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ELEMENTI ESSENZIALI DELLA S.A.S. - DIRITTO COMMERCIALE

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ELEMENTI ESSENZIALI DELLA S.A.S. - DIRITTO COMMERCIALE

Art.2313: nozione di s.a.s.

Nella s.a.s. i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali e i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita.

Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni.


Quando si parla di elemento tipologico essenziale della società si intende elemento senza il quale non si conura quel tipo particolare di società.

Quali sono gli elementi tipologici essenziali?

La s.a.s. è caratterizzata dalla presenza di 2 tipi di soci:



accomandatari

accomandanti

Perché il 2° comma, dopo aver posto l'accento su 2 tipi di soci, sottolinea che le quote di partecipazione non possono essere rappresentate da azioni?

Perché la presenza dei 2 soci la si trova anche nella s.a.p.a., con la differenza che in quest'ultima le quote di partecipazione sono rappresentate da azioni.

Quindi il legislatore ha messo in evidenza 2 elementi:

la presenza di 2 tipi di soci

le quote non sono in forma di azioni

La s.a.s. è una società di persone e si modella sulla s.n.c., ma oltre a queste regole deve rispettare tutta una serie di regole che derivano dal fatto che non ci sono solo soci a responsabilità illimitata come nella s.n.c.

La s.a.p.a, pur avendo soci che rispondono illimitatamente (gli accomandatari amministratori), è pur sempre una società per azioni perché sia gli azionisti accomandatari sia gli azionisti accomandanti sono sempre azionisti e le azioni sono sempre le stesse.

Sulla falsa riga della s.n.c. il legislatore ha voluto conurare la s.a.s., cioè sulla falsa riga di una società di persone modificata dal fatto che esistono anche soci a responsabilità limitata, sulla falsa riga della S.p.a. il legislatore ha voluto conurare la s.a.p.a. dove esistono soci a responsabilità illimitata.


Mentre nella s.a.p.a. l'azione che appartiene al socio accomandante ha le stesse caratteristiche di quella che appartiene al socio accomandatario, nella s.a.s. ribadisce che le quote di partecipazione del socio non possono essere azioni.

I soci accomandatari, come i soci della s.n.c., sono i naturali destinatari dell'amministrazione della società. Significa che, ove non sia diversamente previsto nell'atto costitutivo, naturalmente l'amministrazione spetta a loro. Per ipotesi si potrebbero avere soci accomandatari che non amministrano.

Art.2318 afferma che l'amministrazione della società può essere conferita solo a soci accomandatari.

Il socio accomandatario che per contratto non è amministratore, resta accomandatario cioè non perde la sua qualifica.

Come contropartita del potere di amministrare esiste la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. Questa è la regola che accomuna accomandatari ai soci di s.n.c.

La differenza è data dalla presenza di soci accomandanti: essi rispondono limitatamente alla quota che hanno conferito. Come contropartita, sono esclusi dalla direzione della società, cioè non possono fare gli amministratori.


Non bisogna confondere

R s.a.s.

R associazione in partecipazione

Quando si costituisce una s.a.s. ci sono dei soci che amministrano = accomandatari e dei soci che conferiscono i capitali = accomandanti. E questa è una società:

si forma patrimonio comune autonomo dotato di autonomia patrimoniale

esiste dovere di collaborazione di tutti i soci

esiste patrimonio slegato da quello dei singoli soci

Nella associazione in partecipazione, che è anch'essa un contratto, vi è un soggetto che amministra e uno che apporta capitali. Ma non c'è la formazione di un fondo comune. Non c'è impresa esercitata in comune.

Ci sono delle regole fondamentali da rispettare:

accomandanti non possono inserire il loro nome nella ragione sociale

accomandanti non possono intromettersi nell'amministrazione

Ma hanno determinati poteri.


Quando si fa atto costitutivo di una s.a.s. bisogna indicare quali saranno i soci accomandatari e quali gli accomandanti.

I terzi devono sapere se esiste questa duplice categoria di soci.

Anche l'atto costitutivo della s.a.s., al pari di quello della s.n.c., va iscritto nel registro delle imprese con funzione di pubblicità legale dichiarativa.

Possono dunque esistere s.a.s. irregolari. Anche in questo caso il fenomeno è circoscritto alle società di persone con forma commerciale soggette ad iscrizione nel registro con effetti di pubblicità legale dichiarativa.


Art.2314. Ragione sociale. La società agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari con l'indicazione di s.a.s., salvo il disposto del 2° comma dell'art.2292.

L'accomandante il quale consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni  sociali.


Prendiamo lo statuto.

Si distingue tra

R statuto = segna le basi organizzative della società

R atto costitutivo = segna nome degli accomandatari, i soci accomandanti, ecc.

Il notaio che ha fornito questo statuto, distingue tra atto costitutivo e statuto anche per le società di persone.

Di solito per le società di persone si redige un patto sociale in cui atto costitutivo e statuto sono entrambi compresenti.


Ragione sociale = nome della società.

Deve essere costituita da almeno uno dei nomi dei soci accomandatari, cioè dei soci che amministrano, con l'indicazione di s.a.s.

Questo perché i terzi devono sapere già quello che è scritto nell'atto costitutivo.


Art.1 La società agisce sotto la ragine sociale : ALDO ROSSI & C. s.a.s.


Cosa succede se un accomandante acconsente che il proprio nome sia inserito nella ragione sociale, risponde illimitatamente e solidalmente di tutte le obbligazioni sociali, come se fosse un accomandatario. Non diventa accomandatario, ma di fronte ai terzi assume la stessa responsabilità illimitatamente propria dei soci accomandatari.

La responsabilità illimitatamente è per tutte le obbligazioni sociali, passate, presenti e future non solo per le obbligazioni sociali che sorgono dal momento in cui ha inserito il suo nome.

