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L’amministrazione degli interessi dei cittadini - POLITICA E AMMINSTRAZIONE PUBBLICA - Amministrazione di regolazione -LE IMPOSTE INDIRETTE



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DIRITTO TRIBUTARIO

Nozioni Generali

Lo Stato contemporaneo, al fine di soddisfare i bisogni collettivi dei propri cittadini e perseguire precisi precetti costituzionali (allocazione delle risorse, distribuzione equa della ricchezza, stabilità economica ecc.) necessita di un continuo afflusso di risorse economiche.

Il diritto tributario è il complesso delle norme che disciplinano l'attività dello Stato diretto a procurarsi i mezzi finanziari per il raggiungimento di quei fini, avvalendosi del proprio “ius imperii”.

Le entrate tributarie

Si definisce tributaria l’entrata caratterizzata dalla coattività della prestazione. Tale coattività costituisce l’elemento essenziale ed incontestabile per l’individuazione del tributo e per la sua differenziazione dalle altre entrate. Sono pertanto tributi le imposte, le tasse, i monopoli fiscali ed i c.d. “contributi”.

Le tasse

La tassa può essere definita come quella prestazione pecuniaria che un soggetto deve allo Stato per una controprestazione che quest’ultimo effettua per il soggetto stesso e su sua richiesta. In altre parole il singolo richiede una prestazione all’Ente ma, per ottenerla, a un tributo costituente una obbligazione ex lege, appunto la tassa. Possiamo distinguere in:



tasse amministrative, dovute per l'ottenimento di autorizzazioni, certificazioni, o emanazione di atti, ad esempio le tasse scolastiche;

tasse industriali che sono dovute come corrispettivo per l'esercizio dell'attività di impresa, ad esempio la verifica di pesi e misure o per il marchio sui metalli preziosi;

tasse giudiziarie che sono dovute per un servizio reso da un organo giudiziario.

Le imposte

L’imposta può definirsi come “la prestazione coattiva di carattere pecuniario dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna correlazione con una attività dell’ente pubblico, tantomeno a favore del soggetto stesso, il quale deve adempiere la prestazione allorché si trovi in un dato rapporto ex lege con il presupposto di fatto legislativamente stabilito” (Micheli).

Elementi costitutivi dell’imposta sono:

a)  il soggetto attivo, ovvero lo Stato o l’ente pubblico dotato di potestà impositiva;

b) il soggetto passivo, cioè il contribuente;

c)  l’imponibile, ovvero la ricchezza intesa come valore di riferimento su cui calcolare l’imposta;

d) l’aliquota, cioè il rapporto tra l’ammontare dell’imposta dovuta rispetto alla somma imponibile.

Presupposto di fatto dell’imposta, in ossequio dell’art. 53 Costituzione, è l’esistenza di una situazione rilevatrice di capacità contributiva.

Le imposte possono essere dirette o indirette a seconda che vadano a colpire una manifestazione immediata di ricchezza (come ad esempio l’acquisizione di un reddito o il possesso di un patrimonio), ovvero interessino manifestazioni indirette di ricchezza (come il trasferimento di un bene).

Altra classificazione delle imposte è quella che distingue le imposte reali da quelle personali: le prime, dette anche oggettive, prendono in esame il solo evento e non anche il soggetto d’imposta; le seconde prendono invece in esame la persona e la sua effettiva capacità contributiva.

Merita infine accennare al metodo di calcolo delle imposte che possono essere fisse o variabili: le prime sono predeterminate nell’ammontare; le seconde variano a secondo dell’imponibile e possono essere proporzionali (l’imposta aumenta in misura proporzionale rispetto all’aumento dell’imponibile), progressive (se l’imposta aumenta in misura più che proporzionale rispetto all’imponibile) e regressive (qualora invece aumentino meno che proporzionalmente rispetto all’imponibile).

I contributi

Il contributo può essere definito come quell’entrata tributaria che l’ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che costoro traggono vantaggio da determinati servizi pubblici, anche senza che essi li abbiano richiesti.

Tali entrate non hanno invero grande rilevanza essendo collegate per lo più agli enti locali e producendo una percentuale quasi trascurabile del gettito statale.

I monopoli fiscali

Il monopolio fiscale è un istituto giuridico mediante il quale lo Stato si riserva la produzione e/o la vendita di determinati beni o servizi al fine di assicurare all’erario il conseguimento di entrate derivanti dall’esercizio di suddette attività. Monopoli fiscali sono attualmente in Italia quelli relativi alla lavorazione di prodotti a base di tabacco, il gioco del lotto, le lotterie, estrazione e produzione di sale.

Principi costituzionali

Nel nostro sistema, fonte primaria del diritto tributario è, ovviamente, la Costituzione la quale sancisce i principi cui il legislatore deve necessariamente attenersi nell’emanazione di norma fiscali. Tali principi sono:

a)  la riserva di legge (art. 23); “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Trattasi di riserva di legge relativa: ciò significa che la legge disciplina gli aspetti essenziali (a. presupposto, b. soggetti, c. aliquote, d. base imponibile), mentre la disciplina di grado inferiore servirà ad integrare e a curare gli aspetti più particolarmente tecnici. Può anche accadere che il legislatore preveda dei limiti massimi e minimi (c.d. forchette) per la determinazione delle aliquote, mentre i provvedimenti ministeriali le stabiliranno più nello specifico. La riserva di legge ha precisi fini garantistici: è il Parlamento che ha il potere di imporre un tributo e non il Governo, quindi i rappresentanti del cittadino, da lui democraticamente scelti;

b) la capacità contributiva (art. 53), secondo il quale ogni soggetto è tenuto all’adempimento della prestazione in ragione della sua capacità contributiva. Possono costituire oggetto di tassazione solo quei fatti economicamente valutabili quali ad esempio un incremento patrimoniale, un investimento ecc.

c)  l’universalità dell’imposta (art. 53), per il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”;

d) l’uguaglianza (relativa) dell’onere tributario (art. 3), secondo il quale l’onere fiscale deve essere suddiviso fra tutti i soggetti d’imposta in proporzione della propria capacità contributiva;

e)  la progressività del sistema tributario (art. 53), principio programmatico, attuabile in concreto mediante varie forme (progressività per detrazione, per classi, per scaglioni, progressività continua);

f)   l’inabrogabilità delle norme tributarie a mezzo referendum (art. 75)

g) l’impossibilità di introdurre nuovi tributi con la legge di approvazione del bilancio (art. 81)

Altre fonti del diritto tributario

La classificazione delle fonti del diritto tributario ricalca quella classica della gerarchia delle fonti in generale. Avremo quindi, in una ipotetica “scaletta“, la Costituzione, la legge ordinaria, il decreto legislativo, il decreto legge, la legge regionale nonché le fonti secondarie quali regolamenti e decreti ministeriali.

Le leggi tributarie regionali

L'articolo 119 della costituzione prevede la potestà legislativa regionale: la legge regionale si pone come legge parallela subprimaria, per il principio di sussidiarietà. È parallela in forza della potestà impositiva autonoma delle regioni, subprimaria perché legge regionale si inserisce in una legge quadro ordinaria (principio di sussidiarietà ed eventuale coordinamento). La legge quadro non ha principi dispositivi immediatamente validi per la legge regionale (come invece avviene per la legge ordinaria e il coordinamento).

Le fonti Internazionali

L’appartenenza dell’Italia ad organismi sovranazionali, impone alcune considerazioni in merito alle fonti normative estere. In particolare occorre ricordare i rapporti tra l’ordinamento nazionale e le fonti principali della Comunità Europea ovvero i regolamenti e le direttive: i primi hanno portata generale, sono obbligatori e sono direttamente applicabili in ciascuno stato membro senza necessità di ratifica; le seconde vincolano invece gli stati quanto al fine da perseguire lasciando agli stessi un certo grado di discrezionalità per quanto riguarda la ratifica, in questo caso necessaria.

L’efficacia della norma tributaria nel tempo e nello spazio

L’efficacia delle norme tributarie nel tempo e nello spazio segue le regole dettate dai principi generali dei diritti con l’eccezione costituita dall’art. 75 Cost. secondo il quale, come già ricordato, non è possibile l’abrogazione di una norma tributaria a mezzo referendum.

Quanto all’efficacia nel tempo delle norme sanzionatorie, giova ricordare che in materia vige il principio di legalità in base al quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non ai sensi di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione e per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile.

L’amministrazione finanziaria

L’amministrazione finanziaria fa capo al Ministero dell’economia e delle finanze con funzioni generali di governo della fiscalità dello Stato. Bracci esecutivi di questo sono le quattro Agenzie fiscali istituite con D.M. 28.12.2000. Queste sono:

L’Agenzia delle entrate, con il compito di gestire i tributi diretti, l’IVA e le altre entrate erariali;

L’Agenzia delle dogane, gestisce diritti e tributi legati agli scambi internazionali;

L’Agenzia del territorio, con funzioni attinenti al catasto ed alle conservatorie;

L’Agenzia del demanio, gestisce con criteri imprenditoriali i beni immobili appartenenti allo Stato

In particolare: l’Agenzia delle entrate

L’Agenzia delle entrate è un Ente pubblico non economico, operativo dal gennaio 2001, incaricato di provvedere alla gestione, all’accertamento e alla riscossione dei tributi erariali, sotto la vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il Ministero mantiene la responsabilità di indirizzo politico, mentre all’Agenzia delle Entrate è attribuita la responsabilità gestionale ed operativa. I rapporti tra il Ministero e l’ Agenzia delle Entrate sono regolati da una Convenzione annuale nella quale sono indicati i servizi da assicurare, gli obiettivi da raggiungere e le risorse da destinare a tali fini.

Organi dell’ Agenzia delle Entrate sono il Direttore, che la rappresenta e la dirige, il Comitato Direttivo, il Comitato dei Revisori dei Conti. Le norme di funzionamento dell’ Agenzia delle Entrate sono contenute nei Regolamenti di amministrazione deliberati dal Comitato Direttivo su proposta del Direttore e sottoposti al Ministero dell’economia e delle finanze. I Regolamenti disciplinano l’organizzazione, i criteri di assunzione del personale, la determinazione delle dotazioni organiche, l’accesso alla dirigenza.

I principali obiettivi dell’ Agenzia delle Entrate sono:

  • la semplificazione dei rapporti con i contribuenti
  • la facilitazione dei servizi di assistenza ed informazione
  • il potenziamento dell’azione di contrasto all’evasione
  • la ricerca della massima efficienza, anche attraverso modelli innovativi di organizzazione e pianificazione.

A livello centrale, l’ Agenzia delle Entrate è articolata in Uffici di staff del Direttore e in Direzioni centrali, a livello locale in Direzioni regionali e Uffici locali.

Uno strumento per ridurre il contenzioso: l’autotutela

L’autotutela, nell’accezione comune che il termine ha nel diritto amministrativo, è la facoltà dell'amministrazione di correggere, anche di propria iniziativa, quegli atti che risultino illegittimi o infondati.

Gli strumenti giuridici attraverso cui si attuano tali finalità sono l’annullamento e la revoca, atti tipici utilizzati il primo per la rimozione dei vizi di legittimità, e il secondo per quelli di merito.

Tuttavia in nessun campo, come in quello tributario, ove ogni giorno ci si scontra con la difficile applicazione della normativa, l’autotutela ha assunto un ruolo così determinante da farne uno degli istituti cardini del sistema fiscale ed uno strumento efficace e moderno di tutela degli interessi dei soggetti dell’obbligazione tributaria. Nello specifico essa tende non solo a migliorare i rapporti tra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria, ma a ricostituire quel clima di reciproca fiducia utile per una collaborazione nell’adempimento degli obblighi, finalità perseguite dalla legge 212/2000 di recente promulgata e meglio nota come lo “Statuto del contribuente”.

L’autotutela, allo stato, si connota per i seguenti tratti caratteristici:

  1. massimo impulso alla sua applicazione da imprimere agli Uffici per il miglioramento complessivo dell’azione amministrativa;
  2. ampiezza delle fattispecie concrete in cui si realizza il presupposto per il suo esercizio;
  3. insussistenza di limiti temporali al suo esercizio.

Per quanto si riferisce al primo punto va sottolineato che all’autotutela, specie negli ultimi anni, è affidato il compito di ridurre in misura determinante il numero delle controversie latenti o già insorte tra l’amministrazione finanziaria ed il cittadino. Prima dell’emanazione delle nuove norme - il riferimento è al regolamento emanato con D.M. n° 37/97 - lo sbocco delle controversie era costituito dal ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria; attualmente deve ritenersi patologica la non definizione del contesto nell’ambito amministrativo. E dunque sono state via via rimosse, anche attraverso un’interpretazione estensiva della normativa, tutte quelle anomalie che ostacolavano la piena applicazione dell’istituto.

Inoltre l’autotutela non presuppone necessariamente l’impulso da parte del privato; infatti l’amministrazione finanziaria può procedere, anche d’ufficio, all’annullamento degli atti amministrativi viziati in tutte le ipotesi in cui ne riscontra la difformità dal modello corretto.

Va detto altresì, per quel che concerne il secondo aspetto, che l’autotutela interagisce a 360 gradi sui processi di formazione e consolidazione della volontà dell’amministrazione evitando, prima, durante e dopo, che vengano ad esistenza e possano sopravvivere e diventare esecutivi atti viziati. In tal senso essa costituisce un filtro ideale attraverso cui vengono vagliati gli atti amministrativi in ogni fase del procedimento e dunque non può non essere motivo di miglioramento della complessiva attività degli uffici.

Infine non vi sono limiti temporali entro i quali il dovere di ricorrere all’autotutela si esaurisce. Non rileva né il fatto che l’atto sia diventato definitivo per decorso dei termini né l’assenza di istanza del contribuente. L’autotutela può essere dunque esercitata ogni volta che l’Ufficio riconosca un proprio atto illegittimo o infondato.

I soggetti passivi d’imposta

I soggetti passivi d’imposta sono tutti coloro tenuti al amento dei tributi. Nel rapporto tributario, mentre il soggetto attivo è unico (l’amministrazione finanziaria), il soggetto passivo può essere pluripersonale. La legge infatti, individua alcuni soggetti tenuti ad adempiere in via sostitutiva o sussidiaria alla obbligazione tributaria altrui. E’ il caso del sostituto d’imposta (datore di lavoro, ente pensionistico, ecc.) che per legge sostituisce in tutto o in parte il contribuente (sostituito) nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria, trattenendo le imposte dovute dai compensi, salari, pensioni o altri redditi erogati e successivamente versandole allo Stato. I sostituti di imposta sono tenuti a denunciare annualmente le trattenute operate tramite un apposita dichiarazione (modello 770).

Ci sono poi casi in cui sussiste una responsabilità solidale quando due o più soggetti sono tenuti tutti in via principale all’adempimento di un obbligo tributario che può riguardare la presentazione di una dichiarazione ovvero il amento di un tributo. Ad esempio nell’imposta di registro obbligati al amento dell’imposta sono, per solito, una pluralità di soggetti (pubblici ufficiali che hanno redatto l’atto, parti contraenti, parti in causa). Nelle imposte ipotecarie, invece, sono responsabili solidali coloro nel cui interesse è fatta la richiesta di trascrizione dell’atto ed i debitori contro cui è iscritta o rinnovata l’ipoteca. Quando sussiste la  responsabilità solidale il Fisco può rivolgersi indifferentemente ad uno dei coobbligati per richiedere il amento dell'intera somma dovuta, con effetto liberatorio nei confronti di tutti. La responsabilità solidale può essere prevista anche in relazione al amento delle sanzioni irrogate a seguito di una violazione.

La capacità giuridica e la capacità di agire in materia tributaria

Soggetti passivi d’imposta possono essere sia le persone fisiche che le persone giuridiche. L’indirizzo per il quale soggetto passivo d’imposta potesse essere solo un soggetto giuridicamente capace secondo la disciplina civilistica è stato superato ritenendo passibili d’imposta anche quei soggetti quali società semplici, società di fatto e associazioni non riconosciute, privi di capacità giuridica. Per il diritto tributario sono dunque contribuenti tutte le organizzazioni di beni o persone, anche privi di personalità giuridica di diritto comune, qualora risentano in modo autonomo degli effetti dell’imposizione (BAFILE).

La capacità di agire è regolata secondo i principi del codice civile.

Il domicilio fiscale

La nozione tributaria di “domicilio” risulta, per le persone fisiche, più ampia di quella data dall’art. 43 c.c., avvicinandosi piuttosto al concetto di residenza. Normalmente in domicilio fiscale viene ad essere identificato con il Comune nella cui anagrafe i cittadini sono iscritti. La P.A. può tuttavia stabilire il domicilio fiscale di un soggetto nel luogo in cui questi svolge l’attività prevalente o ha la sede amministrativa.

A loro volta i contribuenti possono richiedere il cambio del domicilio fiscale, se ricorrono particolari circostanze. Per i cittadini residenti all’estero vale quale domicilio fiscale il comune nel quale si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, il comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. I cittadini italiani residenti all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, nonché i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe ed emigrati in stati aventi un regime fiscale privilegiato hanno, invece, il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato. Per gli stranieri, il domicilio fiscale è dato dal comune in cui risiedono o dimorano da almeno un anno. Per gli enti collettivi, il domicilio fiscale è fissato nel luogo in cui è ubicata la sede legale.

L’anagrafe tributaria

L’anagrafe tributaria costituisce un centro di raccolta e di elaborazione, su scala nazionale, dei dati e delle notizie riguardanti la capacità contributiva dei singoli soggetti, nonché di smistamento di tali dati agli uffici preposti all’accertamento e al controllo. ½ sono iscritti tutti i contribuenti cui, peraltro, viene attribuito un numero di codice fiscale individuale. Mediante l’anagrafe tributaria è possibile, quindi, ottenere un elenco preciso dei contribuenti ma anche una raccolta di dati utili ai fini dell’accertamento e dello studio dei fenomeni tributari.

L’anagrafe tributaria, inoltre, raccoglie elementi e notizie in ordine a momenti fiscalmente rilevanti, che possono essere utilizzati, con controlli incrociati, da altre pubbliche amministrazioni; non a caso la banca-dati dell’anagrafe tributaria viene impiegata per la lotta al riciclaggio del denaro sporco e per verificare l’effettivo reddito di quanti vogliono usufruire di particolari benefici assistenziali e previdenziali.

Il sostituto d’imposta

È il soggetto che la legge tributaria sostituisce completamente al soggetto passivo nei rapporti con l’amministrazione finanziaria. Infatti, si definisce sostituto d’imposta colui “che in forza di disposizioni di legge è obbligato al amento di imposte in luogo di altri per tutte le situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto”. L’obbligo del amento del tributo viene imposto al sostituto a prescindere dalla sua relazione con i presupposti del amento stesso. La peculiarità del sostituto d’imposta è quella di essere debitore del sostituito. Ciò gli consente di operare la rivalsa tramite la ritenuta alla fonte ossia decurtando direttamente la somma corrisposta al sostituito. La rivalsa, inoltre, è obbligatoria, per cui il compenso spettante al sostituito dovrà essere decurtato e non gli potrà essere corrisposto per intero.

Tra gli esempi più comuni di sostituto d’imposta si ricordano le imprese che effettuano le ritenute fiscali sui compensi corrisposti ai dipendenti. Sono inoltre sostituti d’imposta anche le persone fisiche esercenti arti e professioni nei confronti sia dei lavoratori dipendenti sia dei lavoratori autonomi.

Il responsabile d’imposta

Responsabile è colui che in forza di disposizioni di legge è obbligato al amento dell’imposta insieme con altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi. Il responsabile d’imposta è, dunque, un soggetto passivo particolare cui la legge attribuisce la responsabilità solidale con colui che ha realizzato il presupposto d’imposta. Un esempio di responsabile d’imposta era quello dello spedizioniere doganale che, sulla base della rappresentanza che lo legava al proprietario delle merci, era responsabile in via sussidiaria per il amento dei tributi inutilmente escussi al proprietario delle merci. Si parla inoltre di responsabile d’imposta con riferimento al notaio che ha redatto l’atto e lo ha autenticato nelle firme, per le imposte di registro e l’INVIM e all’esecutore testamentario in materia di imposta successoria (ora abolita).

