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Il procedimento amministrativo

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Il procedimento amministrativo

Introduzione

Il provvedimento è l'atto normativo che produce vicende giuridiche in ordine alle situazioni giuridiche di soggetti terzi.

L'emanazione del provvedimento finale è di norma preceduta da un insieme di atti, fatti ed attività, tutti tra di loro connessi poiché concorrono all'emanazione del provvedimento stesso.

Tali atti, fatti e attività sono caratterizzati dallo scopo comune ed unitario e confluiscono nel procedimento amministrativo.

Il procedimento amministrativo è stato definito come "forma della funzione", e la funzione è una serie coordinata di attività e di atti endoprocedimentali.

Il procedimento è caratterizzato da peculiarità del diritto pubblico tra le quali:

a)  la necessità di dare evidenza alle modalità di scelta effettuate dall'amministrazione in vista dell'interesse pubblico.



b)  L'importanza di enucleare i vari passaggi che conducono alla determinazione conclusiva ai fini del sindacato operato dal giudice amministrativo.

c)  L'esistenza di norme giuridiche (norme di azione) alle quali è soggetta l'amministrazione nel corso della sua attività.

d)  Il procedimento deve essere strutturato in modo da consentire che la scelta discrezionale possa proficuamente avvenire.

La recente normativa conura il procedimento come un modulo nel cui interno far confluire l'esercizio di più poteri provvedimentali, in particolare autorizzativi e concessori, tra di loro connessi.

E' da segnalare la disciplina relativa allo sportello unico delle attività produttive. Gli artt. 23 e segg. Del D.lgs 112/98 prevedono che i comuni si dotino di una struttura unica responsabile dei procedimenti attinenti alle attività produttive (concernenti la realizzazione, l'ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione, la rilocalizzazione di impianti produttivi, nonché il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie), la quale deve dar vita ad uno sportello unico "al fine di consentire a tutti gli interessati l'accesso, anche in via telematica, al proprio archivio informatico contenente le domande di autorizzazione e il relativo iter procedurale, gli adempimenti necessari per le procedure autorizzatorie, nonché tutte le informazioni disponibili a livelli regionale, comprese quelle concernenti le attività promozionali, che dovranno essere fornite in modo coordinato".

Cenni alle esperienze straniere e alla disciplina comunitaria

In Austria, già dal 1925 era stata varata una complessa disciplina del procedimento amministrativo, mediante l'emanazione di 5 leggi. Tale impostazione ricorreva a profili quali la competenza, i termini, l'istruttoria, le spese.

La legge sul procedimento amministrativo della Repubblica federale tedesca del 76 ha suscitato attenzione anche nella nostra dottrina. E' proprio a tale normativa che si ispira la nostra legge 241/90.

Tra gli aspetti più rilevanti si ricordano l'obbligo generale di motivazione, il diritto per i privati di essere sentiti, l'accesso ai documenti e i contratti di diritto pubblico.

La Sna ha provveduto nel 1992 ad emanare una legge generale sul procedimento e sull'azione amministrativa, disciplinando anche i profili della responsabilità della pubblica amministrazione e dei funzionari.

In Francia sono state emanate norme sui rapporti tra amministrazione ed utenza già dal 1978 inerenti disposizioni sull'accesso ai documenti amministrativi e sulla motivazione degli atti amministrativi.

Nell'ordinamento inglese manca una disciplina generale sul procedimento amministrativo, però le corti inglesi riconoscono principi procedimentali molto importanti, come il dovere per l'amministrazione di agire correttamente.

Il procedimento amministrativo comunitario è soprattutto conurato come modulo garantistico di tutela delle situazioni giuridiche soggettive, all'interno del quale deve essere assicurato il diritto di difesa.

Altri importanti principi sanciti dal diritto comunitario sono quello inquisitorio, quello della tutela dell'affidamento del cittadino e quello della proporzionalità della misura finale adottata. Lo stesso Trattato istitutivo della CE prevede alcuni importanti principi in relazione alle decisioni, quali l'obbligo della motivazione e della notificazione degli atti.

L'esperienza italiana: legge 7 agosto 1990 n.241 e il suo ambito di applicazione.

La legge 7 agosto 1990, nr. 241 reca "norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi". La legge italiana si limita a specificare alcuni principi e a disciplinare gli istituti più importanti.

Secondo l'art.29 la legge pone "principi generali dell'ordinamento" e "norme fondamentali". Tale disposizione stabilisce inoltre che la legge operi direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno legiferato in materia, mentre, con riguardo alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano, precisa che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, tali enti debbono provvedere ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella legge medesima.

L'art. 1 c.6 lett. b della legge 131/2003 dispone che i decreti legislativi che il governo dovrà emanare si atterrano, tra gli altri, al seguente criterio direttivo: "considerazione prioritaria, ai fini dell'individuazione dei principi fondamentali, delle disposizioni statali rilevanti per garantire l'unità giuridica ed economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria, la tutela dell'incolumità e delle sicurezza pubblica, nonché il rispetto dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi e di atti concessori o autorizzatori".

In relazione all'ambito soggettivo di applicazione della legge 241/90, deve ancora essere sottolineato che in ordine all'istituto del diritto di accesso ai documenti amministrativi è previsto che esso trovi applicazione pure nei confronti dei gestori di pubblici servizi, tra i quali vi sono anche soggetti privati.

Circa l'ambito oggettivo di applicazione della legge, va ricordato che l'attività amministrativa si caratterizza per il profilo funzionale, per essere cioè diretta alla cura dell'interesse pubblico.

I principi enunciati dalla legge 241/90.

L'art.1 c.1 legge 241/1990 afferma che l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta dai criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità. L'individuazione delle modalità di applicazione di tali principi e criteri è rimessa non solo alla legge 241/1990 medesima, ma anche ad altre disposizioni sui singoli procedimenti, le quali possono dunque porre una disciplina differente dal modello generale.

L'azione è economica quando il conseguimento degli obbiettivi avvenga con il minor impiego possibile di mezzi personali, finanziari e procedimentali.

L'economicità si traduce nell'esigenza del non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria.

Al fine di comprendere questa prescrizione, si rammenta che all'interno del procedimento si trovano atti previsti dalla legge e atti che l'amministrazione ritiene opportuno e utile adottare (tipico esempio i pareri facoltativi). In applicazione del principio in esame, debbono essere ritenuti illegittimi gli atti superflui, in particolare le duplicazioni ingiustificate di pareri e di momenti istruttori.

L'efficacia è il rapporto tra obiettivi prefissati e obiettivi conseguiti ed esprime la necessità che l'amministrazione, oltre al rispetto formale della legge, miri anche e soprattutto al perseguimento nel miglior modo possibile delle finalità ad essa affidate.

La pubblicità è un carattere che costituisce conseguenza diretta della natura pubblica dell'amministrazione e richiede la trasparenza dell'amministrazione stessa e della sua azione agli occhi del "pubblico".

Applicazione concreta del principio di pubblicità è costituita dal diritto d'accesso ai documenti amministrativi. Si rapportano alla pubblicità anche gli istituti della partecipazione al procedimento amministrativo e della motivazione del provvedimento, le misure per rendere conoscibili la determinazione delle unità organizzative responsabili dell'istruttoria, di ogni altro adempimento procedurale e del provvedimento finale, la pubblicazione dei criteri che dovranno essere seguiti nel rilascio di concessioni, sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari, nonché la pubblicazione integrale di direttive, programmi, istruzioni e circolari.

La legge non richiama il concetto di efficienza (rapporto tra mezzi impiegati e obbiettivi conseguiti), ma vi sono altre disposizioni che si preoccupano di garantirne la vigenza e l'applicazione.

Un ulteriore principio enucleabile dalla legge 241/90 è quello che potrebbe definirsi dell'azione in via provvedimentale; ai sensi dell'art.2 l'amministrazione deve infatti concludere il procedimento "mediante l'adozione di un provvedimento espresso".

Le fasi del procedimento.

Il procedimento deve seguire un particolare ordine nella successione degli atti e delle operazioni che lo compongono.

a)  Nel procedimento sono presenti atti che assolvono ad una funzione preparatoria rispetto all'emanazione del provvedimento finale, confluendo nella c.d. fase preparatoria.

b)  Segue la fase decisoria in cui viene emanato l'atto o gli atti con efficacia costitutiva, nel senso che da essi sgorga l'effetto finale sul piano dell'ordinamento generale (denominato appunto "efficacia").

c)  Il procedimento si chiude con quegli atti che confluiscono nella fase integrativa dell'efficacia, che è eventuale, in quanto in alcuni casi la legge non la prevede, con la conseguenza che il provvedimento produrrà comunque la sua efficacia dopo la fase decisoria.

