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L'ORARIO DI LAVORO



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L'ORARIO DI LAVORO

La durata massima della prestazione di lavoro

La disciplina che limita la durata massima della prestazione di lavoro, concernente l'orario di lavoro, le pause settimanali e le ferie annuali, svolge una rilevantissima funzione di tutela della persona del lavoratore. Essa, infatti, è volta a consentire a quest'ultimo non solo di reintegrare le energie spese nello svolgimento della propria attività, ma anche di soddisfare le proprie esigenze ricreative, familiari e sociali.

Le principali fonti normative in materia sono:

  • l'art. 36, co. II, Cost., che contempla una riserva di legge nella determinazione della durata della giornata lavorativa;
  • gli artt. 2107 - 2109, c.c., che disciplinano le pause dal lavoro e che sono integrati dalle leggi speciali e dai contratti collettivi;
  • il R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, che, dopo aver subito alterne vicende nel periodo corporativo e bellico, rappresenta la legge speciale tuttora vigente, e che fissa il limite massimo di 8 ore giornaliere o di 48 ore settimanali per tutti i lavoratori. È controverso, però, se tali limiti siano concorrenti ovvero se il lavoro prestato oltre le 8 ore giornaliere, ma entro le 48 settimanali rientri egualmente nell'orario normale, senza dar luogo a lavoro straordinario: la dottrina dominante e la giurisprudenza (PERA, MAZZIOTTI, Cass. 2729/83) sono orientate nel primo senso;
  • l'art. 13 della L. 196/97 che ha fissato in 40 ore settimanali l'orario normale di lavoro.

La durata massima concerne il solo lavoro effettivo, ossia quello che richiede un'applicazione continua e senza soste. Per tale ragione, oltre che per le particolari mansioni svolte, sono escluse dalla disciplina generale alcune categorie di lavoratori, e cioè:



  • i lavoratori addetti a lavori discontinui o di semplice attesa o custodia (indicati specificamente dal r.d. 6/12/1923, n. 2657);
  • gli impiegati di concetto con funzioni direttive (tra cui vanno ricompresi i quadri ed i dirigenti);
  • i commessi viaggiatori ed i piazzisti;
  • i lavoratori a domicilio;
  • i lavoratori domestici (salvo che conviventi);
  • il personale di sorveglianza;
  • il personale navigante;
  • alcune categorie di lavoratori agricoli.

Inoltre, poiché per il calcolo della giornata lavorativa deve, come si è detto, farsi riferimento al solo lavoro effettivo, non possono prendersi in considerazione: i riposi intermedi (per la consumazione dei pasti); il tempo occorrente per recarsi al lavoro; quello necessario per indossare gli abiti di lavoro o per fornirsi degli attrezzi; le soste di lavoro non inferiori a 10 minuti dovute a forza maggiore oppure a necessità tecniche. Le parti possono protrarre l'orario di lavoro oltre il limite stabilito dalla legge nel caso di:

  • attività agricole o industriali, quando ricorrano necessità tecniche o stagionali;
  • lavori complementari e preparatori che debbano essere effettuati al di fuori dell'orario di lavoro.

In tali ipotesi, il prolungamento dell'orario di lavoro va comunicato al competente Ufficio provinciale del lavoro. In conclusione, va notato anche che la durata massima della prestazione lavorativa, benché finalizzata alla tutela del prestatore, si conura quale limite ai poteri datoriali, con la conseguenza che, in caso di violazione, penalmente sanzionato è il solo comportamento del datore.

Il lavoro straordinario

Il lavoro straordinario è quello che eccede l'orario massimo. Al riguardo, l'art. 2108, co. I, c.c., dispone che 'in caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario'. Il successivo co. III stabilisce, poi, che i limiti entro i quali il lavoro straordinario è consentito, la durata di esso e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi. La legge cui rinvia l'art. 2108, c.c., è il R.D.L. 692/1923, che fissa limiti rigorosi per lo svolgimento del lavoro straordinario, stabilendo che esso può essere prestato sempreché:

  • ci sia l'accordo tra le parti;
  • la prestazione lavorativa non superi le 2 ore giornaliere e le 12 ore settimanali, o una durata media equivalente entro un periodo determinato;
  • venga computato a parte con un aumento retributivo, rispetto al lavoro ordinario, non inferiore al 10%, o con un aumento corrispondente sui cottimi.

Per le sole imprese industriali, è anche necessario che:

  • il lavoro straordinario abbia carattere di saltuarietà;
  • sia richiesto da eccezionali esigenze tecnico-produttive che non sia possibile fronteggiare con l'assunzione di altri lavoratori;
  • si dia comunicazione dell'esecuzione del lavoro straordinario, entro 24 ore dall'inizio, all'Ispettorato del lavoro, che può ordinarne la cessazione o la limitazione;
  • l'imprenditore versi al Fondo per la disoccupazione una somma pari al 15% della retribuzione relativa alle ore straordinarie compiute.

L'effettuazione del lavoro straordinario è esclusa per:

  • le lavoratrici che allattano la prole;
  • gli apprendisti.

