omnes (se espressa);

Inter partes (negli altri casi)

Erga omnes








Il criterio gerarchico prevale su quello cronologico di regola.


CRITERIO DELLE COMPETENZE

Il criterio delle competenze non si presta a una definizione in forma di regola per l'interprete, questo perché è un criterio esplicativo e non prescrittivi poiché serve a spiegare come è organizzato attualmente il sistema delle fonti.

Questo criterio nasce dall'introduzione della costituzione rigida, dall'inserimento di una fonte sovrapposta alla legge ordinaria che ha comportato che accanto alla legge formale siano presenti altre leggi o atti equiparati alla legge formale, a cui la costituzione affida delle competenze particolari (si pensi per esempio ai regolamenti parlamentari o alla legge regionale).

Ecco cosa spiega il criterio delle competenze: che la gerarchia delle fonti non basta più a darci il quadro esatto del sistema, perché all'interno dello stesso grado gerarchico, vi sono suddivisioni non spiegabili in termini di forza (di gerarchia), ma di "competenza".

Questo criterio può assumere 2 diverse forme:

tra due fonti può sussistere una separazione di competenze come per esempio la legge ordinaria e i regolamenti parlamentari ai quali la costituzione assegna (riserva) in via esclusiva la disciplina dell'organizzazione delle camere e del procedimento di formazione delle leggi;

può sussistere anche una sorta di preferenza per la disciplina di una particolare materia, come per esempio i rapporti tra la legge regionale e la legge statale: infatti è ammesso che il legislatore nazionale disciplini le materie affidate alle regioni, fino a quando queste ultime non abbiano usato delle competenze ad esse riconosciute dalla costituzione. In questo caso le norme statali non sono subito invalide, ma lo diventano non appena le regioni emanano le loro leggi.

CRITERIO DELLA SPECIALITA'

Il criterio della specialità dice che in caso di contrasto tra 2 norme si deve preferire la norma speciale a quella generale, anche se questa è successiva: lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali.

Questo criterio non è però ben codificato, soprattutto perché non è facile stabilire cosa sia "genere" e cosa sia "specie" (esempio degli alloggi di pubblica edilizia:la precedenza si da al militare non residente e con famiglia poco numerosa, o al cittadino residente con famiglia numerosa?).

La preferenza per la norma speciale non si esprime ne con il riferimento alla validità, ne con quello all'efficacia; le norme in conflitto rimangono entrambe valide ed efficaci in quanto l'interprete opera solo una scelta: per questo si può dire che la deroga sia l'effetto tipico della prevalenza della norma speciale su quella generale.

Rapporti tra criterio di specialità e altri criteri

Se la norma generale è successiva:




Generale>speciale

 

È preferita la norma generale

 






Se la norma speciale è successiva:











È evidente che il criterio della specialità opera tra norme, quindi si basa sull'interpretazione, e di conseguenza avrà effetti solo inter partes. A volte però è lo stesso legislatore che tramite la c.d. eccezione inserisce una clausola, solo in questo caso gli effetti sono erga omnes.

Abrogazione

Annullamento

Deroga

cronologico

Gerarchico

Di specialità

Fisiologia dell'ordinamento

Patologia dell'ordinamento

Complessità dell'ordinamento

Ex nunc

Ex tunc

Ex nunc

Erga omnes (se espressa);

Inter partes (negli altri casi)

Erga omnes

Inter partes

Erga omnes (se espressa)








RISERVA DI LEGGE E PRINCIPIO DI LEGALITA'


La riserva di legge è lo strumento con cui la costituzione regola il concorso delle fonti nella disciplina di una determinata materie; essa perciò è una regola circa l'esercizio della funzione legislativa: impone al legislatore di disciplinare una determinata materia, impedendogli di lasciare che essa venga disciplinata, in tutto o in parte, da atti che stanno ad un livello gerarchico più basso della legge.

La complessità e la differenziazione dell'ordinamento giuridico che si cerca di spiegare attraverso il criterio della competenza, è prodotto proprio dalla riserva di legge

Il principio di legalità affonda le sue radici nello stato di diritto, prescrive che l'esercizio di qualsiasi potere pubblico si fonda su una previa norma attributiva della competenza: la sua ratio è di assicurare un uso regolato, non arbitrario, giustificabile e controllabile del potere.

L'introduzione della costituzione rigida ha comportato l'estensione del principio di legalità anche a quelle attività in cui più direttamente si esprime la sovranità e che in precedenza erano considerate insindacabili, libere e politiche. La funzione legislativa è oggi sottoposta al principio di legalità ed è attribuita e regolata dalla costituzione. La riserva di legge perciò si presenta come l'espressione dell'estensione della legalità alla stessa attività legislativa.



TIPOLOGIE

Bisogna innanzitutto fare la distinzione tra riserve di legge e riserve ad altri atti; all'interno delle riserve di legge bisogna distinguere le riserve alla legge formale ordinaria e le riserve alle fonti primarie (cioè alla legge ordinaria e alle fonti equiparate_ vedi 21); infine tra quest'ultime si può fare la distinzione in assolute, relative e rinforzate.


Riserve a favore di altri atti sono

le riserve a favore della legge costituzionale (l'art 138 inserisce un particolare procedimento per la revisione costituzionale);

le riserve a favore dei regolamenti parlamentari;

le riserve a favore dei decreti di attuazione degli statuti speciali.



Riserve di legge:

Formale: impone che sulla materia intervenga il solo atto legislativo prodotto attraverso il procedimento parlamentare con esclusione quindi degli atti equiparati alla legge; la ratio di questa riserva è: sono riservate all'approvazione parlamentare tutte quelle leggi che rappresentano strumenti attraverso i quali il parlamento controlla l'operato del governo.

Ordinaria: prescrive che la materia da essa considerata sia disciplinata dalla legge ordinaria e dalle fonti equiparate, escludendo e limitando l'intervento di atti "inferiori", cioè dei regolamenti amministrativi; la ratio di questa riserva è: assicurare che la disciplina di materie particolarmente importanti venga decisa con la garanzia tipica insita nel procedimento parlamentare.







Una ulteriore distinzione delle riserve di legge ordinaria è:

riserva assoluta: esclude qualsiasi intervento di fonti sub-legislative dalla disciplina della materia, che pertanto, dovrà essere integralmente regolata dalla legge formale ordinaria o da atti ad essa equiparati; la ratio di questa riserva è: le libertà fondamentali sono rivendicate contro il potere coercitivo dello stato, che è detenuto dal governo e dalle strutture dei pubblici poteri che dipendono da esso. L'esempio tipico è l'art 13.2 che consente arresti, perquisizioni e altro solo nei soli casi e modi previsti dalla legge (e non dai regolamenti dell'esecutivo!).

riserva relativa: non esclude che alla disciplina della materia concorra anche il regolamento amministrativo, ma richiede che la legge disciplini preventivamente almeno i principi a cui il regolamento deve attenersi; ponendo la riserva relativa di legge, la costituzione pone quindi contemporaneamente un vincolo al legislatore (che deve dettare almeno la disciplina generale della materia) e al potere esecutivo (i cui atti sono sottoposti in forza della riserva relativa, al principio di legalità).

riserva rinforzata: è un meccanismo con cui la Costituzione non si limita a riservare la disciplina di una materia alla legge, ma pone ulteriori vincoli al legislatore. Si possono distinguere:

o   riserve rinforzate per contenuto: si hanno in quei casi in cui la Costituzione prevede che una determinata regolazione possa essere fatta dalla legge ordinaria soltanto con contenuti particolari; la ratio di questa riserva è: limitare il potere del legislatore in modo che eventuali leggi che intendessero comprimere la sfera delle libertà degli individui potranno essere considerate legittime soltanto a condizione che siano razionalmente giustificabili o che non siano ispirate a intenti discriminatori.

o   Riserve rinforzate per procedimento: prevedono invece che la disciplina di una determinata materia debba seguire un procedimento aggravato (rinforzato) rispetto al normale procedimento legislativo; la ratio di queste riserve è: limitare il potere della maggioranza politica nei confronti delle minoranze, siano esse comunità religiose o locali: la maggioranza può fare la legge solo al costo di ottenere il consenso dei soggetti che rappresentano la comunità minoritaria interessata.






















COSTITUZIONE E LEGGI COSTITUZIONALI

La costituzione del 1948 rappresenta il vertice della gerarchia delle fonti dell'ordinamento italiano, essa è il fondamento di validità delle fonti primarie di cui detta la disciplina. È una costituzione rigida, il cui mutamento (revisione costituzionale), è soggetto a un procedimento particolare; con tale procedimento sono approvate anche le altre leggi costituzionali che la costituzione stessa prevede per la sua integrazione.

Procedimento: è una variazione del procedimento legislativo ordinario, infatti come quest'ultimo vede per la sua deliberazione una maggioranza relativa, per il procedimento per le leggi costituzionali, ai sensi dell'art , sono previste 2 deliberazioni successive di ciascuna camera, distanziate di 3 mesi: la prima a maggioranza relativa, la seconda se sarà a maggioranza qualificata dei 2/3 prevede la istantanea promulgazione, se invece vedrà una maggioranza assoluta (metà più uno) ci sarà un ulteriore passaggio facoltativo (il referendum popolare) e poi la promulgazione.

PRIMA IPOTESI:

Camera I: 2.a approvazione:

maggioranza dei 2/3

 

Camera I: 1.a approvazione:

maggioranza relativa

 

















SECONDA IPOTESI:



















Il provvedimento può essere intraprese indifferentemente d ciascuna delle 2 Camere.

Questo doppio canale tracciato dall'art 138 è frutto di grande saggezza; la via principale per modificare la costituzione è il consenso di uno schieramento di forze politiche così vasto da riprodurre le stesse condizioni di compromesso tra le diverse componenti politiche che hanno consentito la nascita della costituzione (prima ipotesi). Però per non rendere troppo difficile il meccanismo e per non regalare a minoranze parlamentari quello che sarebbe effettivamente un diritto di veto, si è prevista anche la possibilità che la modificazione sia voluta e decisa dalla sola maggioranza (tramite la seconda ipotesi).

L'appello al popolo è un passaggio solo eventuale: rappresenta una sorta di veto che il corpo elettorale può esercitare, su sollecitazione delle minoranze, nel caso in cui la legge sia approvata da una maggioranza limitata.


Limiti

non tutta la costituzione è revisionabile, infatti vi è almeno un limite esplicito alla revisione del testo costituzionale, ed è rappresentato dall'art 139:"la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale".

La scelta della repubblica era stata compiuta dal popolo prima dell'assemblea costituente, e se si fa riferimento al referendum istituzionale del 1946 col quale si scelse la repubblica, bisogna interpretare la locuzione "forma repubblicana" in senso restrittivo.

