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DIRITTO PENALE - Nesso di causalità - Reato doloso omissivo - Concorso di persone nel reato

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DIRITTO PENALE


Sommario


Cenni storici……………………………………………………………………………………….. 2

Introduzione………………………………………………………………………………………. 4

Fonti……………………………………………………………………………………………….. 5

Fatto tipico……………………………………………………………………………………….. 7

Nesso di causalità………………………………………………………………………………… 8



Teoria tripartita…………………………………………………………………………………… 8

Dolo………………………………………………………………………………………………     9

Reato doloso omissivo………………………………………………………………………….… 9

Reato colposo…………………………………………………………………….……………… 10

Cause di giustificazione ………………………………………………………………………….. 11

Errore………………………………………………………………………………………………     13

Colpevolezza……………………………………………………………………………………… 14

Delitto tentato…………………………………………………………………………………….. 15

Concorso di persone nel reato

……………………………………………………………………                    16



CENNI STORICI


Il diritto penale nacque nel medioevo, quando, insieme al diritto naturale teologico (identificazione delitto-peccato) venne adoperato l’uso terrifico del diritto quale irrinunciabile strumento di dominio (inquisizione). Con la riforma sopraggiunge il diritto naturale profano (Locke, Grozio). T. Hobbes e J. J. Rousseau hanno intrapreso la fondazione giusnaturalstica del diritto positivo:


1. Continuo bellum omnium contra omnes (Hobbes, De cive, 1, 12)


L'espressione latina homo homini lupus (lett. 'l'uomo è un lupo per l'uomo'), il cui precedente più antico si legge nel commediografo latino Plauto ('lupus est homo homini', Asinaria, v. 495), riassume la condizione dell'uomo nello stato di natura descritto dal filosofo inglese Thomas Hobbes. Secondo Hobbes, la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a determinare le azioni dell'uomo sono soltanto l'istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Egli nega che l'uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale. Se gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto soltanto al timore reciproco.

Nello stato di natura, cioè uno stato in cui non esista alcuna legge, infatti, ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in un continuo bellum omnium contra omnes (lett. 'guerra di tutti contro tutti') (Hobbes, De cive, 1, 12), nel quale non esiste torto o ragione (che solo la legge può distinguere), ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa (anche sulla vita altrui).

Fuori dall'ambito strettamente filosofico, al giorno d'oggi l'espressione è utilizzata per sottolineare, in tono ora ironico ora sconsolato, la malvagità e la malizia dell'uomo. Ha lo stesso valore di ''Mors tua vita mea'' cioè La tua morte è la mia vita. La sentenza è la palese rappresentazione dell'egoismo umano.


2. L'uomo è nato libero, e dovunque è in catene (J.J. Rousseau, Contratto Sociale, Libro I, modulo 1).


La ''bonta''' dell'uomo, quella che egli ha sempre affermato e sostenuto, non è una qualità originaria del sentimento, ma una tendenza, una disposizione della volontà. Non è un'inclinazione istintiva alla simpatia, ma la capacità di un'autodeterminazione, ciò su cui questa bontà si fonda. Il suo vero fondamento non sta perciò negli impulsi della benevolenza naturale, ma nel riconoscimento di una legge morale, alla quale la volontà del singolo si sottomette liberamente. L'uomo è ''buono per natura'' in quanto questa natura non si esaurisce in impulsi sensibili, ma in quanto essa per se stessa e senza aiuti esteriori si innalza all'idea della libertà. Difatti il dono specifico, che differenzia l'uomo dagli altri esseri naturali, è la perfettibilità. Egli non si ferma al suo stato originario, ma mira a sollevarsi al di sopra di esso; non si accontenta della dimensione e del tipo d'esistenza che gli viene immediatamente dalla natura, ma non si lascia andare finché non abbia creato e costruito una nuova forma di esistenza. Ma, rinunciando in tal modo alla guida della natura, rinuncia anche naturalmente alla protezione e ai benefici che essa originariamente gli offre. Egli si vede spinto su una via senza fine, lasciato in balia di tutti i pericoli di questa via. Rousseau, specie nei suoi primi scritti, non si stanca di dipingere questi pericoli.


Montesqueu nel 1748 in “Esprit de lois” è il primo a distinguere tra crimini e pene e tra repressione e libertà; insiste nel diritto dell’accusato di essere giudicato da una corte imparziale. Pur non essendo un riformatore in senso lato (era favorevole alla tortura e all’uso della pena come deterrente) è considerato il principale innovatore dopo il diritto naturale teologico.

