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La costituzione e le leggi di revisione costituzionale

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La costituzione e le leggi di revisione costituzionale

Una costituzione scritta è una sorta di codice della "materia costituzionale": riunisce, cioè, se non tutte, la maggior parte delle norme che disciplinano tale materie.

La materia costituzionale, grosso modo, comprende:

a)    per un verso, gli aspetti fondamentali dell'organizzazione dello Stato: quali organi siano competenti ad esercitare la funzione legislativa, la funzione di governo, la funzione giurisdizionale;

b)    per un altro verso, gli aspetti fondamentali delle relazioni tra Stato e cittadini: in particolare, quali diritti i cittadini possano vantare nei confronti dello Stato.

La costituzione vigente - entrata in vigore il 1° gennaio 1948 - occupa una posizione peculiare nel sistema delle fonti in virtù di due caratteristiche salienti: in primo luogo, si tratta di una costituzione "rigida"; in secondo luogo si tratta di una costituzione "garantita".



Si dice "flessibile" una costituzione che - come lo Statuto albertino, rimasto in vigore in Italia dal 1848 al 1947 - può legittimamente essere modificata, derogata, o abrogata dal comune organo legislativo (il Parlamento) mediante il procedimento ordinario di formazione delle leggi.

La costituzione e le leggi stanno sullo stesso piano: sono dotate, come suol dirsi, della medesima "forza" o "efficacia". La costituzione non è che una legge tra le altre. I rapporti tra la costituzione e le rimanenti leggi sono regolati dal principio di preferenza della norma successiva: la norma successiva - ossia quella più recente nel tempo - "prevale" su quella antecedente, nel senso che, in caso di conflitto, dovrà essere applicata la norma posteriore, e scartata quella precedente. Ne segue che una legge posteriore alla costituzione può modificare la costituzione stessa, derogarvi, o anche abrogarla.

Si dice "rigida", una costituzione che non può essere modificata, derogata, o abrogata dal comune organo legislativo mediante il procedimento ordinario di formazione delle leggi. Per modificare, derogare, o abrogare la costituzione, è necessario uno speciale procedimento di "revisione costituzionale", più complesso del comune procedimento legislativo.

La costituzione vigente è rigida in virtù del suo art. 138 che, esige un procedimento speciale - "aggravato", rispetto al comune procedimento legislativo (di cui agli artt. 64 e 72 Cost.) - per la revisione costituzionale.

Ciò ha due rilevanti conseguenti:

a) Da un lato, la rigidità costituzionale impone di distinguere due tipi di leggi: le leggi cosiddette ordinarie e le leggi costituzionali o di revisione della costituzione. Le une le altre sono atti del Parlamento, ma si differenziano sotto due aspetti.

Le leggi costituzionali sono frutto, di uno speciale procedimento di formazione. Le leggi ordinarie sono votate da ciascuna Camera una sola volta, a maggioranza dei presenti. Le leggi costituzionali sono votate da ciascuna Camera due volte; nella seconda votazione occorre quanto meno la maggioranza dei componenti; nei tre mesi successivi la legge costituzionale può essere sottoposta a referendum popolare approvativo (qualora ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque consigli regionali); non si fa luogo al referendum qualora nella seconda votazione la legge costituzionale sia stata approvata, in ciascuna Camera, a maggioranza dei due terzi dei componenti (art. 138 Cost.).

Inoltre, le leggi ordinarie e le leggi costituzionali si differenziano per la loro diversa "forza": solo le leggi costituzionali possono modificare la costituzione. Secondo la Corte costituzionale la costituzione include taluni principi - detti "principi supremi" - che sono assolutamente intangibili: non possono cioè essere modificati neppure mediante legge costituzionale (Corte cost. 1146/1988).

b) A causa della rigidità costituzionale, i rapporti tra la costituzione e le leggi ordinarie sono regolati non già dal principio di preferenza della norma successiva, ma dal principio di legittimità costituzionale: la costituzione prevale sulla legge, anteriore o successiva, poco importa. In caso di conflitto, dovrà essere applicata la norma costituzionale, e scartata quella legislativa. Una legge che disponga in modo contrastante con la costituzione non modifica la costituzione, ma la viola: è incostituzionale (o costituzionalmente illegittima), e pertanto invalida. La conformità alla costituzione è condizione necessaria di validità delle leggi.