Non è regola tanto strana.

Quando abbiamo studiato la responsabilità dei soci nelle società di persone, l'art.2269 dice che chi entra a far parte di una società risponde anche delle obbligazioni precedenti.

Ma l'accomandante resta sempre tale, non diventa accomandatario, quindi non diventa amministratore.

La responsabilità illimitatamente va a colpire il socio se il nome è stato inserito con il suo consenso.


La disciplina dei conferimenti subisce qualche modifica? L'opinione dominante in dottrina, che è anche quella del Cottino, è quella di ritenere che è meglio che il socio accomandante non faccia il socio d'opera perché nasce normalmente come socio di capitale.

Il conferimento d'opera è ammissibile nelle società di persone e non in quelle di capitali. Però, esiste la posizione del socio della s.a.s. che nasce come socio di capitale e che mal si concilia con la prestazione di servizi, quale oggetto di conferimento.


Art.2318 dice che i soci accomandatari hanno stessi diritti e doveri dei soci di una s.n.c. e che l'amministrazione della società spetta naturalmente ad essi.

Ciò non significa che la legge non consideri i poteri che spettano ad un socio accomandante. Di regola non può ingerirsi nella

R gestione interna, cioè non può compiere atti di gestione che non

comportino una contrattazione con i terzi

R gestione esterna, cioè non può fare il rappresentante generale

Però non è completamente estraniato dalle vicende della società.

Regola generale: è vietata qualunque ingerenza nell'amministrazione in senso lato cioè non possono fare gli amministratori.

Se il socio accomandante si mette a fare l'amministratore, perde il beneficio della responsabilità limitata.

Quali sono le conseguenze del divieto di immistione? Sono di 2 tipi:

R di ordine patrimoniale

R di ordine personale


Conseguenza patrimoniale

assume responsabilità illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali (art.2320)

in caso di fallimento della società, fallisce al pari degli accomandatari perché illimitatamente responsabile

Conseguenza personale

Il socio può essere escluso dalla società (art.2320).


Rientra nell'art.2286, che dice che l'esclusione può derivare da grave inadempienza agli obblighi di legge o dall'atto costitutivo.

Il caso dell'accomandante che viola il divieto d'immistione è una grave inadempienza ad un obbligo legale. Ma anche questo è un caso d'esclusione facoltativa.

Nel caso in cui l'accomandante amministri perché glielo hanno consentito gli accomandatari, l'accomandante risponderà illimitatamente davanti ai terzi, ma non potrà essere escluso. Ecco perché il legislatore non ha previsto che la violazione del divieto d'immistione determini esclusione di diritto.

Se invece non c'è il consenso avviene l'esclusione, con voto di maggioranza.

Bisogna dare un contenuto al divieto d'immistione.

Si è detto che gli accomandanti non possono fare gli amministratori.

L'art.2320 afferma che:

i soci accomandatari non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari.

Procura speciale

Significa che mentre non è possibile conferire una procura generale ad un socio accomandante e cioè dargli potere generale di gestire e spendere il nome della società per qualunque atto di ordinaria e straordinaria amministrazione, è possibile con una procura speciale, che è limitata al compimento di un singolo atto, dargli un potere di gestione e di rappresentanza.

Con una procura ad hoc si può dare all'accomandante il potere di firmare un contratto di vendita in nome della società, purché sia ben limitata alla sua area di azione.

Lo spartiacque è dato dall'ingerenza generale nell'amministrazione e nella rappresentanza delle società.


Quando abbiamo studiato gli ausiliari dell'imprenditore, abbiamo studiato la ura dell'institore il quale è investito di una procura generale per i singoli atti.

1) L'accomandante non può quindi rivestire la qualifica d'institore, altrimenti sarebbe come

dire che è investito di una rappresentanza generale.


Il socio accomandante ha anche altri poteri:

Gli amministratori possono essere nominati sia per atto costitutivo sia per atto separato

Se gli accomandatari sono nominati con atto separato, la legge dice che è necessario il consenso di tutti gli accomandatari e l'approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentano la maggioranza del capitale da essi sottoscritto (art.2319).

Quindi, ove non derogato per patto, ci vuole il consenso di tutti gli amministratori e della maggioranza del capitale sottoscritto dagli accomandatari.

3) possono prestare la loro opera purché lo facciano sotto la direzione degli accomandatari.

4) possono dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni. I pareri possono essere

vincolanti o meno, invece l'autorizzazione è un consenso dato al fine del compimento o non

compimento di un atto. Fino a che punto è valida una clausola di un patto sociale che

prevede questo potere?

Bisogna analizzare qual è il contenuto del potere d'immistione in relazione a questi poteri.

Fino a che punto è possibile questi poteri di autorizzazione e pareri? La dottrina e la giurisprudenza hanno detto che se questi poteri sono così ampi da svuotare la linea di confine tra chi è deputato naturalmente ad amministrare (= accomandatario) e chi è estraniato dalla direzione (= accomandante) allora si viola la legge, cioè il divieto d'immistione. Si viola

R quando è necessaria autorizzazione dell'accomandante per ogni atto di ordinaria e

straordinaria amministrazione

R quando i contratti che superano un certo importo devono essere prima approvati

dall'accomandante

Ma se l'autorizzazione è riferita ad atti singolarmente considerati e non si svuota il contenuto della regola inderogabile secondo la quale il potere di amministrare spetta solo agli accomandatari, allora si riesce ad individuare un confine tra ciò che rientra nel divieto d'immistione e ciò che non rientra.