Il procedimento serve per decidere e ciò avviene in modo graduale e per momenti successivi.

Tra i due estremi del procedimento trovano posto i c.d. atti endoprocedimentali.

Gli atti endoprocedimentali sono destinati a produrre effetti rilevanti nell'ambito del procedimento stesso perché sono "costitutivi" dell'effetto che l'ordinamento amministrativo ad essi collega. Questi atti non soltanto generano l'impulso alla progressione del procedimento, ma contribuiscono a condizionare in vario modo la scelta discrezionale finale ovvero la produzione dell'effetto sul piano dell'ordinamento generale.

La conoscenza delle fasi in cui si articola il procedimento è importante, giacché l'illegittimità di uno degli atti del procedimento determina in via derivata l'illegittimità del provvedimento finale.

Non è poi da escludere che un atto endoprocedimentale possa produrre di per sé effetti esterni e che, se lesivo di situazioni giuridiche soggettive, possa essere impugnato.

Il fenomeno è spiegabile ricorrendo all'idea della pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche. Lo stesso atto può cioè rilevare sia come atto del procedimento, sia come atto avente effetti esterni lesivo di posizioni giuridiche di alcuni terzi.

L'effetto esterno può essere prodotto anche da un atto che determini l'arresto del procedimento.

Il rifiuto puro e semplice di emanare un atto è sempre illegittimo, anche se, in ipotesi di silenzio, si dovrà applicare la disciplina del silenzio rifiuto.

Con riferimento agli atti interni del procedimento, si deve osservare che la loro emanazione è spesso preceduta da uno specifico procedimento, sicché in uno stesso procedimento possono innestarsi anche più subprocedimenti che costituiscono le serie di fasi preordinate alla emanazione di un atto che fa parte del procedimento principale.

Rapporti tra procedimenti amministrativi

Tra più procedimenti amministrativi possono sussistere molteplici rapporti.

I procedimenti che costituiscono una fase di un procedimento principale vengono definiti subprocedimenti.

I procedimenti si dicono invece connessi allorché l'atto conclusivo di un autonomo procedimento condiziona l'esercizio del potere che si svolge nel corso di un altro procedimento (connessione funzionale).

La connessione più importante è costituita dalla presupposizione: al fine di esercitare legittimamente un potere occorre la sussistenza di un certo atto che funge da presupposto di un altro procedimento in quanto crea una qualità in un bene, cosa o persona che costituisce l'oggetto anche del successivo provvedere. Quale esempio di rapporto di presupposizione possiamo ricordare la dichiarazione di pubblica utilità rispetto all'emanazione del decreto di esproprio.

Il "presupposto" è una circostanza che, pur non influendo sull'effetto giuridico finale, deve sussistere affinché il potere sia legittimamente esercitato.

L'atto che conclude il procedimento successivo deve anche adeguarsi ed uniformarsi alle qualificazioni operate dal primo provvedimento (si pensi ai vincoli, ai permessi di costruire, ecc . ).

L'assenza di un provvedimento, ovvero la conclusione con un atto di diniego di un procedimento, impedisce la legittima conclusione di un altro procedimento (si pensi all'ipotesi in cui l'apertura di locali destinati all'esercizio di una determinata attività sia consentita soltanto a coloro che posseggano l'iscrizione ad un particolare albo).

Vi sono ipotesi in cui la presenza di un atto, conclusivo di procedimento, osta all'emanazione di un certo provvedimento (ad esempio un provvedimento di concessione in sanatoria impedisce di concludere il procedimento sanzionatorio con la comminazione della sanzione).

Nella situazione in cui, per svolgere una certa attività, il privato deve ottenere distinti provvedimenti non connessi sotto il profilo giuridico, ma di fatto tutti attinenti al medesimo bene della vita, il nesso tra i vari procedimenti non è di presupposizione, ma di consecuzione (ad esempio nel caso di intervento su un immobile situato in zona soggetta a tutela paesistica che necessita di un ulteriore autorizzazione relativa ai beni paesaggistici e ambientali).

L'iniziativa del procedimento amministrativo.

Il procedimento si apre con l'iniziativa, che può essere ad istanza di parte, ovvero d'ufficio (art. 2 Legge 241/90).

L'iniziativa ad istanza è caratterizzata dal fatto che il dovere di procedere sorge a seguito dell'atto di impulso proveniente da un soggetto privato oppure da un soggetto pubblico diverso dall'amministrazione cui è attribuito il potere, o da un organo differente da quello competente a provvedere.

Negli ultimi due casi, l'istanza consiste in un atto amministrativo: più esattamente si deve parlare di richiesta o di proposta. Quest'ultima è l'atto di iniziativa avente anche contenuto valutativo, con cui si suggerisce l'esplicazione di una certa attività. Essa può essere vincolante o non vincolante.

La richiesta in senso proprio è l'atto di iniziativa, consistente in una manifestazione di volontà, mediante il quale un'autorità sollecita ad altro soggetto pubblico l'emanazione di un determinato atto amministrativo.

La richiesta si distingue dalla designazione, che consiste "nella indicazione di uno o più nominativi all'autorità competente a provvedere ad una nomina".

L'istanza proviene dal solo cittadino ed è espressione della sua autonomia privata.

La richiesta e la proposta provenienti da un'amministrazione pubblica conseguono all'esplicazione di un potere pubblico e mirano alla cura di interessi pubblici, mentre l'istanza è posta in essere in funzione di interessi particolari.

Tutte le ipotesi descritte (ad eccezione della proposta non vincolante) sono comunque caratterizzate dal fatto che sorge, quale effetto endoprocedimentale, il dovere per l'amministrazione di procedere.


Ai sensi dell'art. 39 Legge 241/90, è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di richiedere l'autenticazione della sottoscrizione delle domande di partecipazione a selezioni per l'assunzione nelle pubbliche amministrazioni, nonché ad esami per il conseguimento di abilitazioni, diplomi o titoli culturali.

Secondo l'art. 38 Legge 241/90, la sottoscrizione di istanza da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi può essere apposta in presenza del dipendente e, comunque, non è soggetta ad autenticazione ove l'istanza sia presentata unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.

Di frequente le istanze hanno anche un contenuto rappresentativo di interessi, e talora la legge prevede l'onere in capo al richiedente di allegare atti o documenti volti ad attestare il ricorrere di determinati requisiti, consentendo così di agevolare l'accertamento di fatti e la verifica dei requisiti.

A fronte dell'istanza, l'amministrazione deve dar corso al procedimento, ma può anche rilevarne l'erroneità o la incompletezza; in tale ipotesi, prima di rigettare l'istanza, essa deve procedere alla richiesta della rettifica (art. 6 c.1 lett.b Legge 241/90, che introduce il principio della sanabilità delle istanze dei privati).

Il dovere di procedere per l'amministrazione sorge soltanto quando l'ordinamento riconosca la sussistenza di una posizione qualificata in capo al privato.

In caso contrario, l'atto del privato non si conura come istanza in senso proprio, ma come denuncia mediante la quale si rappresenta una data situazione di fatto all'amministrazione, chiedendo l'adozione di provvedimenti e/o di misure generiche senza che l'ordinamento riconosca in capo al privato un interesse protetto (ad esempio l'atto in cui si sollecita l'adozione un atto di autotutela, la cui decisione è rimessa alla discrezionalità della p.a.).

L'iniziativa d'ufficio è prevista dall'ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di interessi pubblici affidati alla cura dell'amministrazione, o il continuo e corretto esercizio del potere-dovere attribuito al soggetto pubblico, esiga che questi si attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti indipendentemente dalla sollecitazione esterna.

Il dovere di concludere il procedimento.

Il momento dell'inizio del procedimento è importante perché solo con riferimento ad esso è possibile stabilire il termine entro il quale il procedimento stesso deve essere concluso.

L'art. 2 Legge 241/90 stabilisce che tale termine decorre dall'inizio d'ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte, e stabilisce anche che il provvedimento deve essere concluso entro il termine stabilito.