C. Beccaria introduce il principio di legalità secondo cui non può essere commiata una pena che non sia prevista dall’ordinamento e che, soprattutto, non siano scritte. Secondo Beccaria la pena deve avere valore pedagogico (idea comunitaria) cioè da rieducazione per il reo e di prevenzione per la società; in questo senso Beccaria si oppose sia alla tortura che alla pena di morte. Molti furono a riprendere gli studi di Beccaria ma soprattutto Fenerbach, il fondatore dell’idea garantista. Quindi si andarono formando 2 scuole di pensiero:

  1. la scuola classica (poi mutata in scuola giuridica), di cui è capostipite Francesco Carrara che insiste nella separazione tra teoria (cattedra) e pratica (foro) e nella distinzione tra parte generale e speciale.
  2. la scuola positiva (vedi Fenerbach)

In Italia il 1< codice penale unitario fu il Codice Zanardelli del 1889. Nel 1930 venne introdotto il Codice Rocco che consiste in una parte generale che introduce le misure di sicurezza, la condizionale e il perdono giudiziale e in una parte speciale sulle norme prese singolarmente. Il Codice Rocco risentì dell’influenza fascista come si evince dalle norme sul dissenso politico, sull’integrità della razza, sullo sciopero e sulla religione di Stato. Per questo motivo fu lentamente modificato nel corso della Repubblica; in particolare a partire dal 1974 si procedette alla depenalizzazione dei reati e alla decustodializzazione dei detenuti.

INTRODUZIONE AL DIRITTO PENALE


Norma penale = norma imperativa e cogente la cui applicazione è imposta dall’ordinamento giuridico e prescinde dalla volontà dei singoli consociati


Reato =infrazione accertata di una norma penale


Pena = sanzione stabilita come conseguenza del reato



Diritto penale: sottosistema normativo dall’ordinamento giuridico

che disciplina i reati e le pene



Sistema penale        Diritto processuale: con cui gli organi statuali sono incaricati degli

accertamenti


Diritto dell’esecuzione penale: diritto processuale: con cui gli organi

statuali sono incaricati dell’applicazione della pena


Detentive: privazione delle libertà personali


Tipi di pene        Pecuniarie: riduzione patrimoniale



Interdittive: incapacitazione giuridica


Anche se il diritto penale non ha niente a che vedere col diritto amministrativo, esiste una sfera che disciplina gli atti illeciti depenalizzati cioè soggetti a sanzioni pecuniarie e non più detentive.


Colpa = responsabilità conseguente ad atto illecito


Controllo sociale = facoltà di attribuire a organi specifici la tutela di beni giuridici



Ripristino della situazione giuridica

(mediante coazione)



Funzioni di controllo sociale del sistema penale Impedire atti illeciti (mediante Forze

dell’ordine)


Evitare il verificarsi di                  comportamenti socialmente indesiderati (mediante minaccia della pena)


Precetto: condotta consentita o non


Norma penale


Sanzione: il tipo di sanzione



Norma in bianco: può capitare che sussista una sanzione carente di testo esaustivo che rimanda il precetto a una fonte secondaria


Il Codice Penale è caratterizzato da:

  1. Parte generale: disciplina la struttura del reato in generale
  2. Parte speciale: prevede la fattispecie dei principali delitti

FONTI


Sono fonti del diritto penale in ordine di importanza:

  1. Costituzione: artt 25 e 27
  2. Codice Penale: 3 libri
  3. Disposizioni Costituzionali
  4. Codice penale militare
  5. Diritto penale complementare
  6. misure di sicurezza: volti a prevenire la reiterazione dei reati
  7. misure di prevenzione: volti a prevenire la commissione dei reati

Art. 25 Cost. I co.


“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”


Principio di riserva di legge: il tribunale giudicante deve essere preesistente al momento del processo diversamente dall’antichità dove il giudice “ad hoc” veniva nominato dopo l’attribuzione della colpa (il Tribunale di Norimberga ha rappresentato questa aberrazione, per evitare la quale, è stato istituito il Tribunale dell’Aia). Il termine “riserva” sta a indicare una peculiarità per cui solo la fonte statuale (di natura parlamentare) può regolare la materia.


“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”


Principio di tassatività: è necessario che l’accusato abbia commesso un atto di cui abbia già cognizione della natura illecita


Art. 25 Cost. II co.


“Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”


Principio di tipicità: è tipico il fatto che realizza tutti gli elementi essenziali contenuti nella norma.


Art. 27 Cost.


“La responsabilità penale è personale”


Principio di colpevolezza: la responsabilità è esclusivamente del soggetto che ha commesso il fatto illecito, mentre nel passato le sanzioni erano previste anche a carico di familiari. Nel caso di peculato (furto di cose pubbliche) possono essere accusati anche i colleghi dell’ufficio in cui è avvenuto il fatto illecito; il termine “personale” non si rivolge solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche.


“L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva”


Principio di garanzia: fino a quando non si è concluso il processo, l’accusato non è considerato colpevole; il sistema non prevede la condanna definitiva se non in cassazione (3< grado), quindi passa in giudicato.


“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”


Principio di rieducazione: l’espiazione deve offrire la possibilità al condannato di essere reintegrato nel tessuto sociale. La giustizia retributiva è volta all’avvilimento (e non alla promozione) della persona umana. Secondo, invece, la giustizia riparativa, la sanzione deve essere proporzionale alla sofferenza che dovrà subire il condannato e al valore sociale del bene giuridico leso


Principio della giustizia preventiva: tendenza che riconosce la sanzione adeguandola al soggetto promuovendolo sul piano umano; la sanzione si rivolge alla generalità del soggetto.