Quindi bisogna enunciare qual è il contenuto del divieto d'immistione e specificare che esso non implica un'estraniazione totale dell'accomandante da ogni atto di gestione e di rappresentanza; ma postula che resta tale la regola per cui l'amministrazione generale e la rappresentanza spetta solo agli accomandatari. L'accomandante ha dei poteri limitati, ma importanti nel caso in cui debba concedere autorizzazioni.


L'accomandante ha poi dei poteri di controllo. Secondo l'art.2320:

ha diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto profitti e perdite e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società.

Qui è nato un problema riguardo il diritto di avere comunicazione del bilancio. Qualcuno sostiene che approvare un bilancio è un atto di gestione e come tale vietato agli accomandanti. Questa tesi è stata contraddetta da tutta la dottrina e anche dal Cottino perché approvare un bilancio redatto da altri non vuol dire gestire, ma controllare la gestione altrui. Quindi è pacifico considerare che anche gli accomandanti possano approvare il bilancio perché ciò è considerato rientrare nei loro poteri di controllo.

Il Cottino dice che se fosse un potere di gestione approvare un bilancio, lo sarebbe anche la nomina degli amministratori, che invece è consentito all'accomandante.


Altra discussione si è avuta nel caso di opposizione ad un atto in caso di amministrazione disgiuntiva. Sull'opposizione decide la maggioranza dei soci calcolata per quote di partecipazione agli utili. L'accomandante può votare o no sull'opposizione? È discusso. La decisione è sulla fondatezza dell'opposizione e non sull'atto da compiere.

Secondo il Cottino se si consentisse all'accomandante di votare ci potrebbe essere un'ingerenza nella gestione. Si discute di questo problema.


Solo nella s.a.s si trova la norma sul

Trasferimento della quota

La regola per le modifiche del contratto sociale è l'unanimità, salvo diversa disposizione nel contratto.

Nelle società di persone, la cessione della quota implica un mutamento del contratto perché cambia la persona del socio. Per cedere la quota è necessaria di norma l'unanimità dei consensi, a meno che non sia diversamente stabilito nei patti sociali.

In caso di morte del socio si liquida la quota in denaro agli eredi, a meno che i soci non preferiscano sciogliere la società o continuarla con il consenso degli stessi.


Per la s.a.s. le regole sono diverse perché la quota dei soci accomandanti si avvicina di più alle quote delle società di capitali.

Art. 2322: "La quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, la quota può essere ceduta, con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale".

Al pari delle azioni e delle quote di s.r.l., in caso di morte del socio non si applica l'art.2284, a meno che i patti non lo abbiano previsto.

È favorita anche la cessione tra vivi (es. vendita), perché la quota può essere ceduta con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza.

Tutto ciò per la quota dell'accomandante.

Le quota dei soci accomandatari seguono le regole della cessione della quota del socio di s.s. e di s.n.c.: se muore un socio, si applica l'art.2284.

Questo perché le quote del socio accomandatario, che è naturalmente amministratore e investito della responsabilità illimitata e solidale, seguono le sorti delle società peersonali.

La distinzione è nella quota dell'accomandante che è un socio, per sua natura, a responsabilità limitata.

La quota dell'accomandante, proprio perché è quota di un socio di capitale, si trasferisce automaticamente in caso di morte, mentre tra vivi basta il consenso della maggioranza ( e non l'unanimità), salvo quanto diversamente disposto. Sono regole derogabili dall'autonomia delle parti. Se nulla è detto si applica l'art.2322. Se si vuole stabilire una regola diversa, si deve inserire una clausola specifica nell'atto costitutivo.


SCIOGLIMENTO


Cosa succede se vengono a mancare tutti gli accomandatari o tutti gli accomandanti?

Art.2323: "La società si scioglie, oltre che per le cause previste nell'art.2308, quando rimangono soltanto soci accomandatari, sempreché nel termine di 6 mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno."

Se mancano gli accomandanti i problemi sono minori, perché gli accomandatari possono continuare a gestire. Ma se vengono meno tutti gli accomandatari, l'attività della società sarebbe bloccata. La legge dice al 2° comma: "Se vengono a mancare tutti gli accomandatari, per il periodo indicato dal comma precedente gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. L'amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario."


L'amministratore provvisorio ha poteri limitati nel tempo, cioè 6 mesi.

L'amministratore provvisorio potrebbe anche essere scelto tra gli accomandanti. Ma l'accomandante scelto non diventa accomandatario. È solo un modo per evitare dei vuoti di gestione che la legge cerca di colmare.

Se non venisse ricostituita la pluralità dei soci, si potrebbe dire che la società è tacitamente trasformata in una s.n.c. irregolare. Scaduti i 6 mesi i soci superstiti non hanno costituito la pluralità dei soci. Continuano a gestire anche se la società sarebbe già sciolta, e non nominano i liquidatori.

Da s.a.s. regolare si passa ad una s.n.c. irregolare, che non necessita di alcuna formalità.

Per arrivare a questa trasformazione anomala bisogna che non ci sia alcuna soluzione di continuità tra prima e dopo, che si lascino trascorrere i 6 mesi e non si nominino i liquidatori.


Se il notaio non avesse distinto tra atto costitutivo e statuto, ci sarebbe stata un'altra dicitura.

Normalmente, nelle società di persone, si fanno dei patti sociali che contengono atto costitutivo e statuto.

Invece questo notaio ha seguito la stessa regola che si segue per le società di capitali e ha voluto stabilire solo le regole di organizzazione della s.a.s. Inoltre, questa è una bozza e quindi sono previste più clausole. Diventa contratto nel momento in cui si scelgono le clausole.


Art.1.Ragione sociale. La società agisce sotto la ragione sociale: ALDO ROSSI & C. s.a.s.

La regola che almeno un socio accomandatario uri nella ragione sociale è rispettata; inoltre, ci vuole l'indicazione del tipo di società.


Art.2. Sede. La società ha sede in via Lanino 1.