La liquidazione dell’imposta, i controlli e l’accertamento

Il rapporto giuridico d’imposta è un rapporto obbligatorio che si instaura tra privato e amministrazione finanziaria al verificarsi del presupposto di fatto. Tale rapporto non comporta in capo al contribuente il semplice obbligo del amento del tributo, bensì tutta una serie di “adempimenti” collaterali quali ad esempio il dovere di dichiarazione.

I regimi contabili ai fini delle imposte dirette

Il regime di contabilità ordinaria

Il regime di contabilità ordinaria può riguardare sia le imprese che gli esercenti arti e professioni.

Imprese

Il regime di contabilità ordinaria si applica obbligatoriamente alle imprese che nell’anno solare precedente abbiano realizzato un volume d’affari superiore ad € 309.874,14 o ad € 516.456,90 a seconda che abbiano per oggetto prestazioni di servizi o altre attività, nonché alle società di capitali o enti pubblici o privati che esercitano esclusivamente o principalmente attività commerciale, indipendentemente dal volume d’affari realizzato. Il regime di contabilità ordinaria può, inoltre, essere tenuto da tutte le altre società di persone e imprese individuali che, pur non avendo superato i suddetti limiti (cd. imprese minori), abbiano optato per tale regime. L’opzione, da esercitare in sede di dichiarazione IVA, ovvero di dichiarazione unificata da presentare successivamente alla scelta operata, è valida fino a revoca e comunque è vincolante per un triennio, nel caso di regimi di determinazione dell’imposta e un anno nel caso di regimi contabili. Le scritture contabili da tenere sono le seguenti:

libro giornale : il libro giornale è un supporto contabile sul quale devono essere rilevate cronologicamente tutte le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. E’ consentito l’uso anche di giornali sezionali per assecondare le esigenze di decentramento e scomposizione della gestione dell’impresa, a condizione però che i dati contenuti in ciascun sezionale siano riepilogati nel libro giornale destinato ad accogliere le scritture generali di rettifica e di assestamento dell’impresa. Il libro giornale può essere composto sia da ine rilegate sia da fogli mobili.

libro inventari: l’inventario deve redigersi all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno, entro 3 mesi dalla presentazione della dichiarazione dei redditi. L’inventario deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa; ai fini civilistici, per il solo imprenditore individuale, l’inventario deve contenere l’indicazione delle attività e delle passività dell’imprenditore estranee all’impresa. Le voci che compongono la consistenza patrimoniale devono essere raggruppate per categorie omogenee per natura e valore. Il raggruppamento in categorie omogenee per natura implica che i beni devono appartenere allo stesso genere ancorché di diverso tipo; il riferimento al valore è invece rivolto ai beni aventi identico contenuto economico in base al valore normale riferito al momento in cui si procede al raggruppamento.

libro mastro: tra le altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa rientra il libro mastro, formato dall’insieme delle schede contabili accese ai diversi conti che compongono il piano dei conti, e che assolve alla funzione di riclassificare sistematicamente nei diversi conti i valori delle operazioni rilevate cronologicamente nel libro giornale. Le scritture ausiliarie non sono sottoposte ad alcuna formalità, non essendo richiesta nè la numerazione, nè la vidimazione iniziale.

Esercenti arti e professioni

Come detto, per quanto attiene agli artisti e professionisti il regime semplificato è divenuto il loro regime naturale dal 1997. È comunque data loro facoltà di optare per il regime ordinario: l’opzione è valida per almeno un triennio nel caso di regimi di determinazione dell’imposta e un anno nel caso di regimi contabili e, salvo revoca, si rinnova automaticamente di anno in anno. Qualora si opti per la contabilità ordinaria le scritture contabili da tenere sono le seguenti:

registro cronologico delle operazioni attive e passive e delle movimentazioni finanziarie (giornalmastro in partita semplice);

registro dei cespiti ammortizzabili (a meno che le relative annotazioni non siano effettuate nel registro IVA acquisti);

registri ai fini IVA

Il regime di contabilità semplificata

Imprese

Il regime di contabilità semplificata si applica alle imprese cosiddette “minori”. Sono considerate imprese minori le imprese individuali e le società di persone i cui ricavi, conseguiti nel periodo d’imposta precedente, non eccedono 360 milioni di lire per le attività di prestazione di servizi e 1 miliardo per le altre attività. Nel caso vengano esercitare più attività, si fa riferimento a quella prevalente in termini di ricavi. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi, si considerano prevalenti le attività diverse dalla prestazione di servizi.

Con il regime semplificato è possibile tenere solo i registri ai fini IVA (oltre ovviamente quelli dei dipendenti, se esistenti) integrati con le informazioni estranee all’IVA, ma necessarie per il calcolo del risultato fiscale d’esercizio

Esercenti arti o professioni

Il regime di contabilità semplificate costituisce il regime contabile naturale per gli esercenti arti o professioni, purché non abbiamo optato per la tenuta della contabilità ordinaria. L’eventuale opzione, da esercitarsi in sede di dichiarazione IVA o di dichiarazione unificata, vincola sino a revoca e comunque per almeno un anno.

Nell’ipotesi in cui l’opzione riguardi, invece, il regime di determinazione dell’imposta è vincolante per un triennio. Tali soggetti sono obbligati (e con loro le società o associazioni tra artisti e professionisti che svolgono in forma associata arte o professione) alla tenuta dei registri IVA (registro delle parcelle emesse e registro degli acquisti) e del registro degli incassi e dei amenti sul quale devono annotare in ordine cronologico le somme percepite sotto qualsiasi forma e denominazione nell’esercizio della propria attività e le spese inerenti l’esercizio della professione o dell’arte delle quali chiede la deduzione analitica nonché il valore dei beni per i quali si deducono le quote d’ammortamento.

Tuttavia il registro degli incassi e dei amenti può essere eliminato avendo cura di annotare nei registri IVA le operazioni non soggette all’imposta sul valore aggiunto e, a fine anno, l’ammontare globale delle somme non ate e non incassate nell’anno.

Il regime supersemplificato

Il regime supersemplificato è stato introdotto con il provvedimento collegato alla finanziaria 1997 per i cosiddetti “contribuenti minori” e sancisce delle agevolazioni esclusivamente di tipo contabile comportando contestualmente una riduzione degli adempimenti amministrativi.

Le semplificazioni contabili previste per questo regime consistono nell’annotazione cumulativa nei registri IVA o in un apposito prospetto conforme a modello ministeriale delle operazioni fatturate in ogni mese, entro il giorno 15 del mese successivo, e degli acquisti, entro il termine previsto per le liquidazioni IVA. Inoltre, i contribuenti che si avvalgono di tale regime possono semplicemente conservare anziché registrare i documenti relativi a costi non rilevanti ai fini IVA di cui vogliono effettuare la deduzione dal reddito.

Il regime forfetario per imprenditori individuali e lavoratori autonomi

E’ il regime naturale (non c’è bisogno di opzione) per le imprese individuali quando sussistono i seguenti requisiti, riferiti all’anno precedente oppure, mediante previsione, a quello in corso, per le nuove imprese:

  • ricavi non superiori a € 10.329,14 ragguagliati ad anno
  • utilizzo di beni strumentali (anche in leasing) di costo complessivo, al netto degli ammortamenti, non superiore a € 10.329,14 ragguagliato ad anno
  • mancanza di esportazioni
  • corresponsione a dipendenti e altri collaboratori stabili di compensi (comprensivi dei contributi previdenziali e assistenziali) non superiori al 70% del volume d’affari realizzato, sempre nel rispetto del massimale di cui sopra di € 10.845,59

Essendo un regime naturale, salvo opzione per il regime ordinario o semplificato, esso è obbligatorio per i contribuenti aventi i suddetti requisiti. Pertanto, in mancanza di opzione di revoca, occorre calcolare il reddito d’impresa in modo forfetario e non in modo ordinario.

Il reddito imponibile è calcolato applicando al volume d’affari, aumentato dei componenti positivi fuori campo IVA, le seguenti percentuali:

  • 75% per le imprese con attività di prestazione di servizi
  • 61% per le imprese esercenti altre attività
  • 78% per i professionisti

Il regime forfetario per gli enti non commerciali

Possono optare per tale regime solo quegli enti non commerciali ammessi al regime di contabilità semplificata. Il regime è valido sino a revoca e comunque almeno per un triennio.

Per questi soggetti il reddito d'impresa verrà determinato applicando all'ammontare dei ricavi conseguiti nell'esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività corrispondente alla classe di appartenenza, con questi criteri:

a)  attività di prestazione di servizi:

a.  fino a lire 30 milioni, coefficiente del 15%;

b.  da lire 30.000.001 a lire 360.000.000, coefficiente del 25%.

b) altre attività:

a.  fino a lire 50 milioni, coefficiente del 10%;

b.  da lire 50.000.001 a lire 1.000.000.000, coefficiente del 15%.

All'importo così determinato dovranno essere aggiunti determinati componenti positivi di reddito.

Il regime per le attività marginali

Il regime sostitutivo per attività marginali è applicabile a ditte individuali (persone fisiche) e lavoratori autonomi (professionisti). La sua applicazione necessita di una domanda d’ammissione, da redigere su apposito modello e da presentare all’Amministrazione finanziaria entro il 31 gennaio dell’anno dal quale s’intende adottare il regime. E’ utilizzabile dalle imprese individuali (comprese quelle familiari) quando sussistono i seguenti requisiti, riferiti all’anno precedente:

l’attività esercitata deve rientrare tra quelle assoggettate agli studi di settore

ricavi non superiori ai limiti fissati annualmente dall’Agenzia delle Entrate per i vari settori economici e calcolati sempre in base alla metodologia degli studi di settore.

Tale regime contabile esonera il contribuente dagli adempimenti contabili: non si devono registrare i fatti di gestione e non si deve tenere nessun libro o registro (tranne quelli dei dipendenti, se esistenti). Inoltre, si possono omettere le liquidazioni ed i versamenti periodici dell’IVA, nonché l’acconto annuale della stessa imposta ed il amento delle addizionali IRPEF. L’ordinaria tassazione IRPEF del reddito d’impresa (o di lavoro autonomo) è sostituita da una tassazione sostitutiva più favorevole.

Il reddito imponibile da assoggettare a tassazione agevolata è calcolato come differenza tra i ricavi, determinati con l’applicazione degli studi di settore, e le spese fiscalmente deducibili. La tassazione, sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, avviene con un’imposta agevolata del 15% applicata sul reddito imponibile

Il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo

Il regime sostitutivo per le nuove iniziative è applicabile a ditte individuali (persone fisiche) e lavoratori autonomi (professionisti). La sua applicazione necessita di un’opzione da effettuarsi in sede di presentazione della dichiarazione d’inizio attività. E’ possibile utilizzare questo regime per un massimo di tre anni, ma anche prima di tale termine il contribuente può comunicare la rinunzia al regime agevolato. E’ utilizzabile dalle imprese individuali (comprese quelle familiari) quando sussistono i seguenti requisiti:

il contribuente non deve aver esercitato negli ultimi tre anni (cioè prima dell’inizio della nuova iniziativa) attività d’impresa o professionale, neanche in forma associata;

la nuova attività non deve essere la prosecuzione di un’attività precedente, anche se svolta in qualità di lavoratore dipendente o autonomo;

la nuova impresa deve essere in regola con gli obblighi previdenziali, assicurativi e amministrativi.

I ricavi annuali non devono essere superiori a € 30.987,41 (per le prestazione di servizi) o a € 61.974,83 (per le altre attività). Gli stessi limiti posti ai ricavi di cui al punto sopra, riferiti all’anno precedente, valgono per il caso di subentro in un’impresa già esercitata da altro soggetto.

Tale regime esonera il contribuente dagli adempimenti contabili: non si devono registrare i fatti di gestione e non si deve tenere nessun libro o registro (tranne quelli dei dipendenti, se esistenti). Inoltre, si possono omettere le liquidazioni ed i versamenti periodici dell’IVA, nonché l’acconto annuale della stessa imposta ed il amento delle addizionali IRPEF.

Il reddito imponibile è calcolato, in applicazione dei criteri fiscali, partendo dal reddito d’esercizio: reddito d’esercizio + costi fiscalmente indeducibili – ricavi non imponibili – costi non dedotti (nei limiti fiscalmente ammessi). La tassazione, sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, avviene con un’imposta agevolata del 10% applicata sul reddito imponibile.

La dichiarazione

Nel nostro ordinamento le imposte sui redditi vengono ate con il sistema della denuncia verificata. L’art. 1 del DPR 600/73 dispone infatti che ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi posseduti anche se da essi non ne consegue un debito d’imposta. I soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili, poi, debbono presentare la dichiarazione anche in mancanza di reddito.

La dichiarazione si conura come una dichiarazione di scienza (in passato era considerata come una confessione stragiudiziale, con tutte le conseguenze immaginabili), con la quale il contribuente rende edotta l’Amministrazione finanziaria circa la determinazione della base imponibile, il suo ammontare nonché la relativa imposta da versare.

La Dichiarazione deve essere presentata da tutte le persone che l‘anno precedente hanno avuto redditi (dagli imprenditori e dagli esercenti arti e professioni deve essere presentata, come detto, anche se non hanno percepito alcun reddito) su modelli predisposti annualmente dall’Agenzia delle Entrate. I modelli variano a seconda che si tratti della dichiarazione di persone fisiche, società di persone o di capitali.

La dichiarazione delle persone fisiche

Per le persone fisiche il modello da utilizzare può essere UNICO Persone Fisiche (il modello ordinario di dichiarazione che comprende, oltre alla dichiarazione dei redditi, la dichiarazione annuale dei contribuenti Iva, la dichiarazione Irap e, facoltativamente, anche il modello 770 ordinario dei sostituti d’imposta) oppure – se il dichiarante è un lavoratore dipendente o un pensionato – il modello 730.

Quest’ultimo è un modello semplificato di dichiarazione che i lavoratori dipendenti, i collaboratori coordinati e continuativi e i pensionati possono consegnare al proprio datore di lavoro o ente pensionistico oppure ad uno degli appositi Centri di assistenza fiscale (Caf) costituiti dalle associazioni sindacali o dai datori di lavoro. Ai Caf – che possono anche, dietro compenso, compilare la dichiarazione - deve essere presentata tutta la documentazione necessaria. Quest’obbligo sussiste anche se al Caf viene presentata la dichiarazione già compilata. Utilizzare il modello 730 presenta notevoli vantaggi:

è più facile da compilare e non richiede di eseguire calcoli; il contribuente non deve neanche preoccuparsi di far pervenire la dichiarazione all’amministrazione finanziaria. A tutto questo pensano il datore di lavoro o l’ente pensionistico oppure il Caf a cui il contribuente si è rivolto;

il contribuente ottiene il rimborso dell’imposta eventualmente trattenuta in più, direttamente nella busta a o nella rata di pensione del mese di luglio (per i pensionati che percepiscono la pensione in rate bimestrali il rimborso è effettuato a partire dal mese di agosto o di settembre). In caso debba invece are delle somme, queste verranno trattenute direttamente dallo stipendio o dalla pensione. Se lo stipendio o la pensione sono insufficienti per il amento, la parte residua, maggiorata degli interessi mensili, verrà trattenuta dalle competenze dei mesi successivi. Il contribuente può anche chiedere (riempiendo una apposita casella della dichiarazione) di rateizzare le trattenute in più mesi, ando l’interesse dello 0,5% mensile.

Non possono utilizzare il 730 (e devono presentare la dichiarazione col modello UNICO) coloro che possiedono redditi di impresa e redditi derivanti dall’esercizio di arti o professioni, i dipendenti da datori di lavoro che non sono obbligati ad effettuare le ritenute (ad es. lavoratori domestici) e coloro che presentano la dichiarazione per conto di contribuenti deceduti.

Quanto ai tempi per la presentazione della dichiarazione, il DPR 322/98 fissa nel 1° maggio e nel 31 luglio di ogni anno rispettivamente il termine iniziale e quello finale. Il versamento dell’imposta deve invece avvenire (DPR 435/2001 e successive modifiche):

  • entro il 20 giugno (o il 20 luglio ma con una maggiorazione dello 0,40%) dell’anno di presentazione della dichiarazione, il versamento a saldo;
  • entro il termine di versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all’anno di imposta precedente, il versamento della prima rata di acconto;
  • entro il mese di novembre, il versamento della seconda rata di acconto.

La dichiarazione delle società di persone

Le società di persone devono presentare la dichiarazione, agli effetti dell’IRAP da esse dovuta e agli effetti dell’IRPEF o dell’IRES dovuta dai soci, nei termini fissati per la dichiarazione delle persone fisiche. La dichiarazione è unica e deve contenere l’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari alla determinazione degli imponibili.

La dichiarazione delle persone giuridiche

Anche i soggetti IRES, dal 1999, debbono presentare la dichiarazione unica. Solo i contribuenti il cui periodo di imposta non corrisponde con l’anno solare o che devono presentare solo una delle dichiarazioni che confluiscono nella dichiarazione unica, devono continuare a presentare il modello 760.

La dichiarazione dei soggetti IRES, oltre a tutti gli elementi necessari alla determinazione degli imponibili, devono fornire i dati per l’individuazione del contribuente e di almeno un rappresentante.

La dichiarazione dei sostituti d’imposta

La dichiarazione dei sostituti d’imposta persone fisiche, confluisce nella cd. dichiarazione unificata, che consente di assolvere contemporaneamente anche gli obblighi dichiarativi relativi alle imposte sui redditi, all’IVA e all’IRAP. La dichiarazione dei sostituti d’imposta è valevole anche ai fini dei contributi dovuti all’INPS e dei premi dovuti all’INAIL.

I soggetti tenuti ad operare le ritenute alla fonte devono rilasciare un certificato attestante l’ammontare complessivo delle somme e dei valore corrisposti con l’indicazione dell’ammontare delle ritenute operate e delle detrazioni di imposta effettuate.

L’assistenza fiscale

I soggetti possessori di reddito di lavoro dipendente e assimilati che vogliano adempiere l’obbligo dichiarativo, possono avvalersi dei centri di assistenza fiscale (CAF) o dello stesso sostituto d’imposta che abbia scelto di offrire assistenza fiscale. In tal caso il contribuente potrà presentare una apposita dichiarazione (il modello 730) al CAF o al sostituto d’imposta il quale provvederà alla ricezione della dichiarazione, alla verifica della conformità della stessa, al calcolo dell’imposta dovuta e alla comunicazione di quanto risultato al sostituto d’imposta che provvederà al conguaglio.

Correzione ed integrazione delle dichiarazioni

I contribuenti che si accorgono di avere omesso di dichiarare dei redditi o di riportare delle spese detraibili o deducibili possono trasmettere (purché entro il termine di presentazione della dichiarazione) una dichiarazione dei redditi rettificativa del modello Unico già presentato. Sul modello deve essere barrata l’apposita casella “Correttiva nei termini”. Se i nuovi calcoli della dichiarazione rettificativa evidenziano una maggiore imposta o un minor credito, il contribuente deve versare le somme dovute entro i termini previsti. Se scaturisce un maggior credito o una minore imposta, può optare per la richiesta di rimborso o per il riporto a credito per l’anno successivo, ovvero può utilizzarlo in compensazione.

Se invece l’esigenza del contribuente è quella di rettificare o integrare i dati esposti in una precedente dichiarazione, questi può ricorrere alla dichiarazione integrativa. Presupposto per usufruire di tale possibilità è la valida presentazione della dichiarazione originaria (è valida anche la dichiarazione originaria presentata entro novanta giorni dal termine di scadenza).