In senso proprio, il procedimento si conclude con l'emanazione dell'ultimo atto della serie procedimentale (che potrebbe non coincidere con il provvedimento: come ad esempio gli atti di controllo o di accettazione dell'interessato che seguono l'emanazione del provvedimento).

Il legislatore chiarisce che la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento "mediante l'adozione di un provvedimento espresso" entro 30 giorni ovvero entro il termine diverso fissato in via regolamentare.

A fronte dell'inutile decorso del termine senza che l'amministrazione abbia emanato il provvedimento, il cittadino ha a disposizione una serie di rimedi giuridici.

Il ritardo può causare una responsabilità dell'amministrazione per lesione di interessi meritevoli di tutela.

In caso di inerzia, il cittadino può inoltre reagire utilizzando gli strumenti previsti a fronte del c.d. silenzio inadempimento: esso si forma allorché l'amministrazione non abbia emanato l'atto nel termine fissato nel contesto in cui a quel comportamento l'ordinamento non attribuisce alcun effetto giuridico equivalente ad un provvedimento positivo o di diniego.

L'ordinamento attribuisce poteri sostitutivi in capo ad amministrazioni diverse da quelle competenti a provvedere che siano rimaste inerti.

L'art. 3 ter d.l. 163/1995 convertito in legge 273/1995, prevede che, decorsi inutilmente i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali, l'interessato possa produrre istanza al dirigente dell'unità responsabile del procedimento, che provvede direttamente nel termine di trenta giorni. Se il provvedimento è di competenza del dirigente generale, l'istanza è rivolta al ministro.

Il ritardo nell'emanazione dell'atto amministrativo può altresì integrare un'ipotesi di illecito disciplinare a carico del dipendente. A ciò si aggiunga che l'ordinamento prevede altresì la responsabilità civile a carico dell'agente: ai sensi dell'art. 25 d.p.r. 3/1957 (testo unico impiegati civili dello Stato) infatti, il privato può chiedere il risarcimento dei danni conseguenti l'omissione o al ritardo nel compimento di atti o di operazioni cui l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento.

A tal fine, l'interessato, quando siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza, deve notificare una diffida all'amministrazione e all'impiegato, a mezzo di ufficiale giudiziario; decorsi inutilmente trenta giorni dalla diffida, egli può proporre l'azione volta ad ottenere il risarcimento.

Tale procedura è prevista dalla legge anche in caso di omissioni o ritardi di atti (diversi dall'istanza iniziale) endoprocedimentali da compiersi d'ufficio.

L'art. 328 c.p. stabilisce, inoltre, che il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio il quale, entro trenta giorni dalla richiesta redatta in forma scritta da chi vi abbia interesse, non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.

Affinché si integri il reato, comunque, è sufficiente l'inerzia nel compiere un atto (richiedendosi però sempre il requisito del dolo) il quale non necessariamente è il procedimento finale.

L'art. 16 Legge 241/90, modificato dall'art.17 c.24 Legge 127/1997 dispone che gli organi consultivi sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta.

Nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui tempus regit actum: ogni atto deve essere disciplinato dalla normativa vigente al momento in cui esso è posto in essere. La legittimità di pareri e istanze deve ad esempio essere accertata avendo riguardo alle prescrizioni in vigore al momento in cui gli stessi sono stati rispettivamente resi o presentati, anche se successivamente la disciplina è mutata. Il principio vale anche per il provvedimento finale, così, se prima della sua emanazione la normativa sopravvenuta richiede ulteriori atti endoprocedimentali non sussistenti e non previsti dalla legge precedente, l'amministrazione dovrà rifiutarsi di emanarlo (consentendo però l'integrazione).

Al momento dell'emanazione del provvedimento, perciò, debbono sussistere tutti gli atti previsti dalla normativa vigente.

Il responsabile del procedimento.

La legge 241/90 disciplina la ura del responsabile del procedimento, soggetto che svolge importanti compiti sia in relazione alla fase di avvio dell'azione amministrativa, sia, più in generale, allo svolgimento del procedimento nel suo complesso.

L'art. 4 stabilisce che le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza, l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché all'adozione del provvedimento finale. A seguito di tale determinazione, seguirà l'individuazione all'interno di ciascuna unità organizzativa, del responsabile del procedimento, la persona fisica che agirà in concreto.

Ai sensi dell'art.5, il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altri addetti all'unità organizzativa la responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento, nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale.

Il secondo comma dell'art. 4 prevede che, fino a quando non venga effettuata l'assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma dell'art.4.

Quanto alle funzioni del responsabile emerge non solo il profilo della responsabilità in senso tecnico, bensì quello di guida del procedimento, di coordinatore dell'istruttoria e di organo di impulso. Il responsabile rappresenta, inoltre, l'essenziale punto di riferimento sia per i privati, sia per l'amministrazione procedente e per gli organi di altre amministrazioni coinvolte dal soggetto procedente.

I compiti del responsabile sono più in particolare indicati dall'art.6 Legge 241/90.

Il responsabile può anche chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete.

Questo istituto - regolarizzazione delle domande dei privati e della documentazione prodotta - è importante perché l'amministrazione può ammettere il cittadino a correggere gli errori materiali in cui sia incorso nella redazione di istanze e domande, nonché a completare documentazione incompleta o non conforme alla normativa.

Il responsabile ha compiti di impulso del procedimento: propone l'indizione, o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi, le quali hanno un rilievo istruttorio, inoltre, ove non abbia la competenza ad emanare l'atto finale, trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione; altrimenti emana egli stesso tale provvedimento.

Il responsabile del procedimento instaura il dialogo con i soggetti interessati al procedimento mediante la comunicazione dell'avvio del procedimento, lo prosegue nella fase della partecipazione e anche dopo l'emanazione del provvedimento finale, mediante la comunicazione, la pubblicazione e le notificazioni previste dall'ordinamento.

Il responsabile del tipo di procedimento coincide con l'organo competente ad emanare l'atto nei casi di mancata individuazione dell'unità organizzativa da parte dell'amministrazione.

La responsabilità civile, penale e disciplinare del responsabile del procedimento rimane soggetta alle regole vigenti, anche se gli impulsi e le sollecitazioni, conseguenti alle funzioni di vigilanza, denuncia e segnalazione affidati al responsabile possono comunque essere presi in considerazione ai fini della valutazione della legittimità o liceità del comportamento tenuto dal responsabile medesimo.

La comunicazione dell'avvio del procedimento.

L'avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a quelli che per legge debbono intervenirvi, nonché ai soggetti, diversi dai diretti destinatari, che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa loro derivare un pregiudizio (art. 7 legge 241/90).

I destinatari dell'atto sono i soggetti nella cui sfera giuridica è destinata a prodursi la vicenda giuridica (tipica) determinata dall'esercizio del potere; si tratta dunque dei titolari di interessi legittimi oppositivi o pretesivi. I soggetti che per legge devono intervenire sono in linea di massima enti pubblici.

I "soggetti individuati o facilmente individuabili" ai quali potrebbe derivare un pregiudizio dal provvedimento sono quei soggetti che sarebbero legittimati ad impugnare il provvedimento favorevole (c.d. controinteressati sostanziali) nei confronti del destinatario in quanto pregiudicati dal provvedimento stesso.

La comunicazione dell'avvio è un compito del responsabile del procedimento. Essa deve essere fatta mediante comunicazione personale (notifica, comunicazione a mezzo messo comunale o ufficiale giudiziario, raccomandata con avviso di ricevimento, comunicazione per mezzo della ricevuta rilasciata al momento della presentazione di una domanda); può essere effettuata secondo modalità differenti, stabilite e giustificate di volta in volta dall'amministrazione, quando per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa (art. 8 c.3 L.241/90).

La legge non stabilisce entro quale termine la comunicazione debba essere effettuata. Nel silenzio della legge, deve ritenersi che tale adempimento vada compiuto senza ritardo e, comunque, entro un termine ragionevole tenuto conto delle circostanze.

La comunicazione deve contenere i seguenti elementi: amministrazione competente, oggetto del procedimento, ufficio e persona del responsabile del procedimento, ufficio in cui si può prendere visione degli atti.

L'istituto della comunicazione è strettamente collegato alla partecipazione al procedimento, nel senso che consente agli interessati di essere posti a conoscenza della pendenza di un procedimento nel quale possono intervenire rappresentando il proprio punto di vista.

La comunicazione non è necessaria nei casi di subprocedimenti che confluiscono nel solco di un procedimento principale.