La sede è domiciliata nello studio dei commercialisti, che ad esempio sono in questa via.


Art.3. Durata. Il termine di durata della società è fissato nella data del 31/12/2050.

La durata si proporziona alla vita dei soci che hanno costituito la società.


Art.3. Oggetto. La società ha per oggetto: Settore elettronico, elettrico ed elettromeccanico. Può svolgere le seguenti attività: montaggio e costruzione di componenti ed accessori per auto. Oppure montaggio e lavorazione in conto terzi di componenti ed accessori per auto.

Tranne la s.s. che può solo esercitare attività agricola, la s.a.s. così come la s.n.c. sono società di forma commerciale. Questa forma comporta l'adozione di determinate regole contenute nello statuto dell'imprenditore commerciale. Ma queste società possono anche svolgere attività non commerciale. In questo caso diamo un oggetto commerciale.

Spesso si inserisce che la società, ai fini del miglior raggiungimento dell'oggetto sociale, può compiere tutte le operazioni immobiliari, mobiliari, finanziarie e commerciali necessarie e utili. In questo caso si ha un elencazione più complessa.

Poi il notaio ha voluto essere più preciso ed ha elencato:


Art.5. Atti strumentali all'oggetto

Ha voluto dare un'elencazione esemplificativa, non tassativa, di atti che possono essere compiuti.

Strumentale = si pone come mezzo affine.

Gli atti strumentali sono elemento fondamentale del contratto di società e dello statuto perché segnano i confini dei poteri di amministrazione dei soci che hanno l'amministrazione della società (soci di s.s. e di s.n.c. che non siano estraniati per volontà loro dall'amministrazione;  soci accomandatari per la s.a.s.).

È solo un elenco, quindi non si esce dall'oggetto sociale se si compie un atto che non rientra in questi elencati. Di solito sono le banche che vogliono sapere esattamente qual è l'oggetto sociale e quali sono i poteri di coloro con cui contrattano.

L'oggetto sociale è l'elemento fondamentale. Deve essere possibile, lecito, determinato e determinabile.


Art.6. Capitale. Il capitale sociale è di £. 1.000.000 ed è ripartito tra i soci secondo le

quote di partecipazione indicate nell'atto costitutivo o in atti modificativi dello stesso. Alle esigenze finanziarie della società i soci possono provvedere mediante versamenti di denaro a titolo di prestito. Detti versamenti non producono interessi di sorta.

I soci accomandatari sono: Aldo Rossi e Sergio Rossi.

Aldo versa £. 600.000 e Sergio £. 400.000.

Questo principio si trova nell'atto costitutivo.

Se si ha unico atto che contiene sia atto costitutivo sia statuto, si hanno già le cifre.

Nessuno può essere obbligato a fare dei versamenti contro la propria volontà. L'unico obbligo è quello di eseguire i versamenti che i soci si sono obbligati ad eseguire nel momento in cui sono diventati soci facendo il conferimento.

Nulla esclude che i soci per loro volontà possano fare dei versamenti di denaro. Questi sono prestiti e non conferimenti.

Spesso gli statuti prevedono con una clausola che i soci possano fare dei mutui, i quali non sono produttivi d'interessi. Il mutuo può essere anche a tasso zero, ma non perde la sua qualifica di mutuo come contratto tipico.

Il fatto che si tratti di mutui e non di conferimenti comporta che ci sia un diritto di restituzione alla scadenza al socio che li ha effettuati. Invece per i conferimenti non c'è diritto ad avere restituzione durante la vita della società, ma bisogna attendere lo scioglimento.

Nel caso dei mutui il socio è anche creditore: alla scadenza la società gli deve dei soldi.

Quindi nessun socio può essere obbligato ad eseguire altri conferimenti.


Art.7. Responsabilità dei soci. I soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali; i soci accomandanti rispondono con i soli beni conferiti.


Art.8. Amministrazione. Quando gli amministratori sono più di uno essi hanno poteri disgiunti, salvo diversa convenzione dei soci iscritta nel registro delle imprese. Nell'atto costitutivo o in altro atto iscritto nel registro delle imprese i soci possono stabilire che determinati atti siano preventivamente autorizzati dagli accomandanti. Se vengono a mancare tutti gli accomandatari, per il periodo di 6 mesi gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. L'amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario.

Il notaio ha scelto la regola dell'amministrazione disgiuntiva, che applicata agli accomandatari, vuol dire che agiscono disgiuntamente. Se c'è un solo accomandatario questo agisce come amministratore unico.

Se ci sono 2 accomandatari, Aldo Rossi e Franco Nero, sarebbero amministratori in via disgiunta, salvo diversa convenzione.

Determinati atti possono essere autorizzati dagli accomandanti. Questo è uno statuto, ma nell'atto costitutivo si potrebbe dire che ad esempio per l'acquisto o la vendita di un particolare immobile è necessaria l'autorizzazione del socio accomandante.

Però, non bisogna mai violare il divieto d'immistione. Quindi, tramite questa regola, non si può prevedere nell'atto costitutivo una regola del tipo: tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione che superano la cifra di £. 5.000.000 devono essere autorizzati dagli accomandanti. Vorrebbe dire ingerirsi nella gestione. Questa clausola sarebbe nulla.

Dove si trovano gli atti che necessitano l'autorizzazione dell'accomandante? Nell'atto costitutivo o in una sua modifica.

L'amministratore provvisorio potrebbe essere un accomandante o un terzo. Quando la legge dice che l'amministratore provvisorio non diventa un socio accomandatario è come se dicesse che è vietato conferire ad estranei il potere di amministrare una società di persone.