Art. 1 Codice Penale


“Nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto come reato dalla legge, né con pene che non siano da esse stabilite”


Principio di legalità: nessuno può essere punito per un reato che non sia previsto dall’ordinamento giuridico


Art. 1 Codice Penale


“nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”


Principio di retroattività: la norma non può avere un’efficacia antecedente alla sua entrata in vigore; quando una norma è stata abrogata e un individuo ha commesso il fatto prima dell’abrogazione, si applica la norma più favorevole al soggetto (c.d. “favor rei”); quando una norma è stata modificata, si continua ad applicare la precedente incriminazione.


Art. 14 disposizioni d’attuazione


“Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”


Divieto di analogia: è vietata l’interpretazione di casi analoghi in quanto occorre ogni volta confrontarsi con la singolarità del caso (interpretazione estensiva). E’ altresì consentita l’analogia “in bona partem” nei casi di ipotesi di attenuazione della pena o di uno punibilità del fatto previsto (c.d. norme scriminanti)


Sono altresì da escludere dal diritto penale:

i regolamenti perchèhanno un carattere amministrativo

le consuetudini perché in nessun caso l’attribuzione della colpa può essere fondato su comportamenti desunti dalla prassi





IL FATTO TIPICO


Dire precetto e sanzione dal punto di vista formale potrebbe essere sufficiente, ma se andiamo a guardare dal punto di vista sostanziale è insufficiente perché il legislatore deve fare i conti con la Costituzione, cioè ogni reato deve essere riferito alla tutela di un bene giuridico. Tuttavia alcuni reati (per es. la tutela dell’ordine pubblico) non sono direttamente fruibili a un bene giuridico, quindi è necessario definire il reato secondo una concezione che sottende il formale col sostanziale: è responsabile dell’illecito penale il soggetto che non solo viola formalmente la norma ma altresì lede il bene giuridico tutelato sostanzialmente da quella norma. In Russia nel 1917 e in Germania nel 1933 non esisteva la condizione sostanziale, per cui il giudice poteva intervenire a suo arbitrio. Il bene giuridico viene anche detto “oggetto giuridico del reato”, cioè oggetto della tutela o del compimento del atto tipico.


Fatto tipico = fatto storico in cui sono presenti tutti gli elementi che compongono la fattispecie legale


Fattispecie legale = sintesi con la fattispecie concreta relativa alla parte speciale del codice penale



TEORIA BIPARTITA


Agente


Soggetto passivo



Fattispecie oggettiva (ordine fisico) Oggetto materiale


Condotta



Evento

Fatto tipico


Dolo



Fattispecie soggettiva (ordine psichico) Colpa


Preterintenzione



  1. Agente: è la persona fisica che concretizza il fatto tipico; il reato in relazione all’agente può essere: a) proprio, cioè quando il fatto tipico richiede che l’agente è un soggetto con una particolare denominazione (per es. per l’infanticidio è la madre); b) comune, cioè che può essere compiuto da chiunque.
  2. Soggetto passivo: è il titolare sia fisico che giuridico del bene leso
  3. Oggetto materiale: è la res (il bene) su cui incide il fatto tipico
  4. Condotta: è il comportamento dell’agente; si suole distinguere tra pura condotta (per es. falso giuramento) e fattispecie omissivs (per es. omissione del referto medico). Il reato omissivo può essere: a) proprio, cioè quando nell’ipotesi di reato conta solo la condotta perché è la norma stessa a porre un limite entro cui adempiere l’azione doverosa: b) improprio, cioè quando oltre alla condotta centra anche l’evento (per es. la madre che non allatta il bambino).
  5. Evento: è la modificazione della realtà esterna peesistente e coincide col reato naturalistico; si distingue dall’offesa (=lesione del bene tutelato); tra evento e condotta c’è un collegamento, c.d nesso di causalità, secondo cui l’evento deve essere sotteso alla condotta e non viceversa perché altrimenti la condotta potrebbe ricadere su terzi e non sull’agente.


NESSO DI CAUSALITA (art. 40)


= affinché l’evento possa essere attribuito sul piano oggettivo a qualcuno è necessario che fra la condotta e l’evento ci sia un nesso fra causa ed effetto


In passato la concezione naturalistica limitava la questione al nesso tra evento e reato. Si è già sottolineato di come il vero problema della causalità consiste nello stabilire a quali condizioni un rapporto causale è anche sufficiente a fondare l’imputazione dell’evento a un determinato autore. L’art. 40 2< co. definisce il reato omissivo, invece l’art. 41 sancisce l’irrilevanza delle “concause” cioè di ulteriori fattori, del processo causale, estranei alla condotta dell’autore (per es. un uomo che, colpito, cade e batte la testa e muore). I tipi di concausa sono: preesistenti, simultanee e sopravvenute. Nonostante l’art. 40 sia di per sé lacunoso si vuole ricorrere al criterio della causa e dell’occasione, cioè indicando come occasione quando l’efficienza causale del fattore concomitante sia conurabile anche a prescindere dalla coincidenza con cui i fattori causali si associano alla condotta dell’agente. Il nesso di causalità, alla luce di tutte le leggi scientifiche, è prevedibile come conseguenza in base a un giudizio “ex ante”, cioè da effettuarsi in relazione al momento della condotta.

Nel corso della Storia si sono formate altre teorie sul nesso di causalità:


Teoria “condicio sine qua non”: è causa dell’evento qualsiasi condizione che non possa essere mentalmente eliminata.