Gli studenti lavoratori possono, invece, rifiutarsi di svolgere lavoro straordinario. Ai termini dell'art. 1, co. II, R.D.L. 692/1923, agli impiegati con funzioni direttive per i quali non sia fissata la durata massima dell'orario di lavoro non spetta il compenso per lavoro straordinario. Tale esclusione non ha, però, secondo la giurisprudenza, carattere assoluto, essendo comunque soggetta a limiti di ragionevolezza.

Il lavoro notturno



Si ha lavoro notturno quando la prestazione viene eseguita di notte, e cioè, secondo l'opinione generale, tra le ore ventidue e le ore sei. Il lavoro notturno è soggetto ad una serie di divieti e di limitazioni, in quanto, alterando i ritmi biologici di vita del prestatore, risulta più dannoso e faticoso non solo del lavoro diurno, ma anche del lavoro straordinario. Così esso è vietato dalla legge:

  • per le donne, che, anche se familiari del datore, non possono essere addette al lavoro nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, dalle ore 24 alle 6;
  • per i fanciulli e gli adolescenti, che hanno diritto ad un intervallo tra una giornata di lavoro e l'altra, di dodici ore consecutive, comprese le ore notturne;
  • per gli apprendisti, che non possono effettuare prestazioni lavorative, tra le ore 22 e le 6;
  • nelle industrie per la panificazione e le pasticcerie, dove è vietato il lavoro tra le ore 21 e le ore 4, tranne il sabato, quando eccezionalmente è consentito fino alle 23;
  • nei servizi pubblici di trasporto, dove è vietato il servizio dalle ore 24 alle ore 5, per più di sei notti consecutive.

L'art. 2108, co. II, c.c., dispone che il lavoro notturno deve, al pari di quello straordinario, essere retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno. Tale regola non si applica al lavoro notturno compreso in regolari turni periodici, in quanto in tal caso viene meno il carattere di straordinarietà e la prestazione rientra nel normale lavoro dei turnisti (spesso, però, i contratti collettivi prevedono per tale ipotesi la stessa maggiorazione prevista per il lavoro notturno). Ai sensi del co. III dell'art. 2108, i limiti entro cui il lavoro notturno è consentito, la sua durata e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.



Il riposo settimanale

L'art. 36, co. III, Cost., riconosce il diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale. Tale diritto è ribadito dall'art. 2109, c.c., che, al co. I, precisa che, di norma, il giorno di riposo deve coincidere con la domenica. La disciplina specifica è, essenzialmente contenuta nella L. 22 febbraio 1934, n. 370, che riconosce il diritto al riposo settimanale a tutti i prestatori e ne determina la durata in 24 ore consecutive (dalla mezzanotte di un giorno fino alla mezzanotte del giorno successivo). Anche la L. 370/1934 stabilisce che il riposo settimanale deve di regola coincidere con la domenica. Ciò è tassativamente disposto per i minori e gli adolescenti, mentre deroghe sono previste in relazione a determinati lavori o situazioni particolari, tra cui rientrano:

  • i processi lavorativi caratterizzati dalla continuità, cui i prestatori vengono adibiti secondo turni di lavoro;
  • le esigenze tecniche o di pubblica utilità;
  • ragioni d'urgenza per il possibile deterioramento delle materie prime.

Se, per cause eccezionali, la prestazione lavorativa viene effettuata nel giorno di riposo, il prestatore ha diritto ad un giorno di riposo compensativo, e ad una maggiorazione della retribuzione. Nel caso in cui il lavoro svolto durante la domenica non venga compensato dal riposo in altro giorno della settimana, il lavoratore vanterà uno specifico diritto al risarcimento per la penosità del lavoro festivo.

Le festività infrasettimanali

Accanto al riposo settimanale si pongono le festività infrasettimanali, nazionali e religiose, disciplinate dalla L. 27 maggio 1949, n. 260, dalla L. 5 marzo 1977, n. 54 e dal D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792. I giorni festivi oggi esistenti sono:

  • tutte le domeniche;
  • il 1deg. giorno dell'anno;
  • il 6 gennaio (Epifania);
  • l'anniversario della Liberazione (25 aprile);
  • il lunedì in albis;
  • il 1deg. maggio (festa del lavoro);
  • il giorno dell'Assunzione (15 agosto);
  • il giorno di Ognissanti (1deg. novembre);
  • l'Immacolata Concezione (8 dicembre);
  • il giorno di Natale;
  • Santo Stefano (26 dicembre).

Durante tali festività, i datori di lavoro devono corrispondere ai propri dipendenti - compresi quelli retribuiti ad ore - la normale retribuzione giornaliera. Nel caso in cui, in tali giorni, i dipendenti lavorino, è loro dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, comprensiva di ogni elemento accessorio, anche la retribuzione per l'attività svolta con la maggiorazione per il lavoro festivo. Nel settore del pubblico impiego, in luogo del trattamento economico, è previsto il recupero delle festività soppresse in altri giorni dell'anno come permessi straordinari o in aggiunta alle ferie, con il amento della retribuzione.