Art.9. Rappresentanza. La rappresentanza della società - anche in giudizio - spetta a ciascun amministratore, salvo diversa convenzione dei soci iscritta nel registro delle imprese. Essa si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale. Tuttavia gli atti che risultino esclusi dall'amministrazione disgiuntiva o per quali sia prescritta la preventiva autorizzazione dei soci accomandanti, possono essere compiuti da un singolo rappresentante solo se questi agisce con il consenso degli altri amministratori ed inoltre, quando risulti prescritta, previa autorizzazione dei soci accomandanti.

Consenso ed autorizzazione devono avere la stessa forma richiesta dalla legge per l'atto da compiere.

È il potere di spendere il nome della società in relazione a tutti gli atti compiuti.

Si accetta la regola dell'amministrazione disgiuntiva, ma se per caso nell'atto costitutivo è previsto che per determinati atti è previsto che si debba avere amministrazione e firma congiunta, il singolo amministratore non può spendere il nome della società se non ha anche la firma degli altri amministratori. La legge consente di mescolare l'amministrazione disgiuntiva e congiuntiva. In questo caso si dice che, se nulla è detto, ogni singolo amministratore può firmare da solo purché l'atto rientri nei limiti dell'oggetto sociale. Bisogna però fare attenzione che nello statuto non sia prevista una forma di amministrazione e rappresentanza congiunte per determinati atti, altrimenti la firma da sola non basta. Allora gli atti per i quali è prescritta un'autorizzazione dell'accomandante o che non rientrano nell'amministrazione disgiuntiva possono essere compiuti dal singolo amministratore solo se agisce con il consenso degli altri amministratori o solo previa autorizzazione.

Questa norma si occupa della rappresentanza cioè della firma sociale. Bisogna distinguere tra:

R chi ha il potere di decidere l'atto

R chi ha il potere di portare all'esterno questa volontà

La norma dice che come regola si applica l'amministrazione disgiunta per ogni forma di rappresentanza. Però se il potere di decidere il compimento dell'atto lo avessero congiuntamente ad altri amministratori, è vero che può firmare (perché la firma è disgiunta), ma a monte ci vuole una decisione anche degli altri, ad esempio l'autorizzazione dell'accomandante.

Quindi questa norma, a differenza di quella precedente, si occupa solo del potere di firma.

Se il potere di firma spesso è modellato su quello di gestione, cioè amministrazione disgiuntiva e firma disgiunta, può anche essere che si adotti la firma disgiunta accomnata da amministrazione congiunta.


Art.10. Trasferimento della quota per atto tra vivi. Il socio che intende trasferire ad altri (anche soci) la propria quota (o parte di essa), deve darne comunicazione scritta raccomandata con A.R. agli altri soci che possono individualmente opporsi al trasferimento nella stessa forma della comunicazione anzidetta.

Decorsi 30 gg. dall'ultima delle comunicazioni senza alcuna opposizione il trasferimento può essere liberamente attuato.

In caso di opposizione il socio ha diritto di recedere dalla società.

Non c'è nessuna differenza tra quota dell'accomandante e dell'accomandatario. Per trasferire la quota ci vuole il consenso di tutti i soci.

Il notaio ha reso più agevole il procedimento di trasferimento. Non è necessario chiedere il trasferimento a tutti i soci. Il socio comunica con lettera con avviso di ricevimento, così ha la prova che l'ha spedita, l'intenzione di vendere la sua quota. Se gli altri soci non si oppongono entro 30 gg. il socio trasferisce liberamente al terzo. Ma nella sostanza è come se avesse detto che la quota è cedibile solo con il consenso di tutti. Basta anche solo un socio che si oppone, perché vale l'unanimità dei consensi.

È previsto un diritto di prelazione. Nel caso in cui un socio intenda vendere la propria quota e c'è un terzo compratore, indica la cifra, e comunica agli altri soci che vuole vendere indicando

R prezzo

R quantitativo

prima di vendere al terzo il socio chiede agli altri se qualcuno di loro è intenzionato a comprare.

La conseguenza è che se i soci dicono sì, il terzo resta fuori. Se dicono no, il socio può vendere al terzo. La clausola di prelazione serve a limitare la circolazione della quota perché il proprietario non è libero di scegliere a chi vendere, ma deve prima offrire in prelazione a chi è già socio della società.

Questa clausola si trova nella società di capitali, ma c'è chi la inserisce anche nelle società di persone. Con questa clausola non si obbliga un socio a vendere ad altri soci, ma c'è un obbligo a preferire, a parità di condizioni, gli altri soci rispetto ai terzi. Il socio non è obbligato a vendere, ma se vende ha l'obbligo di preferire i soci, mandando una lettera.

È clausola che serve a mantenere la comine sociale originaria.


Il socio che intende trasferire ad altri (anche soci) la propria quota (o parte di essa), deve notificare a mezzo di lettera raccomandata con A.R. la proposta di alienazione, indicando il prezzo e le generalità dell'acquirente, agli altri soci i quali hanno diritto di prelazione.

Se non si inserire una clausola del genere, gli altri soci non hanno diritto di prelazione, e il socio è libero di vendere a chi vuole. Il diritto di prelazione va specificamente previsto.

Come si esercita tale diritto?

Se i soci che intendono esercitare la prelazione sono più, la quota del cedente va ripartita tra tutti in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale.

Il diritto di prelazione deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro il termine di 30 gg. dall'ultima delle notificazioni.

Decorso inutilmente questo termine, il trasferimento della quota può essere liberamente attuato entro 4 mesi, decorsi i quali rientra in vigore il regime della prelazione.

Decorso il termine il socio può vendere al Sig. Franco Nero liberamente. Non è più vincolato a preferire i consoci.




DIRITTO COMMERCIALE    

Rivediamo l'amministrazione e la rappresentanza.