Invece la locuzione la si è collegata da sempre all'art 1 col quale si ritiene la forma repubblicana inscindibile dal carattere democratico della repubblica e dall'appartenenza della sovranità al popolo

Così si arricchisce di contenuti il limite esplicito, mettendo al riparo dalla revisione principi permeanti della cultura democratica quali il carattere elettivo e rappresentativo delle istituzioni, la libertà e l'uguaglianza del voto.


I principi supremi della costituzione:

Con le sentenze 30 e 31 la Corte Costituzionale aveva affermato che le nome di altri ordinamenti che vengono immesse nel nostro ordinamento attraverso rinvii (vedi 12) non possono violare i principi supremi della costituzione. Più di recente la corte ha riaffermato la non derogabilità dei principi supremi, con 2 conseguenze:

la prevalenza dei principi supremi sulle norme comunitarie comporta la non applicabilità in Italia delle norme che siano in contrasto con tali principi;



se solo i principi supremi resistono all'immissione di norme comunitarie, ciò significa che nell'ambito delle norme costituzionali si può tracciare una gerarchia che vede sotto ai principi supremi inderogabili, norme costituzionali di dettaglio da ritenersi derogabili nei confronti delle norme comunitarie

Un ultimo passo si è avuto con la sentenza della corte costituzionale che prevede che i principi supremi siano sottratti anche a revisione costituzionale: quindi i principi supremi sono inderogabili e non abrogabili.














LEGGE FORMALE E ATTI CON FORZA DI LEGGE


La legge formale è l'atto normativo prodotto dalla deliberazione delle camere e promulgato dal Presidente della Repubblica; la forma della legge è quindi articolata dal particolare procedimento prescritto dalla costituzione per la sua formazione. Attraverso questo procedimento sono formate sia le leggi ordinarie che quelle costituzionali (quest'ultime attraverso un procedimento aggravato, ma simile), quindi con legge formale si indica sia la legge che occupa lo stesso gradino della costituzione (legge costituzionale), che quella subito inferiore (legge ordinaria).

Gli atti con forza di legge sono invece atti normativi che non hanno la "forma" della legge, cioè non sono prodotti dalla deliberazione delle camere e promulgati dal presidente della repubblica, ma sono equiparati ugualmente alla legge formale: possono quindi abrogarla (stessa forza attiva), essere abrogati (stessa forza passiva), o anche sostituirsi alla legge laddove la Costituzione non ponga una riserva di legge formale (vedi 17).

Leggi formali e atti con forza di legge costituiscono insieme le fonti primarie.


"La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle 2 camere": questo è l'art 70 della Costituzione; gli art/i subito successivi (dal 71 al 74) dettano la disciplina di massima del procedimento (quella di dettaglio è rinviata ai regolamenti delle Camere).

Rispetto a questa regola che attribuisce alle camere la funzione legislativa, gli atti con forza di legge rappresentano un'eccezione, sono l'espressione di una "funzione legislativa" non svolta in "forma" legislativa. Essendo una deroga alla regola costituzionale, può essere prevista solo da fonti gerarchicamente pari alla costituzione, infatti negli articoli seguenti si stabilisce:

art 75: il referendum abrogativo delle leggi;

art 76: il decreto legislativo delegato;

art 77: il decreto legge;

art 78: i decreti del governo in caso di guerra;

il decreto dei attuazione dello statuto

Solo questi sono gli atti con forza di legge; eventuali innovazioni possono essere aggiunte solo tramite legge costituzionale, e qualsiasi tentativo del legislatore ordinario sarebbe illegittimo per violazione dell'art 70: questo principio si traduce nel divieto alla legge ordinaria di creare fonti con essa concorrenziali.


PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

Il procedimento è costituito da 3 parti, ognuna delle quali è il prodotto di un sub procedimento:

iniziativa legislativa

deliberazione legislativa delle camere

promulgazione


L'iniziativa legislativa: consiste nella presentazione di un progetto di legge ad una Camera, nel linguaggio tecnico i progetti di legge si chiamano disegni di legge se presentati dal governo, proposte di legge negli altri casi, e constano sostanzialmente di 2 parti: il testo dell'articolato da proporre alla camera, e una relazione che ne illustri scopi e caratteristiche salienti.

L'iniziativa legislativa è riservata dalla Costituzione o da altre leggi costituzionale (cui pure rinvia l'art 71.1) ad alcuni soggetti tassativamente indicati (vedi 22):

- Iniziativa governativa - iniziativa parlamentare

- Iniziativa popolare - iniziativa regionale

- Iniziativa del CNEL (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro)

L'iniziativa legislativa non comporta un obbligo per la Camera di deliberare, il progetto presentato è stampato e distribuito ai membri, poi sta alla conferenza dei capogruppo decidere gli argomenti da trattare: la pratica del c.d. insabbiamento è quindi da vedersi come il risultato del disinteresse dei gruppi parlamentari nei confronti della proposta.

- Iniziativa governativa: il Governo è l'unico soggetto che ha potere di iniziativa su tutte le materie, e  su quelle coperte da riserva di legge formale è il solo organo ad avere riservata l'iniziativa legislativa. La formazione del disegno di legge è organizzata anch'essa in un procedimento: vi è l'iniziativa di uno o più ministri, la deliberazione del Consiglio dei Ministri, l'autorizzazione del Presidente della Repubblica, e al termine la presentazione della norma alla Camera.

Ma a quale camera va presentata la norma? Questa è una scelta che spetta al governo, che si regola secondo ragioni di opportunità politica, però si è sviluppata la prassi di iniziare il procedimento relativo ad alcune leggi ricorrenti (quali le leggi relative al bilancio) un anno davanti ad una camera, e il successivo davanti all'altra. Questa prassi dell'alternanza, motivata da regole di correttezza ha come risultato il rafforzamento del principio del bicameralismo perfetto, tanto da parlare di bicameralismo piuccheperfetto.

- Iniziativa parlamentare: ogni deputato e ogni senatore può presentare progetti di legge alla camera cui appartiene, salvo ovviamente per le materie in cui l'iniziativa è riservata al governo.

- Iniziativa popolare: l'art 71.2 prevede che il progetto di legge possa essere presentato da parte di 50.000 elettori.

Iniziativa regionale: l'art 121.2 riconosce ai consigli regionali il potere di presentare progetti di legge alle camere. Le norme degli statuti speciali si collegano a questo discorso parlando di limite e ponendo come unica restrizione alle materie l'"interesse regionale": tale clausola però risulta assai elastica.

- Iniziativa del CNEL: l'art 99 stabilisce questa disciplina senza porre limiti; l'unico limite in realtà è la scarsa funzionalità dell'organo.


L'approvazione delle leggi: l'art 72.1 vieta che un progetto di legge sia discusso direttamente dalla camera, infatti prima deve essere esaminato dalla commissione permanente competente. Ma le funzioni che la commissione è chiamata a svolgere sono diverse a seconda della sede in cui è chiamata a esaminare il progetto. In relazione alle diverse funzioni che svolgono la commissione e l'aula (assemblea) si distinguono 3 tipi di procedimenti principali:

o   procedimento ordinario (per commissione referente);

o   procedimento per commissione deliberante (o legislativa);

o   procedimento per commissione redigente.

Procedimento ordinario

Spetta al Presidente della Camera individuare la commissione competente per materia salvo che un presidente di un gruppo o 10 deputati proponga una assegnazione diversa, provocando un voto dell'aula. Il presidente della commissione o un relatore incaricato espone le linee generali della proposta di legge, provocando una discussione su di essa. Si passa poi alla discussione articolo per articolo e alla votazione di eventuali emendamenti (modifiche al testo originale). Alla fine il testo viene approvato assieme ad una relazione finale, nella quale viene esposta l'attività svolta e gli orientamenti emersi durante i lavori; infine viene nominato un relatore che ha l'incarico di riferire il tutto all'aula.

In aula la discussione procede per 3 letture che rispecchiano le fasi della discussione in commissione:

la prima lettura è introdotta dal relatore e consiste nella discussione generale, e può chiudersi con il voto di un "ordine del giorno di non passaggio degli articoli", che decreterebbe la conclusione negativa del procedimento;

se questo non avviene, senza bisogno di votazione si passa alla seconda lettura, che prevede la discussione articolo per articolo e degli eventuali emendamenti, e infine la votazione del testo definitivo di ogni articolo;

terminata questa fase l'aula procede alla terza lettura che consiste nell'approvazione finale dell'intero testo.

Le votazioni avvengono per voto palese e al maggioranza richiesta e quella relativa

Procedimento per commissione deliberante

È una particolarità del nostro ordinamento, prevista dall'art 72.3 cost. Consente alla commissione di assorbire tutte le fasi del procedimento di approvazione sostituendo l'aula: la commissione esaurisce tutte e tre le letture senza che il progetto di legge debba essere discusso e votato dall'assemblea. Data la sua particolarità è circondato da 3 garanzie in particolare:

alcune materie sono escluse dal procedimento per commissione deliberante: l'art 72.4 infatti prescrive il procedimento ordinario per le proposte di legge costituzionale, per le leggi in materia elettorale, per le leggi di delegazione legislativa, per le leggi di ratifica dei trattati internazionali e per le leggi di approvazione dei bilanci. Per queste materie vi è dunque una riserva di assemblea.

Per la composizione della commissione deliberante l'art 72.3 cost dispone che sia seguito il criterio della rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari

Quanto all'assegnazione della proposta alla commissione:

o   nel senato la decisione spetta al presidente e non è opponibile;

o   alla camera invece il regolamento prevede che il presidente abbia solo potere di proposta, che si considera accettata se nessun deputato chiede di sottoporla al voto dell'assemblea.

Inoltre in qualsiasi momento se ne fanno richiesta il governo o 1/10 delle minoranze politiche della camera, il progetto può essere rimesso all'assemblea.


Procedimento per commissione redigente

Questo procedimento è una via di mezzo tra i 2 precedenti: non è previsto dalla costituzione, ma dai regolamenti parlamentari. Il tratto comune è che questo procedimento serve a sgravare l'assemblea dalla discussione e approvazione degli emendamenti, decentrandoli in commissione e riservando all'aula solo l'approvazione finale. Per questo procedimento valgono le stesse garanzie che circondano il procedimento per commissione deliberante (riserva di assemblea, e richiesta che il progetto sia respinto all'aula).