Teoria “causalità adeguata”: è causa solo quella condotta antecedente all’evento che è più adeguata alla sua produzione.

Teoria della causalità umana di Antolisei: vengono imputati all’uomo solo gli effetti della sua condotta che sono controllabili razionalmente; insiste sul fattore umano, ma è stata respinta dalla dottrina.

Teoria della “causa prossima” di Stoppato: si prende in considerazione quella cronologicamnete più vicina all’evento.



TEORIA TRIPARTITA


Alla teoria bipartita che non prende in considerazione l’elemento della contrarietà, è succeduta quella tripartita (Beling) che aggiunge e introduce il principio di antigiuridicità che è la contraddizione del fatto tipico rispetto all’ordinamento giuridico e per cui sono evidenziate le c.d. “cause di giustificazione” (per es. la legittima difesa in cui l’uccisione di un uomo è un fatto antigiuridico, pur essendo in teoria punibile, in pratica non lo  perché il soggetto in presenza della necessità di difendersi, ha agito tramite una causa di giustificazione).

Altre differenze tra teoria bipartita e tripartita:

L’antigiuridicità non è una connotazione formale del reato ma ne rappresenta un elemento costitutivo perché in realtà ci dice che, se non c’è alcuna giustificazione per quel fatto tipico, è punibile

La teoria bipartita aveva nella causa di giustificazione un elemento che annullava l’elemento oggettivo, c.d. “elemento negativo del fatto”, e ciò rappresenta una carenza perché quel fatto, pur essendo astrattamente punibile, non lo è, perché in quella circostanza in cui versava l’agente, “essersi difeso” non si trova in contraddizione con la norma.


TIPOLOGIE DEL REATO


Attraverso la combinazione dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo della fattispecie si perviene a una tripartizione dei reati: dolo, colpa e preterintenzione. La preterintenzione si caratterizza per fare qualcosa oltre la volontà dell’agente.


IL DOLO


= volontà finalizzata alla realizzazione di un evento


La fattispecie oggettiva che corrisponde al maggior numero di reati e costituita da un comportamento attivo, dall’impiego di energia fisica, da un movimento corporeo tangibile che si manifesta all’esterno ed è caratterizzata da 2 elementi:

a)  volontà: di agire per il raggiungimento di uno scopo

b)  rappresentazione: cioè la cognizione del contesto in cui si agisce


1< grado: previsione e intenzione (per es. un terrorista buono vuole solo distruggere la facciata di S.Marco, quindi colloca l’ordigno alle 4:00 perché è convinto che a quell’ora non passi nessuna persona)

Diretto

2< grado: probabilità e assunzione del rischio (per es. il terrorista cattivo pone la bomba alle 8:00 perché ritiene probabile che a quell’aora ci siano dei passanti)

Dolo

Eventuale: possibilità e assunzione del rischio (per es. il terrorista buono pone la bomba alle 4:00 e, se qualcuno passa, tanto meglio in quanto decide di assumersene la responsabilità); la possibilità rispetto alla probabilità è meno vicina alla certezza)

Indiretto

Alternativo: il terrorista cattivo pone la bomba alle 8:00 perché vuole l’evento morte ma gli và bene anche l’evento lesione


Indeterminato: il giudice cerca di risalire alla volontà del terrorista, dopo l’analisi dell’evento


REATO DOLOSO OMISSIVO

Il reato doloso omissivo è il corrispondente negativo del reato doloso attivo nella sua accezione di “non azione” (per es. la madre che lascia morire di fame il bambino; l’investitore che non soccorre l’investito) ma il reato doloso attivo è la trasgressione di un divieto, invece il reato doloso omissivo è la trasgressione di un comando. Ci sono 2 tipi di reato dolosi omissivi:

a)  propri: basta il mancato compimento dell’azione (per es. omissione di soccorso)

b)  impropri: oltre al mancato compimento, l’agente è obbligato a impedire l’evento stesso (per es. il ferroviere che, omettendo di azionare uno scambio, causa uno scontro)


Fattispecie oggettiva


Occorre la verifica di 3 presupposti:

possibilità: di poter compiere l’azione omissiva

esigibilità: l’azione pretesa deve essere concreta

causalità: occorre stabilire con verosimiglianza che il compimento dell’azione serva a scongiurare il verificarsi dell’evento (per es. l’investito che nel mentre del soccorso, muore)


Fattispecie soggettiva


Nel reato doloso omissivo l’agente ricopre sempre un “ruolo di garanzia” cioè che mentre nei reati dolosi omissivi impropri, all’origine dl dovere di azione può esserci una qualsiasi fonte normativa e perfino la consuetudine, nei reati dolosi omissivi propri la fonte dell’obbligo di agire è sempre la legge penale.


Fonti dell’obbligo


Sono fonti di obbligo di impedire l’evento non solo l’obbligo in sé ma anche il ruolo di garanzia dell’agente, cioè l’attribuzione di determinati interessi che non possono essere tutelati solo dai titolari (per es. la tutela da parte dei genitori verso i li; la responsabilità di un proprietario di un edificio pericolante).