Nelle società di capitali spesso la rappresentanza è, per atto costitutivo, conferita solo ad alcuni amministratori. Quindi rileva di più la dissociazione tra

R potere di deliberare gli atti di gestione che è un potere amministrativo interno, che per

ipotesi compete al consiglio

R potere di rappresentare la società che è il potere di spendere il nome all'esterno, che

compete per ipotesi al presidente del consiglio e/o all'amministratore delegato

Questa distinzione di poteri è da tenere presente anche nelle società di persone, anche se è più facile trovarle unificate in un'unica persona, ove non sia previsto diversamente.

Nello statuto che abbiamo, quando si parla dell'amministrazione, si parla semplicemente di chi ha il potere di decidere il compimento degli atti sociali. Si deve poi stabilire se ciò avviene congiuntamente o disgiuntamente.

Secondo lo statuto all'art.8 si decide per la regola della disgiuntività se gli amministratori sono più di uno. Quindi si applica l'art.2257, salvo diversa convenzione dei soci iscritta nel registro delle imprese. Se si vuole passare dall'amministrazione disgiuntiva a quella congiuntiva si deve iscrivere la modifica sul registro per rendere l'atto opponibile ai terzi.

Nell'atto costitutivo infatti i soci possono stabilire che determinati atti siano preventivamente autorizzati dagli accomandanti. Questo potere deve essere limitato, cioè per singoli affari, perché non si può concedere un potere autorizzativo così ampio da svuotare di contenuto la regola in base alla quale solo ai soci accomandatari spetta il potere di amministrare, mentre ai soci accomandanti compete un potere di controllo o limitati compiti di amministrazione i quali non devono violare il divieto d'immistione. Ciò vale per qualsiasi atto d'ingerenza non solo interna, ma anche che comporta un contatto con i terzi, e che quindi comporta la violazione del divieto d'immistione, a meno che, per fatti sociali, non siano attribuiti determinati poteri al socio accomandante che fanno sì che s'interessi della gestione, ma limitatamente.

Dunque il potere di autorizzazione è riconosciuto dall'art.2320 al socio accomandante, ma il cui contenuto va circoscritto per non svuotare la regola in base alla quale la direzione degli affari sociali e i generali poteri amministrativi e di rappresentanza devono spettare al socio accomandatario. Comunque il socio accomandante non è mero spettatore delle azioni altrui, perché l'autorizzazione gli comporta un'ingerenza seppur limitata nell'amministrazione.

Quindi bisogna tenere conto non solo di ciò che l'accomandante non può fare, ma anche di quello che può fare.



Queste sono le conseguenze giuridiche della violazione del divieto d'immistione.

Qual è il contenuto di tale divieto? Per saperlo bisogna anche considerare quali sono i poteri che la legge accorda ai soci accomandanti, indicando che la via per conferirli è un'espressa clausola dell'atto costitutivo che fissa i poteri.

L'art.9 riguarda l'altro aspetto, cioè la rappresentanza.

Sia per l'amministrazione sia per la rappresentanza, i poteri degli amministratori hanno un limite generale dato dall'oggetto sociale che è l'attività economica che la società si porpone di svolgere. Lo si trova per la prima volta nell'atto costitutivo, ecco perché si dice che è l'attività economica che la società si propone di svolgere.

Nell'art.9 è prevista la firma disgiunta che è il potere di rappresentanza. Si estende a tutti gli altri che rientrano nell'oggetto sociale. Il potere di firma è dato disgiuntamente, ma la legge afferma che se fosse prevista un'autorizzazione dell'accomandante per il compimento di un singolo atto, il socio accomandatario prima di firmare deve mostrare l'autorizzazione dell'accomandante perché non ha il potere di compiere da solo quell'atto. Non ha otere di gestione interna, ci vuole anche l'autorizzazione.

Se poi per determinati atti ci voglia l'amministrazione congiunta, prima di firmare il socio accomandatario che ha la firma sociale deve dimostrare di avere il consenso preventivo.


Trasferimento della quota.

Per gli accomandatari si seguono le stesse regole per la s.s. e la s.n.c., cioè è necessaria l'unanimità. Ma può esserci pattuizione diversa. Ad esempio la quota degli accomandatari può essere ceduta con il consenso della maggioranza. Ma deve esserci apposita clausola nell'atto costitutivo perché il principio generale è che tutte le modifiche del contratto avvengano all'unanimità.

Per ipotesi si potrebbe prevedere la libera circolazione della quota, ma sempre con una clausola espressa.

Per il trasferimento della quota dell'accomandante il legislatore prevede regola diverse. Nel trasferimento tra vivi, ad es. vendita, è sufficiente la maggioranza.

Per il trasferimento in caso di morte si applica la stessa regola delle società di capitali, cioè la quota è trasmissibile agli eredi. Questo sempre che le parti non stabiliscano regole diverse.

Vediamo lo statuto. Il notaio ha deciso di non fare distinzione tra quote degli accomandanti e degli accomandatari. La regola è unica, su richiesta dei soci.

Art.10.

La raccomandata A.R. si fa per avere la prova che il socio l'ha ricevuta.

Si ha un meccanismo più sofisticato, ma è l'applicazione in altri termini della regola dell'unanimità. Invece di dire che le quote sono trasferibili con il previo consenso di tutti i soci, si dice che il socio deve mandare una raccomandata a tutti i soci in cui indica la sua intenzione di vendere. Se nessuno si oppone entra 30 gg., la vendita è libera. È solo un modo più facile per raccogliere i voti.

In caso di opposizione, il socio ha diritto di recedere dalla società.

La legge prevede delle ipotesi di recesso, ma sono salve ipotesi ulteriori previste nel contratto sociale. Di fatto, lo statuto ha previsto un'ipotesi ulteriore. Questo perché nelle società di persone non è facile disfarsi della propria partecipazione. Non è così facilmente trasmissibile come nelle società di capitali. Di solito sono i consoci che acquistano la quota.