Esauriti i lavori in una camera il progetto di legge viene trasmesso all'altra Camera; qui il procedimento di approvazione inizia da capo, con la facoltà per la seconda camera di scegliere indistintamente tra i 3 procedimenti. Essa è libera di apportare emendamenti al testo approvato dalla prima camera, con la conseguenza che questa dovrà esaminare il testo del progetto per una seconda volta. Il progetto potrà viaggiare tra le 2 camere (navette) fino a quando le 2 camere non avranno approvato lo stesso medesimo testo. Solo a questo punto la fase dell'approvazione sarà conclusa.


La promulgazione della legge

Conclusa la fase precedente la legge è perfetta ma non ancora efficace (cioè produttiva di effetti giuridici). L'efficacia gli viene data dalla promulgazione da parte del presidente della repubblica, al quale il governo trasmette la legge. Il presidente svolge un controllo formale (stesso testo) e sostanziale: egli ha il potere di rinviare la legge alle camere con un messaggio motivato. Il rinvio della legge può essere disposto sicuramente per motivi di illegittimità costituzionale, ma al contrario non può essere disposto per motivi attinenti al merito politico della legge.

Sia l'atto di promulgazione, che l'eventuale messaggio di rinvio devono essere controfirmate dal presidente del consiglio che è in grado di svolgere un controllo cui corrisponde l'assunzione di responsabilità politica.

Inoltra il rinvio può essere compiuto una volta sola, il potere di rinvio non è quindi un potere di veto, ma solo una forma di controllo con richiesta di riesame, superabile dal parlamento con la riapprovazione della legge stessa.

Alla promulgazione segue la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale.


LEGGI RINFORZATE E FONTI ATIPICHE

Non tutte le leggi sono uguali. Attraverso il meccanismo della riserva di legge e in particolare di quella rinforzata, la Costituzione ha creato alcune categorie di leggi che si spostano dai cliché della legge ordinaria.

In alcuni casi ha previsto che per disciplinare una determinata materia bisogni seguire procedimenti particolari di formazione della legge, più complessi di quello ordinario (leggi rinforzate); in altri casi ha previsto che una determinata legge abbia una collocazione particolare nel sistema delle fonti, non avendo esattamente la stessa forza attiva o la stessa forza passiva delle altre leggi ordinarie (leggi atipiche).


Leggi rinforzate:

le leggi rinforzate previste dalla nostra costituzione sono l'art 7 (divieto per lo stato di agire unilateralmente per modificare il concordato del 1929), l'art 8 (riguardo le intese) e il nuovo art 116, sono necessari però alcuni chiarimenti.


Le leggi rinforzate sono tali non perché sia rafforzato il procedimento parlamentare prescritto per la loro formazione, ma perché è reso più complesso dell'ordinario il procedimento di formazione del progetto di legge. In questo modo ne risentirà anche il procedimento di approvazione, il parlamento infatti non potrà procedere a emendare unilateralmente il testo proposto dal governo (che è a sua volta frutto di un procedimento costituzionalmente vincolato)






Le riforme costituzionali degli ultimi anni manifestano la tendenza ad introdurre leggi rinforzate che incidono proprio sul procedimento di formazione della legge e non solo del progetto di legge; per esempio il nuovo art 116 (dopo la riforma del Titolo V) stabilisce che la legge intende riconoscere a determinate regioni "forma e condizioni particolari di autonomia", e qui oltre al rafforzamento del procedimento di formazione del disegno di legge, è anche stabilito che debba esserci l'approvazione di ciascuna camera a maggioranza assoluta.







I procedimenti rinforzati sono procedimenti specializzati, seguiti per produrre leggi anch'esse specializzate. Per esempio solo con il procedimento dell'art 79 si può produrre una legge di amnistia o indulto, ma vale anche il reciproco, ossia che con quel procedimento si possono approvare soltanto leggi con quello specifico contenuto; sono atti che hanno dunque competenza riservata e limitata.







Fonti atipiche:

Non appartengono interamente al "tipo" della legge ordinaria quegli atti legislativi, che pur avendo la stessa forma della legge hanno una posizione particolare nel sistema delle fonti per quanto riguarda la loro forza. Sono ipotesi eterogenee che non hanno una caratteristica univoca, o una categoria precisa; 2 sono le ipotesi principali:

sono atipiche perché dotate di una forza passiva potenziata le leggi che l'art 75.2 esclude dal referendum abrogativo

sono atipiche anche le c.d. leggi meramente formali. Con questa denominazione vengono indicati alcuni atti che hanno necessariamente la forma della legge (sono cioè coperti da riserva di legge formale) ma non hanno un contenuto normativo paragonabile a quello tipico delle leggi (cioè non introducono norme capaci di produrre effetti giuridici generali nell'ordinamento). Gli esempi più evidenti sono le leggi di approvazione del bilancio:

Sono approvati con legge sia il bilancio di previsione dello stato che il rendiconto consuntivo:

la legge di approvazione del rendiconto consuntivo è senz'altro una legge priva di contenuti normativi: con questo atto il parlamento esercita il controllo su un documento che riporta dati contabili, di certo non può prendere decisioni o iniziative di modifica;

la legge di approvazione del bilancio di previsione è una fonte atipica proprio in base ai limiti introdotti dalle costituzioni rigide; l'art 81.3 (vedi 6) vieta che con la legge di bilancio siano stabiliti nuovi tributi e nuove spese.


LEGGE DI DELEGA E DECRETO LEGISLATIVO DELEGATO

La legge di delega è la legge con cui le Camere possono attribuire al Governo il proprio potere legislativo. Il decreto legislativo (o decreto delegato) è il conseguente atto con forza di legge emanato dal governo in esercizio della delega conferitagli. Lo strumento della delega legislativa è usato soprattutto per affrontare argomenti tecnicamente molto complessi e tecnici.

La delega di funzioni legislative al governo è una eccezione alla regola generale stabilita dall'art 70 cost, per cui la funzione legislativa è esercitata dal parlamento; l'art 76 delimita il potere di delega, fissando alcuni vincoli precisi alla legge di delegazione, il cui mancato rispetto costituisce un vizio di illegittimità.

Caratteristiche della delega

la delega può essere conferita esclusivamente con legge formale, si tratta cioè di una delle materie coperte da riserva di legge formale;

la delega può essere conferita soltanto al governo inteso nella sua collegialità (e non ai singoli organi);

l'art 76 prescrive che la legge di delega contenga delle indicazioni minime (i c.d. contenuti necessari):

o   deve restringere l'ambito tematico della funzione delegata, indicando un soggetto definito; la delega non può essere generale perché altrimenti il parlamento svuoterebbe di significato l'art 70, ma deve riguardare singoli argomenti;

o   deve restringere l'ambito temporale della funzione delegata, indicando un tempo limitato entro il quale il decreto deve essere emanato. Non vi sono però criteri precisi per determinare la durata della delega: l'art 14.4 della l 400/1988 si limita a fissare un regola procedurale, e cioè che se il termine previsto per l'esercizio della delega eccede i 2 anni, il governo  è tenuto a sottoporre lo schema di decreto delegato alle commissioni permanenti delle 2 camere;

o   deve restringere l'ambito della discrezionalità del Governo, indicando i principi e criteri direttivi che servono da guida per l'esercizio del potere delegato; la corte costituzionale ha stabilito che una legge di delega che non rispetta i criteri e i principi imposi dalla delega e illegittima: però troppo scarsi e inutili sono i principi che il parlamento di solito offre, e questa scarsità si traduce in una ridotta capacità del decreto delegato di innovare ai principi della legislazione vigente.

Il decreto legislativo delegato

Il potere esecutivo esercita le proprie funzioni attraverso la forma del decreto, e quanto ai decreti emanati in forza alla legge di delega si è detto che assumono il nome di decreti delegati; la loro formazione segue questo iter:

proposta del ministro (o dei ministri) competente

delibera del consiglio dei Ministri

eventuali adempimenti ulteriori, se prescritti dalla legge di delega o dall'ex art 14.4 della L 400/1988;

eventuale deliberazione definitiva del Consiglio dei Ministri, a seguito dei pareri espressi dai soggetti consultati

emanazione da parte del presidente della Repubblica (art 87.5).

Di tutte le fasi deve essere data indicazioni nella premessa del decreto.

L'art 14 della legge 400 introduce il nome di Decreto Legislativo, e gli conferisce la numerazione progressiva delle leggi; inoltre risolve un dubbio interpretativo: cioè se per evitare la scadenza della delega bastasse che entro il termine fissato fosse deliberato il decreto dal Consiglio dei Ministri, o se invece era necessaria (come è stato affermato) la sua emanazione da parte del Presidente della Repubblica.


Deleghe accessorie e testi unici

Spesso la delega non costituisce il principale contenuto della legge approvata dal parlamento, ma un suo completamento; capita cioè che nelle norme finali di una legge di riforma il parlamento deleghi il governo ad emanare norme di attuazione, di coordinamento o transitorie.

Un particolare caso di delega accessoria è quella che autorizza il governo a coordinare le leggi esistenti in una certa materia, raccogliendole in un testo unico.


DECRETO LEGGE E LEGGE DI CONVERSIONE

Il decreto legge è un atto con forza di legge che il governo può adottare "in casi straordinari di necessità e urgenza": entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti-legge "perdono efficacia fin dall'inizio" qualora il parlamento non li converte in legge entro 60 gg dalla pubblicazione in gazzetta

La disciplina è contenuta nell'art 77 cost e nell'art 15 della L 400/1988. Quest'ultima disposizione prevede che il decreto-legge non può essere emanato nelle materie coperte da riserva di assemblea.

Procedimento

Il decreto legge deve essere deliberato da Consiglio dei Ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e immediatamente pubblicato in Gazzetta. Per il decreto legge vale quanto si è detto sulla premessa del decreto delegato, ma con qualcosa in più infatti l'art 15 della L 400/1988 prescrive che esso sia pubblicato con la denominazione di "decreto legge" e con l'aggiunta delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l'adozione.

La cosa più interessante è che lo stesso decreto legge stabilisce il momento della sua entrata in vigore che di solito è il giorno stesso o il giorno successivo. Il giorno stesso della pubblicazione deve essere presentato alle Camere che anche se sciolte sono appositamente convocate entro 5 giorni (prorogatio). Presentando il DL il Governo chiede al Parlamento di produrre la legge di conversione; si da avvio ad un procedimento che entro 60 gg deve essere concluso.

Il regolamento del Senato prevede ancora il parere obbligatorio espresso preliminarmente dalla commissione affari costituzionali sulla sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza; alla camera invece è stato tolto il parere preventivo della commissione affari costituzionali, però c'è un altro genere di filtro: nella relazione del governo deve essere dato conto dei presupposti di necessità e urgenza, la commissione referente a cui è affidato il disegno di legge di conversione può chiedere integrazioni alla relazione e il disegno è sottoposto sia alla commissione referente competente che al comitato per la legislazione.