Fonti della norma di diligenza


Negligenza: per es. non guardare lo specchietto mentre si sorpassa

a) Condotta generica: la condotta

è sottesa alla violazione di norme

dettate dalla comune esperienza

Imprudenza: per es. guidare ad alta velocità


Imperizia: per es. il chirurgo che dimentica le garze nell’addome



b) Condotta specifica: la condotta è

sottesa alla violazione di una norma

di legge



REATO COLPOSO D’AZIONE (art. 43, I co.)


= è colposo l’evento che, non voluto dall’agente, comporta la violazione di una norma di diligenza.


Il fondamento teorico del reato colposo d’azione risiede nel fatto che in qualsiasi condotta non venga solo proibita la lesione ma anche la modalità che ne determina il pericolo (per es. la circolazione delle auto; gli abusi edilizi; le ecomafie, etc)


Fattispecie oggettiva


Mentre nei reati dolosi attivi e nei reati dolosi omissivi l’ambito di applicazione dell’incriminazione è delimitato dall’elemento psicologico, nel reato colposo si avverte la necessità di accertarsi che una norma di diligenza è stata violata. Si compone di 3 caratteristiche:

Contrarietà: di una condotta obiettivamente contraria a una norma di diligenza (per es. maneggiare con cura gli esplosivi)

Evitabilità: del danno mediante una condotta normale

Possibilità: dell’agente di poter osservare la norma di diligenza


Esistono 3 tipi di fattispecie oggettiva del reato colposo:

Mera condotta: non è richiesta la verifica del nesso di causalità. Si tratta dunque di fattispecie di pericolo astratto, in relazione alle quali la constatazione di un pericolo non è rilevante per la punibilità ma, al più, per la determinazione della gravità del fatto (per es. la morte di un passeggero dovuto allo scoppio di un pneumatico mentre l’autista andava contromano)

Di evento (di cui sono la maggior parte dei reati colposi): è richiesta la verifica del nesso di causalità, di danno o di pericolo concreto (per es. non è punibile l’autista che investe un pedone che correva per la strada fuggendo dalla polizia)


Fattispecie soggettiva


Mentre nei reati dolosi attivi e nei reati dolosi omissivi la volontà dell’agente non si rivolge solo alla realizzazione di un fatto dannoso o pericoloso ma l’elemento psicologico del fatto doloso corrisponde perciò sempre e soltanto al manifestarsi di questa volontà finalistica. Nei reati colposi, invece, ciascuno utilizza al meglio la propria sfera di responsabilità per prevedere i pericoli in modo da poterli evitare.

Esistono 3 tipi di fattispecie soggettiva del reato colposo:

Cosciente: c’è previsione dell’evento (per es. l’autista che rallenta nei pressi di un’area verde)

Incosciente: non c’è previsione dell’evento (per es. la madre che dimentica il panetto di ashish nella culla e se lo mangia il bambino)


d. Qual è la differenza tra colpa cosciente e dolo eventuale?

R. Si tratta della c.d. “teoria del consenso” che assegna all’ambito del dolo eventuale i casi in cui l’agente agisce sulla base di una ragionevole previsione dell’evento e ne accetta consapevolmente il rischio; e assegna all’ambito della colpa cosciente i casi in cui l’agente ritiene possibile il verificarsi dell’evento, ma confida che non si verificherà.



CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE


Abbiamo già visto il concetto di antigiuridicità che si pone dal punto di vista normativo sulla base dell’antinomia di 2 norme (una di divieto e una di permesso) laddove deve prevalere quella permissiva affinché il sistema torni all’ordinarietà. Nel caso non sia possibile applicare il principio di antigiuridicità è possibile ricorrere alle cause di giustificazione (c.d. discriminanti) che fanno parte di un’ampia categoria (c.d. esimenti) secondo cui un soggetto per errore commette un reato. Le ipotesi di cause di giustificazione si riferiscono agli articoli 50, 51, 52, 53 e 54.


Art. 50 Consenso dell’avente diritto


Un soggetto consente ad altri di ledere il proprio diritto (per es. Tizio conferisce il consenso a Caio di sottrargli il cellulare, il ché sarebbe un furto se non si considerasse il fatto che il cellulare è stato sottratto assecondando la volontà del titolare. La locuzione “chi pone in pericolo o cagiona danno” si riferisce alla lesione e al pericolo che sono caratteristiche dell’evento che possono determinare un potenziale danno per probabili vittime (per es. il delitto d’avvelenamento di acque). In genere il diritto penale si riferisce alla qualità offensiva del reato ma non basta la violazione formale della norma bensì occorre una lesione o messa in pericolo effettiva. Per capire quando l’offesa può essere giustificata nell’ambito del consenso si suole distinguere, nel diritto privato, tra diritti disponibili e indisponibili:


a)  Disponibili: il titolare può disporre a proprio piacimento (per es. la proprietà)

b)  Indisponibili: la vita e la salute devono essere tutelati nel miglior modo possibile (per es. creando un’ampia fattispecie di omicidi)

c)  Parzialmente disponibili: sono diritti irrinunciabili a particolari condizioni, specialmente i diritti della personalità (per es. secondo la privacy, si può delegare ad altri il consenso a trattare i propri dati personali).