Se il socio che vuole vendere si vede arrivare un'opposizione, si vede prigioniero della società. È come se fosse un diritto di veto la regola secondo la quale è necessario il consenso di tutti i soci. Il notaio ha previsto una valvola di sicurezza. Lascia al socio che vuole vendere la possibilità di recedere dalla società e gli verrà liquidata la quota.

Questa non è un'ipotesi legale di recesso, ma è un'ipotesi di recesso convenzionale.

È diversa l'ipotesi del recesso da quella del trasferimento, soprattuto nelle società di capitali, dove le ipotesi di recesso sono tassative.

Nelle società di capitali, quando si cede la partecipazione si ha un sub ingresso di un nuovo socio rispetto a quello di prima, ma la composizione del capitale resta inalterata.

Quando invece il socio recede, bisogna liquidargli la quota e quindi si ha indebolimento del patrimonio della società.



Nelle società di capitali il capitale ha importanza maggiore rispetto alle persone.


Nello statuto per cedere la quota ci vuole il consenso di tutti, ma il procedimento è semplificato.

In alternativa è prevista una clausola di prelazione. Quando un socio vuole vendere parte o tutta della sua quota deve, prima di vendere ai terzi, deve offrire la quota in prelazione ai soci indicando:


quantità della quota = oggetto della vendita

prezzo di vendita

persona a cui si vuole vendere


L'intenzione di vendere va comunicata ai soci per porli in condizione di essere preferiti, a parità di condizioni, ai terzi.

La prelazione accorda un diritto di preferenza.

Perché a parità di condizioni?

Perché i soci che vogliono comprare comprano allo stesso prezzo e non a prezzo inferiore perché sono già soci. Non sono preferiti nelle condizioni del contratto, ma sono preferiti nell'acquisto.

Il socio che vuole vendere dà un diritto di preferenza agli altri soci. Se tutti i soci dicono no, allora può vendere al terzo.

Ma se ci sono soci disposti a comprare, la quota andrà ad accrescere proporzionalmente la quota dei soci che sono già in società.

Con la clausola di prelazione non si attribuisce al socio un obbligo di vendita, ma un obbligo di preferire.

Il socio che intenda vendere (quindi è libero o no di vendere) ha l'obbligo di preferire a parità di condizioni gli altri soci rispetto ai terzi.

Questo comporta che debba interpellare gli altri soci comunicando l'oggetto del contratto e il prezzo della vendita.

Le clausole del trasferimento all'unanimità e la prelazione sono incompatibili, perché la prelazione è clausola che limita il trasferimento delle quote.

Lo limita perché prima la quota va offerta in prelazione agli altri soci.

Se i soci che intendono esercitare la prelazione sono più di uno, la quota del cedente va ripartita tra tutti in misura proporzionale alle rispettive quote di capitale sociale.

Se ad esempio un socio partecipa al 3%, continua a partecipare nella stessa proporzione accresciuta della quota che viene ceduta.

Se c'è un unico socio, la compra tutta lui.

Il diritto di prelazione va esercitato entro 30 gg. dall'ultima comunicazione.

Decorso il termine, senza opposizione, il socio può cedere la quota al terzo entro 4 mesi decorsi i quali rientra la prelazione.




Secondo questo statuto il socio ha 4 mesi per cedere la quota.

Se non lo fa, ritorna la prelazione e deve fare un'altra notificazione.


Art.11. Morte del socio.

In caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.

Non si distingue tra accomandante e accomandatario.

Meglio però chiedere ai clienti.

Per agevolare la trasmissibilità della quota del socio accomandante, si può applicare il principio legale per cui le quote si trasferiscono liberamente in caso di morte.

La legge per gli accomandanti prevede la regola della maggioranza nel caso di trasferimento tra vivi.

Qui invece si applica l'art.2284.

L'art.2284 è riferito in realtà ai soli soci accomandatari. La legge è stata derogata.

In realtà per l'accomandante il regime è più semplificato:


libera trasferibilità se per causa di morte

a maggioranza se tra vivi


Qui non è stato applicato l'art.2322 8che è derogabile) perché non si è distinto tra soci di capitali e soci amministratori. C'è uniformità di trattamento per le quote dell'accomandante e dell'accomandatario.


Art.12. Recesso del socio.

Ogni socio può recedere dalla società in qualunque tempo, ma se il recesso avviene prima di un quinquennio da quando egli ha assunto la partecipazione sociale e non è dovuto al verificarsi . della causa indicata all'art.10 del presente statuto di una delle cause previste dall'art.2285 del C.c., la somma determinata per la liquidazione della quota a norma didell'art.14 del presente statuto è ridotta del 15%.

Il recesso è esercitato con dichiarazione notificata a mezzo di raccomandata con AR agli altri soci ed ha effetto decorsi 3 mesi dalla data dell'ultima spedizione.

Il socio che entra in società deve garantire che ci resti 5 anni.

Se recede prima, la regola è quella descritta sopra.

Questo non vale nel caso di recesso all'art.10 e nemmeno nel caso di giusta causa (art.2285).

Bisogna dichiarare il recesso con lettera con AR e ha effetto dopo 3 mesi dall'ultima spedizione.

Qui i soci hanno regolato autonomamente il recesso, come la legge consente loro di fare.



Art.13. Esclusione del socio.

Il socio può essere escluso dalla società nei casi e con il procedimento indicati negli artt.2286-2287 del C.c.; è escluso di diritto nei casi   previsti dall'art.2288 del codice stesso.

Si richiama la legge.

Spesso si trovano enunciate nello statuto le norme legali per completezza, poiché non tutti conoscono le leggi.