Decadenza del decreto non convertito

I decreti legge se non convertiti in legge entro 60 giorni perdono efficacia si dall'inizio. Della mancata conversione per decorrenza del termine o del rifiuto di conversione da parte del parlamento viene data notizia immediata in Gazzetta ufficiale.

La perdita di efficacia è chiamata decadenza e costituisce un fenomeno unico e ben diverso dall'abrogazione e dall'annullamento. Infatti la decadenza travolge tutti gli effetti  del decreto legge, tanto da creare situazioni paradossali: quando il decreto entra in vigore esso è pienamente efficace e va applicato, ma se decade tutto ciò che si è compiuto in forza di esso è come se fosse stato compiuto senza una base legale, tutti gli effetti prodotti costituiscono illeciti e va ripristinata la situazione precedente.

In molti casi la situazione che si crea è insostenibile (come si fa a restituire l'importo ato a seguito dell'aumento di un prezzo imposto?), e l'art 77 presenta 2 strumenti per trovare una soluzione:

la c.d. legge sanatoria: è una legge riservata alle camere con cui si possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base di un decreto non convertito; vanno considerati 2 aspetti però:

o   il parlamento quando decide di non convertire il decreto legge non è affatto tenuto ad approvare la legge di sanatoria: è una decisione politica così come quella di coprire la responsabilità  meno del governo;

o   non è sempre e comunque praticabile

altro strumento è nell'inciso dell'art 77.2: "il governo adotta sotto sua responsabilità provvedimenti provvisori . " e la responsabilità di cui si parla non è solo politica, ma anche e soprattutto civile, penale e contabile-amministrativa.

Questi strumenti se l'obiettivo è quello di evitare che il decreto decadendo lasci dietro di se effetti irreversibili, in parte sono efficaci; se invece si pensa a casi quali rinvio di elezione, immediata scarcerazione di imputati, . , o altre cose per le quali non c'è rimedio ci si accorge di quanto sia potente il decreto legge e di quanto può essere importante (in negativo) la decadenza dei decreti non convertiti.

Se i decreti legge fossero usati solo per le situazioni di calamità assai poca rilevanza pratica avrebbero i problemi teorici che la precarietà del decreto legge solleva. La velocità del procedimento ha innescato un circolo vizioso inarrestabile, e inoltre i tempi medi dell'iter parlamentare si sono allungati ulteriormente.

Se il decreto viene usato per varare una disciplina complessa, per la quale il procedimento ordinario sarebbe stato troppo dispersivo è improbabile che 60 gg bastino all'esame parlamentare, così si è sviluppata la prassi della reiterazione del decreto legge: alla scadenza dei 60 gg il governo emana un nuovo decreto legge che riproduce quello ormai scaduto. Si formano cosi catene di decreti legge, uno addirittura è stato reiterato per 29 volte. Solo la coste costituzionale è riuscita a mettere un argine alla prassi della reiterazione con la sentenza 360/1996: la reiterazione è ammissibile solo quando il nuovo decreto risulti fondato su motivi di necessità e urgenza, che non potranno essere ricondotti al fatto del ritardo conseguente alla mancata conversione.


Conversione

È venuto a galla però il problema della discussione degli emendamenti che è assai dispendiosa in ordine di tempo, tanto da imporre la reiterazione. Il governo non potendo più contare su di essa, e considerando il problema degli emendamenti dovrà fare in modo di non incontrare in sede di conversione emendamenti, e per fare ciò ha bisogno di un buon consenso nelle camere e soprattutto dovrà riportare il DL al suo vecchio impiego.





ALTRI DECRETI CON FORZA DI LEGGE

Sebbene il decreto-legge e il decreto legislativo delegato siano i 2 principali atti con forza di legge, esistono nel nostro ordinamento altri 2 decreti che occupano a stessa posizione nella scala gerarchica e sono:

i decreti emanati dal Governo in caso di guerra: l'art 78 dispone che le camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari;

i decreti legislativi di attuazione degli statuti speciali: gli statuti delle regioni speciali, che sono leggi costituzionali, prevedono che all'attuazione dello statuto e trasferimento delle funzioni, degli uffici e del personale dallo stato alla regione, si provveda con un particolare tipo di atto: un decreto legislativo emanato dal Presidente della repubblica, previa autorizzazione del Consiglio dei Ministri su proposta di una commissione paritetica (metà del governo e metà delle regioni); sono atti con forza di legge a cui è attribuita una competenza specifica e riservata.



REGOLAMENTI PARLAMENTARI (e di altri organi costituzionali)

Il regolamento parlamentare è l'atto cui l'art 64 riserva la disciplina dell'organizzazione e del funzionamento di ciascuna camera, con un particolare riferimento nel processo legislativo (art 72); esso è approvato a maggioranza assoluta dalla camera e pubblicato in gazzetta. Sono fonti primarie inferiori soltanto alla costituzione, ma con le altre fonti primarie non ha alcuna relazione se non quella di reciproca esclusione, quindi i regolamenti parlamentari non sono atti con forza di legge.

La corte costituzionale ha negato di poter sindacare la legittimità dei regolamenti parlamentari poiché questi non rientrano tra gli atti con forza di legge di cui la corte di deve occupare ai sensi dell'art 134, ma sono espressione dell'indipendenza garantita al parlamento, anche dalla Corte costituzionale.


Anche gli altri organi costituzionali sono dotati della stessa autonomia riconosciuta alle camere?

il governo no, perché l'art 95.3 pone una riserva di legge per l'ordinamento della Presidenza del Consiglio e per l'organizzazione dei ministeri, e il regolamento interno del C d M non può essere certo considerato una fonte primaria visto che il suo limite e anche il suo fondamento è costituito dalla legge ordinaria

il Presidente della Repubblica anche adotta dei regolamenti, ma sono dei semplici strumenti di gestione amministrativa e non fonti dell'ordinamento generale

i regolamenti della corte costituzionale invece: è la legge ordinaria a ordinare che la CC può disciplinare l'esercizio delle sue funzioni con regolamento approvato a maggioranza dei suoi componenti, pubblicato in gazzetta e che il regolamento possa stabilire norme integrative di procedura le quali non possono disporre contro la legge, né impedire alla legge di sostituirle perché non hanno forza di legge.













REFERENDUM ABROGATIVO COME FONTE

Il referendum è la richiesta fatta al corpo elettorale di esprimersi direttamente su una determinata questione. Esso è dunque uno strumento di democrazia diretta, una delle forme in cui la costituzione prevede che il popolo eserciti la sua sovranità. Nel nostro sistema il principio è che la sovranità si esprime tramite la rappresentanza elettiva, per cui il referendum appare come una deroga che per sua stessa natura genera una situazione di concorrenza e conflitto con il sistema rappresentativo.

Perciò il costituente è stato imprudente ad affidare alla legge ordinaria, e quindi al sistema rappresentativo la disciplina del referendum.

All'emanazione della legge ordinaria si è provveduto nel 1970 a seguito di un compromesso tra cattolici e laici che vedeva su un piatto la legge sui referendum e sull'altro il non ostruzionismo riguardo alla legge che introduceva il divorzio. Il primo referendum abrogativo è stato nel 1972 ed ha avuto come oggetto proprio la legge sul divorzio.

Il referendum abrogativo è lo strumento con cui il corpo elettorale può incidere direttamente sull'ordinamento giuridico attraverso la abrogazione di leggi o atti con forza di legge dello Stato, oppure di singole disposizioni in essi contenute. Il fatto che con il referendum si possano togliere disposizioni e non anche aggiungerne di nuove, non significa affatto che non si possano introdurre norme nuove, come effetto della manipolazione del testo normativo: sottraendo singole parole dalle disposizioni scritte dal legislatore si producono significati diversi da quelli originali e cioè nuove norme.

Procedimento

Il referendum abrogativo richiede un lungo procedimento disciplinato dalla L 352/1970. l'art 75 prevede che esso possa essere proposto da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali:

I fase:

richiesta popolare: un gruppo di almeno 10 cittadini depositano presso la cancelleria della corte di Cassazione il quesito che intendono sottoporre al referendum, ne viene data notizia in gazzetta, ed entro 3 mesi devono essere raccolte 500.000 firme e depositate presso la cancelleria.

Richiesta regionale:i consigli di almeno 5 regioni devono approvare la richiesta a maggioranza assoluta indicando il quesito che va depositato presso la Cancelleria  della corte di cassazione;

le richieste vanno depositate dal 1 Gennaio al 30 Settembre.

II fase: presso la Cassazione si costituisce l'Ufficio centrale per il referendum che esamina le richieste per giudicarne la conformità alla legge (il parametro è la legge ordinaria): entro il 31 Ottobre può rilevare eventuali irregolarità che possono essere sanate. Questa fase si deve chiudere entro il 15 Dicembre con una decisione definitiva.

III fase: i quesiti dichiarati legittimi vengono trasmessi alla Corte Costituzionale per il giudizio di ammissibilità (il parametro è la costituzione). La decisione deve essere presa entro il 10 Febbraio successivo.

IV fase: se la corte dichiara ammissibile il referendum, il presidente della repubblica deve fissare il giorno della votazione tra il 15 Aprile e il 15 Giugno.

V fase: l'Ufficio centrale accerta che alla votazione abbia preso parte la maggiorana degli aventi diritto al voto e accertata la somma dei voti validi favorevoli proclama il risultato del referendum.

VI fase: se il risultato è favorevole all'abrogazione il Presidente della Repubblica con DPR dichiara l'avvenuta abrogazione, che viene pubblicata in gazzetta.


In 2 casi le procedure si interrompono:

scioglimento anticipato delle 2 camere;

prima dello svolgimento del referendum, viene abrogata la legge















































Gazzetta Ufficiale

 






REGOLAMENTI DELL'ESECUTIVO

Il termine regolamenti non esprime qualcosa di univoco: vi sono regolamenti espressione dell'autonomia organizzativa delle Camere e degli altri organi costituzionali; esistono poi regolamenti emanati dagli organi delle Regioni, degli enti locali e della Comunità europea; regolamenti emanati da organismi privati e pubblici come per esempio i regolamenti condominiali; vi sono poi i regolamenti dell'esecutivo, atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente legislativi: essi non si distinguono dalle leggi ordinarie per contenuto o importanza infatti vi sono leggi minute e di scarsa importanza (c.d. leggine) e poi ci sono regolamenti che dettano la disciplina di settori vastissimi di rilevantissimo interesse. I regolamenti dell'esecutivo sono fonti secondarie sottoposte nella gerarchia delle fonti alle fonti primarie (leggi e atti con forza di legge).