L'art. 13 esclude che le disposizioni del capo IV (compreso l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento) si applichino nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché ai procedimenti tributari.

L'art. 7 comma 1 precisa che l'avvio in esame deve essere comunicato quando non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento. Tali ragioni devono essere evidenziate dall'amministrazione con adeguata motivazione.

Nel caso di procedimento finalizzati all'occupazione d'urgenza delle aree destinate alla costruzione di opere pubbliche e di ingiunzioni di demolizione o di sospensione di lavori è possibile derogare all'obbligo di comunicazione.

L'art. 7 comma 2 si occupa dei provvedimenti cautelari e consente all'amministrazione la loro adozione "anche prima della effettuazione della comunicazione" dell'avvio del procedimento. In questi casi l'amministrazione può soltanto differire nel tempo la comunicazione a differenza del comma 1.

Sussistono inoltre altri tipi di procedimenti, c.d. "riservati", in ordine ai quali non dovrebbe essere ammessa la partecipazione.

L'omissione della comunicazione di avvio del procedimento conura una ipotesi di illegittimità, che può essere fatta valere soltanto dal soggetto "nel cui interesse la comunicazione è prevista" (art. 8 c.4 l.241/90).

L'istruttoria procedimentale.

L'istruttoria è la fase del procedimento volta all'accertamento dei fatti e dei presupposti del provvedimento ed alla acquisizione e valutazione degli interessi implicati dall'esercizio del potere.

L'istruttoria è condotta dal responsabile del procedimento come disposto dall'art.6 della legge 241/90 (tra gli obblighi del responsabile ura quello di curare "l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria").

La decisione amministrativa finale deve essere preceduta da adeguata conoscenza della realtà esterna, la quale avviene appunto attraverso l'istruttoria.

L'istruttoria del procedimento amministrativo serve per acquisire interessi e verificare fatti.

I fatti sono eventi, o situazioni, gli interessi sono aspirazioni a beni della vita.

L'attività conoscitiva, volta ad acquisire la conoscenza della realtà di fatto, si svolge mediante una serie di operazioni i cui risultati vengono attestati da dichiarazioni di scienza, acquisite al procedimento. I dati di fatto rilevanti possono essere individuati dall'amministrazione oppure rappresentati dai terzi attraverso lo strumento della partecipazione. Essi sono spesso attestati da documenti, certificazioni o dichiarazioni presentati o esibiti all'amministrazione o da questa direttamente formati.

Gli interessi vengono introdotti nel procedimento attraverso l'iniziativa dell'amministrazione procedente, l'acquisizione delle determinazioni di altri soggetti pubblici, la indizione della conferenza di servizi e la partecipazione procedimentale.

L'oggetto dell'attività istruttoria.

Nel nostro ordinamento vige il principio inquisitorio, in forza del quale l'amministrazione non è, in linea di massima, vincolata dalle allegazioni dei fatti contenute nelle istanze e nelle richieste ad essa rivolte.

Il legislatore individua le situazioni di fatto che costituiscono i presupposti dell'agire attraverso modalità diverse: talora definendo con precisione i fatti stessi, in altre ipotesi utilizzando categorie più generiche o indicando il solo interesse pubblico.

Quando la norma identifica esattamente la situazione di fatto o la categoria dei fatti rilevanti, l'amministrazione dovrà accertare, ricorrendo all'esercizio dell'attività conoscitiva, la corrispondenza fra situazione di fatto e indicazione normativa.

Qualora la norma indichi esclusivamente l'interesse pubblico che dovrà essere soddisfatto, l'istruttoria dovrà rivolgersi alla individuazione di una realtà di fatto che appaia idonea a conurare l'esistenza dell'interesse pubblico stesso.

L'attività di selezione e di evidenziazione dei fatti e degli interessi non è priva di limiti e, in quanto tale, deve essere adeguatamente motivata e deve rispettare il principio di non aggravamento del procedimento.

A tale fine, si fa riferimento anche al criterio della pertinenza all'oggetto del procedimento, e ai canoni di logicità e congruità che guidano anche la decisione in ordine all'estensione dell'attività istruttoria.

Le modalità di acquisizione degli interessi e la conferenza di servizi c.d. "istruttoria".

Gli interessi rilevanti sono quelli che l'amministrazione deve considerare in sede di scelta finale ponderandoli con quello principale fissato dalla legge. Essi sono acquisiti al procedimento sia attraverso l'iniziativa dell'amministrazione procedente, sia a seguito dell'iniziativa dei soggetti titolari degli interessi stessi.

Le vie per la loro rappresentazione sono tre:

l'amministrazione procedente può richiedere all'amministrazione cui è imputato l'interesse pubblico da acquisire di esprimere la propria determinazione;

l'amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi per l'esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti nel procedimento ai sensi dell'art.14 l.241/90;

l'amministrazione portatrice dell'interesse pubblico secondario può partecipare al procedimento ai sensi dell'art.9 l.241/90 che consente di intervenire nel corso del procedimento anche ai soggetti portatori di interessi pubblici.

In ordine alla partecipazione, la norma apre la via alla esternazione non tipizzata degli interessi pubblici, indipendentemente dalla richiesta avanzata dal responsabile del procedimento.

Per quanto concerne la conferenza dei servizi, in sede istruttoria è possibile acquisire gli interessi pubblici rilevanti in un'unica soluzione: l'art. 14 legge 241/90 prevede infatti che "qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente indice di regola una conferenza di servizi".

La conferenza è indetta dal responsabile del procedimento (art. 6 legge 241/90) e consiste in una riunione di persone fisiche in rappresentanza delle rispettive amministrazioni, ciascuna delle quali esprime il punto di vista dell'amministrazione rappresentata che confluisce, poi, in una determinazione concordata. Quest'ultima sostituisce l'insieme delle manifestazioni dei vari interessi pubblici coinvolti che le amministrazioni potrebbero introdurre utilizzando lo strumento della partecipazione di cui agli artt. 7 e segg. legge 241/90.

La partecipazione procedimentale.

Uno degli strumenti più importanti per introdurre interessi pubblici e privati nel procedimento è costituito dalla partecipazione.

Ai sensi degli artt. 7 e 9 legge 241/90, sono legittimati all'intervento nel procedimento:

i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre i suoi effetti diretti;

i soggetti che per legge debbono intervenire nel procedimento;

i soggetti che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, purché individuati o facilmente individuabili;

i portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento.

Gli statuti degli enti locali possono ampliare la cerchia dei soggetti titolari del potere di partecipazione poiché l'art. 8 del testo unico enti locali stabilisce che devono essere previste nello statuto forme di partecipazione degli interessati nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive.

La disciplina degli enti locali prevede numerosi strumenti ed istituti di partecipazioni quali la consultazione, le istanze, le petizioni, le proposte, i referendum, le azioni popolari, il diritto di accesso e di informazione dei cittadini.

La dottrina ha spesso utilizzato la nozione di parti del procedimento individuando così le parti necessarie (quelle contemplate dall'art.7) e parti eventuali (contemplate dall'art. 9).

L'unica parte necessaria è l'amministrazione procedente, poiché la legge prevede strumenti per superare l'inerzia degli eventuali altri soggetti pubblici.

L'ambito di applicazione della disciplina sulla partecipazione procedimentale.

Ai sensi dell'art. 13 legge 241/90 le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano ai procedimenti volti all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché a quelli tributari (per i quali restano ferme le norme particolari che li riguardano).

Gli atti amministrativi generali si rivolgono ad una pluralità indistinta di soggetti non individuabili a priori (ad esempio un bando di concorso).

L'unica categoria di procedimenti in relazione ai quali l'esclusione della partecipazione non pare creare particolari problemi e riserve è costituita da quelli preordinati all'emanazione di atti normativi.

Aspetti strutturali e funzionali della partecipazione.

La partecipazione al procedimento consiste nel diritto di prendere visione dei relativi atti e nella presentazione di memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha il dovere di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento (art. 10 legge 241/90).

Per la categoria dei soggetti indicati nell'art.7 legge 241/90 la comunicazione di avvio del procedimento è atto strumentale e necessario per garantire la partecipazione, ma in ogni caso la conoscenza dello "stato" del procedimento è consentita dall'esercizio del diritto di prender visione degli atti del procedimento stesso.