A seconda del tipo di integrazione o rettifica e dei tempi entro cui viene effettuata, si distinguono vari tipi di dichiarazioni integrative:

da ravvedimento: è quella che consente la regolarizzazione di errori ed omissioni mediante il versamento delle maggiori imposte dovute, degli interessi moratori calcolati al tasso legale e della sanzione pecuniaria ridotta. Deve essere presentata, purché non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale l’errore o l’omissione si è verificato;

a favore del contribuente: può essere presentata per correggere errori od omissioni che hanno determinato un maggior debito o un minor credito d’imposta. Anche in questo caso la dichiarazione integrativa va prodotta entro il termine di presentazione di quella relativa al periodo d’imposta successivo. Le correzioni operate, se effettuate nei termini, non sono soggette a sanzioni e il maggior credito d’imposta risultante dalla dichiarazione integrativa può essere utilizzato in compensazione.

in aumento: al di là dei termini previsti per il ravvedimento, è sempre possibile correggere gli errori ed integrare le omissioni nelle dichiarazioni che comportino un maggior reddito, mediante la presentazione di una successiva dichiarazione entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria. Sul maggior reddito è applicabile la sanzione per infedele dichiarazione, senza alcuna riduzione. Questa dichiarazione può essere presentata anche quando siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento.

di errori formali: si tratta di una dichiarazione facoltativa, priva di particolari formalità – al limite, nella forma di una semplice comunicazione - con la quale il contribuente che si avvede di aver commesso errori ed omissioni che non incidono sul debito di imposta e non influiscono sull’azione di controllo (errori “meramente formali”) regolarizza la propria posizione.

La riscossione ed i rimborsi

Le imposte sui redditi possono essere ate in tre modi:

  • ritenuta diretta, è il caso delle imposte dovute sui redditi provenienti dallo Stato;
  • versamenti diretti del contribuente alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato;
  • iscrizione nei ruoli.

I versamenti diretti

L’estinzione del debito d’imposta avviene generalmente attraverso il versamento spontaneo da parte del contribuente. A decorrere dal 1998 è stato attivato il sistema della riscossione unificata che prevede un unico versamento da parte del contribuente delle imposte sui redditi, dell’IVA, dell’IRAP, delle imposte sostitutive sui redditi nonché dei contributi dovuti all’INPS a mezzo di un nuovo tipo di delega di amento, il modello F24. Per quanto riguarda certe imposte indirette (come ad esempio l’imposta di registro e le imposte ipotecarie e catastali) e per tutti i versamenti in favore di enti esterni all’amministrazione finanziaria (Comuni, uffici giudiziari, ecc.), si deve ricorrere ancora al modello F23.

Il conto fiscale

Il conto fiscale è uno strumento messo a disposizione di tutti i possessori di partita IVA al fine di regolare i rapporti creditori e debitori con l’amministrazione finanziaria. Su tale conto, che in linea di massima deve essere unico per ciascun soggetto, i concessionari registrano tutti i versamenti e i rimborsi relativi all’IRPEF, all’IRPEG, all’IRAP e all’IVA, alle imposte sostitutive, alle imposte versate in base a dichiarazioni integrative e alle ritenute alla fonte. L’agevolazione di maggior rilievo riconosciuta agli intestatari del conto fiscale consiste nella possibilità di chiedere, tramite un apposito modello, il rimborso delle imposte risultanti dalla dichiarazione. Il rimborso viene effettuato esclusivamente mediante bonifico bancario con accredito sul conto corrente indicato dal contribuente. Il ricorso alla procedura di rimborso tramite conto fiscale è, comunque, destinato a scemare in conseguenza della possibilità di compensare crediti e debiti d’imposta ai sensi del D.Lgs. 241/97.   

L’iscrizione nei ruoli

Mediante tale sistema si riscuotono:

  1. le imposte per le quali non è prevista alcuna ritenuta diretta;
  2. le somme per le quali non è previsto o non è già stato effettuato in tutto o in parte il versamento diretto;
  3. le somme dovute per interessi o sanzioni.

La riscossione delle imposte è affidata ai concessionari della riscossione, società per azioni con determinati requisiti tecnici e organizzativi che possano garantire un servizio di riscossione efficiente ed affidabile (es. le Banche).

Questi ricevono dall’Amministrazione finanziaria i ruoli, ovvero l’elenco dei debitori e delle somme da loro dovute.  L’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo è contenuta nella sectiunella di amento. Il concessionario deve provvedere alla notifica della sectiunella esattoriale entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo. Il debitore deve adempiere entro sessanta giorni dalla notificazione, pena l’esecuzione forzata. Il ruolo, è bene ricordare, costituisce titolo esecutivo sia per le imposte dirette che per quelle indirette.

Il credito d’imposta

Il sistema fiscale italiano prevede la possibilità che il contribuente versi all’erario più del dovuto anticipando somme per le quali poi viene a vantare dei crediti d’imposta. Oltre a tali casi il legislatore tributario può agevolare dei contribuenti, riconoscendo a loro favore dei crediti d’imposta: in questo caso si parla di credito virtuale che la stessa legge attribuisce al contribuente che abbia in precedenza assolto determinati obblighi tributari o si trovi in una determinata situazione soggettiva. Esso è utilizzabile ai fini del amento di una o più imposte.

Un esempio in tal senso è costituito dal credito d’imposta previsto a favore degli azionisti al fine di eliminare la doppia imposizione sui dividendi.

Tale credito è riconosciuto al socio in misura pari al 58,73% dell’ammontare dei dividendi e si va ad aggiungere all’utile percepito aumentando il reddito imponibile in capo al singolo socio. Successivamente il credito si detrae dall’I.R.PE.F. dovuta dal socio stesso.

La detrazione del credito d’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui gli utili sono stati percepiti e non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione presentata.

Altra forma di credito d’imposta è quella di cui all’art. 15 del D.P.R. 917/86 relativo ai redditi prodotti all’estero. Cioè se alla formazione del reddito complessivo del soggetto concorrono uno o più redditi prodotti all’estero, le imposte ate su tali redditi a titolo definitivo sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino a concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al lordo delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione.

Le compensazioni d’imposta

Quando la dichiarazione dei redditi evidenzia debiti e crediti relativi alla stessa imposta (ad esempio debito IRPEF relativo all’anno d’imposta per cui si compila la dichiarazione e credito IRPEF rappresentato da acconti effettuati l’anno precedente) o ad imposte diverse (ad esempio debito IRAP e credito IRPEF), il contribuente ha il diritto di procedere a compensazione.

Il credito d’imposta che eventualmente residua dalla compensazione può essere richiesto a rimborso o riportato a nuovo per l’anno successivo.

Con l’emanazione del D.Lgs. 9-7-l997, n. 241, in vigore dall’anno 1998 per le persone fisiche titolari di partita IVA, dall’anno 1999 per le società di persone ed enti equiparati e per i soggetti IRPEG, è ammessa la compensazione delle posizioni debitorie e creditorie relative alle imposte sui redditi, alle ritenute alla fonte, all’IVA, alle imposte sostitutive relative alle suddette e anche dei contributi previdenziali ed assistenziali, al credito d’imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche e alle altre imposte individuate con decreto del Ministro delle finanze.

I rimborsi

Il contribuente che, per errore materiale, duplicazione o inesistenza parziale o totale dell’obbligazione tributaria o dell’obbligo di versamento, abbia effettuato un versamento diretto o abbia subito ritenuta alla fonte non dovuti o dovuti in misura inferiore, può presentare istanza per richiedere il rimborso delle maggiori somme versate.

Il rimborso può essere chiesto in sede di dichiarazione dei redditi, disposto automaticamente dagli Uffici delle Entrate in sede di liquidazione dell’imposta oppure chiesto successivamente dal contribuente. Insieme alla somma da rimborsare l’ufficio calcola anche gli interessi nella misura fissata dalle leggi tributarie.

Sono eseguiti d’ufficio i rimborsi:

per i crediti risultanti dalla dichiarazione dei redditi, quando il dichiarante non ha optato per la compensazione o per il riporto del credito all’anno successivo oppure quando, avendo scelto per il riporto, si è poi dimenticato di effettuarlo (in questo caso può essere consigliabile presentare comunque una domanda);

per i crediti derivanti da errori materiali imputabili allo stesso Ufficio (ad esempio, iscrizione a ruolo di una somma superiore a quella accertata). In questi casi, se l’amministrazione si accorge dell’errore ha il dovere di provvedere alla restituzione dell’indebito senza necessità di istanza dell’interessato;

per i crediti derivanti da una decisione delle Commissioni tributarie: se l’imposta da iscrivere a ruolo in base alla decisione è inferiore a quella già iscritta e riscossa, l’Ufficio deve disporre lo “sgravio” parziale per effetto del quale il Concessionario della riscossione restituirà le somme riscosse.

I rimborsi sono eseguiti a richiesta dell’interessato in tutte le altre ipotesi di versamenti indebiti o comunque in eccedenza rispetto a quanto dovuto.

Nel caso di rigetto della domanda, il contribuente può proporre ricorso alla competente Commissione tributaria provinciale entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento.

I controlli fiscali

Una volta che il soggetto passivo ha adempiuto la propria obbligazione tributaria inizia la fase di accertamento, inteso come controllo da parte del fisco dell’adempimento o inadempimento del contribuente.

Un primo controllo, c.d. di liquidazione, viene effettuato automaticamente dall’Anagrafe tributaria su tutte le dichiarazioni; un secondo controllo (controllo formale) viene eseguito su campioni delle dichiarazioni dagli uffici dell’Agenzia. Una terza fase (controllo sostanziale) è diretta alla rettifica dei singoli redditi dichiarati e alla individuazione dei soggetti che, pur essendo tenuti alla presentazione della dichiarazione, non vi hanno provveduto

Il controllo formale

Il controllo formale viene svolto su talune dichiarazioni selezionate in base a criteri fissati dal Direttore dell’Agenzia. Tramite il controllo formale, che deve concludersi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, viene verificata la conformità dei dati esposti in dichiarazione alla documentazione conservata dal contribuente e ai dati desunti dalle dichiarazioni presentate da altri soggetti o trasmessi per legge da enti previdenziali ed assistenziali, banche e imprese assicuratrici.

A questo fine il contribuente la cui dichiarazione è sottoposta a controllo formale è invitato dall'ufficio ad esibire o trasmettere la documentazione attestante la correttezza dei dati dichiarati e a fornire chiarimenti nel caso siano riscontrate difformità tra questi ultimi ed i dati in possesso dell'Agenzia.

Il controllo formale consente di:

escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d'acconto;

escludere in tutto o in parte le detrazioni d'imposta e le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti;

determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;

correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.

L'esito del C.F. è comunicato al contribuente. Il contribuente che entro trenta giorni, provvede al versamento delle somme richieste beneficia della riduzione di un terzo della sanzione.

L’accertamento nei confronti delle persone fisiche

Oltre al controllo formale, l’Amministrazione finanziaria può procedere ad un controllo di carattere sostanziale o di merito diretto alla rettifica del reddito complessivo del contribuente (accertamento generale) o solo di alcune tipologie di reddito (accertamento parziale).

L’accertamento generale può essere di tre tipi:

analitico: quando l’Ufficio, sebbene la dichiarazione sia incompleta o infedele, è in grado di determinare analiticamente il maggior reddito conseguito o le indebite detrazioni effettuate dal contribuente;

sintetico: cui si ricorre qualora il reddito accertabile determinato in base agli elementi indicatori di capacità contributiva si discosti da quello dichiarato per almeno un quarto e tali scostamenti si verifichino per oltre due periodi d’imposta.

D’ufficio: qualora la dichiarazione del contribuente manchi del tutto.

Il redditometro

Il redditometro costituisce un meccanismo di calcolo presuntivo del reddito sulla base di parametri certi ed uniformi fissati dal Ministero delle Finanze con appositi decreti. Per ciascun anno di imposta sono stati fissati distinti indici e coefficienti presuntivi di reddito (o di maggior reddito), calcolati in relazione alla disponibilità, da parte dei contribuenti, di particolari beni di lusso indicatori di un’elevata capacità contributiva quali: aerei, imbarcazioni, autoveicoli etc.



L’obbligo di elencare nella dichiarazione dei redditi i dati e le notizie relative alle disponibilità di beni e servizi indicativi della capacità contributiva del dichiarante è venuto meno, a partire dal periodo d’imposta 1993. Di conseguenza i beni e servizi che costituiscono i parametri del redditometro dovranno essere acquisiti direttamente dall’amministrazione finanziaria per mezzo di nuovi strumenti quali ad esempio gli studi di settore.

L’accertamento nei confronti di possessori di reddito d’impresa e di lavoro autonomo

Anche per tali contribuenti, l’accertamento può essere generale e parziale. In particolare potremo dunque avere:

accertamento analitico: quando la dichiarazione del contribuente non è conforme alle risultanze delle scritture contabili.

accertamento induttivo: ammesso solo in via eccezionale:

o   quando il reddito d’impresa non è stato indicato in dichiarazione;

o   quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all’ispezione stessa una o più scritture contabili;

o   quando le omissioni, le falsità e le inesattezze sono così numerose e gravi da far ritenere inattendibili le scritture contabili;

o   quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti degli Uffici previsti dalla normativa IVA.

A causa della gravità delle infrazioni commesse dal contribuente la legge autorizza l’Ufficio ad avvalersi di presunzioni non qualificate, prive cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

accertamento d’ufficio: vale quanto già detto a proposito delle persone fisiche.

L’accertamento con adesione

L’accertamento con adesione è un istituto conciliativo che consente la rapida definizione dei provvedimenti di rettifica o accertamento redatti dagli Uffici finanziari in materia di imposte dirette, IVA, imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecarie e catastali, INVIM e tributi locali.

È una forma di accertamento in un unico atto in contraddittorio con l’interessato e, in quanto definitivo, non alimenta il contenzioso tributario. Introdotto dagli artt. 2bis e 2ter del D.L. 564/ 94, ha subito molteplici modifiche sino all’emanazione del D.Lgs. 19-6-l997, n. 218 che ne ha innovato sensibilmente la disciplina rendendola conforme a quella della conciliazione giudiziale. La nuova normativa, entrata in vigore dal 1° agosto 1997, è accessibile a tutti i contribuenti e si estende a tutte le tipologie di reddito.

L’accertamento con adesione comporta l’applicazione delle sanzioni nella misura di un quarto del minimo per le violazioni concernenti i tributi oggetto di definizione ed il contenuto delle dichiarazioni. Nelle altre ipotesi le sanzioni vengono invece applicate nella misura intera. Con apposita delibera, Province e Comuni possono introdurre, relativamente ai tributi di propria spettanza, l’istituto dell’accertamento con adesione (art. 501, L. 449/97).

Il concordato preventivo e gli studi di settore

Per superare l’inefficacia delle procedure accertative, il legislatore ha previsto il concordato triennale preventivo come prototipo sperimentale di un nuovo metodo di accertamento nel settore dell’imposizione sui redditi. L’inserimento di tale istituto tra gli strumenti che, nell’ambito della riforma dell’imposta sul reddito, consentiranno la realizzazione dell’obiettivo della semplificazione indica che esso non costituirà, al pari dei condoni, un espediente temporaneo di definizione, ma si integrerà a pieno titolo, attraverso anche il potenziamento degli studi di settore, tra gli ordinari metodi accertativi del sistema riformato.

Il concordato dovrebbe caratterizzarsi per la maggiore partecipazione del contribuente nel procedimento amministrativo di accertamento tributario, in modo da individuare una “giusta” imposta che, seppur non condivisa, quanto meno sia accettata dal contribuente, tramite la manifestazione del consenso. Si tratta quindi di un istituto di accertamento tributario, con il fondamentale apporto del contribuente, che dovrebbe concretarsi in un accordo tra quest’ultimo e l’Amministrazione finanziaria.

Con la riforma quindi non è stato istituito un sistema di accertamento rigido, ma partendo dalle risultanze degli studi di settore, si è inteso determinare il quantum dovuto dal contribuente per il futuro, anche se l’obbligazione tributaria non è ancora venuta a giuridica esistenza. In sostanza il concordato preventivo è un’ opportunità fiscale che viene offerta al contribuente, che dovrà decidere fra due possibilità:

il amento di un ammontare di imposta prefissato dal fisco, essendo in contropartita esentato da accertamenti fiscali, oppure

il amento soltanto di ciò che il contribuente ritiene sia dovuto, restando però soggetto alla possibilità di accertamento.

I contribuenti ammessi al concordato sono le imprese, i professionisti, le società di persone, gli studi associati e le società di capitali che rientrano nei limiti dimensionali degli studi di settore. Pagando un premio, il contribuente elimina la sua esposizione al rischio di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, poiché il concordato preventivo consente di limitare il rischio di accertamento e/o di distorsione fiscale cui i contribuenti sono sottoposti nell’ambito del normale sistema tributario. Inoltre, il concordato determina:

la previsione di una tassazione agevolata delle imposte sul reddito e, in talune ipotesi, dei contributi;

la sospensione degli obblighi tributari di emissione dello scontrino fiscale, della ricevuta fiscale, nonché della fattura emessa nei confronti di soggetti non esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo.

Quali sono i difetti del concordato? Il contribuente onesto, particolarmente avverso al rischio, può essere incentivato a corrispondere al fisco tramite il concordato una somma superiore a quella che sarebbe effettivamente dovuta. Inoltre, poiché il concordato riguarda un periodo triennale, il contribuente potrebbe incontrare difficoltà nello stimare correttamente i suoi redditi futuri. D’altra parte l’Amministrazione finanziaria potrebbe rendere particolarmente gravosi gli accertamenti per incentivare l’accettazione del concordato, anche qui con danno dei contribuenti onesti.

Per il successo del concordato preventivo il fisco deve avere una conoscenza sufficientemente approssimata della distribuzione del reddito fra i contribuenti. Strumento elettivo a far fronte a questa esigenza sono gli “studi di settore” elaborati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ed applicati alle attività economiche con ricavi o compensi inferiori a 5 milioni di euro.

Lo studio di settore è un “metodo informatizzato a base statistica per il calcolo dei ricavi o dei compensi presunti dell’attività di ogni singola impresa o professionista”. Uno strumento dunque che con eventuali opportune modifiche rispetto alla sua attuale conurazione, appare, almeno in via di principio, particolarmente adatto quale base per il concordato preventivo. Nel 1998 è stato licenziato il primo blocco di studi di settore. Nel 2004 sono stati elaborati tutti i 236 studi programmati, che riguardano circa quattro milioni di contribuenti. Essi forniscono un censimento descrittivo della piccola e media impresa e del lavoro professionale. Ovviamente anche questo strumento non è esente da critiche. Limitandoci a quelle di carattere generale, due sembrano essere le principali osservazioni negative. Anzitutto, il fatto che “se i contribuenti mentono, anche gli studi di settore mentono”. Infatti gli studi di settore sono fondati su dati forniti dai contribuenti stessi. La seconda critica osserva che l’utilizzo degli studi di settore porterebbe ad una “catastizzazione”, nel senso che verrebbe accertato il reddito normale in luogo del reddito effettivo. Peraltro il riferimento al reddito normale può essere ritenuto del tutto accettabile con riferimento al concordato preventivo.

Il condono

Nel 2003 è stato introdotto l’istituto del condono (cosiddetto “tombale”). Tale istituto ha fatto sorgere - a carico del soggetto che decida di avvalersene - l’onere di amento di una somma prefissata a seconda del tipo di imposta e per tutti i periodi d’imposta ancora accertabili dall’Amministrazione. I benefici per i contribuenti sono:

la preclusione dagli accertamenti tributari riferiti alle imposte condonate;

l’esclusione dalla punibilità per i reati tributari di dichiarazione fraudolenta, infedele, omessa e occultamento/distruzione di documenti contabili nonché per quelli comuni connessi strumentalmente e riferiti alla medesima situazione tributaria.