La recente riforma del Titolo V, con l'art 117.6 ha introdotto il principio di parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari, limitando la potestà del Governo di emanare regolamenti alle materie sulle quali lo stato ha potestà legislativa esclusiva e riservando alle regioni il potere regolamentare in tutte le altre materie, quindi a seguito della riforma i regolamenti del Governo sono fonti a competenza limitata dalla costituzione.


Essendo fonti secondarie, il fondamento dei regolamenti,ossia le condizioni per la loro validità, va cercato  nelle fonti immediatamente superiori: la legge ordinaria. Da questo derivano 2 conseguenze importanti:

mentre per le fonti primarie il sistema è chiuso, in quanto la tipologia degli atti è elencata dalla  Costituzione, lo stesso non vale per le fonti secondarie che sono modellabili dalla legislazione ordinaria

mentre esiste uno spazio costituzionalmente garantito per le fonti primarie, per le secondarie questo non avviene: anzi le numerose riserve di legge della Costituzione servono principalmente a limitare lo spazio che la legge può concedere ai regolamenti amministrativi, imponendo il ricorso alla fonte primaria per una data materia


La disciplina dei regolamenti dell'esecutivo è contenuta:

-nelle disposizioni sulla legge in generale (le c.d. preleggi agli art 3 e 4);

-nell'art 17 della L 400/1988


Le Preleggi

l'art 3 dispone che " il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale, mentre il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari".

L'art 4 riporta i regolamenti nella struttura gerarchica del sistema normativo:"i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi, mentre i regolamenti delle altre autorità  non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo".


L'art 17 della L 400/1988

L'art 17 riprende la distinzione tra i regolamenti del Governo e quelli delle altre autorità; tale distinzione si riflette sul fondamento legale dei regolamenti: mentre per i regolamenti governativi il fondamento del potere è costituito dallo stesso art 17, per i regolamenti ministeriali occorre che il potere di emanare l'atto sia espressamente conferito dalle singole leggi ordinarie (sono cioè sottoposti al principio di legalità sostanziale).

L'art 17 ripete la graduazione gerarchica interna ai regolamenti dell'esecutivo: i regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.




Procedimento

Il procedimento di emanazione dei regolamenti governativi è diverso da quello per i regolamenti ministeriali: entrambi sono disciplinati dall'art 17 della L 400/1988.

I primi vengono deliberati su proposta di uno dei ministri dal Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato (parere obbligatorio ma non vincolante). Il regolamento poi viene emanato dal Presidente della Repubblica come DPR, poi passa dalla Corte dei Conti che deve provvedere al visto e alla registrazione e infine viene pubblicato in Gazzetta ufficiale.

I regolamenti ministeriali invece sono emanati dal Ministro (ha quindi la forma del DM) sempre previo parere del Consiglio di Stato. Prima dell'emanazione devono essere comunicati al presidente del Consiglio che può sospendere l'atto ai sensi dell'art 5.2 della legge 400/1988. Anche questo tipo di regolamenti sono soggetti al controllo della Corte dei Conti e sono pubblicati in Gazzetta Ufficiale sotto il nome di regolamento


TIPOLOGIE

L'art 17 distingue diverse tipologie di regolamento governativo, esse si basano sul diverso rapporto che il regolamento avrebbe con la legge, con la riserva di legge e con le competenze legislative delle regioni:

regolamenti di esecuzione delle leggi: sono regolamenti che il governo adotta senza una specifica autorizzazione legislativa quando avverta la necessità di emanare norme di dettaglio che assicurino l'operatività della leggi e dei decreti con forza di legge; la loro funzione si deve limitare a predisporre gli strumenti amministrativi e procedurali necessari a rendere operativa la legge;

regolamenti d'attuazione: sono volti a completare la trama dei principi fissati da leggi e decreti legislativi. Tali regolamenti non possono tuttavia regolare materie riservate alla competenza regionale;

regolamenti indipendenti: sono emanati in materie in cui manchi la disciplina da parte di fonti primarie, sempre che non si tratti di materie riservate alla legge.

Regolamenti di organizzazione: disciplina no l'organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni, ma tale tipologia non gode di autonomia in quanto può avere natura esecutiva o attuativa.


Regolamenti c.d. delegati e la delegificazione

L'art 17.2 della legge 400 disciplina il  fenomeno dei regolamenti c.d. delegati o autorizzati. La particolarità è di provocare un apparente effetto abrogativo delle leggi precedenti. La loro funzione infatti è di produrre la c.d. delegificazione, cioè la sostituzione della precedente disciplina di livello legislativo con una nuova disciplina di livello regolamentare; quindi questo procedimento si propone come rimedio per l'espansione della legislazione ordinaria, e opera declassando la disciplina della materia dalla legge al regolamento. Naturalmente però il regolamento non può abrogare una legge e ne può essere autorizzato da un'altra legge ordinaria, per cui la soluzione è: la legge ordinaria dispone l'abrogazione della legge precedente, facendo decorrere l'effetto abrogativo dalla data di entrata in vigore del regolamento la cui emanazione essa autorizza. Si tratta di un regolamento governativo di attuazione che non può essere previsto in materie coperte da riserva di legge assoluta: la legge che lo prevede deve determinare le norme generali regolatrici della materia e disporre l'abrogazione della vecchia legge.


Deregolamentazione: punta alla drastica riduzione delle regole che imbrigliano l'attività dei privati.

Semplificazione: intende eliminare il peso e i costi dei procedimenti burocratici.





LE FONTI DELLE AUTONOMIE


Statuti regionali

Tutte le regioni hanno uno Statuto, ma vengono distinte in "a statuto speciale" e "a statuto ordinario". La diversità riguarda anzitutto la funzione che gli statuti svolgono:

le regioni ordinarie sono sottoposte ad una disciplina comune dettata dal titolo V della costituzione, e in particolare all'art 117, che ne definisce la potestà legislativa. Dopo la riforma costituzionale del 1999 (legge cost 1/1999), gli statuti delle regioni ordinarie hanno acquisito una funzione molto importante: mentre in precedenza era la Costituzione a disciplinare i tratti fondamentali della forma di governo delle regioni, lasciando agli statuti uno spazio assai ridotto (servivano a disciplinare in armonia con la Costituzione l'organizzazione interna della regione), ora è demandato agli statuti di ridefinire integralmente la Forma di governo della regione (art 123.1; vedi 10).



Le 5 regioni speciali e le province autonome di Trento e Bolzano hanno ciascuna una propria disciplina derogatoria rispetto a quella comune dettata dalla Costituzione; per esse lo statuto costituisce il fondamento stesso dell'autonomia di cui stabilisce limiti e modi. Gli statuti delle regioni speciali secondo l'art 116 devono essere adottati con legge costituzionale, la quale deve rinviare allo statuto la definizione di forma e condizioni particolari di autonomia. Con la legge costituzionale 2/2001 anche le regioni speciali hanno avuto riconosciuta una certa autonomia nello scegliersi la forma di governo: una unica legge costituzionale ha modificato ogni singolo statuto speciale, prevedendo che la regione possa dotarsi di una propria "legge statutaria" che ridisegni la forma di governo  e il sistema elettorale. Si tratta di una legge rinforzata perché deve essere approvata a maggioranza assoluta e può essere sottoposta a referendum approvativi qualora lo richieda una frazione del corpo elettorale o del consiglio regionale.

Procedimento di formazione

Lo statuto delle regioni speciali: è una legge costituzionale un po' particolare per 2 ragioni:

o   parte delle sue disposizioni sono derogabili attraverso una legge regionale: lo statuto ha subito un processo di depotenziamento in una sua particolare disciplina che può essere modificata da una legge regionale;

o   anche il procedimento di revisione degli statuti è depotenziato: infatti la legge 2/2001 prevede che le future modifiche degli statuti non siano sottoposti a referendum.

Lo statuto delle regioni ordinarie ha subito una radicale riforma anche per ciò che riguarda la procedura di formazione: il nuovo art 123 cost dispone che lo Statuto sia approvato o modificato dal "consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con 2 deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di 2 mesi". Il governo lo può impugnare davanti la Corte Costituzionale entro 30 gg dalla pubblicazione, ed entro 3 mesi dalla pubblicazione 1/50 degli elettori della regione, o 1/5 dei componenti del consiglio regionale può proporre un referendum che se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi non viene promulgato (art 123). Gli statuti delle regioni ordinarie sono dunque leggi regionali rinforzate, ai quali l'art 123 riserva alcuni importanti aspetti:

o   La forma di governo regionale;

o   I principi di organizzazione e funzionamenti;

o   Il diritto di iniziativa legislativa e di referendum su leggi e provvedimenti amministrativi regionali;

o   La pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali

Lo statuto funge da limite sia per le leggi dello stato che non possono invadere la competenza riservata dalla costituzione a questa particolare legge, sia per le leggi regionali, rispetto alle quali lo statuto è sovraordinato gerarchicamente.

Leggi regionali

La legge regionale è una legge ordinaria formale. La forma della legge le è data dal procedimento che rispecchia il procedimento di formazione delle leggi statali (iniziativa, deliberazione da parte dell'assemblea elettiva, promulgazione). Alle leggi regionali sono in tutto e per tutto equiparate le leggi provinciali emanate dalle province di Trento e Bolzano.

Procedimento

Il procedimento di formazione della legge regionale è disciplinato in minima parte dalla Costituzione, in parte dallo Statuto e in parte dai regolamenti interni del Consiglio regionale:

Iniziativa: oltre alla giunta e ai consiglieri regionali, l'iniziativa spetta agli altri soggetti individuati dagli statuti (in genere corpo elettorale e enti locali);

Approvazione in consiglio regionale: è generalmente previsto il ruolo della commissione referente, ma alcuni statuti prevedono anche la commissione redigente; comunque in assemblea sono previste le classiche 3 letture (vedi 22/23). La legge è approvata a maggioranza relativa, ma gli statuti possono prevedere maggioranze rinforzate.

Promulgazione: da parte del presidente della Regione e successivamente viene pubblicata sul BUR (bollettino ufficiale regionale).


La riforma del TITOLO V

La recente riforma del titolo V ha completamente mutato l'autonomia legislativa delle regioni: il dato più innovativo della riforma è di aver completamente rovesciato le competenze legislative.