Considerando che la funzione del procedimento è quella di consentire la miglior cura dell'interesse pubblico, si deve ritenere che anche la partecipazione sia strumentale alla più congrua decisione finale in vista dell'interesse pubblico: essa ha cioè funzione collaborativa. La pubblica amministrazione considera infatti il contributo al fine di ottenere una migliore conoscenza della realtà e della complessa trama degli interessi coinvolti, conoscenza che è strettamente preordinata alla scelta della modalità di perseguimento dell'interesse pubblico.

I fatti rappresentati dagli intervenienti non possono essere accettati acriticamente, con la conseguenza che l'amministrazione può essere chiamata ad estendere l'ambito oggettivo della realtà indagata alla ricerca dei fatti implicati in quella rappresentazione.

La pubblica amministrazione dovrà più precisamente verificare la pertinenza delle memorie all'oggetto del procedimento, accertare i fatti introdotti nel procedimento dai privati, identificare altri fatti ignoti ed elaborare le rappresentazioni dei privati.

Mediante la partecipazione è pure dato introdurre ipotesi di soluzione, le quali vanno ad arricchire il quadro delle possibilità all'interno del quale l'amministrazione opererà la scelta finale. L'art.11 legge 241/90 prevede infatti che la conclusione degli accordi tra amministrazione e privati può avvenire "in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'art.10".

Partecipazione al procedimento, interessi procedimentali e loro tutela.

Gli interessi procedimentali sono interessi strumentali ad altre posizioni soggettive che attengono a fatti procedimentali e che investono comportamenti della amministrazione e soltanto indirettamente beni della vita.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi.

La partecipazione offre la possibilità ai soggetti legittimati di "presentare memorie scritte e documenti" nonché di "prendere visione degli atti del procedimento" (art.10 legge 241/90).

L'accesso ai documenti amministrativi è, dunque, una facoltà.

L'accesso ai documenti amministrativi ha una sua autonomia rispetto al procedimento, nel senso che il relativo potere può essere esercitato pure a procedimento concluso.

Tale istituto si collega non alla sola trasparenza procedimentale, bensì anche al principio di trasparenza inteso in senso lato, alla stessa stregua di altri strumenti.

In sostanza si può parlare di accesso endoprocedimentale esercitato all'interno del procedimento, e di accesso esoprocedimentale relativo agli atti di un procedimento concluso.

Il diritto di accesso è autonomo pure rispetto all'azione che il soggetto potrebbe esperire davanti ad un giudice per contestare la legittimità dell'azione amministrativa, come dimostra il fatto che la richiesta di accesso non sospende i termini per agire.

Per quanto riguarda l'accesso collegato alla partecipazione, i soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso sono tutti i soggetti che abbiano titolo a partecipare al procedimento.

Negli altri casi, l'art. 22 legge 241/90, indica, quali soggetti legittimati, coloro che siano titolari di un "interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti". Il d.p.r. 352/1992 (regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi) richiede la titolarità di un "interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti".

La dottrina e la giurisprudenza hanno affermato che legittimati ad esercitare il diritto di accesso sono i soggetti titolari di interessi legittimi, di diritti soggettivi e di interessi collettivi.

L'art.10 T.U. enti locali stabilisce che legittimati all'accesso sono tutti i cittadini, singoli o associati, e prevede l'obbligo per gli enti locali di dettare norme regolamentari per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame delle domande, progetti e provvedimenti che li riguardino; il regolamento deve altresì assicurare "il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione".

Altre normative estendono lo spettro degli aventi diritto, come il d.lgs. 39/1997, che stabilisce che le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente "a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse".

I soggetti passivi del diritto di accesso sono le amministrazioni pubbliche, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori dei servizi pubblici (questi ultimi possono essere privati equiparati ai soggetti pubblici in virtù dell'attività di rilievo pubblicistico - art.23 legge 241/90 e art.2 d.p.r. 352/1992).

Sotto il profilo oggettivo, il diritto di accesso riguarda i documenti amministrativi. L'art. 22 c.2 legge 241/90 ne fornisce un ampia definizione: è considerato tale ogni "rappresentazione grafica, fonocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa".

Non solo gli atti scritti su supporto cartaceo, dunque, né solo i provvedimenti finali (perciò anche gli atti interni o endoprocedimentali), né unicamente gli atti amministrativi (quindi anche altri atti che confluiscono nel procedimento come i pareri legali, i progetti dei tecnici, i referti medici).

L'accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o regolamento (art. 5 c.3 d.p.r. 352/92).

L'accesso è consentito non soltanto nei confronti degli atti che attengono a procedimenti amministrativi finalizzati all'emanazione di provvedimenti, ma altresì ai procedimenti relativi all'attività di diritto comune della pubblica amministrazione, infatti l'art. 22 si riferisce all'attività nel suo complesso, senza distinzioni ulteriori.

La richiesta deve essere motivata, indicare gli estremi del documento ovvero gli elementi che ne consentano l'individuazione e far constatare l'identità del richiedente.

Il d.p.r. 352/1992 introduce la possibilità di esercitare in via informale il diritto di accesso, "mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione centrale o periferica, competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente". La richiesta informale, "esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea".

La richiesta formale, che avviene con atto scritto e che deve essere accolta con l'atto disciplinato dall'art.5 d.p.r. 352/1992, può essere prescelta dal richiedente, ovvero imposta all'amministrazione "qualora non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite o sull'accessibilità del documento" (art.4 d.p.r. 352/1992: in tali casi "il richiedente è invitato contestualmente a presentare istanza formale").

A seguito di domanda di accesso, l'amministrazione può:

invitare il richiedente a presentare istanza formale (nel caso di richiesta informale che non sia immediatamente accoglibile);

rifiutare l'accesso;

differire l'accesso;

limitare la portata dell'accesso (consentendo solo alcune parti del documento);

accogliere l'istanza.

Il rifiuto, il differimento e la limitazione all'accesso devono essere motivati, mentre la legge non stabilisce nulla per l'accoglimento.

L'art. 25 c.4 legge 241/90 dispone che nel caso in cui l'amministrazione non si pronunci entro 30 giorni sulla richiesta di accesso, questa si intenda respinta.

In caso di accoglimento, il diritto di accesso si esercita mediante esame gratuito ed estrazione di copia del documento (il rilascio di copia è subordinato al rimborso del costo di riproduzione e dei diritti di segreteria).

L'esame è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l'eventuale accomnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità (art. 5 d.p.r. 352/1992).

Secondo l'art. 5 c.4 d.p.r. 352/1992 l'esame dei documenti avviene presso l'ufficio indicato nell'atto di accoglimento della richiesta ma un'altra norma prevista dall'art. 11 D.Lgs 165/2001 prevede che debbono essere assunte iniziative volte all'incremento delle modalità di accesso alle informazioni anche con l'uso delle procedure informatiche.

Il differimento dell'accesso è consentito nei casi in cui (e fino a quando) la conoscenza dei documenti non impedisca o gravemente ostacoli lo svolgimento dell'azione amministrativa (art.24 c.6  legge 241/90);

Non tutti gli atti sono suscettibili di essere conosciuti dai cittadini.

L'art.24 legge 241/90 prevede alcune categorie di documenti sottratti all'accesso (come ad esempio i documenti coperti da segreto di Stato, degli altri casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dalla legge). Ciascuna amministrazione è poi chiamata ad adottare regolamenti al fine di individuare le categorie di documenti escluse dall'accesso.

L'esclusione dei documenti amministrativi dal regime dell'accesso è disposta a salvaguardia dei seguenti interessi: sicurezza, difesa nazionale e relazioni internazionali; politica monetaria e valutaria; ordine pubblico; prevenzione e repressione della criminalità; riservatezza dei terzi, persone, gruppi e imprese, "garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici".

Con il termine riservatezza si indica quel complesso di dati, notizie e fatti che riguardano la sfera privata della persona e la sua intimità. La privacy confligge spesso con l'esigenza di diffondere atti che siano in possesso della pubblica amministrazione e che contengano indicazioni relative a dati attinenti alla sfera personale dei soggetti.

Il D.Lgs 196/2003 "codice in materia di protezione dei dati personali" ha riorganizzato e innovato la materia ed ha contestualmente abrogato le disposizioni precedenti, ed ha introdotto regole in relazione all'accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni.