Poi ci sono altri diritti che sono indisponibili ma in alcuni casi eccezionali possono diventare disponibili c.d. diritti “mutanti” (per es. l’art. 5 C.C. indica il divieto alla lesione) cioè ci sono situazioni in cui la legge consente (c.d. deroga al divieto) la lesione di parti del proprio corpo (per es. il trapianto di organi).

Quando invece si parla di eutanasia ci si sposta dal piano clinico a quello morale (per es. ci fu una sentenza di condanna di due genitori che non fecero la trasfusione al bambino moribondo per motivi religiosi). La locuzione “col consenso della persona che può validamente disporre” significa che non basta la capacità di agire (per es. un lio minore di un miliardario deceduto non potrà disporre dei suoi beni finché sottoposto a tutela) e soprattutto la volontà del titolare (per es. nell’estorsione una persona viene costretta a firmare un contratto: il consenso è ingiustificato perché alla base c’è stata una violenza). Un’altra caratteristica importante è che la validità del consenso deve essere verificata nel tempo, cioè è necessario che durante il periodo che intercorre dalla sottrazione del bene non ci sia una revoca da parte del titolare (per es. se il soggetto che ha subito l’estorsione si presenta dai carabinieri a denunciare il fatto e l’estorsore è andato dal notaio a qualificare il contratto, è necessario sottoscrivere l’atto di revoca). Esistono 2 forme di consenso:

a)  esplicito: in cui basta la volontà (per es. dimenticare il cellulare sul tavolo in modo che altri lo usino)

b)  presunto: in cui il consenso non è stato prestato ma è come se lo fosse per eccezionali circostanze (per es. sfondare una porta per spegnere un incendio)


Art. 51 Adempimento di un dovere


Un dovere può derivare o da una legge che impone un’azione o da un soggetto che impone un comando. Nel 1< caso durante il compimento dell’azione, se si dovesse risolvere in un reato, il fatto non è punibile (per es. il testimone che nel deporre in un’udienza pubblica, riferisce di atti lesivi dell’altrui reputazione); nel 2< caso quando c’è assolvimento di un comando da parte di un ordine gerarchico superiore e in cui il soggetto si rende conto che l’ordine implica un reato, ne è responsabile anche lui e l’ordine va sindacato secondo 2 profili di legittimità:

a)  la competenza: dell’ordine (per es. se il preside di una scuola ordina a un docente di rinchiudere uno studente, il docente si può rifiutare perché la competenza dell’arresto è esclusiva della polizia)

b)  il contenuto: dell’ordine (per es. nel peculato se un impiegato viene intimato dal suo superiore di sottrarre un bene della Pubblica Amministrazione, l’impiegato può rifiutarsi perché altrimenti ne sarebbe responsabile anche lui)


d. Esistono dei casi in cui gli ordini sono insindacabili?

R. Si, nei casi in cui c’è un codice predeterminato indicato (per es. in caso di guerra o calamità)


Art. 52 Legittima difesa


Può essere prevista i non prevista. Se è prevista dalla legge, rientra nel novero delle possibilità che un individuo ha nei confronti dei suoi beni; il discorso della previsione è riferito al fatto che solo se le cause sono disciplinate fanno valere la norma. Il gioco di norma vede due valori in competizione fra loro, entrambe finalizzate al pericolo altrui: l’aggressione e l’offesa. La locuzione “necessità di difendere” non significa che il soggetto deve comunque difendere da sé, bensì il giudice deve valutare quando sia venuta meno la possibilità d’intervento delle forse dell’ordine. Le locuzioni: “esservi stato costretto” implica l’esclusione di alternative, “per sé o per altri significa che il soggetto non è punibile per la difesa di altri, “sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa” vuol dire che se nel rapporto di proporzione la difesa travalica l’offesa, scatta il reato colposo (art. 55).




Art. 53 Uso legittimo delle armi


Dal testo di questa disposizione si desumono con certezza 2 caratteristiche della causa di giustificazione:

a)  propria: prevista cioè solo in favore di una certa categoria di soggetti (per es. i pubblici ufficiali); la sua applicazione però è estendibile anche ai privati che abbiano cooperato nel fatto ma solo su esplicita richiesta del pubblico ufficiale (per es. un poliziotto ferito può ordinare a un cittadino di prendere la pistola e sparare)

b)  sussidiaria: la norma è valida solo se sono presenti gli estremi dell’adempimento del dovere e della legittima difesa. E’ invece controversa la possibilità di includere fra le situazioni rilevanti la c.d. “resistenza passiva” (per es. la manifestazione, c.d. “sit-in”, sui binari da parte di un gruppo di scioperanti). L’opinione dominante è di legittimare l’uso della forza e al limite anche delle armi, purché ci si aspiri a regole di cautela e moderazione e che si evitino le lesioni ai beni fondamentali della persona (per es. contro i scioperanti possono essere usati gli idranti o gli sfollagente)