Uno dei pochi elementi che portano a distinguere uno Stato federale da uno stato regionale, è una traccia genetica, che rispecchia la loro diversa storia: mentre lo stato federale si forma attraverso un patto che porta stati sovrani a cedere parte dei loro poteri originali ad un'unità centrale, lo stato regionale segue il processo inverso, cioè , uno stato unitario devolve parte dei suoi poteri originari ad entità periferiche. La costituzione rispecchia questi diversi processi: nella costituzione federale sono i poteri dell'entità centrale ad essere elencati perché gli altri restano al loro originario detentore (lo stato membro); nella costituzione regionale invece sono i poteri devoluti alle unità periferiche ad essere elencati,perché gli altri restano allo stato centrale

Questo è quanto è avvenuto con la riforma del titolo V e in particolare dell'art 117: il testo precedente elencava le materie su cui le regioni ordinarie avevano potestà legislativa (potestà concorrente), aggiungendo che le leggi statali potevano delegare ulteriori competenze alle regioni (potestà attuativa). Ora invece il nuovo art 117 stabilisce:

un elenco di materie su cui c'è la potestà legislativa esclusiva dello stato (per esempio affari esteri, immigrazione, ordine pubblico,difesa, cittadinanza, moneta, tutela del risparmio);

un elenco di materie su cui le regioni hanno potestà legislativa concorrente (per esempio tutela della salute, sicurezza sul lavoro, protezione civile, professioni, governo del territorio, previdenza); la concorrenza sta nel fatto che la legislazione dello stato determina i principi fondamentali della materia, mentre il resto della disciplina compete alle regioni che devono rispettare i principi;

una clausola residuale per cui tutte le materie non comprese nei 2 elenchi precedenti, spetta alle regioni la potestà legislativa (residuale).

Questo è lo schema generale, ma bisogna tenere presenti alcuni fattori:

gli obblighi internazionali: in precedenza era solo la legislazione regionale ad essere tenuta al rispetto degli obblighi internazionali contratti dallo stato, sia nel senso del divieto di assumere impegni giuridici con ordinamenti internazionali (il c.d. potere estero), sia nel senso del divieto di legiferare in contrasto con gli impegni assunti dallo stato in sede internazionale. Il nuovo art 117 parifica la posizione del legislatore regionale a quella del legislatore statale vincolando entrambi al rispetto degli obblighi internazionali, inoltre per la prima volta viene consentito alle regioni di stipulare accordi con stati o con enti territoriali interni ad un altro stato.

Le interferenze statali nelle materie regionali: tra le competenze esclusive dello stato ve ne sono diverse che tagliano le materie di competenza dello stato. Sono riservati allo stato la tutela della concorrenza, l'ordinamento civile e penale, la tutela dell'ambiente , dell'ecosistema, e dei beni culturali; inoltre tra le materie di legislazione concorrente ve ne sono diverse trasversali quali il governo del territorio o la tutela della salute.

La successione delle leggi nel tempo: resta dubbio come potrà lo stato imporre alle regioni il rispetto delle proprie leggi, specie delle nuove leggi che fissano i principi fondamentali delle materie di competenza concorrente (c.d. legge cornice) in presenza di precedenti leggi regionali contrastanti.

La potestà legislativa delle regioni speciali: i vecchi statuti speciali restano formalmente in vigore in quanto le modifiche apportate dalla riforma della legge costituzionale 2/2001 riguardano solo la forma di governo ma non le competenze. Essi contengono diversi elenchi di materie di competenza regionale, divisi secondo il livello di potestà regionale:

o   La potestà esclusiva è la più ampia e caratteristica in quanto le regioni ordinarie ne sono prive;

o   La potestà concorrente incontra gli stessi limiti della omologa competenza delle regioni ordinarie, ma diverse sono le materie elencate;

o   La potestà integrativa o attuativa consente alla regione speciale di emanare norme in alcune specifiche materie per adeguare la legislazione dello stato alle particolari esigenze regionali per cui sono elencate le materie di competenze regionale, operando la clausola residuale a favore dello stato.


Regolamenti regionali

La potestà regolamentare delle regioni è esplicitamente prevista dall'art 117 secondo il quale queste la esercitano nella materie in cui non vi è una competenza legislativa esclusiva dello stato. Anche in queste materie tuttavia la potestà regolamentare può essere delegata dallo stato alle regioni.

L'art 123 prevede che le disposizioni relative alla pubblicazione dei regolamenti regionali siano fissate nei rispettivi Statuti regionali; sul tema della potestà regolamentare è da richiamare l'art 121 che attribuisce al presidente della giunta il potere di emanare i regolamenti della regione.

La riforma costituzionale del titolo V ha introdotto il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari, limitando la potestà del governo di emanare regolamenti alle sole materie sulle quali lo stato ha potestà legislativa esclusiva e riservando alle regioni il potere regolamentare in tutte le altre materie.


fonti degli enti locali

La riforma del titolo V ha modificato anche la posizione costituzionale degli enti locali e delle loro fonti normative. La pariordinazione degli enti locali, delle regioni e dello stato quali componenti della repubblica, fatta dall'art 114, ha infatti riflessi anche sul piano del sistema delle fonti. L'art 114 attribuisce rilevanza costituzionale agli statuti degli enti locali mentre l'art 117 riconosce ad essi la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Se dunque è nella costituzione che gli enti ritrovano il fondamento della loro autonomia, è però la legge a determinare le competenze e le modalità di esercizio. L'autonomia normativa degli enti locali si svolge perciò tutta con atti subordinati alla legge, a quella statale come a quella regionale. La costituzione attribuisce alla competenza esclusiva del legislatore statale la disciplina della legislazione elettorale degli enti locali, degli organi di governo  e delle loro funzioni fondamentali. Spetta poi alla legge statale o a quella regionale, secondo le rispettive competenze, conferire agli enti locali le altre funzioni secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.



FONTI COMUNITARIE

Così come la comunità europea è una istituzione complessa e "in divenire" che sfugge a precise classificazioni secondo parametri tradizionali, anche il sistema delle fonti che formano l'ordinamento giuridico comunitario non è semplice da disegnare. La distinzione fondamentale è tra il diritto convenzionale e il diritto derivato: le fonti del diritto convenzionale consistono nei trattati con cui la comunità europea è stata istituita e successivamente modificata e sviluppata; nel trattato CE sono disciplinati gli organi della comunità e i loro poteri normativi: questi si esprimono attraverso atti normativi (fonti atto, vedi 12) che costituiscono il diritto derivato.

Non è infrequente sentire definire i trattati come la costituzione della Comunità europea: in effetti sono una fonte sovraordinata al diritto derivato, ed un apposito organo di tipo giurisdizionale (la corte di giustizia della comunità europea) è istituito dai trattati per garantire questa prevalenza gerarchica. La corte di giustizia ha giurisdizione esclusiva per ciò che riguarda l'interpretazione del Trattato e del diritto derivato, nonché il giudizio di legittimità sul diritto derivato.


Tipologia

Le fonti del diritto derivato si distinguono in :

atti non vincolanti: sono le raccomandazioni CE e i pareri che ogni organo della comunità europea può emanare; anche se non sono del tutto privi di efficacia giuridica questi atti non esprimono norme in senso tradizionale, vincolanti e sanzionabili;

gli atti vincolanti invece sono pienamente atti normativi e si distinguono i 3 tipologie:

i regolamenti CE: hanno le caratteristiche tipiche della legge nel nostro ordinamento: sono direttamente applicabili in ciascuno degli stati membri; la diretta applicabilità significa che non è necessario un atto dello stato che ne ordini l'esecuzione nell'ordinamento nazionale, perché il regolamento s'impone per forza propria.

Le direttive CE: sono atti normativi che hanno come destinatario lo Stato membro, e lo vincolano per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezza; lo stato ha quindi un obbligo di risultato che deve raggiungere entro un termine fissato dalla direttiva; ha invece discrezionalità per ciò che riguarda la scelta delle forme e dei mezzi (con legge o con regolamento, o anche solo con comportamenti dell'amministrazione pubblica).

Le decisioni CE: hanno caratteristiche che sono tipiche del provvedimento amministrativo del nostro ordinamento. Sono obbligatorie in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili come i regolamenti CE, ma a differenza di questi hanno portata particolare, si rivolgono cioè a soggetti specifici (uno stato membro o una determinata persona giuridica).


La diretta applicabilità è una qualità di determinati atti comunitari che producono immediatamente i loro effetti giuridici nell'ordinamento nazionale senza l'interposizione di un atto normativo nazionale. Questa qualità è un caratteristica in particolare dei regolamenti CE, e che li differenzia dalle direttive CE.


Diversa concettualmente è la nozione di effetto diretto; essa non riguarda gli atti ma le norme: è perciò una nozione non definita dal legislatore, ma dall'interprete (vale a dire la corte di giustizia).

L'effetto diretto è la capacità di una norma comunitaria di creare diritti ed obblighi direttamente in capo ai singoli, anche senza l'intermediazione dell'atto normativo statale: è l'interprete a riconoscere le norme che hanno effetto diretto, ossia che sono applicabili senza l'intermediazioni di ulteriori atti (sono self-executing).







Considerando ora queste 2 caratteristiche, si possono avere 4 possibilità:

norme direttamente efficaci (self-executing) espresse da atti direttamente applicabili: sono le norme che caratterizzano i Regolamenti CE; con l'entrata in vigore del regolamento negli ordinamenti degli stati membri si producono effetti giuridici a esso previsti senza alcuna interposizione del legislatore nazionale;

norme non direttamente efficaci espresse da atti direttamente applicabili: vi sono alcuni regolamenti CE che definiscono un quadro normativo che deve essere attuato o da altri regolamenti CE oppure da norme nazionali;

norme direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: sono per lo più divieti posti da direttive o dagli stessi Trattati, così come interpretati dalla Corte di giustizia;

norme non direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: sono le norme che derivano dalle direttive CE; esse non sono in grado di fare sorgere posizioni soggettive azionabili senza un preventivo intervento attuativo del legislatore nazionale.


Aderendo alla comunità europea l'Italia ha accettato che le leggi comunitarie entrassero direttamente nel proprio ordinamento senza l'intermediazione del legislatore nazionale. La corte di giustizia ha è poi precisato che l'effetto diretto comporta la prevalenza del diritto comunitario su quello statale; se la legge è la manifestazione più tipica della sovranità, la prevalenza del diritto comunitario sulla legge nazionale segna un cedimento della sovranità nazionale, che viene limitata in seguito all'adesione dell'Italia alla comunità Europea.

In tutti gli altri stati l'adesione alla comunità europea è stata accomnata da riforme costituzionali, in Italia invece l'unica fonte che disciplina l'adesione è la legge di ratifica del Trattato di Roma e l'ordine di esecuzione in essa contenuto; secondo la Corte costituzionale, appellandosi all'art 11 della costituzione, queste due fonti bastano a disporre una cessione di sovranità.