Ai sensi dell'art.7 del D.Lgs 196/2003, l'interessato ha diritto di ottenere dai soggetti pubblici la conferma del fatto che essi detengano dati personali che lo riguardano (qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili anche indirettamente mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale), nonché "la loro comunicazione in forma intelligibile". In particolare, l'interessato ha diritto di ottenere l'indicazione della provenienza dei dati personali trattati dall'ente pubblico; delle finalità e modalità di trattamento; della logica applicata se il trattamento avviene con strumenti elettronici; degli estremi dei soggetti responsabili nelle operazioni di trattamento, dei soggetti cui potrebbero eventualmente essere comunicati tali dati personali.

Una volta conosciuti i dati personali e/o le informazioni detenuti da un ente pubblico, l'interessato ha diritto di ottenerne l'aggiornamento, la rettifica, l'integrazione, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima, il blocco.

In relazione alle pubbliche amministrazioni, l'art.8 del codice della privacy prevede che tali diritti esercitabili da ciascun soggetto sui propri dati personali non possono essere esercitati se il trattamento di questi ultimi avviene ad opera di soggetti pubblici "per esclusive finalità inerenti alla politica monetaria e valutaria, al sistema dei amenti, al controllo degli intermediari e dei mercati creditizi e finanziari, nonché alla tutela della loro stabilità".

Tale diritto di accesso, regolato al di fuori della legge 241/90, non può essere utilizzato allorché l'esibizione documentale comporti anche la conoscenza di dati personali di soggetti terzi rispetto al richiedente. L'art. 10 del D.Lgs 196/2003 esclude che questo accesso possa riguardare dati personali relativi a terzi "salvo che la scomposizione dei dati trattati o la privazione di alcuni elementi renda incomprensibili i dati personali dell'interessato".

L'art. 19 del D.Lgs 196/2003 prevede che la comunicazione e la diffusione di dati personali da parte di amministrazioni a soggetti pubblici o privati "sono ammesse unicamente quando sono previste da una norma di legge o di regolamento", ed in tale caso non è necessario il consenso dell'interessato.

L'art. 59 del codice della privacy precisa che "i presupposti, le modalità, i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 241/90 e succ. mod., e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso" e considera "di rilevante interesse pubblico" le attività finalizzate all'applicazione di tale disciplina.

Quando l'accesso ai documenti la cui conoscenza potrebbe confliggere con le esigenze di riservatezza di dati personali di soggetti terzi, il codice della privacy fa espressamente rinvio ai principi e alle regole contenute nella legge 241/90, che in sostanza richiede all'amministrazione di effettuare una ponderazione tra interessi contrapposti. In particolare, la legge 241/90 prevede che la riservatezza di terzi, persone, gruppi e imprese, costituisca una delle esigenze in relazione alle quali può essere escluso il diritto di accesso, specificando peraltro che deve essere garantita agli interessati "la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro interessi giuridici". Come sostenuto anche dal consiglio di Stato, ad.plen. n.5/1997, il diritto di accesso volto alla cura e alla difesa di interessi prevale sulla tutela della riservatezza di terzi.

Tuttavia, nei casi di conflitto tra accesso e privacy, la legge consente non già l'accesso pieno, bensì la sola "visione" degli atti, escludendo così il diritto di estrazione di copia.

Il "conflitto" può avere una soluzione diversa quando un soggetto pubblico è chiamato a trattare dati sensibili: il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

E' l'amministrazione che pondera gli interessi in conflitto decidendo caso per caso con "valutazione ampiamente discrezionale".

La  legge 241/90 assegna al giudice amministrativo la tutela giurisdizionale "contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso" e nei casi di rifiuto, espresso o tacito, o di differimento (Tar in primo grado e Consiglio di Stato in grado di appello). La legge prevede un processo abbreviato e l'art.26 legge Tar, dispone che l'azione può anche essere proposta in pendenza di una ricorso.

L'art. 25 c.4 legge 241/90 con specifico riferimento ai casi di rifiuto, espresso o tacito, e di differimento, consente altresì al richiedente di chiedere nel termine di trenta giorni al difensore civico competente il riesame della determinazione. Se il difensore ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l'ha disposto e, ove questi non emani il "provvedimento confermativo motivato" entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito. L'inerzia mantenuta sulla sollecitazione del difensore civico ha dunque il significato di un assenso, differentemente dall'inerzia relativa alla richiesta iniziale che equivale a diniego.

Entro 30 giorni dall'esito dell'istanza rivolta al difensore civico, il richiedente potrà adire comunque al giudice amministrativo, perché la legge ha inteso favorire l'impiego di questo strumento di tutela non giurisdizionale, assicurando il privato che il suo impiego non preclude l'azione dinanzi al giudice.

Il codice della privacy affida la tutela del diritto di accesso volto a ottenere la comunicazione in forma intelligibile dei propri dati personali al Garante del trattamento dei dati personali e al giudice ordinario (art.145 del codice).

Infine, la legge 241/90 istituisce presso la presidenza del Consiglio una Commissione per l'accesso ai documenti (Cada), nominata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il consiglio dei ministri e presieduta dal sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio. La Commissione vigila affinché venga attuato il principio di piena conoscibilità dell'azione amministrativa, redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'amministrazione e propone al governo le modificazioni normative necessarie per realizzare la garanzia del diritto di accesso.

Procedimento, atti dichiarativi e valutazioni.

I fatti, per essere rilevanti nel procedimento, devono essere accertati dall'amministrazione procedente, oppure da un'altra amministrazione.

Pure nelle ipotesi in cui siano consentite le dichiarazioni sostitutive il soggetto pubblico mantiene il potere di controllare la veridicità delle dichiarazioni del cittadino.

L'amministrazione pone in tal caso in essere atti dichiarativi: questi atti sono costituiti da dichiarazioni di scienza che conseguono ad un procedimento costituito da un insieme di atti ed operazioni finalizzati ad apprendere.

In particolare gli accertamenti, i quali sono dichiarazioni relative a fatti semplici meramente constatati. Alcuni atti dichiarativi hanno la funzione di attribuire certezze legali che valgono erga omnes (si tratta degli atti di certazione); in altri casi il riconoscimento formale di un certo modo di essere di una situazione ha rilievo ai fini dell'esercizio di un potere amministrativo.

Pure le valutazioni tecniche vengono poste in essere a seguito di un'attività volta ad apprendere la sussistenza del fatto. Esse, però, riguardano fatti complessi che necessitano di criteri differenti dal semplice accertamento puro e semplice.

Per la qualificazione di un fatto complesso è richiesta un'attività di valutazione e cioè, un giudizio estimativo frutto di esercizio di discrezionalità tecnica.

Le categorie degli accertamenti e delle valutazioni tecniche sono caratterizzate dalla circostanza che, a seguito della loro emanazione, la situazione, il fatto e il rapporto non vengono innovati, ma rimangono i medesimi di quelli precedenti, non modificando la situazione preesistente. Essi hanno la funzione di riconoscere formalmente una particolare condizione o modo di essere giuridico di un bene, di un soggetto o di un rapporto già esistente.

Gli atti di accertamento costituiscono il presupposto per l'emanazione di un provvedimento, e producono soltanto effetti endoprocedimentali.

L'art 17 legge 241/90 si riferisce alle valutazioni tecniche, occupandosi del caso in cui esse siano richieste ad enti o organi appositi e questi non provvedano entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta o in quello previsto specificamente dalla legge. In questa ipotesi, la legge prevede che il responsabile del procedimento "deve" chiedere le suddette valutazioni ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad altri enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari.

Tale disciplina non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini. La legge riconosce questi interessi pubblici come assolutamente rilevanti, sicché non si può prescindere dalla valutazione espressa dai soggetti preposti alla loro tutela.

Ai sensi dell'art. 14 legge 241/90 allorché sia intervenuta la valutazione di impatto ambientale (positiva) "le disposizioni di cui agli articoli . 16 c.3 (dettate in materia di pareri), e 17 c.2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute dei cittadini".

Poiché la disciplina non consente che si proceda senza che sia valutata la sussistenza di un presupposto previsto dalla legge, in capo ad alcuni organi ed enti si conura una sorta di riserva di valutazione tecnica, perché la valutazione non è sostituibile o superabile né dalla parte privata, né dall'amministrazione decidente, né dal giudice (almeno in linea di principio, anche se allo stesso è consentito verificare direttamente l'attendibilità delle operazioni tecniche).

La riserva sussiste soltanto se prevista per disposizione espressa di legge o di regolamento.