Le ferie annuali

L'art. 36, co. III, Cost., sancisce che 'Il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi'. Tale diritto è riconosciuto anche dall'art. 2109, c.c., che, al co. II, dispone che il prestatore 'ha anche diritto dopo un anno d'ininterrotto servizio ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro'. Va segnalato che il requisito dell''anno di ininterrotto servizio' è stato ritenuto incostituzionale dalla Consulta con sentenza 7 maggio 1963, n. 66, per cui oggi si ha diritto alle ferie proporzionalmente alla durata del periodo lavorativo. Sempre a commento del co. II dell'art. 2109, c.c., va rilevato come spetti al datore il potere unilaterale di stabilire il tempo in cui far ricadere il periodo di ferie, salvo l'onere di darne comunicazione preventiva ai lavoratori. Per la fissazione della durata delle ferie, il co. III dell'art. 2109, c.c., rinvia, invece, alla legge, ai contratti collettivi, agli usi o all'equità. Salve le disposizioni di legge dettate per categorie speciali di lavoratori - come, ad esempio, gli apprendisti -, nella pratica la durata del periodo feriale è di solito determinata dai contratti collettivi, con criteri basati soprattutto sulla categoria di appartenenza e sulla anzianità di servizio (c.d. scaglioni periodici). Al riguardo, va registrata la tendenza della contrattazione collettiva ad unificare il trattamento feriale per tutti i lavoratori. Durante il periodo feriale, il prestatore ha diritto alla retribuzione globale di fatto corrispondente a quella che percepisce normalmente (comprensiva anche delle voci più strettamente connesse alla prestazione lavorativa); in caso di retribuzione in natura ha diritto all'equivalente in danaro. Il datore, che acconsenta a che il prestatore non fruisca delle ferie, incorre in un comportamento illecito, ancorché non penalmente sanzionato; l'illiceità tuttavia non coinvolge il prestatore che ha diritto ad un equivalente trattamento economico: la c.d. indennità sostitutiva di ferie non godute. L'azione diretta ad ottenere tale indennità è considerata dalla giurisprudenza prevalente di natura risarcitoria, non contrattuale, con il conseguente onere per il lavoratore di provare il mancato godimento delle ferie. Un'importante notazione in tema di ferie: la sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 1987, n. 6161, ha dichiarato che l'art. 2109, c.c., è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso. Assimilati alle ferie sono poi alcuni periodi di sosta nello svolgimento della prestazione, previsti dalla legge e volti a permettere al lavoratore di assolvere ad alcuni impegni di carattere civile e personale. Essi possono essere retribuiti ovvero non retribuiti. Si citano qui, a titolo di esempio: il congedo per le elezioni politiche ed amministrative e per i referendum, previsto a favore dei componenti il seggio elettorale e dei rappresentanti di lista; il congedo matrimoniale; i permessi (non retribuiti) spettanti ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali per la partecipazione a convegni, congressi ed iniziative sindacali in genere.

Il part-time ed i contratti di solidarietà

Il rapporto di lavoro a tempo parziale consiste nello svolgimento di attività lavorativa ad orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di lavoro (part-time c.d. orizzontale) o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno (part-time c.d. verticale). Esso è stato disciplinato, per la prima volta, nel nostro ordinamento con il D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, nella L. 19 dicembre 1984, n. 863, che:

  • istituisce presso gli uffici di collocamento una lista speciale dei prestatori disposti a lavorare a tempo parziale;
  • impone la forma scritta per la stipulazione del contratto e l'invio di una copia dello stesso all'Ispettorato del lavoro;
  • attribuisce alla contrattazione collettiva il potere, efficace erga omnes, di integrazione della disciplina legale a tutela dell'interesse collettivo dei lavoratori al controllo della occupazione a tempo parziale (GHERA);
  • vieta lo svolgimento, da parte dei prestatori a part-time, di lavoro supplementare, cioè svolto oltre il limite orario concordato contrattualmente, ma rientrante nei limiti legali fissati dal R.D.L. 692/23.

Nel rapporto di lavoro a tempo parziale, la retribuzione prevista per il rapporto a tempo pieno viene ridotta in proporzione all'orario di lavoro, per cui il principio della sufficienza della retribuzione sancito dall'art. 36, co. I, Cost., si relativizza in quello della proporzionalità, previsto dalla stessa norma.

I contratti di solidarietà possono, poi, essere considerati una forma particolare di contratto a tempo parziale e, al pari di quest'ultimo, rinvengono la loro disciplina nella L. 19 dicembre 1984, n. 863. Sono previste due ipotesi di contratti di solidarietà:

  • la prima concerne la riduzione dell'orario di tutti i lavoratori di un'impresa in crisi: ciò allo scopo di evitare la riduzione del numero degli occupati;
  • la seconda è prevista per favorire l'occupazione, soprattutto giovanile, con la riduzione dell'orario complessivo e con il conseguente aumento della disponibilità di posti di lavoro







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