Art. 54 Stato di necessità


Si tratta del caso in cui prevalgono interessi primari quali la vita e la salute rispetto agli altri, la norma vincola questa possibilità solo allorché dovesse derivare un grave danno alla persona (per es. nel caso del Titanic, non è punibile un naufrago che sottrae la zattera a un altro per ucciderlo). Esistono sentenze di assoluzione per chi ha occupato abusivamente le case ICIAP perché, avendo dei bambini a carico, avrebbero potuto mettere a repentaglio la vita dei loro piccoli). Le locuzioni: “di salvare sé ed altri” non fa solo riferimento all’agente ma anche a terzi che possono beneficiare del soccorso (per es. nel caso del Titanic, la sottrazione della zattera per un lio), “pericolo attuale di un danno grave alla persona” dimostra che devono essere state escluse tutte le altre possibili alternative, “il fatto sia proporzionale al pericolo” indica che ci deve essere proporzione tra condotta intrapresa e situazione (per es. il naufrago potrebbe aggrapparsi alla zattera rimanendo con le gambe in acqua per consentire all’altro di stare a galla; non ci sarebbe proporzione se pur sapendo di poter rimanere entrambi a galla, il naufrago lo spinge via facendolo morire), “anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia” si presenta, sul piano strettamente morale, come una causa di giustificazione “cattiva” perchè si mette in pericolo la vita di terzi estranei alla situazione, in questo caso la legge, riconoscendo l’estraneità, impone l’indennizzo (vedi art. 2045 C.C.) 


ERRORE (esimenti)


L’errore (falsa rappresentazione della realtà) và distinta dall]oranza (mancata conoscenza) e dal dubbio (conflitto tra più rappresentazioni).


Proprio: il soggetto crede di agire nel rispetto della legge ma in realtà la

viola


Improprio: il soggetto crede di commettere un reato ma in realtà non viola la legge

Errore

Motivo: interviene nella fase ideativa del reato, incidendo sulla volontà


Ostativo: interviene nella fase di esecuzione del reato, venendo a mancare la volontà


Tipi di errore:

a)  di fatto: la punibilità è esclusa se manca uno degli elementi essenziali del reato (per es. prendere il cellulare sul tavolo credendo che non appartenga ad alcuno)

b)  di diritto (c.d. ingorantia legis): venne introdotta nel 1988 dalla Corte Costituzionale con sentenza interpretativa di rigetto n< 364/88 secondo cui è ammessa la causa di esclusione di colpa solo se l]oranza è invincibile (per es. un contadino isolato dal resto del mondo, laddove non vi sono linee di comunicazione)

c)  causato dall’altrui inganno: è imputabile chi ha posto in essere l’inganno (per es. rispondere di falso ideologico, compiuto dal notaio, il privato che lo ha indotto in errore)

d)  su soggetti non imputabili: non sono punibili gli infermi di mente che compiono un reati per errore


COLPEVOLEZZA


La colpevolezza è il terzo elemento della struttura del reato. Al fatto vanno assegnati gli elementi nel loro valore descrittivo; con il giudizio sull’antigiuridicità l’insieme di elementi dal punto di vista contrario o conforme al diritto obiettivo; la colpevolezza contrassegna la fase del giudizio sull’atteggiamento interiore dell’agente. Si completa così l’iter del giudizio:


accertamento del fatto tipico à verifica dell’esistenza di cause di giustificazione à valutazione dell’attitudine del soggetto


Elementi essenziali della colpevolezza:

Capacità d’intendere e di volere: il soggetto deve essere capace di percepire la minaccia della sanzione penale e di volerne la violazione (per es. secondo Robert Ressler l’infermiera serial killer di Lecco, pur essendo capace d’intendere e di volere, accumulava inconsciamente l’angoscia dei pazienti che la spingevano ad ucciderli)

Collegamento alla pena: tanto più è colpevole il soggetto, tanto più è alta la pena; ecco perché si parla di “doppia misura della pena”: è un metro di valutazione del giudice per individuare la pena che sia adeguata e allo stesso tempo rieducativa.


Cause di esclusione della colpevolezza:

Minore età: si riconosce l’immaturità del soggetto che non gli consente un orientamento normale in base ai valori. Per i minori di 14 la causa è esclusa sempre, per i minori di 18 anni decide il giudice.

Vizio totale di mente: oltre alle infermità, sono compresi i disturbi psichici atipici(per es. le nevrosi) e le “menomanie” (per es. la cleptomania); sono invece escluse le anomalie del carattere o del sentimento, così come gli stati emotivi e passionali.

Sordomutismo: non si riferisce a tutta la categoria, ma solo a quelle forme che hanno ostacolato lo sviluppo psichico del soggetto (per es. i sordomuti ritardati)

Intossicazione cronica da droga o da alcool: è in corso il dibattito circa la distinzione tra intossicazione cronica e intossicazione abituale per cui invece è previsto l’aggravante; in linea di massima si cerca di punire il soggetto laddove ha potuto programmare il fatto (actio praecedens) rispetto all’azione finale (actio libera causa)

Presenza di un dovere: (vedi . 12)

Errore: il soggetto ha agito senza dolo (vedi 14)






DELITTO TENTATO (art. 56)


Si tratta dell’atto illecito contrassegnato dalla mancata produzione sul paino oggettivo del risultato a cui la condotta era diretta. Si distingue dal delitto consumato in quanto la consumazione coincide con la produzione di effetti lesivi sul bene giuridico leso (al contrario l’esecuzione coincide all’attivazione di decorsi causali). Il delitto tentato è una norma duplicatrice, cioè appartiene alla parte generale ma è come se duplicasse le fattispecie compatibili della parte speciale del codice penale.