Le attività istruttorie dirette all'accertamento dei fatti.

Come visto, l'istruttoria è governata dal responsabile del procedimento che è chiamato ad accertare i fatti, compiendo gli atti all'uopo necessari. Molto spesso il responsabile utilizza uffici o servizi tecnici di altre amministrazioni.

L'ordinamento consente anche che, in taluni casi, una parte dell'attività istruttoria sia svolta dai privati, purché i soggetti abbiano i requisiti tecnici, organizzativi e di terzietà per svolgere l'attività istruttoria.

L'amministrazione non dispone di poteri "impliciti", poiché i poteri il cui esercizio potrebbe comportare una incisione nella sfera giuridica del terzo debbono essere espressamente conferiti dalla legge (principio di tipicità e nominatività dei poteri amministrativi)

I poteri che si esplicano in atti i quali non incidono sui diritti dei privati si possono invece ritenere connaturali al potere di disporre.

Alcuni atti istruttori sono previsti come obbligatori dalla legge. L'istruttoria non si esaurisce però necessariamente nel compimento di questi atti: l'amministrazione può porre in essere ulteriori atti "all'uopo necessari" indipendentemente dall'attribuzione di specifici poteri da parte dell'ordinamento. Il soggetto pubblico ha così la facoltà di disporre la rinnovazione o il completamento di una istruttoria non soddisfacente o lacunosa, ad esempio verificando l'esattezza di quanto attestato dal privato.

Il principio inquisitorio è applicabile anche alla scelta dei mezzi istruttori (perizie, sopralluoghi, ispezioni, inchieste, nomina di consulenti tecnici, ordine di esibizione di documenti, misurazioni) che l'amministrazione può utilizzare per acquisire la conoscenza di fatti rilevanti ai fini della determinazione finale.

L'unico limite che incontra l'attività istruttoria è costituito dal principio di non aggravamento del procedimento.

Le risultanze emergenti dai mezzi istruttori sono di norma liberamente valutate dall'amministrazione, non sussistendo prove che la vincolino in modo assoluto.

Rilevanti eccezioni sono sostituite dalle certificazioni che creano certezze erga omnes, vincolanti anche nei confronti delle amministrazioni. I fatti semplici sono spesso rappresentati nel procedimento mediante le attività di:

esibizione di documenti di identità o di riconoscimento in corso di validità;

acquisizione diretta di documenti: l'amministrazione e i gestori di pubblici servizi, in luogo degli atti e certificati già in loro possesso o che siano tenuti a certificare, debbono acquisire d'ufficio le relative informazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, dell'amministrazione competente e degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti;

produzione di certificati, di documenti o di autocertificazioni. Dal punto di vista teorico, la differenza tra dichiarazioni sostitutive di certificati e autocertificazioni sta nel fatto che le dichiarazioni sostitutive riguardano dati contenuti in pubblici registri, mentre le autocertificazioni attengono a situazioni non consacrate in atti di certazione.

Tra i procedimenti volti ad accertare i fatti possono ricordarsi le inchieste e le ispezioni, le quali hanno normalmente ad oggetto accadimenti e comportamenti, ovvero ancora beni di pertinenza di soggetti terzi. Tali operazioni sono destinate a raccogliere informazioni e dati di fatto necessari per provvedere e danno luogo ad atti di accertamento, i quali sono acquisiti all'istruttoria del procedimento.

L'inchiesta amministrativa è un istituto che mira ad una acquisizione di scienza (o in rari casi, ad una valutazione) relativa ad un evento straordinario che non può essere conosciuto ricorrendo alla normale attività ispettiva. L'inchiesta è svolta infatti da un organo istituito ad hoc e si conclude, di norma, con una relazione.

L'ispezione è un insieme di atti, di operazioni o di procedimenti mirati ad acquisizioni di scienza che ha ad oggetto il comportamento di persone. Essa consiste in un atto, spesso meramente interno, che l'amministrazione rivolge all'organo o all'ufficio competente che dovrà compiere l'ispezione stessa e che attribuisce dunque la legittimazione all'organo o all'ufficio a procedere all'ispezione nel caso concreto. L'atto ha però come vero destinatario il soggetto terzo che è sottoposto all'ispezione. Il procedimento si chiude solitamente con una relazione, un rapporto o un verbale.

I due istituti però spesso possono confondersi.

La fase consultiva.

Una volta acquisiti tutti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti rilevanti, l'amministrazione deve procedere ad una valutazione di siffatto materiale istruttorio.

In alcune ipotesi questa valutazione viene effettuata mediante atti emanati da appositi uffici o organi che confluiscono in un ulteriore momento della fase istruttoria, costituita dal subprocedimento consultivo. Si tratta di uffici ed organi, di norma collegiali, distinti rispetto a quelli che svolgono attività di amministrazione attiva e dotati di particolare preparazione e competenza tecnica.

Gli atti mediante i quali viene esercitata questa forma di attività, detta appunto consultiva, ed aventi un contenuto di giudizio, sono i pareri.

I pareri in senso stretto devono essere nettamente distinti da altri atti, denominati nella prassi "pareri-note", che hanno la funzione di rappresentare il punto di vista o gli interessi dell'amministrazione che li emana.

Non devono nemmeno essere confusi i pareri con gli atti resi da consulenti o esperti privati, i quali non svolgono funzioni di amministrazione consultiva.

Un particolare tipo di parere è poi quello previsto, per comuni e province, dall'art. 49 T.U. enti locali: "su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile".

I pareri si distinguono in:

pareri obbligatori, se la loro acquisizione è prescritta dalla legge;

pareri facoltativi, essi non sono previsti dalla legge, l'amministrazione può di propria iniziativa richiederli, purché ciò non comporti un ingiustificato aggravamento del procedimento;

pareri conformi, si tratta di pareri che lasciano all'amministrazione attiva la possibilità di decidere se provvedere o meno; se essa provvede, non può però disattenderli;

pareri semivincolanti, tali pareri possono essere disattesi soltanto mediante l'adozione del provvedimento da parte di un organo diverso da quello che di norma dovrebbe emanarlo, impegnandone la responsabilità amministrativa e politica;

pareri vincolanti, si tratta di pareri obbligatori che non possono essere disattesi dall'amministrazione, salvo che essa non li ritenga illegittimi.

Il subprocedimento consultivo inizia con la richiesta di parere, la quale consiste nella formulazione di un quesito, prosegue con lo studio del problema, con la discussione, con la determinazione, con la redazione e si conclude con la comunicazione all'autorità richiedente.

Ai sensi dell'art. 3 legge 241/90 qualora l'amministrazione procedente intenda disattendere il parere deve adeguatamente motivare il provvedimento, perché l'atto deve essere motivato "in relazione alle risultanze dell'istruttoria".

Il procedimento consultivo è disciplinato dall'art. 16 legge 241/90 e succ. mod.

Il parere obbligatorio deve essere reso entro 45 giorni. Per quanto riguarda i pareri facoltativi, gli organi sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso. Trascorso tale termine senza che sia stato comunicato il parere è facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere.

La circostanza che la legge parli di "facoltà" di procedere pare implicare la possibilità per l'organo di amministrazione attiva di attendere il parere anche se tardivo.

Questa disciplina non si applica nei casi in cui il parere debba essere reso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini, per evitare che l'amministrazione procedente resti "bloccata" in attesa di un parere.

Le richieste di pareri resi dal Consiglio di Stato, che è "organo di consulenza giuridico-amministrativa" del governo e di altre amministrazioni, sono effettuate dagli "organi di governo che esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo".

L'art. 17 Legge 127/1997 individua i casi in cui essi sono richiesti in via obbligatoria (emanazione di atti normativi del governo, emanazione di testi unici, decisioni dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, schemi generali di contratti tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri), e abroga "ogni diversa disposizione di legge che preveda il parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria". L'abrogazione non concerne le norme legislative che dispongono pareri vincolanti, e stabilisce che gli stessi debbano essere resi entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta salvo che la legge non preveda termini più brevi, termine decorso il quale l'amministrazione attiva può procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere.

I pareri del Consiglio di Stato sono pubblici e recano l'indicazione del Presidente del collegio e dell'estensore.