L’ampio utilizzo del “perdono” fiscale è criticabile sul piano etico. I condoni suscitano comprensibili reazioni negative soprattutto da parte di chi abitualmente a imposte e tasse, con conseguente effetto premiante in favore della distorta cultura della evasione e dell’elusione fiscale.

Le agevolazioni tributarie e le esenzioni fiscali

Con il termine generico di agevolazioni tributarie vengono indicati i diversi istituti, previsti nella normativa fiscale, diretti ad accordare un trattamento preferenziale a determinati soggetti d’imposta.

Le agevolazioni tributarie sono introdotte sia in considerazione di particolari situazioni personali sia in base a situazioni oggettive che necessitano di adeguata tutela (agevolazioni per settori produttivi in crisi o per far fronte ad eventi e calamità naturali). Le agevolazioni tributarie sembrano ad un primo esame una sorta di privilegio accordato ai beneficiari in dispregio del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione; a ben vedere, al contrario, esse rappresentano una diretta applicazione di tale principio. Lo Stato ha, infatti, il compito di garantire l’uguaglianza di fatto dei cittadini, rimuovendo tutti gli ostacoli di carattere economico e sociale che ne impediscono la realizzazione.

Ed ancora, le agevolazioni tributarie non appaiono in contrasto con il principio di capacità contributiva fissato nell’art. 53 della Costituzione: è lo stesso costituente, infatti, che, nel richiamare la capacità contributiva, consente un particolare trattamento di favore nei confronti di quanti sono sforniti o limitati in tale capacità.

Dunque, per motivi di politica sociale o di sviluppo economico possono essere sottratti all’imposizione (totalmente o parzialmente) determinati atti aventi rilevanza tributaria.

Per esenzione fiscale si intende invece quel meccanismo agevolativo adottato dal legislatore per motivi di politica sociale o di sviluppo economico al fine di sottrarre (totalmente o parzialmente) all’imposizione fiscale determinati atti di rilevanza tributaria. Le esenzioni si distinguono in soggettive ed oggettive, a seconda che siano dovute in relazione a particolari condizioni del soggetto del tributo oppure riguardino il presupposto di fatto dell’imposta.

Sono esenti da IRPEF e IRES: il reddito dei fabbricati di proprietà della Santa Sede, i redditi degli ambasciatori e agenti diplomatici accreditati in Italia, i redditi di fabbricati e terreni di proprietà dello Stato e degli enti pubblici territoriali etc.

Le sanzioni tributarie

Le violazioni degli obblighi tributari comportano l’irrogazione di sanzioni fiscali tanto più numerose ed opportune quanto maggiore è il danno che il contribuente ha arrecato o intendeva arrecare alla collettività.

Le sanzioni fiscali hanno sia funzione repressiva sia funzione intimidatrice: non a caso, spesso colpiscono non già l’evasione di imposta ma il comportamento attivo od omissivo del soggetto.

La normativa fiscale prevede sanzioni di carattere amministrativo per le violazioni di minore gravità e sanzioni penali per le irregolarità più gravi e per le frodi.

L’ordinamento tributario contempla, inoltre, una vasta platea di sanzioni accessorie, che sono la diretta conseguenza dell’applicazione della sanzione principale: si pensi alla sospensione di licenze; sospensione dagli albi professionali; ritiro della patente di guida; chiusura degli esercizi; non eleggibilità a membro di commissioni tributarie.

Infine, per gli illeciti civili di natura moratoria la normativa fiscale dispone l’applicazione di sanzioni civili di natura restitutoria (interessi) che mirano a colpire l’omesso o il tardivo amento.

Le sanzioni fiscali non penali sono state oggetto di una radicale riforma ad opera dei decreti legislativi 471, 472 e 473 del 18 dicembre 1997; tale riforma è in vigore dal 1° aprile 1998. L’innovazione di maggiore rilevanza è rappresentata dalla previsione di una sanzione pecuniaria unica, con conseguente eliminazione della previgente distinzione tra soprattassa e pena pecuniaria, per la quale sono stati stabiliti criteri di determinazione che ricalcano quelli delle sanzioni penali. Inoltre sono state introdotte nuove fattispecie di sanzioni accessorie.

Il ravvedimento

Attraverso l’istituto del ravvedimento, il contribuente può regolarizzare le omissioni o le irregolarità commesse sia nella compilazione e nella presentazione della dichiarazione, sia nel amento delle somme dovute. Il ravvedimento comporta la riduzione delle sanzioni minime applicabili ed è ammesso entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo o, in mancanza della dichiarazione, entro un anno dalla violazione.

Condizione essenziale per usufruire del beneficio è che le violazioni oggetto della regolarizzazione non siano state già constatate e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento (inviti di izione, questionari, richiesta di documenti, ecc).

Possono essere regolarizzati eseguendo spontaneamente il amento dell’imposta o della differenza dell’imposta dovuta, degli interessi moratori (calcolati al tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito) e della sanzione in misura ridotta:

  1. l’omesso o insufficiente amento delle imposte dovute a titolo di acconto o di saldo in base alla dichiarazione;
  2. l’omesso o insufficiente versamento delle ritenute alla fonte operate dal sostituto di imposta;
  3. l’omesso o insufficiente amento dell’Iva, anche in acconto, risultante dalla dichiarazione annuale o dalle liquidazioni periodiche.

La prevista sanzione del 30% viene ridotta:

ad 1/8, ossia al 3,75% della somma da versare, se il amento è eseguito entro 30 giorni dalla scadenza prescritta o dalla data in cui l’infrazione è stata commessa;

ad 1/5, ossia al 6% della somma da versare, se il amento è effettuato con ritardo superiore ai 30 giorni, ma entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui la violazione è stata commessa.

Per regolarizzare solo l’omesso versamento non occorre presentare una dichiarazione integrativa.

I reati tributari

La riforma del sistema sanzionatorio tributario già iniziata con la revisione della disciplina delle sanzioni amministrative è culminata con il D.Lgs. 74/00 di attuazione della legge delega 205/99 (art. 9), che ha dettato la Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, abrogando le fattispecie di cui al Titolo I del D.L. 429/82. I reati vengono così suddivisi in due raggruppamenti: delitti in materia di dichiarazione e delitti in materia di documenti e amento di imposte.

I reati in materia di imposte dirette e IVA non esauriscono l’universo dei reati tributari. Nelle leggi istitutive dei diversi tributi sono infatti previste distinte ipotesi di reato: si pensi alle violazioni in materia di bollo (D.P.R. 642/72), in tema di bolle di accomnamento (D.P.R. 627/72) e ricevute fiscali (L. 249/76), in campo doganale.

Volendo elencare i più importanti reati tributari possiamo ricordare:

Omessa dichiarazione [Reato di] (d. pen.) art. 5, D.Lgs. 10-3-2000, n. 74: commette tale reato chi omette di presentare una delle dichiarazioni che è obbligato a produrre ai fini delle imposte sui redditi o dell’imposta sul valore aggiunto. Non costituisce illecito penale la mancata presentazione della dichiarazione nel termine prescritto dalla legge tributaria, qualora il contribuente vi provveda poi entro i successivi 90 giorni. Ugualmente non si considera omessa la dichiarazione non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Occultamento o distruzione di documenti contabili [Reato di] art. 10, D.Lgs. 10-3-2000, n. 74: il reato consiste nell’occultamento o distruzione in tutto o in parte di scritture contabili o documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o il volume degli affari.

Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti [Reato di] art. 8 D.Lgs. 10-3-2000, n. 74: commette tale reato chi al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sull’IVA, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Dichiarazione infedele [Reato di] (d. pen.) art. 4 D.Lgs. 10-3-2000, n. 74: commette tale reato chi fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3, nella dichiarazione annuale, indica elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi quando l’imposta evasa sia superiore con riferimento a taluni delle singole imposte, a 200 milioni, nonché l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione degli elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo.

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti [Rato di] (d. pen.) art. 2 L. 10-3-2000, n. 74: commette tale reato chi, in una delle dichiarazioni annuali indica elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

L’elusione fiscale

La ricerca del risparmio d'imposta è un comportamento legittimo e il fisco non può sostituirsi all'imprenditore per censurare le scelte relative alla sua attività.

Tuttavia il radicarsi del fenomeno dell’elusione, impone allo Stato lo studio di precisi e determinati strumenti antielusivi che, nel limite del possibile, rendano l’elusione una pratica difficile e rischiosa così da dissuadere i contribuenti dal ricorrervi.

L’elusione può essere definita come quel meccanismo attraverso il quale il contribuente mira ad evitare, ricorrendo ad opportune scappatoie al limite della legalità, il prelievo tributario a suo carico.

L’elusione consiste, cioè, nello sfruttamento delle smagliature delle norme tributarie al fine di realizzare un consistente risparmio d’imposta. Ad esempio, per conseguire un certo risultato economico, un soggetto può adottare, in luogo della prevista forma contrattuale tipica, una forma contrattuale anomala che raggiunga gli stessi effetti con un minore carico fiscale (in luogo di una compravendita stipula un mandato a vendere con procura irrevocabile).

I comportamenti elusivi possono essere neutralizzati ricorrendo a tre diversi meccanismi difensivi: introdurre un’ampia casistica di presunzioni legali, volte ad individuare il fatto tassabile; abrogare o modificare norme tributarie eccessivamente permissive; applicare sanzioni amministrative o penali ai fenomeni elusivi.

L'art. 37-bis/600 pone in rilievo gli elementi distintivi del comportamento elusivo, che, essendo intimamente connessi tra loro, devono coesistere per la sua conurabilità:

l'assenza di valide ragioni economiche;

l'aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario;

l'ottenimento di una indebita riduzione o di un indebito rimborso di imposta;

la presenza di una serie, o anche di uno solo, degli atti, fatti, negozi, anche collegati tra loro, elencati tassativamente al c. 3 (trasformazioni, fusioni, scissioni, conferimenti, liquidazioni, cessioni di crediti, ecc.).

In presenza di elusione (accertata, o meglio, presunta in base ai criteri suddetti) è consentito all'Amministrazione Finanziaria disconoscere i vantaggi tributari ottenuti, ferma restando la validità dell'atto sul piano civilistico. Per tutelarsi dall'applicazione della presente normativa al contribuente è consentito presentare un’apposita istanza di disapplicazione o richiedere un parere preventivo alla Direzione generale delle Entrate o ad un apposito Comitato consultivo.

L’interpello

L’interpello (detto anche “ruling”) è un istituto di derivazione anglosassone in virtù del quale ciascun contribuente ha diritto di conoscere in modo certo gli effetti e le conseguenze delle proprie azioni sul piano fiscale. Più specificamente ogni interessato può chiedere all’amministrazione finanziaria il parere od un’interpretazione vincolante in ordine alle conseguenze di specifici atti od operazioni posti in essere.

L’art. 21 della L. 413/91 ha introdotto il diritto d’interpello anche in Italia, sia pure per casi limitati: è stata, infatti, accordata la possibilità, ai cittadini che ne abbiano la necessità, di richiedere un parere in merito all’applicazione delle norme antielusive a specifici casi concreti. Ciascun contribuente, anche prima della conclusione di contratti, atti o convenzioni, può preventivamente interpellare la competente Direzione del Ministero delle Finanze. In caso di mancata risposta della Direzione contattata o in caso di risposta non condivisa dall’interessato, questi può rivolgersi al “Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive”, istituito presso il Ministero delle Finanze e composto da alti funzionari, dal Comandante della Guardia di finanza e da alcuni esperti esterni all’amministrazione finanziaria.

La mancata risposta da parte del Comitato consentirà il formarsi del silenzio-assenso in favore della tesi prospettata dal richiedente.

Con l’approvazione dello Statuto del contribuente ad opera della L. 212/00, è stato ampliato l’ambito di applicazione del diritto d’interpello rafforzando, così, il rapporto di fiducia tra il fisco e il contribuente.

In particolare, la nuova normativa fissa regole ben precise volte a tutelare il contribuente che, facendo affidamento sulle circolari ed istruzioni del fisco, si comporti in un determinato modo successivamente considerato errato per un cambiamento dell’orientamento dell’amministrazione finanziaria.

L’istituto in esame, inoltre, viene esteso a tutte le materie fiscali a condizione, però, che l’istanza presentata dal contribuente sia circostanziata, riferita a casi concreti e personali, relativa ad obiettive condizioni d’incertezza sulla corretta interpretazione della norma fiscale.

Il contenzioso tributario

In materia tributaria vige un giurisdizione speciale esercitata dalle Commissioni tributarie, alle quali è affidato l’esame di tutte le controversie di natura fiscale.

La materia, precedentemente regolata dal D.P.R. 636/72, è stata oggetto di profonda revisione ad opera dei decreti legislativi 545 e 546 del dicembre ’92 emanati in attuazione della legge delega 413/91.

Tali decreti hanno disciplinato l’ordinamento interno delle Commissioni tributarie e il nuovo processo tributario.

La riforma è entrata in funzione dal mese di aprile 1996, in concomitanza con l’insediamento delle nuove commissioni.

La competenza delle Commissioni

L'art.12, comma 2 della legge n. 448/2001 (Legge finanziaria 2002) ha ampliato la competenza delle commissioni tributarie. Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2002, appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative comunque irrogate dagli uffici finanziari , gli interessi ed ogni altro onere accessorio.

Alle commissioni è attribuita, infine, la competenza a giudicare su varie controversie di natura catastale come quelle concernenti, ad esempio, l'intestazione, la delimitazione l'estensione, il classamento dei terreni e l'attribuzione della rendita.

Restano escluse dalla giurisdizione delle commissioni soltanto le controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della sectiunella di amento o dell'avviso di intimazione ad adempiere all'obbligo risultante dal ruolo.

Gli atti impugnabili

Gli atti contro i quali è possibile ricorrere sono:

  1. l’avviso di accertamento;
  2. l’avviso di liquidazione;
  3. il provvedimento che irroga le sanzioni;
  4. il ruolo e la sectiunella di amento;
  5. l’avviso di mora;
  6. gli atti relativi ad alcune operazioni catastali;
  7. il rifiuto, espresso o tacito, alla restituzione di tributi, sanzioni, interessi o altri accessori non dovuti;
  8. i provvedimenti che negano la spettanza di agevolazioni nonché i provvedimenti di rigetto delle domande di definizione agevolata dei rapporti tributari;
  9. ogni altro atto espressamente indicato dalla legge come autonomamente impugnabile.

Il termine per ricorrere è di 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se è stato notificato un avviso di accertamento e il contribuente presenta la domanda di concordato, i termini per ricorrere sono sospesi per 90 giorni a decorrere dalla data di presentazione della domanda.

Per agevolare il contribuente, la legge prevede che tutti gli atti impugnabili debbano contenere le seguenti indicazioni:

  1. termine entro il quale il ricorso va proposto;
  2. Commissione tributaria competente;
  3. procedure da seguire. 

Assistenza tecnica

Per le controversie aventi ad oggetto tributi di valore superiore a 5 milioni è indispensabile l’assistenza di un difensore abilitato. Per valore si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni (se si tratta solo di sanzioni, il valore è dato dalla somma di queste).

Sono abilitati a prestare assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali:

gli avvocati;

i dottori commercialisti;

i ragionieri e periti commerciali;

i consulenti del lavoro, per le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta ad esse relativi;

gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli agrotecnici e i periti agrari, per le materie concernenti estensione, classamento dei terreni e ripartizione dell’estimo fra i possessori di una stessa particella, consistenza, classamento delle singole unità immobiliari urbane e attribuzione della rendita catastale;

a certe condizioni, anche altre categorie tra cui i funzionari dell’amministrazione finanziaria e gli ufficiali della guardia di finanza a riposo dopo venti anni di servizio, i funzionari abilitati delle associazioni di categoria, i dipendenti delle imprese per le controversie che le riguardano.

Ai non abbienti è assicurata l’assistenza gratuita; alla Commissione per il gratuito patrocinio, istituita presso ogni Commissione tributaria, è affidata la verifica del possesso delle condizioni richieste (che potranno anche essere autocertificate).

Forma ed elementi del ricorso

Il ricorso deve essere redatto in carta da bollo e contenere una serie di indicazioni:

  1. la Commissione tributaria a cui ci si rivolge;
  2. il nome, il cognome (o la ragione sociale o la denominazione) del ricorrente (e, quando c’è, del suo legale rappresentante);
  3. la residenza (o la sede legale o il domicilio eletto);
  4. il codice fiscale;
  5. l’ufficio (o l’ente locale o il concessionario della riscossione) nei cui confronti è proposto;
  6. gli estremi dell’atto impugnato (avviso di accertamento, provvedimento di irrogazione sanzioni, ecc.);
  7. l’oggetto della domanda (ad es., la richiesta di annullamento dell’atto);
  8. i motivi di fatto e di diritto idonei a provare la sua fondatezza;
  9. la sottoscrizione del ricorrente;
  10. la sottoscrizione del difensore, quando è presente, con l’indicazione dell’incarico conferito.

La mancata indicazione di uno o più degli elementi sopra indicati comporta l’inammissibilità del ricorso. Tuttavia, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso che manca dell’indicazione del solo codice fiscale.

Il ricorso deve essere proposto direttamente alla controparte (Ufficio del ministero delle finanze, Ente locale, Concessionario della riscossione) utilizzando, alternativamente, una delle seguenti modalità:

  1. notifica a mezzo Ufficiale Giudiziario da effettuare osservando le disposizioni del codice di procedura civile;
  2. invio a mezzo servizio postale con plico raccomandato, senza busta, con avviso di ricevimento;
  3. consegna diretta all’ufficio finanziario (o all’Ente locale) che ha emesso l’atto contro il quale si ricorre. In tal caso l’impiegato addetto alla ricezione provvede al rilascio di ricevuta.

È soggetta a regole particolari la procedura per i ricorsi contro le iscrizioni a ruolo effettuate a seguito della liquidazione della dichiarazione dei redditi da parte dei Centri di Servizio.

In questi casi il ricorso, in bollo, deve essere intestato alla Commissione tributaria provinciale 'tramite il Centro di servizio' e inviato allo stesso Centro di servizio a mezzo posta, con plico raccomandato senza busta, entro 60 giorni dalla notifica della sectiunella di amento. In caso di mancata risposta dopo almeno 6 mesi (e non oltre due anni) dalla presentazione del ricorso, il contribuente deve depositare presso la Segreteria della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio delle entrate competente, il fascicolo di parte contenente:

  • la copia del ricorso in carta libera, dichiarata conforme all’originale
  • la fotocopia della ricevuta della spedizione del ricorso
  • la fotocopia della sectiunella di amento;
  • altri eventuali documenti a sostegno del ricorso.

È possibile chiedere - oltre alla sospensione amministrativa ai Centri di servizio - la sospensione alla Commissione provinciale anche prima che siano trascorsi sei mesi dalla presentazione del ricorso, depositando anticipatamente i documenti sopra indicati.

Termini di proposizione del ricorso

Il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto (avviso di liquidazione o di accertamento, sectiunella di amento, ecc.). Può accadere che l’atto di imposizione vero e proprio manchi (come, ad esempio, nel caso di una domanda di rimborso a cui l’Amministrazione non ha dato risposta). In questi casi occorre attendere che si formi il c.d. “silenzio-rifiuto”, e cioè che siano trascorsi almeno 90 giorni dalla presentazione della domanda. A partire dal 91° giorno, e fino a quando il diritto non si prescrive (termine che può variare, secondo i casi, dai 48 mesi ai 10 anni) è possibile proporre il ricorso. I termini per la proposizione del ricorso sono sospesi nel periodo feriale dal 1° agosto al 15 settembre.

Sospensione dell’atto impugnato

Se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave e irreparabile, il ricorrente può chiedere alla Commissione provinciale la sospensione della sua esecuzione.