Con la sentenza 170/1984 la Corte Costituzionale ha emanato implicitamente un quadro dei rapporti tra norme comunitarie e norme interne

contrasto tra legge ordinaria e norme CE self-executing: va applicata la norma comunitaria e quella italiana non va applicata;

contrasto tra legge ordinaria e norme Ce non self executing: finchè la norma comunitaria non è applicata. È la vecchia normativa italiana a dovere essere attuata, e dopo che la norma CE verrà attuata sarà la nuova normativa italiana ad essere applicata;

contrasto tra norme sub-legislative e norme CE: il regolamento o il provvedimento amministrativo in contrasto con la norma CE sarebbe illegittimo per violazione indiretta dell'ordine di esecuzione;

contrasto tra norme costituzionali e norme CE: la corte costituzionale ha ammesso che le norme comunitarie possono comportare deroghe alle norme costituzionali di dettaglio, mas non ai principi fondamentali della costituzione.


Le fasi che il giudice percorre quando si trova davanti ad un contrasto di norme sono:

deve decidere se la materia è di competenza dello stato o della comunità europea;

deve stabilire se la norma comunitaria abbia  o meno effetto diretto;

quando la norma non è self-executing ma esprime un principio il giudice può risolvere il suo dubbio sulla compatibilità della  legge italiana con essa chiedendo alla Corte di giustizia una questione di interpretazione;

se il giudice accerta che la norma comunitaria non è self executing impugna la legge italiana davanti alla Corte Costituzionale;

se il giudice dubita della compatibilità della norma comunitaria con i principi supremi della costituzione impugna davanti alla corte costituzionale l'ordine di esecuzione del trattato.


GIUSTIZIA COSTITUZIONALE

La giustizia costituzionale è un sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione; è la principale garanzia del rispetto della rigidità della Costituzione: consente di reagire a determinate infrazioni della costituzione rivolgendosi in determinati modi ad un determinato giudice. Proprio in un sistema a Costituzione rigida è normale che si sviluppi anche un controllo di legittimità costituzionale delle leggi, ossia che si affidi alla giustizia costituzionale il compito di sindacare il rispetto della Costituzione da parte del legislatore ordinario.

MODELLI DI GIUSTIZIA COSTITUZIONALE

Sindacato preventivo rispetto all'entrata in vigore della legge: divide le competenze tra il Parlamento e il governo; una sorta di arbitro il cui intervento è preventivo, costituendo una fase del procedimento legislativo (l'esempio principale è il Conseil constitutioneil istituito dalla Costituzione francese del 1958

 































Il modello italiano è prevalentemente orientato verso un giudizio successivo, accentrato e ad accesso indiretto; vi sono però delle eccezioni:

esiste anche una forma di sindacato preventivo: quello su impugnazione del governo degli statuti regionali; esiste invece per i regolamenti amministrativi governativi e ministeriali (che devono passare al vaglio della corte dei conti);

esiste anche il sindacato diffuso: esiste come strumento sussidiario in caso di non funzionamento della Corte Costituzionale;

esiste anche il giudizio in via diretta: è previsto come strumento solo allo stato quando impugna la legge regionale, e alla regione quando impugna la legge dello stato o di un'altra regione.



LA CORTE COSTITUZIONALE

La legalità costituzionale non può essere difesa da un organo soppressivo, espressione della maggioranza, ma da un organo neutro. In Italia la composizione della Corte riflette la natura pattizia della Costituzione, il delicato equilibrio tra maggioranze e minoranze, l'accurata costruzione dei limiti al potere della maggioranza. Sono quindi i poteri dello stato a ripartirsi la nomina dei 15 giudici:

5 eletti dal Parlamento in seduta comune

5 nominati dal Presidente della Repubblica, e la controfirma del presidente del Consiglio rappresenta solo un semplice controllo esterno;

5 nominati dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative (3 dai magistrati della Cassazione, e 1 ciascuno dal Consigli di stato e dalla corte dei Conti).


La Corte Costituzionale e i suoi giudici godono di alcune garanzie:

immunità e improcedibilità dei giudici;

inamovibilità (solo la stessa Corte a maggioranza dei 2/3 dei presenti e solo per sopravvenuta incapacità fisica e civile può rimuovere o sospendere i giudici);

la corte Costituzionale a maggioranza assoluta convalida la nomina dei giudici (puramente formale);

speciale trattamento economico;

autonomia finanziaria e normativa della corte;

autodichia: come per le camere la corte gode di competenza esclusiva per giudicare i ricorsi in materia di impiego dei propri dipendenti.

I giudici durano in carica 9 anni; il rinnovo della Corte è graduale (non si applica il regime della prorogatio se non per i giudizi di accusa). Affinché la corte funzioni è richiesto un quorum di 11 giudici (9 per le deliberazioni non giudiziarie), infine le decisioni della Corte devono essere deliberate da giudici sempre presenti a tutte le udienze in cui si sono svolte le fasi del giudizio. Il presidente è un giudice dei 15, eletto dalla stessa corte e dura in carica 3 anni con possibilità di rinnovo.


Procedure

Sono diverse a seconda del tipo di giudizio, ma vi sono alcuni tratti comuni:

la corte ha poteri istruttori che consistono nell'accertamento dei dato e fatti anche attraverso l'audizione dei testimoni;

la corte si riunisce in udienza pubblica o in camera di consiglio: è il presidente a decidere ma di regola ci si riunisce in camera di consiglio quando le parti non si sono costituite (giudizio incidentale) oppure quando il presidente, sentito il giudice istruttore, ipotizi una decisione di manifesta infondatezza o inammissibilità. ½ è quindi prima un dibattimento in udienza pubblica in cui le parti sono rappresentate dai rispettivi avvocati. I giudice relatore espone indizi della causa e poi i difensori delle parti sono invitati ad intervenire. La decisione viene presa in camera di consiglio dove si vota in ordine crescente di età, la decisione è assunta a maggioranza assoluta dei votanti. La camera vota il dispositivo della decisione che una volta redatta una bozza di motivazione da parte del giudice incaricato dal presidente verrà approvata in una seduta successiva della camera di consiglio e poi infine pubblicata in Gazzetta Ufficiale.


Le decisioni che la Corte emana sono di 2 tipi:

sentenze: che definiscono il giudizio; sono l'atto con cui il giudice chiude il processo;

ordinanze: che sono strumenti che non esauriscono il rapporto processuale ma servono per risolvere le questioni che sorgono nel corso del processo.



CONTROLLO DI COSTITUZIONALITA' DELLE LEGGI

Gli atti sindacabili dalla corte costituzionale sono le leggi (con tale termine si intendono: gli atti che hanno la forma della legge e il grado gerarchico delle fonti primarie). Il giudizio di legittimità costituzionale si compie su eventuali vizi formali (riguardano il procedimento) e su eventuali vizi materiali (riguardano invece i contenuti normativi dell'atto legislativo). Il parametro di giudizio, il termine di confronto impiegato nel giudicare la legittimità degli atti legislativi è in c.d. parametro interposto: il decreto delegato che viola per esempio i principi e criteri direttivi fissati dalla legge di delega (suo parametro interposto) viola indirettamente l'art 76 della Costituzione.


Giudizio incidentale

La questione di legittimità deve essere sollevata nel corso del giudizio (per questo si parla di incidente) e dinanzi ad un'autorità giurisdizionale; i requisiti ritenuti necessari dalla giurisprudenza costituzionale affinché un organo possa essere legittimato a sollevare la questione di costituzionalità sono:

requisito oggettivo: l'essere investito della funzione di applicazione diretta di una norma in via tendenzialmente definitiva;

requisito soggettivo: posizione di terzietà, indipendenza e imparzialità dell'organo: l'esistenza di un processo fondato sul contraddittorio tra 2 parti.

La questione di legittimità può essere sollevata da una della parti o dal giudice esterno, dinanzi al quale pende il giudizio principale; le parti non possono adire direttamente alla corte ma devono presentare istanza al giudice a quo che deve valutare che ricorrano i presupposti necessari per l'attuazione del giudizio di costituzionalità, in particolare deve verificare se:

la questione sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso

che non sia manifestamente infondata (che ci sia almeno un minimo dubbio per sollevar la questione).

Se tali condizioni non sussistono il giudice respingerà l'istanza con una ordinanza motivata; se invece il giudice ritenga che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata, emette una ordinanza di rinvio, necessariamente motivata che produce l'effetto di introdurre il giudizio costituzionale e di sospendere il giudizio principale fino alla pronuncia della Corte costituzionale (l'ordinanza di rinvio viene chiamata ordinanza di rimessione e il giudice che la emana giudice a quo).

Tale ordinanza deve contenere gli elementi necessari ad individuare la questione di legittimità costituzionale

l'indicazione dell'oggetto e del parametro del giudizio (disposizioni della legge di cui si denuncia 'incostituzionalità e le disposizioni costituzionali che si presumono violate);

la motivazione della rilevanza e i motivi che hanno portato a dichiarare la non manifesta infondatezza;

i profili della questione di legittimità in base ai quali si è verificata la violazione con descrizione della fattispecie concreta oggetto della controversia.

Giudizio in via principale

Può essere proposto con ricorso da parte dello stato contro la legge regionale o a parte della regione contro la legge statale o di altre regioni. È chiamato così perché la questione di legittimità viene proposta direttamente con una procedura ad hoc e non nell'ambito di un giudizio. Il governo può impugnare leggi regionali quando ritiene che la legge approvata dal Consiglio regionale violi qualsiasi disposizione costituzionale, anche diversa da quella attributive di competenza legislativa. Lo stato quindi non deve dimostrare di agire per tutela di una propria attribuzione lesa dalla regione, poiché agisce a tutela dell'interesse generale alla legalità. La regione invece deve dimostrare di avere un interesse concreto al ricorso. L'atto introduttivo di tale giudizio è il ricorso che deve essere deliberato dal Consiglio dei Ministri (se agisce lo stato), dalla giunta regionale (per la regione), entro 60 gg dalla pubblicazione in G.U. (o in B.U.R.) della legge che si intende impugnare.

DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Le decisioni di inammissibilità

Quando mancano i presupposti per procedere ad un giudizio di merito:

mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi dell'organo chiamato a sollevare la questione;

quando l'atto impugnato no rientra tra quelli indicati dalla costituzione;

mancanza del requisito della rilevanza;

se l'ordinanza di remissione manca di indicazioni sufficienti e univoche per definire il thema decidendum;

se ci sono stati vizi meramente procedurali;

se la questione sottoposta alla corte comporta una valutazione di materia politica o un sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento.