Una legge che sia incompatibile con la costituzione, è invalida; l'invalidità delle leggi incompatibili con la costituzione postula l'esistenza di una qualche forma di controllo sopra la conformità delle leggi alla costituzione: occorre cioè che vi sia un organo competente a confrontare le leggi con la costituzione e a pronunciare, se del caso, l'illegittimità costituzionale delle leggi. In assenza di un controllo siffatto, la rigidità della costituzione sarebbe, per così dire, proclamata, ma non garantita.

Si dice "garantita" una costituzione che non solo prevede un procedimento speciale per la propria revisione, ma, inoltre, prevede altresì una qualche forma di controllo sulla conformità delle leggi alla costituzione.

La costituzione vigente è una costituzione garantita in quanto istituisce (artt. 134 ss.) un organo - la Corte costituzionale - investito precisamente del potere di controllare la conformità delle leggi alla costituzione, ed autorizzata ad annullare, con efficacia generale, le leggi contrastanti con essa.

La Corte costituzionale, a differenza di ogni altro giudice, non può essere adita direttamente dai privati cittadini: ma solo dai giudici. Il controllo di legittimità costituzionale sulle leggi si svolge per lo più nel modo seguente (l. 87/1953). Nel corso di un qualunque processo la parte danneggiata dall'applicazione di una legge che ritiene incostituzionale può sollevare "questione di legittimità costituzionale" - eccepire che la legge in questione non deve essere applicata, appunto perché incostituzionale -. Il giudice di quel processo, previo accertamento che la questione è "rilevante" (ossia che quella legge davvero dovrebbe essere applicata in quella controversia) e "non manifestamente infondata" (ossia che sussistono seri argomenti per sostenere che la legge è in contrasto con la costituzione), sospende il giudizio e rimette la questione alla Corte costituzionale. Peraltro, il giudice può rimettere una questione alla Corte anche di sua propria iniziativa, ossia indipendentemente dalle richieste delle parti.

Le sentenze con cui la Corte costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale di una legge (o di un atto avente forza di legge) si dicono sentenze "di accoglimento". Tali sentenze producono sulla legge un effetto di "annullamento": le leggi che la Corte dichiara incostituzionali fuoriescono dall'ordinamento, e non devono più essere applicate da alcun giudice (neppure nei giudizi ancora pendenti), né eseguite dalla pubblica amministrazione.

La costituzione disciplina fondamentalmente la "materia costituzionale", ossia l'organizzazione statale ed i rapporti tra Stato e cittadino. I principi costituzionali  e i diritti soggettivi garantiti dalla costituzione possono essere fatti valere non solo nei rapporti "verticali" tra cittadini e Stato, ma anche nelle relazioni "orizzontali" tra cittadini: nei rapporti "interprivati" ciò significa che le norme costituzionali devono essere applicate, ove possibile, non solo dalla Corte costituzionale, ma da qualunque giudice nelle controversie a lui sottoposte.

L'applicazione della costituzione da parte dei giudici comuni può assumere principalmente due forme:

a) L'interpretazione "adeguatrice". Può accadere che il giudice debba applicare una legge suscettibile di due interpretazioni divergenti: l'una conforme alla costituzione, l'altra incompatibile con essa. Ebbene, si ritiene che, in questi casi, il giudice debba scegliere l'interpretazione conforme a costituzione. È questa, per l'appunto, l'interpretazione cosiddetta adeguatrice.

b)    L'applicazione diretta in senso stretto. Può accadere che la legge sia, come si usa dire, "lacunosa", e che pertanto il giudice non trovi in essa la disciplina della controversia a lui sottoposta. Il giudice può risolvere la controversia applicando direttamente i principi costituzionali. Se ne può vedere un esempio macroscopico nella giurisprudenza civile sul danno cosiddetto "biologico" (cfr. Tribunale di Genova, 25 maggio 1974, in Giurisprudenza italiana, 1975, I, 2, 54).






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