La richiesta motivata può essere inserita nel ricorso o proposta con atto separato (che va notificato alle altre parti e depositato presso la segreteria della Commissione).

Quando la sospensione è richiesta in materia di sanzioni tributarie non penali:

il giudice deve necessariamente concederla se il contribuente produce un’idonea garanzia, anche a mezzo fideiussione bancaria o assicurativa;

può essere proposta istanza anche dinanzi alla Commissione tributaria regionale.

La costituzione in giudizio

Nei 30 giorni successivi alla proposizione del ricorso il ricorrente deve 'costituirsi in giudizio'. Questo adempimento è di fondamentale importanza in quanto la sua omissione o, anche, la semplice tardività comporta l’inammissibilità del ricorso.

Una inammissibilità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e pronunciabile anche se la parte avversa si è costituita.

La costituzione in giudizio si effettua depositando presso la segreteria della Commissione il fascicolo di parte contenente:

l’originale del ricorso notificato a mezzo ufficiale giudiziario; se la presentazione è avvenuta per consegna diretta o a mezzo posta, si deposita una copia del ricorso dichiarata conforme all’originale insieme alla copia della ricevuta di consegna o di spedizione

l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato e dei documenti eventualmente prodotti, elencati nel ricorso. Se sorgono contestazioni, il giudice può ordinare l’esibizione in originale di tutti gli atti e documenti.

L’obbligo di costituzione in giudizio riguarda anche la parte nei cui confronti il ricorso è proposto, che deve depositare le proprie controdeduzioni.

Tale adempimento è di estrema importanza in quanto tramite esso il ricorrente viene messo in condizioni di conoscere la strategia adottata dalla controparte.

Nelle controdeduzioni la parte resistente è, infatti, tenuta ad esporre le sue difese e a prendere posizione sui motivi del ricorso, indicando le prove di cui intende avvalersi e proponendo eventuali eccezioni processuali e di merito.

La parte resistente è tenuta a costituirsi in giudizio entro il termine (non perentorio) di 60 giorni dalla proposizione del ricorso.

Unica eccezione è data dai ricorsi proposti ai Centri di Servizio per i quali la costituzione in giudizio avviene entro 60 giorni dalla richiesta di trasmissione del ricorso (da parte della segreteria della Commissione Tributaria Provinciale) che fa seguito al deposito del ricorso da parte del contribuente.

Le regole per il deposito dei documenti

Il processo tributario è un processo prevalentemente documentale: non è quindi ammessa la possibilità di avvalersi degli altri mezzi di prova ordinariamente riconosciuti come, ad esempio, il giuramento e la prova testimoniale.

Per essere utilizzati nel processo, i documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati (ad esempio, nel ricorso).

È comunque ammesso produrli anche separatamente; in tal caso è però necessario preparare una apposita nota (chiamata 'Nota di deposito documenti'), firmarla e depositarla in segreteria (in originale e in tante copie in carta semplice per quante sono le altre parti).

I 'motivi' e il divieto delle 'memorie integrative'

Uno degli elementi essenziali del ricorso - prescritto a pena di inammissibilità - è costituito dai 'motivi', ossia dalla dettagliata esposizione delle proprie ragioni.

L’esposizione dei motivi che sono a base del ricorso costituisce un elemento di estrema importanza in quanto i motivi non potranno essere integrati in atti successivi.

Fa eccezione il caso in cui l’integrazione sia resa necessaria dal successivo deposito di documenti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione. In questi casi l’integrazione è ammessa entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data in cui l’interessato ha notizia del deposito.

Esempio: ricorro chiedendo l’annullamento dell’atto per violazione dell’obbligo di motivazione imposto dall’art. 42, comma 3°, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Se è stata già fissata l’udienza di trattazione l’interessato deve dichiarare a pena d’inammissibilità, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in udienza pubblica, che intende proporre motivi aggiunti. Dopo tale adempimento la trattazione o l’udienza devono essere rinviate ad altra data per consentire il deposito della memoria.

L’integrazione dei motivi si effettua mediante un atto che deve avere, per quanto applicabili, i requisiti prescritti per il ricorso.

È invece possibile depositare, anche successivamente al ricorso, documenti e memorie illustrative (atti che senza ampliare l’ambito della controversia si limitano ad illustrare in maniera più approfondita i motivi già esposti nel ricorso). Nel caso di trattazione della controversia in camera di consiglio è possibile anche la presentazione di 'brevi repliche', con le quali si propongono ulteriori contestazioni alle argomentazioni esposte nelle memorie.

Il deposito delle memorie, dei documenti e delle repliche va effettuato entro precisi termini: fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione, per i documenti; fino a 10 giorni liberi prima della data di trattazione, per le memorie; fino a 5 giorni liberi prima della data di trattazione in camera di consiglio, per le brevi repliche.

Trattazione del ricorso e notifica della sentenza

La controversia è trattata di norma in 'Camera di consiglio' (senza la presenza delle parti); se una delle parti vuole che il ricorso sia discusso in udienza pubblica deve farne richiesta alla Commissione con istanza da depositare in segreteria e da notificare alle altre parti costituite. L’istanza di pubblica udienza può anche essere proposta contestualmente al ricorso o ad altri atti processuali.

Alla segreteria della Commissione spetta il compito di comunicare alle parti costituite il dispositivo della sentenza. Alla notifica della sentenza possono invece provvedere le parti (sarà la parte che vi ha interesse a notificare la sentenza alle altre).

La parte che ha provveduto alla notifica dovrà depositare nella segreteria della Commissione l’originale (o copia autentica) della sentenza notificata.

Pagamenti e rimborsi

Le norme processuali prevedono meccanismi di amento dei tributi e di rimborso delle somme non dovute più favorevoli al contribuente. Pertanto, anche in deroga a quanto previsto dalle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata i tributi devono essere ati:

a)  per due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;

b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;

c)  per il residuo ammontare determinato dalla commissione tributaria regionale.

Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto.

Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto stabilito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza.

Le imposte suppletive devono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione.

Nel caso di proposizione di un ricorso contro il rifiuto o il silenzio-rifiuto a provvedere ad un rimborso, se la Commissione condanna l’ufficio al amento di somme, e solo se la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria della Commissione che l’ha emessa, a richiesta dell’interessato, rilascia copia spedita in forma esecutiva a norma dell’art. 475 del C.p.c. La sentenza delle Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale spedita in forma esecutiva è titolo per le azioni esecutive previste dallo stesso C.p.c..

L’imposizione diretta e indiretta

La riforma fiscale

A partire dagli anni ’80, nei paesi industriali hanno preso corpo proposte di riforma dei sistemi tributari. Un primo gruppo di proposte si è volto a realizzare una drastica riduzione del ruolo svolto dall’imposta progressiva sul reddito. La presenza di imposte progressive con elevate aliquote marginali provocherebbe effetti disincentivanti sull’offerta di lavoro e di risparmio e quindi sulla produzione di dimensioni tali da produrre una riduzione del gettito. Per fare fronte a questa situazione si è proposto di ridurre drasticamente il numero delle aliquote e il loro livello (sino all’adozione di una Flat Rate Tax), allargando nello stesso tempo la base imponibile dell’imposta sul reddito. Un secondo gruppo di proposte di riforma ha invece mirato a introdurre sistemi di tassazione duale del reddito (Dual Income Tax, Dit). Con questo nuovo modello di tassazione il reddito da capitale, prodotto da persone fisiche o giuridiche, viene tassato con un’aliquota proporzionale, separatamente dalle altre forme di reddito che continuerebbero invece ad essere sottoposte alla progressività. La ragione di questa scelta va ricercata nel crescente grado di integrazione e apertura dei mercati dei capitali e nel tentativo, realizzato non a caso nei paesi in cui la tassazione sul reddito è tradizionalmente più progressiva, di evitare fughe di capitali verso nazioni con trattamenti fiscali più

favorevoli.

Le riforme realizzate nel corso degli anni '90 in Italia hanno accolto alcuni dei suggerimenti più importanti emersi nel corso degli anni ’80 nel processo di revisione delle strutture tributarie delle economie avanzate. Partendo da una posizione a favore della riduzione della pressione fiscale e della spesa pubblica, l’orientamento originario del Governo Berlusconi è stato quello di proporre una riforma dell’Imposta sul reddito in linea con il modello della Flat Rate Tax, a due aliquote, in cui la progressività sarebbe garantita dalle deduzioni e dalle detrazioni. Con riferimento al reddito di impresa è stata prevista l’abolizione della Dit, una riduzione dell’aliquota dell’Ire e una sostanziale detassazione dei dividendi e delle plusvalenze ottenuti dalle società. Con riguardo alla finanza decentrata è stata prevista la graduale abolizione dell’Irap, la maggiore fonte di gettito per le Regioni. La legge delega (80/2003), nella sua formulazione originaria, aveva articolato la riforma del sistema fiscale in cinque forme di tassazione:

l'imposta sul reddito, Ire, con due sole aliquote (del 23% e del 33% che dovrebbero essere applicate dal 2006), un sistema di deduzioni decrescente al crescere del reddito e un'aliquota unica per la tassazione dei proventi finanziari;

l'imposta sul reddito delle società, Ires, con un’aliquota unica 33%, l'abolizione della Dual Incombe Tax (Dit) e del credito d’imposta della sostituita Irpeg, la graduale eliminazione dell'Irap;

l'imposta sul valore aggiunto, Iva, con una detassazione fino a 1% per erogazioni con finalità etiche;

l'imposta sui servizi, una nuova forma di tassazione che dovrebbe unificare varie forme minori di prelievo (imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, tassa sulle concessioni governative, tassa sui contratti di borsa, ecc.);

le accise o imposte di consumo specifiche, riformulate per una migliore armonizzazione con le direttive comunitarie in materia di imposte di fabbricazione e con l’Iva.

A seguito tuttavia delle recenti (per chi scrive, dicembre 2004) evoluzioni in ambito politico riguardo alla copertura finanziaria in un contesto economico-finanziario piuttosto delicato, il Governo ha presentato alla Commissione Bilancio del Senato, lo scorso 29 novembre 2004, l’emendamento al disegno di legge finanziaria per il 2005 che introduce il secondo modulo della riforma fiscale.

La riforma prevede una nuova definizione delle aliquote e degli scaglioni dell’IRE. Le aliquote diventano tre (23, 33 e 39%). Viene anche introdotto un contributo di solidarietà del 4%. L’emendamento, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 26 novembre scorso, prevede inoltre nuove misure per l’IRAP, con interventi agevolati per le aziende che creano nuova occupazione, e l’istituzione di un Fondo rotativo a favore delle imprese. L’emendamento che introduce la riforma fiscale sarebbe completamente coperto da un punto di vista finanziario.

Le imposte dirette

L’imposta sul reddito delle persone fisiche: dall’IRPEF all’IRE

L’IRPEF, introdotta con la riforma del ‘71, è considerata l’imposta diretta in assoluto più importante sia perché da sola provvede i due terzi del gettito delle imposte dirette, sia perché è l’imposta che, almeno in teoria, meglio si presta a realizzare il principio dell’efficienza e dell’equità:

efficienza perché il reddito nazionale di un paese si risolve nella somma dei redditi di tutti i cittadini e quindi, colpendo il reddito personale si colpisce la misura più rappresentativa della capacità contributiva;

equità perché, con la possibilità di variare le aliquote a seconda del reddito, si può facilmente obbedire all’indicazione della Costituzione “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (art.53).

L’imposta personale sul reddito nasce e si sviluppa nella seconda parte del secolo scorso nei più importanti Paesi europei e nord americani (Francia, Germania, Usa, etc.), dove affianca e gradualmente sostituisce i sistemi di imposizione reale[1], che colpivano separatamente i vari cespiti (lavoro, capitale, terra, etc.).

Le caratteristiche dell’imposta sono:

la generalità della base imponibile;

la progressività[2], che ha l’obiettivo di realizzare la perequazione dei redditi;

i fattori di personalizzazione, che graduano l’onere della tassazione in relazione alle condizioni sociali e famigliari del soggetto passivo;

la discriminazione nel trattamento dei redditi in relazione alla fonte (lavoro dipendente, lavoro autonomo e d’impresa, capitale, immobili, etc.);

la presenza di deduzioni dalla base imponibile e di detrazioni dall’imposta per spese sostenute dai contribuenti (sanità, istruzione, previdenza), ritenute meritorie e per questo in parte finanziate dallo Stato.

A partire dal 1998 l’imposta personale sul reddito ha visto modificazioni nella normativa di una certa importanza. Gli interventi realizzati nella tassazione personale del reddito hanno avuto soprattutto l’obiettivo di assicurare coerenza interna e razionalità al sistema tributario attraverso l’introduzione dell’Irap, la nuova imposta sul valore aggiunto destinata a realizzare il decentramento tributario, e le modifiche intervenute nel sistema di tassazione del reddito d’impresa e del reddito da capitale. La riforma prevista dalla legge delega 80/2003 ha adottato in linea di principio (ma è ancora incerto quando essa entrerà in vigore) un modello vicino alla Flat Rate Tax, articolato su due sole aliquote (23% e 33%) e su un sistema di deduzioni modulato in funzione di obiettivi specifici.

Le categorie di reddito nell’Ire

L’Ire si applica alla somma dei redditi del soggetto passivo. Il reddito complessivo è formato da tutti i redditi posseduti per i residenti e dai redditi prodotti nel territorio dello Stato per i non residenti. I redditi delle persone fisiche sono divisi in sei tipologie differenti:

  1. redditi fondiari;
  2. redditi da capitale;
  3. redditi da lavoro dipendente;
  4. redditi da lavoro autonomo;
  5. redditi di impresa;
  6. altri redditi.

La suddivisione dei redditi in tipologie è importante, perché i criteri di determinazione della base imponibile previsti dal legislatore sono significativamente differenti. Vediamole in dettaglio.

Redditi fondiari

I redditi fondiari sono quelli che derivano dall’uso economico dei terreni e dei fabbricati situati nel territorio dello Stato. Il sistema di imposizione dei redditi fondiari è definito su base catastale. Il criterio di reddito adottato dal legislatore è quello di reddito normale. I redditi fondiari si distinguono a loro volta in tre categorie:

a)  redditi dominicali dei terreni derivanti dall’utilizzo del terreno per attività agricole. Il reddito dominicale è calcolato sulla base di tariffe d’estimo, che definiscono la redditività dei terreni in base alla posizione e alla produttività media. Le tariffe d’estimo stabilite dalla legge catastale determinano forfetariamente il reddito fondiario per particelle catastali, aventi ciascuna medesima qualità e classe di colture. La determinazione forfetaria tiene conto anche delle spese di manutenzione, di amministrazione e di tutte le spese che incidono direttamente sulla produzione del reddito. Le tariffe sono sottoposte a revisioni periodiche;

b) redditi agrari. Appartengono a questa tipologia i redditi medi che vengono ottenuti dall’uso di capitale e di lavoro nell’esercizio di attività agricole sui terreni. Anche il reddito agrario è determinato in base a tariffe d’estimo;

c)  redditi dei fabbricati. Sono costituiti dai redditi medi ordinari che possono essere ottenuti dalle unità immobiliari urbane. Anche questo tipo di reddito è determinato attraverso l’applicazione dei coefficienti di estimo catastale. È attualmente in fase di realizzazione un radicale rinnovamento dei metodi di calcolo del reddito degli immobili.

Redditi di capitale

Rientrano in questa categoria i proventi derivanti dall’impiego di capitale finanziario che non sono percepiti nell’ambito del reddito d’impresa. Caratteristica importante di questa tipologia è la tassazione alla fonte: il soggetto che li eroga (l’intermediario finanziario) è tenuto ad effettuare una ritenuta proporzionale a titolo d’imposta per le persone fisiche e a titolo di acconto per le persone giuridiche. Fanno fare parte di questa tipologia di reddito i proventi dei capitali dati a mutuo, gli interessi sui depositi, sui conti correnti, sui titoli e sulle obbligazioni. I dividendi distribuiti ai proprietari di azioni non fanno parte della base imponibile dell’Ire e quindi non subiscono una tassazione progressiva.

Redditi di lavoro dipendente

La categoria dei redditi da lavoro dipendente comprende tutti i redditi che derivano da rapporti aventi per oggetto prestazioni di lavoro alle dipendenze o sotto la direzione di altri. Il reddito è costituito da tutti i compensi ed emolumenti percepiti nel periodo d’imposta in dipendenza del lavoro prestato. Costituiscono reddito da lavoro dipendente anche le pensioni e gli assegni ad esse equiparati. Sono assimilati a quelli di lavoro dipendente una serie di redditi quali le rendite dei fondi pensioni e quelle in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, i compensi percepiti da soggetti impegnati in lavori socialmente utili, le indennità parlamentari, ecc.. I redditi sono tassati con ritenuta alla fonte operata dal datore di lavoro, che svolge la funzione di sostituto d’imposta versando mensilmente all’erario il debito d’imposta dovuto dal lavoratore sul reddito lordo. Il reddito imponibile è definito dalla somma dei compensi in denaro e in natura percepiti nel periodo d’imposta. Si utilizza quindi una misura di reddito lordo. I costi per la produzione del reddito sono considerati in fase di determinazione dell’imposta tramite detrazioni per carichi di lavoro.

Redditi da lavoro autonomo

Sono i redditi che derivano dall’esercizio di un’arte o di una professione. Tali redditi sono caratterizzati da alcuni elementi distintivi comuni:

esercizio di attività per professione abituale. L’abitualità assurge a rango di elemento distintivo del reddito di lavoro autonomo, e lo distingue dai “redditi diversi” prodotti occasionalmente;

esercizio di attività diverse da quelle di impresa.

Il legislatore ha assimilato a reddito da lavoro autonomo una serie di altre attività:

a.  i redditi derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, etc.;

b.  le attività derivanti da partecipazione ad associazioni in partecipazione ove la qualità di associato prevede un apporto prevalentemente di lavoro (e non di capitali);

c.   le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e fondatori di società di capitali.

Il reddito derivante dall’esercizio di arti o professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione.

Per i redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo infine sono previste forme forfetarie di determinazione delle spese.

I redditi di impresa

I redditi d’impresa sono quelli derivanti dall’esercizio di imprese commerciali ancorché non organizzate in forma d’impresa. Il riferimento generale per la determinazione del reddito d’impresa è l’utile netto (o perdita), che risulta dal conto economico. La base imponibile è ottenuta dopo che all’utile sono state applicate le variazioni positive e negative previste dalla normativa fiscale. Il reddito imponibile è calcolato in base al criterio di competenza. Le componenti positive del reddito sono:

a)  i ricavi: sono le componenti positive di reddito che derivano dalla cessione di beni e dalla prestazione di servizi alla cui produzione e scambio è diretta l’attività di impresa. Sono comprese nei ricavi anche le cessioni di materie prime e semilavorati acquistati per essere impiegati nell’attività di impresa e i corrispettivi delle cessioni di azioni, quote, obbligazioni ed altri titoli;



b) le variazioni positive delle rimanenze: si tratta della variazione delle scorte. Se questa è positiva concorre alla formazione della base imponibile. I problemi di valutazione delle rimanenze derivano dal fatto che i prezzi dei beni possono variare da un periodo d’imposta a quello successivo;

c)  le plusvalenze patrimoniali: si realizzano se la cessione di cespiti immobilizzati è effettuata ad un importo superiore a quello del suo costo storico al netto degli ammortamenti;

d) le sopravvenienze attive: si tratta di proventi conseguiti a fronte di costi od oneri già dedotti in precedenti periodi di imposta oppure derivanti dalla sopravvenuta insussistenza di costi e passività iscritte in bilancio;

e)  i dividendi: sono proventi che derivano all’impresa dal possesso di azioni di società di capitali.