Principi del delitto tentato:

i fatti devono essere dolosi e non colposi: perché la colpa non consiste in “atti diretti a commettere”

i fatti devono essere delitti e non contravvenzioni: perché le contravvenzioni sono forme anticipate di tutela dei beni (per es. il tentativo di inquinamento delle acque)

il delitto tentato è punito con una pena sensibilmente inferiore a quella del delitto consumato: nei casi di ergastolo è commiabile la reclusione da 12 a 24 anni, invece negli altri casi la pena è diminuita da 1/3 a 2/3.


Tipi di delitto tentato:

Compiuto: la condotta è realizzata per intero e viene sempre punito

Incompiuto: la condotta non è stata portata a termine e rimane impunito


Fattispecie oggettiva


L’atto per essere significativo deve essere esecutivo del suo proposito altrimenti rimane preparativo (per es. il cacciatore con il porto d’armi per sparare ai faggiani).


d. Come si fa a distinguere tra atti preparativi ed esecutivi?

R. Sono punibili gli atti idonei ad esclusione di tutti i fattori impeditivi sorti “ex-post” (per es. uno spillo non è un’arma idonea ma lo diventa se la vittima è emofiliaca) e non equivoci con valenza probatoria cioè di provare con certezza il dolo dell’autore (per es. uno spillo di un abito che punge inavvertitamente l’indossatore)


Fattispecie soggettiva


La dottrina è concorde nel ritenere che il dolo nel delitto tentato sia in tutto e per tutto identico al delitto consumato. Si sottolinea però che l’accertamento precede, e non segue come nel delitto consumato, la valutazione degli elementi.


Ipotesi di resipiscenza


= il soggetto ripensa ed evita l’evento


Si distingue in:

desistenza volontaria: l’attività esecutiva è interrotta da circostanze “ab externo” che non dipendono dalla volontà dell’agente )per es. lo scassinatore a cui si spezza il piede di porco)

recesso attivo: consiste in una condotta che segue al compimento dell’azione e diretta a impedire l’evento (per es. deviare all’ultimo momento la canna del fucile)







CONCORSO DI PERSONE NEL REATO



Nell’ambito di reati plurisoggettivi si distinguono 2 ipotesi:

Concorso necessario: previsione di più condotte che si presentano come complementari ai fini della realizzazione del reato (per es. la rissa, l’incesto, la bigamia, etc.)

Concorso eventuale: anche se il fatto è realizzato mediante la partecipazione di più soggetti, la fattispecie astratta, secondo lo schema del reato monosoggettivo, indica che è sufficiente che l’attività del singolo sia inserita con efficacia causale nella dinamica criminosa e nell’apporto di un contributo di ordine materiale o psicologico idoneo alla realizzazione anche di una soltanto delle fasi di ideazione dell’azione criminosa posta in essere da altri soggetti con la coscienza e la volontà di concorrere per l’esecuzione della condotta criminosa (per es. la domestica infedele che, in odio dei suoi datori di lavoro, essendo venuta casualmente a conoscenza di un piano di furto, lasci di proposito socchiusa la porta dell’abitazione dimostrando di essere indifferente a un accordo preventivo)

Concorso eventuale esterno: c’è una ura concorrente che offre un contributo episodico e quindi non appartiene all’associazione, in questo caso il concorrente non risponde per concorso ma solo per “reato-scopo” (per es. la “fribillazione” è una difficoltà dell’associato ad avere rapporti pubblici, quindi non è necessario un concorrete politico, quasi sempre corrotto, che favorisca l’avvicinamento)


Oltre al concorso doloso c’è quello colposo secondo cui tutti i partecipanti non vogliono che l’evento si realizzi (per es. quando si verifica la morte di un paziente, i ruoli dell’equipe chirurgica sono oggetto di attenuazione perché c’è stata imperizia). Nel concorso di cause indipendenti c’è una forma ai cooperazione colposa in cui le funzioni dei partecipanti non sono interdipendenti l’un l’altro.


Responsabilità del partecipante per un reato diverso (Art. 117)


Si tratta di quei casi in cui un soggetto (estraneo) partecipa con un altro soggetto (intraneo) che ricopre una particolare qualifica. In questi casi è indispensabile che l’intraneo sia l’esecutore materiale del fatto e che l’estraneo sia a conoscenza della particolare qualità a condizione dell’intraneo (per es. il pubblico ufficiale che trasforma un’appropriazione indebita in peculato).


d. trattandosi di reati associativi qual è la differenza fra concorso e associazione a delinquere?

R. Nel concorso l’accordo è occasionale e accidentale, cioè limitato alla realizzazione di uno o più reati e si esaurisce con la consumazione di questi; nel reato associativo, invece, l’accordo criminoso rimane per l’ulteriore attuazione del programma delinquenziale: persiste quindi il pericolo costante  per la collettività.


d. Perché il legislatore punisce più persone?

R. perché il vincolo rafforza il proposito criminoso















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