Art.14. Liquidazione della quota al socio uscente o ai suoi successori.

Il socio uscente, o i suoi successori, sono soltanto creditori di una somma di denaro rappresentativa del valore della quota determinato in proporzione della situazione patrimoniale della società nel giorno in cui i verifica lo scioglimento del rapporto.

Se vi sono operazioni in corso, il socio (o i suoi successori) partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Il amento della quota spettante al socio (o ai suoi successori) dev'essere fatto entro 1 anno dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, in 3 rate di pari importo senza interessi.

Le disposizioni del presente articolo non si applicano se nei 30 gg. seguenti lo scioglimento del rapporto sociale i soci rimasti deliberano lo scioglimento della società. In questo caso la quota di spettanza del socio uscente (o dei suoi successori) è determinata e ata alla chiusura della liquidazione.

Si applica l'art.2289, il quale però prevede che la quota uscente deve essere liquidata entro 6 mesi, mentre qui hanno messo 1 anno.

Di nuovo prevale lo scioglimento della società su quello particolare del vincolo.

Quando si ha scioglimento del vincolo per esclusione, recesso o morte la quota è liquidata durante la vita della società, quando la società si scioglie bisogna attendere gli esiti delle operazioni di liquidazione per avere liquidata la propria quota.

Prevale lo scioglimento generale della società.


Art.15. Divieto di concorrenza.

Il socio non può, senza il consenso degli altri soci esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della società, né partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente, salva la presunzione di consenso prevista dal 2° comma dell'art.2301 del C.c.



Il divieto di concorrenza vale solo per le società di persone commerciali.

Quindi non vale per la s.s.

È ripetuta la regola a titolo di completezza. Così come l'art.16.


Art.17. Controllo dei soci e bilancio.

I soci accomandanti hanno diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare i documenti relativi all'amministrazione e di ottenere il bilancio annuale entro 3 mesi dalla chiusura dell'esercizio sociale.

Non è ribadito, ma ormai dottrina e giurisprudenza ritengono che l'accomandante abbia anche il potere di approvare il bilancio, poiché ciò non comporta un'ingerenza nella gestione, ma un controllo sull'operato altrui.

Secondo il Galgano sarebbe un atto di gestione, cioè approvare il bilancio comporta un atto di disposizione del patrimonio e quindi un atto di gestione e come tale inibito all'accomandante.

Tutti si sono opposti perché una cosa è gestire e una cosa è controllare l'operato altrui. In quest'ottica il Cottino dice che anche la nomina degli accomandatari sarebbe un atto di gestione.


Art.18. Distribuzione degli utili.

In presenza di perdite di capitale la ripartizione degli utili non è consentita fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura

corrispondente alle perdite stesse.

La percentuale di utili da accantonare a riserva è determinata di comune accordo dai soci.

Gli utili di cui sia decisa la distribuzione spettano ai soci in proporzione delle rispettive quote, salvo diversa percentuale convenuta nell'atto costitutivo o in atti modificativi di esso.

Il medesimo criterio con cui si dividono gli utili vale per la ripartizione delle eventuali perdite.

Questa regola vale per la s.n.c. e la s.a.s. e non per la s.s.

La legge si preoccupa di dettare una tutela minima del capitale.

Se c'è perdita rilevante c'è divieto di distribuzione degli utili fino a che il capitale non sia ridotto o reintegrato.

È la maggioranza che decide se distribuire o accantonare nelle società di capitali.

È la maggioranza assembleare che decide.

Per questo si forma un problema di tutela del socio di minoranza che invece vuole l'utile tutto e subito, poiché ha interessi contrari a quelli della maggioranza. Però la maggioranza non ha potere illimitato.



Se non distribuisce l'utile reiteratamente senza dare adeguata motivazione, questa delibera sarà sottoposta ad un regime di impugnativa da parte dei soci di minoranza.

Qui il problema non si pone perché si decide all'unanimità.

Ad esempio tutti decidono di accantonare a riserva. Se solo uno dice no, allora l'utile va distribuito.

Nelle società di persone, diversamente da quelle di capitali, almeno sulla carta, esiste un vero e proprio diritto alla distribuzione dell'utile.


Art.19. Scioglimento.

Intervenendo causa di scioglimento la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori anche non soci nominati con il consenso di tutti i soci, o in difetto dal presidente del Tribunale, a meno che i soci non decidano d'accordo il modo di liquidare il patrimonio sociale o - se non vi sono attività da realizzare né passività da estinguere - l'immediata cessazione della società senza fase di liquidazione.

Non è possibile avere un terzo amministratore, ma è possibile avere un terzo liquidatore perché il liquidatore non è un amministratore.

Per le società di persone il procedimento di liquidazione ci deve essere, ma le modalità possono essere scelte dai soci.

Non è detto che avvenga tramite nomina dei liquidatori, né tramite l'iter previsto dalla legge.

La causa di scioglimento non è decisa dai soci, ma interviene di diritto.

La clausola della mancanza della liquidazione è discussa.

È considerato legittimo omettere il procedimento se non ci sono né attività né passività.

C'è chi sostiene che per dire se non ci sono attività né passività bisogna fare una liquidazione.

La legge dice che è facoltativa la modalità di liquidazione, non la liquidazione stessa.


Art.20. Clausola compromissoria.

Tutte le controversie nascenti dai rapporti sociali, salvo quelle che non possono formare oggetto di compromesso, sono sottoposte ad arbitrato rituale, rapido o tradizionale a seconda del valore, sotto l'osservanza del Regolamento della Camera arbitrale del Piemonte da intendersi qui integralmente richiamato.

È clausola che si trova sia nelle società di persone sia di capitali.

In caso di controversie:

tra soci

tra soci e la società

si va davanti all'arbitro e non la giudice.







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