Le componenti negative di reddito sono:

a)  i costi di esercizio: sono quelli che l’impresa sostiene per le retribuzioni e per l’acquisto di materie prime, semilavorati e merci inerenti all’attività svolta;

b) le minusvalenze: sono deducibili solo se realizzate e regolarmente iscritte in bilancio;

c)  le sopravvenienze passive

d) gli interessi passivi: rappresentano il costo dell’indebitamento e non sono integralmente deducibili dalla base imponibile, ma solo in relazione al rapporto tra i ricavi e i proventi che concorrono a determinare il reddito complessivo;

e)  gli ammortamenti: sono elementi di costo che corrispondono alla ripartizione su più periodi del valore dei beni strumentali. Il criterio adottato dal legislatore per il calcolo degli ammortamenti è quello delle rate costanti. Il costo del bene da ammortizzare è quello storico e il periodo di ammortamento è fissato dal Ministero delle Finanze in base alla categoria dell’investimento, alla tipologia dell’impresa e al settore di attività.

Il sistema fiscale prevede, per la tassazione del reddito d’impresa, una serie di regimi speciali di particolare interesse data la struttura produttiva italiana nella quale la diffusione delle imprese di dimensione medio-piccola e a carattere famigliare è maggiore che nelle principali nazioni europee. Alle imprese di dimensione minore è possibile scegliere regimi di tassazione semplificata.

I redditi diversi

È prevista una categoria residuale all’interno della quale confluiscono i redditi imponibili non compresi nelle cinque precedenti categorie. I redditi più significativi sono:

a)  le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di immobili, di partecipazioni in società di capitali o enti commerciali, di titoli finanziari, ecc.

b) i proventi derivanti da vincite, concorsi a premi e lotterie;

c)  i redditi occasionali da lavoro autonomo;

d) i redditi di beni immobili situati all’estero;

e)  i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, brevetti e diritti d’autore realizzati nell’ambito di attività d’impresa;

f)   le indennità di trasferta;

g) i redditi derivanti da attività commerciali non svolte abitualmente.

Anche per questi redditi si applica un regime particolare, che consiste in una imposta sostitutiva che può essere del 27% o del 12,5% (a seconda che si tratti di cessione di partecipazioni qualificate o meno). Il contribuente può tuttavia optare per la tassazione d’acconto, e quindi riportare i guadagni di capitale nel reddito complessivo dell’IRPEF.

La determinazione dell’imposta

Il reddito complessivo lordo è ottenuto come somma di tutti i redditi imponibili realizzati dal soggetto passivo nel periodo d’imposta: le componenti del reddito della persona fisica sono sommate algebricamente, comprese anche le eventuali perdite nel caso in cui queste si siano verificate nell’ambito di attività di lavoro autonomo e/o di impresa. I principali passaggi possono essere sintetizzati nel seguente modo:

REDDITO COMPLESSIVO meno DEDUZIONI


REDDITO IMPONIBILE


IMPOSTA LORDA meno DETRAZIONI


IMPOSTA NETTA

Le operazioni successive definiscono la personalizzazione dell’imposta sul reddito. In questi passaggi il legislatore rende esplicite le finalità distributive dell’imposta.

Le deduzioni dall'imponibile

Nella riforma fiscale in corso di realizzazione le deduzioni dall'imponibile assumono un ruolo fondamentale. Il soggetto passivo può dedurre dalla base imponibile una serie di spese sostenute nel periodo d’imposta e definite oneri deducibili (o deduzioni dal reddito). Le più importanti sono:

i contributi previdenziali e assistenziali versati dai lavoratori alle gestioni pensionistiche pubbliche;

i contributi versati alle forme pensionistiche complementari dai lavoratori autonomi;

le spese mediche per l’assistenza a portatori di handicap;

gli assegni corrisposti al coniuge nei casi di separazione, annullamento del matrimonio e divorzio;

le erogazioni liberali per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica Italiana.

Gli oneri deducibili riducono la base imponibile. Essi contribuiscono al fenomeno

dell’erosione dell’imposta, ovvero alla riduzione legale della base imponibile e quindi del gettito dell’imposta. Dal punto di vista del soggetto passivo gli oneri deducibili riducono il debito d’imposta di un ammontare pari al prodotto tra l’aliquota marginale e l’ammontare della spesa che dà diritto alla deduzione.

L’unica spesa rilevante per la quale è ammessa la deducibilità completa sono i contributi previdenziali e assistenziali versati dai lavoratori dipendenti ed autonomi. Al fine di favorire lo sviluppo della componente privata del sistema pensionistico la deducibilità dei contributi previdenziali è stata estesa, entro limiti prefissati, anche ai versamenti operati dai lavoratori dipendenti ed autonomi a favore di fondi pensione e di altri intermediari caratterizzati dalla natura previdenziale.

Nel 2003, oltre alle deduzioni tradizionali, è stata introdotta una nuova tipologia di deduzioni volta a garantire l'esclusione dalla tassazione di un livello minimo di reddito (la cosiddetta No Tax Area). Le deduzioni per la No Tax Area[4] sono state introdotte allo scopo di garantire un certo livello di progressività (nonostante la riduzione del numero e del livello delle aliquote) e ad assicurare l'esclusione dalla tassazione di un valore minimo di reddito. La deduzione è decrescente al crescere del reddito e si annulla a un certo livello di reddito. Essa è inoltre differenziata per le diverse tipologie di reddito: le spiegazioni sono legate al principio della discriminazione qualitativa dei redditi (trattare i redditi di lavoro meno pesantemente),

alla diversa importanza delle spese di produzione del reddito e al diverso livello di evasione fra lavoro dipendente e autonomo.

L’imposta lorda

Una volta operate le deduzioni, alla base imponibile viene applicata una scala di aliquote secondo uno schema di progressività per scaglioni. Il reddito del soggetto passivo viene diviso in scaglioni. Su ogni scaglione viene applicata un’aliquota d’imposta crescente al crescere dello scaglione. Per ogni dato livello di reddito l’imposta lorda può essere immaginata come la somma di una serie di imposte parziali, ognuna delle quali è calcolata come il prodotto tra la quantità di reddito che rientra in uno scaglione e la corrispondente aliquota marginale.

Le detrazioni di imposta

Dall’imposta lorda sono ammessi tre tipi di detrazione:

  1. per carichi di famiglia (coniuge e familiari a carico);
  2. a favore dei redditi di lavoro e pensione;
  3. per oneri al 19%

L’importo delle detrazioni per il coniuge a carico è decrescente al crescere del reddito. Per ogni altro famigliare a carico (genitori, fratelli, nuore, ecc.) spettano detrazione dall’imposta lorda in relazione al reddito, al numero di familiari e alle loro caratteristiche (li di età inferiore ai tre anni, portatori di handicap).

Le detrazioni a favore dei redditi di lavoro e pensioni sono differenziate in base alla tipologia del reddito.

Al lavoro autonomo spettano detrazioni di importo inferiore rispetto al lavoro dipendente.

Le detrazioni per oneri al 19% spettano per gli interessi passivi, i premi di assicurazione invalidità permanente e rischio di morte, le spese mediche generiche e specialistiche, le spese di frequenza a corsi di istruzione secondaria ed universitaria, le spese funebri, le erogazioni liberali.

Speciali e temporanee detrazioni sono previste a favore delle spese per una serie di interventi di restauro, risanamento e ristrutturazione edilizia. La detrazione (2004), da ripartire in dieci quote annuali di pari importo, è pari al 36% delle spese sostenute nel biennio 2004-05 con un limite di 48.000 euro.

L’imposta sul reddito delle società (IRES)

Il sistema tributario italiano affianca all'imposta sul reddito delle persone fisiche la tassazione dei redditi di impresa. La tassazione è differenziata secondo la natura dell'impresa: il reddito d'impresa prodotto da un imprenditore individuale o da società di persone (società semplice, in accomandita semplice, in nome collettivo) è soggetto all'Ire (Imposta sui redditi). Il reddito prodotto da società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata) è soggetto all’ Ires (Imposta sul reddito delle società).

Il 16 dicembre 2003 è stato pubblicato nella 'Gazzetta Ufficiale' il decreto legislativo di riforma della tassazione delle società di capitali, secondo le linee previste dalla delega per la riforma fiscale (legge 80/2003). Si tratta di un provvedimento molto ampio e complesso, che muta radicalmente oltre al nome (da Irpeg a Ires), anche il disegno della tassazione societaria nel nostro paese. Il decreto è entrato in vigore il 1° gennaio 2004.

I soggetti passivi dell’Ires sono:

le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;

gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, sia che abbiano o che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;

le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

L’imposta è proporzionale e colpisce il reddito complessivo realizzato nel periodo d’imposta dalla persona giuridica, rappresentato dall’utile. L’aliquota ordinaria è pari al 33% (2004). I criteri di determinazione della base imponibile per l’Ires sono simili a quelli relativi al reddito d’impresa delle persone fisiche.

Fino al 2003 era prevista un’agevolazione che consentiva alle società di capitali e alle società di persone di ridurre l’onere d’imposta sugli utili in funzione della politica di finanziamento seguita. Questa agevolazione, chiamata Dual Income Tax (Dit), prevedeva una tassazione agevolata secondo una aliquota del 19% a quella parte degli utili che rappresentavano la remunerazione ordinaria del capitale investito. La Dit è stata abolita, superando il modello duale e ritornando ad un modello di tassazione sui profitti ad una sola aliquota.

La tassazione degli utili nel sistema tributario italiano

I dividendi sono una fattispecie reddituale passibile di subire una doppia imposizione, posto che costituiscono presupposto imponibile:

una prima volta in capo al soggetto collettivo all’atto della formazione;

una seconda volta in capo al socio all’atto della distribuzione.

Per evitare l’insorgenza della predetta doppia imposizione il nostro sistema impositivo ante riforma riconosceva ai soci un credito di imposta in misura pari alle imposte già ate dalla società. La riforma ha introdotto nuovi meccanismi aventi come finalità l’eliminazione, o quanto meno il contenimento, dei fenomeni di doppia imposizione sui dividendi. Questi meccanismi sono:

la generalizzazione del “metodo dell’esenzione” in base al quale i redditi della società sono tassati solo in capo alla società ed esentati in capo ai soci;

l’introduzione per le società di capitali del “metodo della trasparenza” in base al quale i redditi della società sono tassati sia in capo alla società che in capo ai soci, ma con riconoscimento a questi ultimi di un credito d’imposta in misura pari alle imposte già ate dalla società;

l’introduzione del consolidato fiscale.

Il contenimento della doppia imposizione è peraltro soltanto parziale. Questo perché:

la generalizzazione del “metodo dell’esenzione”, ancorché applicabile alla generalità delle distribuzioni dei dividendi, prevede comunque soglie di non imponibilità solo parziali, oltre che differenziate in funzione delle qualità soggettive del percipiente (ambito oggettivo di applicazione limitato);

gli istituti della trasparenza fiscale e del consolidato fiscale, pur idonei a conseguire l’obiettivo della perfetta neutralizzazione della doppia imposizione sul dividendo, risultano utilizzabili non per la generalità dei dividendi, bensì soltanto in presenza di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi (ambito soggettivo di applicazione limitato).

Il “metodo dell’esenzione” trova applicazione in qualsiasi contesto distributivo, con la sola eccezione delle distribuzioni a “percipienti soggetti Ire non imprenditori” di dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate (per le quali viene prevista l’integrale imponibilità, ma con aliquota secca del 12,5%). Le soglie di qualificazione previste attualmente sono:

per le società non quotate: a) percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria > 20%; b) percentuale di partecipazione al capitale > 25%.

per le società quotate: a) percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea

ordinaria > 2%; b) percentuale di partecipazione al capitale >5%.

Il metodo dell’esenzione previsto dalla riforma è tuttavia un metodo “attenuato”, nel senso che la non imponibilità dei dividendi in capo al socio all’atto della distribuzione viene prevista solo in misura parziale. In particolare, viene operata una distinzione tra:

dividendi percepiti da soggetti passivi Ires;

dividendi percepiti da soggetti passivi Ire nell’ambito di esercizio di attività d’impresa;

dividendi percepiti da soggetti passivi Ire al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa;

Vale la pena sottolineare che il nuovo criterio generale di tassazione dei dividendi prevede differenti trattamenti fiscali solo in funzione della destinazione del dividendo (ossia in funzione delle qualità soggettive del percipiente), mentre a nulla rileva la provenienza del dividendo (ossia se si tratta di dividendo di fonte italiana o di fonte estera). In questo modo è stata infatti attuata una parificazione di trattamento fiscale tra dividendi “infra nazionali” e dividendi “sovra nazionali”.

Le opzioni della trasparenza fiscale e del consolidato fiscale

Il nuovo sistema tributario riconosce alla società di capitali la possibilità di accedere al regime della trasparenza fiscale, quale correttivo alla doppia imposizione economica. Il regime della trasparenza consente di evitare, come detto, la doppia imposizione economica sui dividendi al pari del metodo dell’imputazione e di quello dell’esenzione, attribuendo i redditi della società partecipata al socio, indipendentemente dall’effettiva percezione degli utili.

L’ambito soggettivo di applicazione è limitato, in quanto possono fruire del regime della trasparenza le società di capitali residenti al cui capitale sociale partecipano esclusivamente soggetti della stessa natura giuridica, ciascuno con una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea generale e di partecipazione agli utili non inferiore al 10% e né superiore al 50%. In assenza dei requisiti previsti per il regime della trasparenza, il regime opzionale previsto è fondato sulla tassazione consolidata (ovvero il consolidato fiscale). Infatti, ai fini dell’Ires viene riconosciuto il gruppo “consolidato” anche ai fini fiscali. Detto regime non realizza confusione di masse patrimoniali, rappresentando piuttosto una diversa tecnica di rilevazione del risultato impositivo, determinato su base plurisoggettiva.

In sostanza, finché permane il requisito del controllo (si considerano controllate le S.p.a, le S.a.p.a. e le S.r.l. al cui capitale sociale e al cui utile di bilancio la controllante partecipa direttamente o indirettamente in misura superiore al 50%), la controllante determina un unico reddito imponibile complessivo corrispondente alla somma algebrica degli imponibili della controllante stessa e delle controllate a cui vengono portati in diminuzione i dividendi erogati nell’ambito del gruppo. Pertanto anche in questo regime viene evitata la doppia tassazione sui dividendi.

La participation exemption

Per ciò che riguarda i redditi consistenti in plusvalenze derivanti da cessioni di azioni o di partecipazioni in società non rappresentate da titoli, che prima erano tassate con regime sostitutivo ed aliquota del 19%, la nuova normativa introduce il regime della “participation exemption”, ossia una esenzione totale, purché si verifichino determinate condizioni (ad es. siano iscritte da almeno un anno nelle immobilizzazioni finanziarie). Sistemi di 'esenzione da partecipazione' esistono in diversi paesi della Ue, ma sono solitamente caratterizzati da condizioni più restrittive. L’istituto in commento trova una sua applicazione seppur parziale anche per i soggetti IRPEF (futura IRE), in quanto per le imprese individuali e le società di persone è prevista un’esenzione parziale del 60% (plusvalenze tassabili al 40%), mentre non ha alcuna rilevanza nel possesso di partecipazioni da parte di persone fisiche non imprenditori, che continueranno a are l’imposta sostitutiva interamente.

Le ritenute sui dividendi distribuiti

Il regime attuale prevede l’obbligo dell’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta pari al 12,5% sugli utili distribuiti a persone fisiche residenti titolari di partecipazioni non qualificate e sugli utili corrisposti a fondi pensione e a fondi di investimento immobiliare. Il meccanismo presenta l’indubbio vantaggio di non prevedere l’obbligo della dichiarazione dei redditi e quindi di assicurare l’anonimato.

Sotto il profilo dell’incidenza della tassazione, occorre precisare che con il passaggio dal regime dell’imputazione a quello dell’esenzione i dividendi percepiti dalle persone fisiche relativamente alle partecipazioni qualificate concorreranno a formare la base imponibile Ire nel limite del 40% del loro importo. Con aliquote marginali inferiori al 39% le partecipazioni qualificate sono tassate in modo meno

gravoso di quelle non qualificate (12,5%).

Le imposte indirette

Le imposte indirette sono suddivise in tre categorie:

Imposte sugli affari. Comprendono tutti i tributi che colpiscono gli agenti economici (consumatori, imprese, etc.) nel momento in cui essi realizzano scambi di beni e servizi e/o cessioni di attività patrimoniali. La più importante imposta sugli affari è l’Imposta sul Valore Aggiunto (Iva), che è anche la seconda imposta italiana per gettito. Accanto all’Iva vi sono una serie di imposte meno importanti in termini di gettito, che si applicano nel momento in cui si stipulano atti formali o giuridici.

Imposte sulla produzione, sulla fabbricazione e sul consumo di singoli beni. Le più importanti sono le imposte sugli oli minerali (benzina, gasolio, etc.). Esse costituiscono la quota più importante del prezzo dei beni a cui sono applicate. Si tratta in generale di accise, ovvero di imposte la cui base imponibile è definita in relazione alla quantità del bene scambiato e non al suo valore monetario.

Imposte sui monopoli fiscali e sul lotto. Tra queste è importante, per il suo gettito, l'imposta sui tabacchi. Le imposte sui monopoli sono le più antiche forme di entrate degli Stati. Il loro ruolo è diminuito nel tempo ed oggi hanno una funzione marginale.

Vi sono poi imposte indirette che confluiscono nel bilancio degli Enti territoriali. Tra queste spicca l'Irap, la tassa automobilistica regionale e le addizionali sulla benzina e sul gas e sul consumo di energia elettrica.

L’imposta plurifase sul valore aggiunto (Iva)

L’imposta plurifase sul valore aggiunto è il metodo attualmente adottato dalla normativa tributaria italiana e da quella dei suoi principali partner commerciali europei.

Il soggetto passivo riscuote dal cliente a cui vende il bene o servizio un’imposta lorda e da essa sottrae l’imposta ata per gli acquisti necessari alla produzione versando allo Stato la differenza. Poiché in Italia è concessa la detraibilità dell’Iva ata sui beni di investimento, l’Iva tassa di fatto il consumo.

L’Iva è la seconda imposta per gettito del sistema tributario italiano. L’aliquota normale è del 20%, ma vi sono due aliquote ridotte del 4% per beni di prima necessità e del 10%. L’aliquota più bassa si applica ai beni di prima necessità. Essa permette di realizzare un moderato effetto di progressività.

È previsto poi un regime speciale per l’agricoltura: per i produttori agricoli è previsto un regime speciale che prevede la determinazione forfetaria della detrazione Iva sugli acquisti.

Sono previsti infine una serie di regimi forfetari. Ad un primo regime possono accedere le imprese e i lavoratori autonomi che abbiano un fatturato inferiore a 185.924,48 euro. In questo caso i contribuenti godono di agevolazioni nella tenuta della contabilità fiscale. Vi sono poi regimi semplificati per le imprese e i lavoratori di dimensioni ancora minori. Per questi è prevista la determinazione semplificata dei costi o anche il calcolo forfetario dell’imposta.

Il gettito è ottenuto in modo frazionato dalle imprese, che in senso economico svolgono il ruolo di agenti riscossori per conto dello Stato. La somma che ogni impresa versa allo Stato è definito in funzione del valore aggiunto realizzato dall’impresa medesima. Il gettito finale che affluisce allo Stato sarà pari alla somma di tutte le imposte versate dalle imprese. Formalmente quindi le imprese sono i soggetti passivi dell’imposta, ma non necessariamente esse sono anche i soggetti su cui grava l’onere economico dell’imposta. La legge istitutiva dell’Iva prevede infatti l’obbligo della rivalsa da parte dell'impresa sul proprio cliente: ad ogni scambio sottoposto ad imposizione nella fattura di vendita deve essere indicata la componente del prezzo che corrisponde all’Iva fatta are dal venditore al compratore. In normali condizioni di mercato i soggetti che sostengono l’onere dell’imposta sono i consumatori finali, ovvero coloro che non avendo possibilità di vendere il bene acquistato (e quindi di trasferire sul prezzo l’onere dell’imposta), non possono rivalersi su alcun soggetto per il amento dell’imposta ata sul valore del bene acquistato.