Sentenze di rigetto (o ordinanze di manifesta infondatezza)

La corte dichiara non fondatala questione prospettata dall'ordinanza di remissione. La corte non dichiara che la legge impugnata è illegittima, semplicemente respinge la questione4 sollevata dal giudice a quo. Tale sentenza non ha effetti erga omnes: preclude la riproposizione della stessa questione da parte dello stesso giudice nello stesso stato e grado dello stesso giudizio. Viene pronunciata con ordinanza di manifesta infondatezza.

Sentenze di accoglimento

La corte dichiara l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata. Opera erga omnes (con effetti assimilabili a quello dell'annullamento di un vizio della legge) perché nasce  e deve necessariamente essere pronunciata con sentenza.

La sentenza ha valore costitutivo nel senso benché che il contrasto con la costituzione sia certamente sorto in precedenza, è solo con la sentenza che esso è accertato e la sentenza invalidata. Si dice dunque che gli effetti di tale sentenza siano retroattivi, e che operino ex tunc.

Sentenze interpretative di rigetto

La corte dichiara infondata la questione di legittimità non perché il dubbio di legalità sollevato dal giudice non sia giustificato, come per la sentenza di rigetto, ma perché esso si basa su una cattiva interpretazione della legge impugnata.

Sentenze manipolative di accoglimento

Sono dette così (ma anche interpretative o normative) in quanto il loro dispositivo non si limita alla semplice dichiarazione di illegittimità della legge  delle sue singole disposizioni, ma l'illegalità è dichiarata nella parte in cui la disposizione significa (o non significa) qualcosa, ossia per la norma che essa esprime; si hanno:

sentenza di accoglimento parziale: la corte dichiara illegittima la disposizione per una parte sola del suo testo;

sentenza additiva: viene dichiarata illegittima la disposizione nella parte in cui prevede ciò che sarebbe costituzionalmente necessario prevedere; l'addizione è quindi una norma omessa dal legislatore;

sentenza sostitutiva: viene dichiarata l'illegittimità di una disposizione legislativa nella parte in cui prevede X anziché Y. La corte sostituisce una locuzione della disposizione incompatibile; corregge dunque un errore materiale del legislatore.

Ulteriori tipologie di sentenza sono state elaborate dalla Corte per regolare il problema dell'impossibilità di controllare gli effetti dell'accoglimento:

sentenze monitorie: sono sentenze di rigetto nella cui motivazioni la corte rivolge un invito al legislatore ad intervenire per rendere la disciplina vigente adeguata alla costituzione;

sentenze di legittimità provvisoria: sentenze di rigetto in cui il monito è particolarmente forte e legato alla dichiarazione della sicura incompatibilità della disciplina vigente con la costituzione;

sentenze additive di principio: sentenza di accoglimento in cui la dichiarazione di illegalità è accomnata dall'indicazione dell'esigenza che il legislatore introduca i meccanismi necessari alla pine operatività della sentenza stessa.

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO

I conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato sono lo strumento con cui un potere dello stato può agire davanti alla corte per difendere le proprie attribuzioni costituzionali compromesse dal comportamento di un altro potere dello stato.

Poteri sono potenzialmente tutti i soggetti che hanno un ruolo, cioè una attribuzione, assegnato dal testo costituzionale; non esistono soggetti che siano di per se potere, ma lo diventano in relazione ad una determinata funzione.

Non sempre è facile distinguere i conflitti di attribuzione dai conflitti di competenza: al contrario dei primi, i secondi sorgono tra organi che appartengono allo stesso potere, e devono essere risolti non dalla corte costituzionale, ma da organi predisposti dal potere stesso (così per esempio se sorge una questione di competenza tra 2 ministri, spetta al consiglio dei ministri risolverlo; se sorge un conflitto di competenza tra giudice civile e penale, è la cassazione a decidere).

Il conflitto può sorgere sia da un atto di usurpazione di potere, con cui un organo svolge una attribuzione spettante all'organo di un altro potere, sia dal comportamento di un organo che intralci il corretto esercizio delle competenze altrui. Nel primo caso il conflitto consiste in una vindicatio potestatis, ossia entrambi i soggetti rivendicano per se l'attribuzione ad emanare l'atto; nella seconda ipotesi non c'è rivendicazione di un potere usurpato, ma semplicemente contestazione del modo in cui un soggetto ha esercitato attribuzioni che sono incontestabilmente sue, perché da ciò deriva un impedimento all'esercizio delle attribuzioni spettanti al ricorrente (questi si chiamano conflitti da menomazione o da interferenza). Il conflitto non sorge necessariamente da un atto: anche un semplice comportamento omissivo può dar luogo al conflitto.

Il conflitto di attribuzione ha una funzione residuale, vale a dire che è ammesso solo laddove non vi siano altri rimedi esperibili.


Procedimento

Il giudizio viene introdotto dal ricorso presentato dalla parte che si ritiene lesa direttamente alla corte costituzionale, senza notificazione alla controparte. Il ricorso deve contenere l'esposizione sommaria delle ragioni del conflitto e l'indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia. Esso è depositato in cancelleria e pubblicato, come tutti gli articoli introduttivi dei giudizi della corte, in Gazzetta Ufficiale. Non vi sono termini di decadenza.

La particolarità di questo giudizio è che esso inizia con una decisione della corte circa l'ammissibilità del conflitto. Essa è assunta in camera di consiglio, quindi senza contraddittorio. La corte decide con ordinanza se il conflitto ha i presupposti soggettivi (che si tratti di poteri dello stato), e oggettivi (che siano in discussione attribuzioni costituzionali) per essere giudicato nel merito dalla corte. Si tratta di una semplice delibazione, un giudizio sommario che non fissa un punto irrevocabile, ma si pronuncia piuttosto sulla non manifesta inammissibilità.

L'ordinanza può dichiarare la inammissibilità del conflitto oppure la sua ammissibilità: in questo secondo caso individua anche gli organi che sono controinteressati e dispone che ad essi il ricorso venga notificato entro un determinato termine. I controinteressati possono costituirsi entro 20 gg dall'ultima notificazione; se il ricorrente rinuncia al ricorso, e se la rinuncia è accettata dalle altre parti la corte dichiara il processo estinto.

La sentenza che chiude il giudizio stabilisce a chi spetti la competenza (la formula è: spetta a X esercitare la funzione Y). Essendo un giudizio tra le parti è ragionevole pensare che non opera erga omnes, invece trattandosi di annullamento di eventuali atti che siano stati emanati dall'organo che risulta incompetente, esso opera tendenzialmente erga omnes.







CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI


I conflitti di attribuzione tra stato e regione sono lo strumento con cui vengono risolte e controversie che sorgono tra stato e regione o tra regioni. Sono quindi conflitti tra enti (conflitti intersoggettivi), a differenza dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato che sorgono tra organi dello stesso ente (conflitti interorganici).

È difficile dire se l'oggetto del conflitto sia l'atto che si presume invasivo, o la competenza che si afferma invasa; il conflitto nasce di solito dall'impugnazione di un atto, anche perché la corte richiede che la lesione della competenza sia concerta e attuale: ma il motivo dell'impugnazione è sempre e necessariamente la menomazione della competenza. Infatti in sede di conflitto non si possono far valere vizi di legittimità dell'atto che non costituiscano anche violazione delle attribuzioni costituzionali assegnate all'ente: gli altri vizi devono essere fatti valere nelle sedi previste per ogni tipo di atto.

La violazione della competenza può derivare sia dall'invasione della sfera di attribuzioni, sia dalla menomazione o interferenza, ossia dall'aver provocato un impedimento all'esercizio delle attribuzioni dell'ente

La definizione del riparto delle competenze è affidata alla legge e ai decreti legislativi che, in attuazione della costituzione, trasferiscono le funzioni; ciò rende spesso difficile distinguere, tra i vizi dell'atto che sono deducibili in sede di conflitto di attribuzione davanti alla corte, e i comuni vizi di legittimità che vanno invece fatti valere davanti al giudice amministrativo.

Se la regione (o lo stato) adotta n atto con un procedimento scorretto, vi può essere conflitto solo se la norma procedurale violata costituisce una garanzia per le competenze dello stato (o della regione), sicchè la sua violazione causa anche lesione delle attribuzioni


Procedimento

La sentenza che decide il conflitto dichiara a chi spetta la competenza con conseguente eventuale annullamento dell'atto che ha generato il conflitto. Spesso, quando il conflitto sia generato dal modo in cui il potere è stato usato, la formula del dispositivo non si limita a dichiarare a chi spetta  la competenza,ma fissa una vera e propria regola di esercizio di essa (non spetta adottare l'atto X senza aver svolto la procedura Y).

In linea di principio la sentenza non dovrebbe avere effetti che per le parti del giudizio, ciò non vale però per l'annullamento dell'atto. Il problema si pone per la regola sulla competenza: se la corte in un conflitto promosso da una regione contro lo stato, stabilisce che la competenza in questione spetta alla regione o allo stato, le altre regioni che non sono state parti del conflitto, subiscono gli effetti della sentenza? Se la decisione è favorevole alla regione, le altre regioni beneficiano della sentenza, ossia dell'interpretazione espansiva delle loro attribuzioni data dalla corte; se invece la decisione è favorevole allo stato, le regioni che non erano parti non subiscono l'effetto giuridico della sentenza, perché questo lederebbe il loro diritto di difesa.















IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITA' DEL REFERENDUM ABROGATIVO

Il giudizio di ammissibilità è introdotto con l'ordinanza dell'ufficio centrale per il referendum che dichiara la legittimità della richiesta di referendum.

Il presidente della corte fissa la camera di consiglio non oltre il 20 gennaio e nomina il giudice relatore. Viene data comunicazione ai delegati  dei consigli regionali o ai presentatori delle 500.000 firme, nonché al presidente del consiglio dei ministri: essi possono presentare memorie e prendere parte alla discussione orale incamera di consiglio. La corte decide con sentenza pubblicata entro il 10 febbraio successivo.

La costituzione non aveva previsto un controllo sull'ammissibilità del referendum; esso fu introdotto con la legge costituzionale 1/1953.

L'art 75 della costituzione pone solo pochi casi di esclusione del referendum:

leggi tributarie;

leggi di bilancio;

leggi di amnistia e indulto;

leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali

Ma con la sentenza 16/1978 la corte ha allargato il suo giudizio in varie direzioni:

sono sottratti a referendum la costituzione e le leggi costituzionali, e le leggi rinforzate;

i limiti posti dall'art 75 vanno interpretati estensivamente (perciò non sono inammissibili le sole leggi di approvazione del bilancio, ma che le altre leggi che attengono alla manovra finanziari)








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