Sempre l'art.17 legge 127/1997 istituisce una sezione consultiva del Consiglio di Stato per l'esame degli schemi di atti normativi per i quali il parere è prescritto per legge o è comunque richiesto dall'amministrazione, nonché per gli schemi di atti normativi comunitari, se richiesto dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Il parere è reso in adunanza generale per "gli schemi di atti legislativi o regolamentari devoluti dalla sezione o dal presidente del Consiglio di Stato a causa della loro particolare importanza".

Il parere è espressione della funzione consultiva e comporta un consiglio in ordine agli interessi che l'amministrazione procedente deve tutelare, tenuto conto della situazione di fatto così come accertata nell'istruttoria.

Le valutazioni tecniche attengono invece ad uno o più presupposti dell'agire che debbono essere appunto valutati nel corso dell'istruttoria.

Il nullaosta è un atto di amministrazione attiva che viene emanato in vista di un interesse differente da quello curato dall'amministrazione procedente.

La fase decisoria: rinvio.

Completata l'istruttoria, il procedimento è maturo per addivenire all'emanazione del provvedimento.

Il provvedimento può concludersi anche con atti differenti ovvero con un mero fatto (silenzio).

La fase integrativa dell'efficacia.

La produzione dell'efficacia è spesso subordinata al compimento di determinate operazioni, al verificarsi di certi fatti o all'emanazione di ulteriori atti.

Il provvedimento può dunque essere perfetto (cioè completo di tutti gli elementi prescritti per la sua esistenza) ma non ancora efficace.

Cosa diversa dall'efficacia dell'atto è la sua validità, che dipende dalla conformità al paradigma normativo dell'atto e dell'attività amministrativa posta in essere al fine della sua adozione.

Un atto può dunque essere illegittimo (cioè invalido) ma efficace, oppure legittimo (cioè valido) ma ancora inefficace.

L'efficacia è condizionata da una fase del procedimento definita "integrativa dell'efficacia" che consiste in alcune forme di pubblicità, degli atti di adesioni dei privati quando richiesto, e degli atti di controllo.

Il controllo dà luogo normalmente ad un subprocedimento, che consta delle seguenti fasi: trasmissione dell'atto all'organo di controllo; istruttoria sull'atto da controllare; adozione della misura; comunicazione dell'atto di controllo.

In genere, decorso un certo termine senza che l'organo controllante adotti misure repressive comporta l'esito positivo del controllo.

Il potere di controllo deve essere esercitato entro il termine fissato e non può essere esercitato una seconda volta.

Altri atti e operazioni che confluiscono nella fase integrativa dell'efficacia sono gli atti recettizi, cioè quegli atti che diventano efficaci soltanto al momento in cui pervengono nella sfera di conoscibilità (mediante comunicazione o pubblicazione) del destinatario, richiedendosi talvolta anche un'accettazione. Gli atti amministrativi producono invece effetti a prescindere dalla comunicazione, come conferma l'istituto della piena conoscenza, in forza del quale il privato deve impugnare il provvedimento non appena abbia comunque conoscenza di alcuni suoi elementi e della sua carica lesiva.

Sono recettizi: gli atti normativi; gli atti che la legge impone siano comunicati ai destinatari; quelli che impongono obblighi al destinatario (ordini, intimazioni) e, più in generale, gli atti per cui la soddisfazione dell'interesse affidato alla cura dell'amministrazione richiede un facere o un non facere del privato, sicché il concorso della sua volontà è indispensabile per il raggiungimento del risultato pratico al quale l'atto è preordinato.

Gli atti recettizi producono effetto solo a seguito della comunicazione ai destinatari.

I vizi o le irregolarità delle operazioni di partecipazione non si trasmettono all'atto recettizio: l'atto però non produrrà i suoi effetti, salva la possibilità di rinnovare la fase della comunicazione.

Vi sono due importanti norme, l'art. 3 ultimo comma legge 241/90, secondo cui in ogni atto notificato al destinatario deve essere indicato "il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere" e l'art. 3 co.3 legge 241/90 che sembra implicare l'obbligo generalizzato di comunicazione della "decisione", nonché l'obbligo di rendere disponibile la motivazione dell'atto. Tale disposizione infatti recita "se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa vi richiama".

Questo obbligo di comunicazione riguarda solo le ipotesi in cui "le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione".

L'art. 2 R.D. 642/1907 afferma il principio secondo il quale il provvedimento amministrativo deve essere notificato ai soggetti "direttamente contemplati".

Nel nostro ordinamento sono previsti altri modi finalizzati a portare atti giuridici nella sfera di conoscibilità del destinatario. I più comuni mezzi di partecipazione sono:

la pubblicazione (destinata ad una generalità di individui potenziali destinatari dell'atto ma non contemplati nell'atto stesso - come ad esempio la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale);

la pubblicità (destinata ad una pluralità di individui e caratterizzata dalla predisposizione di documenti, quali pubblici registri, che realizzano la permanenza dello stato di conoscibilità dell'atto da comunicare);

la comunicazione individuale (rivolta ad un destinatario individuato e posta in essere dall'autore dell'atto - la comunicazione può avvenire anche mediante trasmissione con piego raccomandato con avviso di ricevimento e, talora, oralmente come ad esempio l'ordine impartito dal superiore gerarchico);

la convocazione (consistente nell'invito al destinatario a recarsi per ricevere un documento presso un ufficio, ove il soggetto che ritira tale documento rilascia una dichiarazione).

le notificazioni caratterizzate da procedure formali ad opera di particolari soggetti; il soggetto, denominato agente notificatore, è un soggetto terzo e qualificato che documenta il ricevimento dell'atto. Le notificazioni sono disciplinate dal r.d. 642/1907 e dai regolamenti delle varie amministrazioni.

Ai sensi dell'art. 10 c.5 legge 265/1999 tutte le pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs 165/2001 possono oggi avvalersi in modo generalizzato della notificazione a mezzo posta; il comma 1 aggiunge che, per le notificazioni dei propri atti, esse possono pure avvalersi dei messi comunali "qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge".

"Le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti" sono curate dal responsabile del procedimento.

L'art. 16 c.5 legge 241/90 consente la comunicazione del dispositivo del parere favorevole all'amministrazione richiedente "telegraficamente o con mezzi telematici"; l'art. 6 legge 412/91 ammette che le comunicazioni tra amministrazioni, salvo che per gli atti aventi valore normativo, siano effettuate via telefax, "una volta che ne sia verificata la provenienza"; l'art. 14 t.u. in materia di documentazione amministrativa stabilisce che il documento informatico (definito come "la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti") "trasmesso per via telematica si intende inviato e pervenuto al destinatario se trasmesso all'indirizzo elettronico da questi dichiarato" inoltre, "la trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalità che assicurino l'avvenuta consegna, equivale a notificazione per mezzo posta nei casi consentiti dalla legge". Infine, secondo quanto dispone l'art.43 t.u. in materia di documentazione amministrativa, i documenti trasmessi ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertare la fonte di provenienza del documento, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale attraverso il sistema postale.

La semplificazione procedimentale.

La legge 127/1997 reca misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo (modificata poi dalla legge 191/1998), mentre la legge 59/1997 contiene la delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

L'esigenza di semplificare è particolarmente sentita anche in materia procedimentale.

L'art. 11 legge 137/2002 ha previsto che presso il Dipartimento della funzione pubblica sia istituito, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, un ufficio dirigenziale di livello generale con il compito di coadiuvare il ministro nell'attività normativa ed amministrativa di semplificazione delle norme e delle procedure. Presso la presidenza del Consiglio dei Ministri sono pure istituiti non più di due servizi con il compito di provvedere all'applicazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione.

Il compito di attuare il disegno di semplificazione procedimentale è affidato a decreti legislativi e alle fonti regolamentari di delegificazione.

L'art.20 legge 59/1997 consente di affermare che la semplificazione comporta la riduzione delle fasi procedimentali, l'adeguamento alle nuove tecnologie informatiche, la riduzione dei termini nonché l'accorpamento e la regolamentazione uniforme dei procedimenti che attengono alla stessa attività. La legge 127/1997 si occupa anche di altri aspetti, quali la conferenza di servizi, la disciplina dei pareri e la documentazione amministrativa.

La legge 241/90 definisce come istituti di semplificazione la conferenza di servizi, gli accordi tra amministrazioni , la prefissione di termini e di meccanismi procedurali per consentire di ottenere in termini certi pareri o valutazioni tecniche, l'autocertificazione, la liberalizzazione di attività private ed il silenzio assenso.





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