La teoria economica ha messo in luce che l’onere effettivo dell’imposta dipende dall’ampiezza del processo di traslazione, ovvero dalla capacità dell’impresa di trasferire sui prezzi e/o sui salari il peso dell’imposta.

Al fine di contenere il fenomeno dell'evasione dell'imposta che è ritenuta molto alta sono stati introdotti una serie di strumenti, la cui efficacia non è stata sempre alta. Tra di essi si possono ricordare: i documenti di trasporto per i beni viaggianti, la ricevuta fiscale, l'introduzione dei registratori di cassa e dello scontrino fiscale.

L’abolizione delle dogane tra i paesi membri dell’Ue ha reso necessaria l'introduzione di un meccanismo di amento dell’Iva basato sull’autodichiarazione da parte del fornitore, che pone seri problemi di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria. L’efficacia del sistema dei controlli sulle autodichiarazioni è uno dei problemi dell’applicazione dell’imposta. La sua soluzione dipende dall’efficacia del coordinamento delle Amministrazioni finanziarie dei diversi paesi europei.

La fatturazione

La fatturazione IVA è regolata dall’art.21 del D.P.R. 633/72. La fattura deve tassativamente contenere le seguenti indicazioni (in caso contrario è possibile che gli Organi preposti al controllo sollevino eccezioni formali e sostanziali):

descrizione dei soggetti tra i quali viene effettuata l’operazione (denominazione, sede legale, p.Iva o in mancanza codice fiscale);

natura, quantità e qualità dei beni e/o servizi oggetto dell’operazione;

corrispettivo dell’operazione stessa;

eventuali sconti e/o abbuoni;

indicazione dell’aliquota iva (se operazione imponibile) cui si assoggetta il corrispettivo.

La fattura si emette in duplice esemplare dal soggetto cedente al momento dell’effettuazione dell’operazione. ½ sono deroghe alla obbligatorietà della emissione della fattura, tra cui:

i commercianti al minuto (emettono generalmente scontrino);

le prestazioni alberghiere (emettono ricevuta);

le agenzie di viaggio;

i rivenditori ambulanti di rottami.

Attenzione: la condizione di esonero opera a condizione che il cessionario / committente non richieda la fattura.

In particolari casi è posto in capo al cessionario / committente l’obbligo di emettere fattura, che in tal caso assumerà la denominazione di autofattura. Formalmente è una fattura a tutti gli effetti, sempre regolata dalle norme ex art.21 Dpr 633/72, ma è obbligatoria quando:

  • Non si riceve fattura entro 4 mesi dalla data di effettuazione dell’operazione;
  • Si riceve una fattura irregolare (ad esempio emessa come non imponibile ed invece assoggettabile ad imposta);
  • Si acquista da produttori agricoli in regime di esonero;
  • A fronte di prestazioni , territorialmente effettuate nello Stato ex art.7 Dpr 633/72, da soggetti non residenti (cioè che non hanno la sede legale in Italia, né hanno provveduto a nominare un rappresentante fiscale nel nostro Paese);
  • Quando i beni acquistati nella sfera dell’impresa professionale, passano al godimento personale dello stesso (autoconsumo).

Si emette in duplice esemplare, l’iva relativa deve essere versata entro 30 gg. dal quarto mese e deve essere annotata nel registro Iva acquisti. In caso di mancata emissione di autofattura o di omessa regolarizzazione di fatture ricevute, il cessionario ai sensi dell’art.6, comma 8 del Dlgs 471/97 è responsabile di tale violazione ed è punito con la sanzione amministrativa pari al 100% dell’imposta non regolarizzata.

Nei casi in cui, a richiesta del cliente, viene emessa la fattura, per una prestazione ove normalmente viene emessa la ricevuta fiscale, detta fattura prende il nome di fattura-ricevuta fiscale. Conterrà tutti gli elementi previsti dall’art.21 del Dpr 633/72 e, a differenza della semplice ricevuta fiscale, conterrà i dati relativi all’imponibile e all’imposta relativa (in pratica è una ricevuta fiscale con lo scorporo del corrispettivo ato). Particolare importante, la numerazione delle stesse deve essere apposta dal soggetto emittente e non può essere sostitutiva della numerazione impressa dalla tipografia (Dm 2.7.1980).

Quando con una singola fattura si comprendono più beni ad aliquote diverse, le stesse vanno indicate distintamente per ciascuna aliquota.

Qualora invece, sono indicati in fattura beni e/o servizi non assoggettabili ad Iva, deve sempre essere indicato il titolo di non imponibilità o di esenzione (Cir. Min. 22.5.1981, n.18).

Non è soggetta ad imposta di bollo la fattura per operazioni non imponibili; al contrario lo è per le fatture esenti e/o escluse.

Gli esercenti arti e professioni possono emettere una notula, a bollettario madre e lia, con le indicazioni previste dall’art.21 del Dpr 633/72, e con l’espressa dicitura che la presente non costituisce fattura, fino a quando la prestazione non viene ottemperata dal cliente. In quel momento, verrà emessa la fattura vera e propria.

Acconti e caparra confirmatoria

Gli acconti vanno sempre fatturati al momento del amento parziale limitatamente all’importo ato (Cass. N.6010 del 12.11.81, Ris. Min. 29.11.1974, n.504195). La fattura di saldo sarà emessa per l’intero importo della transazione, e a dedurre, sempre in fattura, gli acconti precedentemente fatturati. Diverso il caso delle somme versate a titolo di caparra. Infatti, la stessa costituisce, a norma dell’art.1385 C.C., somma versata non come anticipazione sul prezzo di vendita, bensì come eventuale risarcimento del danno in caso di inadempienza contrattuale. Ovviamente, l’importo imputato a titolo di caparra, deve essere espressamente indicato nel contratto. La caparra, esula dalla sfera di applicazione dell’imposta, soltanto se non viene considerata quale anticipazione di prezzo; in tal caso, è un acconto a tutti gli effetti e pertanto soggiace a fatturazione (valga per tutti la Ris. Min. 19.05.1977, n.411673).

Fatturazione differita

E’ consentita per le cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulti da documento di trasporto o altro documento idoneo ad identificare i soggetti tra i quali è effettuata l’operazione. A decorrere dall’1.10.1997, va emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di consegna o spedizione. Va registrata entro lo stesso termine ma con riferimento al mese di consegna o spedizione. Deve contenere anche l’indicazione della data e del numero dei documenti stessi.

Fatture per operazioni inesistenti

Qualora venga emessa fattura per operazioni totalmente o parzialmente inesistenti (cd fatture gonfiate), l’art.21, comma 7 del Dpr 633/72, statuisce che l’imposta è dovuta per l’intero ammontare o per quello corrispondente alla maggiorazione inesistente. L’imposta di cui alle fatture predette non è ovviamente detraibile.

Registrazione delle fatture (art.23 dpr 633/72)

Si deve provvedere alla registrazione delle fatture nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione. Entro:

15 giorni dalla data di emissione;

la fine del mese in cui sono state emesse, relativamente alle fatture differite;

la fine del mese successivo, per fatture emesse da sedi secondarie che non provvedono direttamente;

60 giorni per le registrazioni con macchine elettrocontabili decorrenti dalla data di emissione delle fatture (Cir. Min. n.503028 del 16.09.1975).

Altre imposte sui consumi

I diritti doganali

Sono tali tutti quei diritti che la dogana è tenuta, in base alla legge, a riscuotere in relazione alle operazioni doganali. Tra i diritti doganali assumono particolare rilievo i diritti di confine (che comprendono i dazi di esportazione e quelli di importazione), i diritti di monopolio, le sovraimposte di confine etc.

Si tratta, dunque, di un gruppo di entrate con diverse caratteristiche ma con una matrice comune: sono prelevate all’atto delle operazioni doganali. Il presupposto per l’obbligazione tributaria doganale è dato:

per le merci estere, dalla loro destinazione al consumo nel territorio doganale italiano;

per le merci da esportare, dalla destinazione al consumo in uno Stato estero.

Soggetti passivi obbligati al amento dei diritti doganali sono il proprietario (cioè colui che presenta la merce in dogana o la detiene all’atto dell’importazione) e tutti i soggetti per conto dei quali la merce viene esportata o importata.

A seguito di presentazione della dichiarazione doganale è dovuto il amento dei tributi in parola calcolati in base alla apposita tariffa doganale

Le imposte di fabbricazione

Le imposte di fabbricazione colpiscono, nella fase della produzione, una serie di merci tassativamente indicate dalla legge. Attualmente scontano tali imposte: la birra, gli spiriti, gli olii minerali, i fiammiferi. I soggetti passivi percossi sono i produttori di tali materie, anche se il tributo viene in realtà ad incidere sul consumatore finale. In corrispondenza di ciascuna imposta di fabbricazione lo Stato, per garantire l’uguaglianza del prelievo fiscale, istituisce particolari sovraimposte di confine su analoghi prodotti importati. Nel corso del ’95 l’intera normativa è stata accorpata in un testo unico sulle accise che disciplina l’imposizione indiretta sulla produzione e sui consumi, escluse quelle sui tabacchi e sui fiammiferi.

Monopoli fiscali

Lo Stato interviene in particolari settori economici in cui intende esercitare in modo esclusivo la produzione e/o la vendita di determinati beni o servizi, vietando a terzi l’esercizio di tali attività. Scopo del monopolio fiscale è essenzialmente quello di assicurare all’erario il conseguimento di entrate, realizzando proventi attraverso la limitazione dell’attività privata e la vendita di prodotti o servizi. La somma che il privato deve corrispondere per acquistare tali beni (o servizi) supera l’effettivo costo di produzione sostenuto dallo Stato: la parte eccedente il costo è perciò comprensiva dell’utile industriale e dell’imposta. Attualmente in Italia costituiscono monopoli fiscali quelli relativi alla fabbricazione dei tabacchi, all’esercizio del gioco del lotto e delle lotterie nazionali, all’esercizio dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici.

Le imposte sui trasferimenti di ricchezza

L’imposta di registro

L’imposta di registro colpisce gli atti posti in essere dai contribuenti in quanto produttivi di effetti giuridici. Sono soggetti a tassazione: gli atti scritti di qualsiasi natura (negoziale, amministrativa, giudiziaria); determinati contratti verbali; alcune operazioni societarie; atti formati all’estero. Il D.P.R. 131/86 individua due distinte categorie di contribuenti:

  1. soggetti obbligati alla richiesta di registrazione (parti contraenti, notai, pubblici ufficiali, cancellieri);
  2. soggetti obbligati al amento (parti contraenti, parti in causa, pubblici ufficiali che hanno ricevuto, redatto o autenticato gli atti).

Gli atti sono soggetti a tassazione in base alle distinte aliquote indicate nella tariffa allegata al D.P.R. 131/86. La registrazione può essere: a termine fisso, se è stabilito un termine dalla formazione dell’atto entro cui si è obbligati a chiedere la registrazione; in caso d’uso, se l’atto deve essere registrato quando viene depositato; volontaria, per gli atti per i quali non si è obbligati alla registrazione. La base imponibile è il corrispettivo dichiarato nell’atto ovvero il corrispettivo pattuito tra le parti. Per gli immobili e le aziende la base imponibile è costituita invece dal valore venale del bene che costituisce l’oggetto dell’atto registrato.

È previsto, infine, che le procedure relative alla registrazione degli atti riguardanti diritti sugli immobili, alla trascrizione, all’iscrizione e all’ammortamento nei registri immobiliari, possano essere effettuate con procedure telematiche. In tali ipotesi le richieste di registrazione andranno presentate su di un modello unico informatico, da trasmettere telematicamente assieme a tutta la documentazione necessaria.

L’abrogata imposta sulle successioni e donazioni

L’imposta sulle successioni e sulle donazioni si applicava:

  1. ai trasferimenti di beni o di diritti per successione mortis causa;
  2. ai trasferimenti di beni o diritti realizzati mediante atti di donazione o liberalità.

In realtà si tratta di due distinte imposte, unificate a seguito della riforma tributaria dal D.P.R. 637/72, poi sostituito dal D.Lgs. 346/90. L’imposta ha subito, inoltre, una profonda trasformazione ad opera della L. 21-l1-2000, n. 342 (collegato alla finanziaria 2000) che ne ha ridisegnato le modalità applicative ed infine è stata soppressa dalla L. 383/2001.

Presupposto del tributo era, per l’imposta sulle successioni, la semplice apertura della successione, a prescindere dall’accettazione dell’eredità da parte dell’erede.

Soggetti passivi erano i chiamati all’eredità, i legatari (limitatamente ai beni loro legati) ed i donatari; chi ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario era obbligato al amento dell’imposta solo nei limiti del valore della propria quota ereditaria. La base imponibile era costituita dalla differenza tra il valore venale complessivo dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario ovvero tra il valore complessivo dei beni e diritti oggetto di donazione e l’ammontare complessivo delle passività deducibili. Per l’imposta sulle donazioni il presupposto era dato dalla stipula dell’atto.

La nuova tassazione delle liberalità

L’imposta sulle donazioni non è stata in realtà soppressa completamente per cui occorre fare una distinzione basata sul grado di parentela intercorrente tra il donante e il beneficiario, e sul valore del bene oggetto di donazione.

L’abolizione dell’imposta risulta assoluta per “i parenti stretti”, ossia il coniuge, i parenti in linea retta, i parenti fino al quarto grado; per i soggetti diversi dai “parenti stretti”, invece, solo se l’ammontare della quota loro spettante è inferiore a euro 180.759,91. L’atto di donazione è soggetto a imposta solo se si verificano entrambe le seguenti condizioni:

  1. i  beneficiari sono soggetti diversi dai parenti stretti;
  2. il valore della quota spettante a ciascun soggetto risulta superiore a euro 180.759,81.

In questa ipotesi si applicano, sulla parte di valore che supera tale importo, le aliquote previste per le operazioni a titolo oneroso.

L’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili (INVIM)

L’imposta ha ad oggetto l’incremento di valore degli immobili e si applica in caso di alienazione a titolo oneroso, di acquisto a titolo gratuito, anche per causa di morte, del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento su un bene immobile.

L’imposta di bollo

È un’imposta indiretta cartolare che si applica su atti (contenenti istanze, convenzioni, contratti etc.), documenti e registri indicati nella tariffa allegata al decreto istitutivo del tributo. Non tutti gli atti sono soggetti al amento dell’imposta di bollo: sono infatti previsti casi di esenzione totale e casi di atti che scontano il tributo solo in caso d’uso. A differenza dell’imposta di registro che colpisce la potenzialità giuridica dell’atto, l’imposta di bollo colpisce la forma scritta del negozio, astraendo dal suo contenuto. L’obbligazione tributaria può essere adempiuta:

in modo ordinario, facendo uso dell’apposita carta filigranata e bollata;

in modo straordinario, mediante marche da bollo, visto per bollo e bollo a punzone;

in modo virtuale, attraverso il amento all’ufficio del registro e ad altri uffici autorizzati oppure con un versamento in conto corrente postale.

Tuttavia, con il D.Lgs. 9/00, è stato stabilito il amento in misura forfettaria di L. 320.000 sugli atti relativi a diritti sugli immobili sottoposti a registrazione con procedure telematiche.

Le tasse governative

Le tasse governative colpiscono determinati atti amministrativi (concessioni, dichiarazioni, autorizzazioni, istanze, permessi) che consentono agli interessati l’esercizio di diritti e facoltà. Soggetti passivi sono tutti coloro ai quali vengono rilasciati i citati atti. A seconda dei casi il tributo è dovuto in occasione dell’emanazione dell’atto, in seguito al rinnovo dello stesso, per l’espletamento di formalità per il visto o la vidimazione.

Il decentramento tributario

La crescente consapevolezza della necessità di responsabilizzare gli enti locali che erogano spese, attribuendo loro entrate autonome e definendo di conseguenza vincoli di bilancio più chiari entro i quali operare, ha condotto ad un processo di riforma, che ha investito per primi i comuni. Nel 1993 è stata introdotta l’Ici, l’Imposta comunale sugli immobili, un tributo patrimoniale reale. L’ampliamento dell’autonomia tributaria regionale è stato di più complessa attuazione, per due motivazioni principali:

la quasi inesistente esperienza amministrativa delle regioni nell’accertamento e nella gestione dei tributi;

la dimensione della spesa sanitaria, che da sola rappresenta circa l’80% della spesa complessiva delle regioni a statuto ordinario.

Il decentramento tributario a livello regionale ha conosciuto una forte accelerazione solo nel 1998 con l’introduzione dell’Irap, l’Imposta regionale sulle attività produttive, che ha rappresentato il primo tributo proprio delle Regioni e ha sostituito non solo i contributi sanitari, ma anche le entrate di pertinenza di altri livelli di governo (l’Ilor, l’Imposta patrimoniale sulle imprese, la tassa di concessione governativa sulla partita Iva, l’Iciap e le tasse di concessione comunali).

Ll’Ici e l’Irap hanno effettivamente ampliato in misura notevole l’autonomia tributaria dei Comuni e delle Regioni.

L’Ici

L'Ici costituisce la principale fonte di gettito dei Comuni. Il presupposto dell’Ici è il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. La base imponibile è il valore degli immobili (determinato moltiplicando la rendita catastale per specifici fattori di moltiplicazione), delle aree fabbricabili (definito dal mercato) e dei terreni agricoli (calcolato a partire dal reddito dominicale). L'aliquota è determinata annualmente dal Comune, in misura compresa fra il 4 e il 7 per mille. In assenza di delibera comunale, si applica l'aliquota del 4 per mille. Per esigenze particolari possono essere oltrepassati i limiti del 4 e del 7 per mille. Sono possibili differenziazioni di aliquote (ad esempio nei confronti delle seconde case). Trattamenti particolari (esenzioni o riduzioni d'imposta) sono previsti per i terreni agricoli montani, gli immobili pubblici, i fabbricati inagibili. L'Ici non è deducibile dall'imponibile Ire e Ires, mentre lo è dall’Irap.

L’Irap

L’Irap colpisce il valore aggiunto nazionale (salari e stipendi, profitti, rendite e interesse passivi). L’introduzione dell’Irap ha determinato importanti cambiamenti nella struttura e nella composizione delle entrate pubbliche. Con l'Irap il legislatore si è proposto di perseguire molteplici risultati:

realizzare una significativa semplificazione nella tassazione del reddito d’impresa;

superare il metodo contributivo nel finanziamento della sanità;

creare un’imposta regionale in grado di generare le risorse finanziarie necessarie al finanziamento del decentramento fiscale;

ottenere, tramite l’ampliamento della base imponibile, un significativo abbassamento del costo del lavoro e una riduzione del cuneo fiscale che grava sul reddito da lavoro.

Il raggiungimento di tutti gli obiettivi prospettati è alquanto complesso. Per quanto riguarda la razionalizzazione della tassazione del reddito d’impresa, la sostituzione di sei tributi con una sola imposta ha rappresentato un significativo avanzamento verso la semplificazione della tassazione del reddito d’impresa. Uno degli obiettivi più importanti connessi all’introduzione dell’Irap doveva essere la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro. L’Irap è un’imposta reale. Il suo presupposto è lo svolgimento abituale di un’attività diretta alla produzione, allo scambio di beni oppure alla prestazione di servizi. I soggetti passivi sono gli imprenditori individuali, le società di capitali, gli enti commerciali, le società di persone e le società equiparate a società di persone, gli esercenti arti e professioni, gli enti pubblici, i produttori agricoli titolari di reddito agrario. La base imponibile è molto ampia ed è costituita (come si è detto sopra) dal valore aggiunto della produzione al netto degli ammortamenti, realizzato nel territorio regionale. La deducibilità degli ammortamenti comporta una differenziazione rispetto alla definizione di valore aggiunto in senso proprio e testimonia la volontà di favorire gli investimenti. L’elevata dimensione della base imponibile ha consentito di realizzare un gettito rilevante senza imporre aliquote elevate. La base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore della produzione e quello di alcuni costi intermedi di produzione. Le principali componenti positive sono i ricavi, le variazioni delle rimanenze e dei lavori in corso; le principali componenti negative sono i costi di acquisto delle materie prime, delle merci e i costi di ammortamento. Non sono invece considerati componenti negative i costi del personale, le collaborazioni coordinate e continuative e la spesa per interessi passivi. Questa scelta ha una spiegazione economica: in termini aggregati il valore aggiunto può essere misurato come differenza tra ricavi e costi oppure come somma delle remunerazioni corrisposte ai fattori che contribuiscono alla creazione del prodotto lordo. Le remunerazioni dei fattori sono pari alla somma dei profitti (remunerazione del capitale di rischio), dei salari (remunerazione del lavoro) e degli interessi attivi (remunerazione del capitale finanziario). La scelta del legislatore di non ammettere la deducibilità dei salari e degli interessi passivi dalla base imponibile dell’Irap ata dalle imprese è discesa dalla volontà di tassare tutto il valore aggiunto netto nel momento della sua formazione nell’impresa e quindi prima della sua distribuzione ai fattori che lo determinano. In altri termini i redditi non sono tassati in capo al percettore, ma nel momento della loro formazione nell’impresa. L’aliquota d’imposta ordinaria è stata fissata al 4,25%. Le Regioni possono variare l'aliquota, in più o in meno, fino ad un punto percentuale. La variazione dell’aliquota potrà essere differenziata in base al settore di attività e alla categoria del soggetto passivo. In coerenza con quanto previsto dal progetto di riforma fiscale, nel 2003 è stata prevista una prima parziale riduzione dell'Irap.

Le addizionali all'Ire

Il processo di decentramento tributario ha comportato l'introduzione di addizionali all'Ire a favore di Regioni, Province e Comuni. Si distingue una componente obbligatoria, definita dal livello centrale e cui corrisponde un'uguale riduzione delle aliquote nazionali, e una componente facoltativa, che gli enti territoriali possono adottare autonomamente, entro limiti fissati dal livello centrale e senza corrispondente riduzione delle aliquote erariali. Le addizionali Ire sono pari a 0,9 punti percentuali obbligatori (+ 0,5 punti facoltativi) per le Regioni. Per i Comuni la variazione massima dell’aliquota di tecipazione è pari al 0,2% annuo e, complessivamente, l’incremento non può eccedere lo 0,5% in un triennio. L’addizionale Ire a favore delle Province è soggetta a un regime transitorio. Le addizionali sono applicate all'imponibile al lordo della deduzione per la No Tax Area. Dal 2003 sono stati sospesi tutti gli aumenti delle addizionali all'Ire, in attesa della definizione dei meccanismi di attuazione del federalismo fiscale.

I documenti fiscali di controllo

La bolla di accomnamento ed il documento di trasporto

Fino al 27 settembre 1996 la bolla di accomnamento doveva obbligatoriamente accomnare ogni bene viaggiante a qualsiasi titolo (vendita, deposito etc.). In seguito all’approvazione del D.P.R. 472/96 è obbligatoria solo se i beni ceduti o spediti a qualsiasi titolo siano tabacchi, fiammiferi, prodotti soggetti a particolari imposte o vigilanza.

Per tutte le altre merci, come strumento semplificatorio degli adempimenti tributari e allo scopo di armonizzare la nostra legislazione a quella degli altri paesi della Comunità Europea, è stato introdotto il documento di trasporto o consegna.

Quest’ultimo è un documento che deve essere emesso dall’azienda venditrice prima dell’inizio del trasporto o della consegna dei beni, nell’ipotesi in cui la fattura non sia rilasciata immediatamente. Deve essere redatto in duplice copia (un esemplare da conservare e l’altro da trasmettere alla controparte), secondo uno schema libero, senza vincoli di forma, di dimensioni e di tracciato.

La ricevuta fiscale

La ricevuta fiscale è un documento sul quale si attestano le prestazioni effettuate e l’importo versato dai beneficiari di tali prestazioni.

È prevista in via obbligatoria, quale strumento di controllo fiscale, per alcune categorie di contribuenti che effettuano specifiche cessioni di beni e/o prestazioni di servizi. Tali soggetti, infatti, devono emettere la ricevuta fiscale per tutte quelle operazioni commerciali per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura.

Dall’1-l-l993 è in uso un unico modello di ricevuta fiscale (cd. ricevuta fiscale unificata); tuttavia, per evitare aggravi economici alle categorie interessate, in luogo del nuovo modello unificato si è consentito l’utilizzo degli stampati relativi alle ricevute fiscali o fatture - ricevute fiscali conformi alla precedente modulistica, fino ad esaurimento delle scorte.

La ricevuta fiscale unificata deve contenere le seguenti indicazioni:

numerazione progressiva prestampata, attribuita dalla tipografia autorizzata a stampare i suddetti modelli;

data dell’operazione;

ditta, denominazione o ragione sociale, ovvero nome e cognome se persona fisica, domicilio fiscale e numero di partita IVA dell’emittente, nonché l’ubicazione dell’esercizio in cui viene esercitata l’attività e sono conservati i documenti previsti dal citato decreto;

natura, qualità e quantità dei beni e servizi che sono oggetto dell’operazione;

ammontare dei corrispettivi dovuti comprensivi dell’imposta sul valore aggiunto.

Le copie delle ricevute fiscali vanno conservate fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’emissione.

Dal 21-2-1997, in seguito all’emanazione del D.P.R. 696/96, è operante la piena alternatività tra ricevuta e scontrino anche ai fini della documentazione delle spese sostenute e quindi ha perso di significato la prevista opzione del rilascio della ricevuta fiscale in luogo dello scontrino (e viceversa) per alcune categorie di soggetti.

Lo scontrino fiscale

Lo scontrino è un documento fiscale, stampato da macchina elettrocontabile, che deve essere rilasciato da particolari categorie di contribuenti, per rendere immediato il controllo da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria.

Lo scontrino deve indicare:

la ditta, denominazione o ragione sociale ovvero cognome e nome del rivenditore;

il numero di matricola del registratore di cassa;

il numero di partita IVA del rivenditore nonché l’ubicazione del negozio;

il numero progressivo dello scontrino con relativa data e ora di emissione;

l’ammontare dei corrispettivi e dell’intera operazione.

L’emissione dello scontrino è obbligatoria per i soggetti che svolgono le attività di cessione di beni, in locali aperti al pubblico o in spacci interni, per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura, nonché per le imprese che esercitano l’attività di somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi per cui non sia obbligatoria l’emissione della ricevuta fiscale.

Tale obbligo deve essere adempiuto utilizzando solo gli strumenti indicati dalla legge: registratori di cassa, terminali elettronici, bilance elettroniche dotate di stampante.

Dall’1-l-l993 sono sottoposti all’obbligo di rilascio dello scontrino anche coloro che effettuano operazioni di commercio su aree pubbliche ai sensi della L. 112/91 (cd. ambulanti) per i quali è prevista la possibilità di emettere scontrino manuale o prestampato a tagli fissi a particolari condizioni.

Il D.P.R. 696/96 ha dettato numerose norme di semplificazione in materia di obblighi di certificazione dei corrispettivi tra cui l’introduzione della piena alternatività tra ricevuta e scontrino ai fini della documentazione delle spese sostenute.

SOMMARIO

Nozioni Generali.

Le entrate tributarie.



Le tasse.

Le imposte.

I contributi

I monopoli fiscali

Principi costituzionali

Altre fonti del diritto tributario.

Le leggi tributarie regionali

Le fonti Internazionali

L’efficacia della norma tributaria nel tempo e nello spazio.

L’amministrazione finanziaria..

In particolare: l’Agenzia delle entrate.

Uno strumento per ridurre il contenzioso: l’autotutela.

I soggetti passivi d’imposta..

La capacità giuridica e la capacità di agire in materia tributaria.

Il domicilio fiscale.

L’anagrafe tributaria.

Il sostituto d’imposta.

Il responsabile d’imposta.

La liquidazione dell’imposta, i controlli e l’accertamento..

I regimi contabili ai fini delle imposte dirette.

Il regime di contabilità ordinaria.

Imprese.

Esercenti arti e professioni

Il regime di contabilità semplificata.

Imprese.

Esercenti arti o professioni

Il regime supersemplificato.

Il regime forfetario per imprenditori individuali e lavoratori autonomi

Il regime forfetario per gli enti non commerciali

Il regime per le attività marginali

Il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo.

La dichiarazione.

La dichiarazione delle persone fisiche.

La dichiarazione delle società di persone.

La dichiarazione delle persone giuridiche.

La dichiarazione dei sostituti d’imposta.

L’assistenza fiscale.

Correzione ed integrazione delle dichiarazioni

La riscossione ed i rimborsi

I versamenti diretti

Il conto fiscale.

L’iscrizione nei ruoli

Il credito d’imposta.

Le compensazioni d’imposta.

I rimborsi

I controlli fiscali

Il controllo formale.

L’accertamento nei confronti delle persone fisiche.

Il redditometro.

L’accertamento nei confronti di possessori di reddito d’impresa e di lavoro autonomo.

L’accertamento con adesione.

Il concordato preventivo e gli studi di settore.

Il condono.

Le agevolazioni tributarie e le esenzioni fiscali

Le sanzioni tributarie.

Il ravvedimento.

I reati tributari

L’elusione fiscale.

L’interpello.

Il contenzioso tributario..

La competenza delle Commissioni

Gli atti impugnabili

Assistenza tecnica.

Forma ed elementi del ricorso.

Termini di proposizione del ricorso.

Sospensione dell’atto impugnato.

La costituzione in giudizio.

Le regole per il deposito dei documenti

I 'motivi' e il divieto delle 'memorie integrative'

Trattazione del ricorso e notifica della sentenza.

Pagamenti e rimborsi

L’imposizione diretta e indiretta..

La riforma fiscale.

Le imposte dirette.

L’imposta sul reddito delle persone fisiche: dall’IRPEF all’IRE..

Le categorie di reddito nell’Ire.

Redditi fondiari

Redditi di capitale.

Redditi di lavoro dipendente.

Redditi da lavoro autonomo.

I redditi di impresa.

I redditi diversi

La determinazione dell’imposta.

Le deduzioni dall'imponibile.

L’imposta lorda.

Le detrazioni di imposta.

L’imposta sul reddito delle società (IRES)

La tassazione degli utili nel sistema tributario italiano.

Le opzioni della trasparenza fiscale e del consolidato fiscale.

La participation exemption.

Le ritenute sui dividendi distribuiti

Le imposte indirette.

L’imposta plurifase sul valore aggiunto (Iva)

La fatturazione.

Acconti e caparra confirmatoria.

Fatturazione differita.

Fatture per operazioni inesistenti

Registrazione delle fatture (art.23 dpr 633/72)

Altre imposte sui consumi

I diritti doganali

Le imposte di fabbricazione.

Monopoli fiscali

Le imposte sui trasferimenti di ricchezza.

L’imposta di registro.

L’abrogata imposta sulle successioni e donazioni

La nuova tassazione delle liberalità.

L’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili (INVIM)

L’imposta di bollo.

Le tasse governative.

Il decentramento tributario..

L’Ici

L’Irap.

Le addizionali all'Ire.

I documenti fiscali di controllo..

La bolla di accomnamento ed il documento di trasporto.

La ricevuta fiscale.

Lo scontrino fiscale.

SOMMARIO..





La differenza fondamentale tra un’imposta reale e un’imposta personale è individuata dal diverso presupposto: la percezione di un reddito o di un patrimonio nel caso delle imposte reali, la percezione di un reddito o di un patrimonio “da parte di un determinato soggetto” nel caso di quelle personali. Il passaggio da un sistema di imposte reali ad uno di imposte personali nelle moderne economie trova una spiegazione nell'evoluzione della loro struttura economico-sociale e nel cambiamento degli obiettivi perseguiti tramite il sistema tributario. L’imposta personale sul reddito a differenza delle imposte reali: 1) non attua discriminazioni nel trattamento fiscale riservato a individui con medesimo livello di reddito, ma con diversa composizione dello stesso; 2) realizza la personalizzazione dell’imposta, ovvero consente al sistema tributario di modulare l’onere dell’imposta in relazione alle caratteristiche socio-economiche (carichi familiari, lavoro autonomo, dipendente, spese sanitarie, di istruzione, etc.) del contribuente. Gli strumenti utilizzati a questo fine sono le detrazioni dall'imposta e le deduzioni dalla base imponibile.

In Italia l’imposta progressiva realizza la progressività grazie a un sistema di aliquote crescenti sulle classi di reddito e ad un sistema di deduzioni dal reddito e di detrazioni dall’imposta per carichi di lavoro e famiglia. Gli scaglioni e le aliquote marginali del 2003 sono descritte dalla tabella:

Scaglioni Aliquota marginale:

fino a 15.000    23%

oltre 15.000 fino a 29.000 29%

oltre 29.000 fino a 32.600 31%

oltre 32.600 fino a 70.000 39%

oltre 70.000 45%

Consideriamo un individuo con reddito imponibile pari a 26.000 euro. L’imposta che questo individuo dovrà are è pari a T=0,23 (26.000-l5.000)=6.640. L’aliquota marginale è il 29%, quella media (il rapporto tra l’imposta di 6.640 e il reddito imponibile di 26.000) è il 25,5%.

Con i redditi da capitale, cominciamo ad allontanarci dalla nozione di reddito complessivo che in teoria dovrebbe essere alla base di un’imposta personale quale l’IRPEF. Infatti in Italia i redditi da capitale percepiti dalle persone fisiche hanno un trattamento particolare, cioè vengono tassati tramite una ritenuta alla fonte (applicando un’aliquota del 12,5 o del 27%) che sino ad ora poteva essere d’acconto o definitiva, stava al contribuente scegliere (fermo restando che le persone fisiche imprenditori erano obbligati alla scelta della ritenuta d’acconto). Se sceglieva la tassazione come ritenuta d’acconto, poi il reddito da capitale confluiva nel complesso dei suoi redditi entrando a far parte della base imponibile per calcolare l’imposta dovuta (e rispettando, così, il principio della tassazione sul reddito complessivo), ma poi il contribuente aveva diritto al riconoscimento di un credito d’imposta, in base al principio di evitare la doppia tassazione, dato che questi redditi da capitale vengono già tassati alla fonte in capo alla società che li produce con l’IRPEG; ma in pratica quasi tutti i non imprenditori sceglievano la tassazione con ritenuta definitiva, così che questi redditi vengono normalmente tassati separatamente, non entrano a far parte della base imponibile complessiva sfuggendo così alla progressività dell’imposta, ma non danno neanche diritto al credito d’imposta perché non vengono dichiarati nell’IRPEF. La riforma prevede l’abolizione del credito d’imposta sugli utili distribuiti dalle società, perciò ormai l’unico sistema per le persone fisiche non imprese resta quello della tassazione alla fonte con ritenuta definitiva, mentre per le imprese è prevista una esenzione parziale di questi redditi (il 60% è esente) al posto del credito d’imposta soppresso. Le aliquote previste erano due: 12,5% sui titoli di stato, dividendi su azioni e interessi su obbligazioni; 27% su redditi di conti correnti, depositi bancari e postali. Oggi l’aliquota resta per tutti quella minima del 12,5%. Una ragione del regime sostitutivo dei redditi da capitale sta nel fatto che questi sono molto più facilmente occultabili dei redditi da lavoro, il fisco, quindi, si ac-contenta di tassarli (poco) alla fonte rinunciando alla progressività. L’altra ragione di una tassazione favorevole dei redditi da capitale sta nel fatto che lo stato ha avuto il problema del finanziamento del deficit di bilancio ed emettendo titoli del debito pubblico in quantità invogliava i sottoscrittori prima con una totale esenzione dall’imposta sugli interessi dei titoli, poi (dal 1986) una tassazione molto “soffice” con l’aliquota ridotta. Dal punto di vista economico, si tratta di una situazione ingiusta sul piano distributivo (nella misura in cui i redditi da capitale sono più concentrati tra i ricchi che tra i poveri) e dannosa sul piano dell’occupazione (perché se un paese tassa meno il capitale, per procurarsi il gettito di cui ha bisogno dovrà tassare di più il lavoro scoraggiando le assunzioni e mantenendo alta la disoccupazione).

La “no tax area” si può definire come quella parte di reddito che non viene sottoposta a tassazione. Si tratta, dunque, di una fascia di esenzione assoluta dall’Irpef. A tutti i contribuenti, a prescindere dalla tipologia di reddito posseduto, viene riconosciuta una “deduzione teorica base” dal reddito complessivo di 3.000 euro. Tale importo aumenta:

di 4.500 euro per i lavoratori dipendenti

di 4.000 euro per i pensionati

di 1.500 euro per i lavoratori autonomi e i titolari di redditi di impresa minore.

Questa ulteriore deduzione va rapportata al periodo di lavoro o pensione nell’anno, tranne che per i titolari di reddito di lavoro autonomo o di impresa minore per i quali si applica a prescindere dal periodo di attività svolta nell’anno. Le suddette cifre rappresentano il massimo importo deducibile; tale importo però diminuisce all'aumentare dei redditi. La Legge Finanziaria ha previsto un meccanismo un po’ macchinoso per il calcolo della deduzione effettivamente spettante: la deduzione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra NUMERATORE: l'ammontare di 26.000 euro, aumentato delle deduzioni sopra indicate e degli oneri deducibili di cui all'art. 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, e diminuito del reddito complessivo e del credito d'imposta su utili distribuiti da società ed enti (generalmente i dividendi) E DENOMINATORE: l'importo di 26.000 euro. Se il predetto rapporto è maggiore o uguale a uno, la deduzione compete per intero; se il risultato è zero o minore di zero, la deduzione non compete. Negli altri casi, ai fini del predetto rapporto, si computano le prime quattro cifre decimali. Alcuni esempi per chiarire la questione.

Un contribuente titolare di reddito di lavoro dipendente con 18.000 Euro di reddito complessivo e 2.000 Euro di oneri deducibili dovrà eseguire il seguente rapporto: al numeratore: 26.000 (importo fisso) + 7.500 (deduzione spettante:3.000 fisse + 4.500 perché lavoratore dipendente per l'intero anno) + 2.000 (oneri deducibili) - 18.000 (reddito complessivo) = 20.500 Euro; al denominatore 26.000 Euro (importo fisso). Si calcola il rapporto così ottenuto 20.500 diviso 26.000 = 0,6731.

Spetta quindi il 67,31% della deduzione intera di 7.500 Euro, cioè 5.048,25 Euro.

Un contribuente titolare di reddito di lavoro dipendente con 30.000 Euro di reddito complessivo e oneri deducibili di 2.000 Euro. Il numeratore del rapporto: 26.000+7.500+2.000-30.000 = 5.500. Il denominatore è sempre 26.000. Il rapporto sarà 5.500 diviso 26.000 = 0,2115. Spetta quindi il 21,15% della deduzione intera di 7.500 Euro, cioè 1.586,25 Euro.

Come già ricordato sopra, da questi esempi si evince che più aumenta il reddito più cala la deduzione fino a sparire; per i dipendenti il beneficio viene pressoché azzerato oltre i 33.500 Euro di reddito complessivo (26.000+7.500). La Legge Finanziaria ha anche introdotto la cosiddetta 'clausola di salvaguardia': nessuno, applicando le nuove regole, dovrà are più di quanto avrebbe dovuto versare sulla base delle regole vigenti al 31 dicembre 2002.






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