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NOZIONI PRELIMINARI - Caratteri della norma giuridica. Il principio di eguaglianza - Il diritto privato

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NOZIONI PRELIMINARI

L'ordinamento giuridico

L'ordinamento giuridico

Ogni società, ogni aggregazione umana non può vivere senza un complesso di regole che disciplinano i rapporti tra le persone. L'ordinamento giuridico è costituito dal complesso di norme e di istituzioni mediante le quali viene regolato e diretto lo svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli. Non ogni forma di collaborazione umana dà luogo ad una 'collettività'. Questa qualifica dev'essere riservata ai soli agglomerati di persone che costituiscono un gruppo organizzato. Per avere un gruppo organizzato occorrono tre condizioni:

a)  che il coordinamento degli apporti individuali venga disciplinato da regole di condotta;

b)  che queste regole non siano poste ed applicate in via transitoria o per una sola occasione, e siano decise da appositi organi in base a precise regole di struttura;



c)  che tanto le regole di condotta quanto quelli di struttura vengano effettivamente osservate.

Il sistema di regole, modelli e schemi mediante i quali è organizzata una collettività viene chiamato 'ordinamento'; qualsiasi ordinamento non è un dato obiettivo fisso bensì è il risultato dei comportamenti dei membri della collettività. Un ordinamento giuridico si dice originario quando la sua organizzazione non è soggetta ad un controllo di validità da parte di un'altra organizzazione.

La norma giuridica

L'ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole; ciascuna di esse si chiama norma giuridica. Essa non va mai confusa con la norma morale. I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano fonti. Non bisogna, inoltre, confondere il concetto di norma giuridica con quello di legge; la legge è un atto normativo che contiene norme giuridiche. Accanto a norme aventi forza di legge, cioè gerarchicamente superiori, ogni ordinamento conosce altre norme giuridiche frutto di altri atti normativi (regolamenti, ordinanze, contratti).

Diritto positivo e diritto naturale

Il complesso delle norme rappresenta il diritto positivo di quella società, ma esiste pure il diritto naturale inteso come matrice dei singoli diritti positivi. Il concetto di diritto evoca quello di giustizia.

La sanzione

Secondo un'antica concezione, le norme giuridiche si caratterizzano per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) o sarebbero garantite dalla predisposizione, per l'ipotesi di trasgressione, di una conseguenza in danno del trasgressore, chiamata sanzione. Accanto a norme di condotta (dette primarie), il legislatore prevede una reazione dell'ordinamento (norme sanzionatorie o secondarie) da fare scattare in caso di inosservanza del comportamento prescritto. La sanzione può operare in modo diretto (realizzando il risultato che la legge prescrive) o in modo indiretto: in questo caso l'ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l'osservanza della norma.

Caratteri della norma giuridica. Il principio di eguaglianza

I caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono la generalità e l'astrattezza dei relativi precetti. Con il carattere della generalità s'intende sottolineare che la legge non dev'essere dettata per i singoli individui bensì per tutti; con il carattere dell'astrattezza s'intende sottolineare che la legge non dev'essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie (stato di cose) astratte, ossia per situazioni individuate ipoteticamente. Più importante è diventata l'esigenza del rispetto del 'principio di eguaglianza', che è solennemente proclamato da una tra le più importanti delle disposizioni della nostra carta costituzionale. Dal principio di eguaglianza va distinto il principio dell'imparzialità, ossia l'obbligo di applicare le leggi in modo eguale, senza arbitrarie differenziazioni di trattamento a favore o a danno dei singoli interessati. Nell'articolo 3 della costituzione è codificato il vero principio di eguaglianza, che ha due profili:

a)  il primo è di carattere formale, ed importa che 'tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali';

b)  il secondo è di carattere sostanziale, ed impegna la Repubblica a 'rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana'.

L'equità

La norma giuridica avente forza di legge contiene la previsione astratta di una situazione - tipo. L'equità è stata definita la giustizia del singolo caso. Nel diritto privato, il ricorso all'equità è ammesso solo in casi eccezionali e precisamente in quelli in cui la stessa norma giuridica rinvia all'equità. In tutte le altre ipotesi la norma deve essere rigorosamente applicata.


Il diritto privato

Diritto pubblico e diritto privato

Una distinzione tradizionale è quella tra diritto pubblico e diritto privato. Il diritto privato, è innanzitutto diritto, cioè parte dell'ordinamento, e quindi il complesso di norme dettate cercando di avere presenti gli interessi di tutta la società. Il diritto pubblico disciplina l'organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione, interna e di fronte ai privati, e dispone a questi ultimi il comportamento cui sono tenuti. Il diritto privato, invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali, sia dei singoli sia degli enti privati. La linea di demarcazione tra diritto pubblico e diritto privato è variabile.

Distinzione tra norme cogenti e norme derogabili

Le norme di diritto privato si distinguono in derogabili (o dispositive) e cogenti (o inderogabili); si dicono cogenti quelle norme la cui applicazione è imposta dall'ordinamento prescindendo dalla volontà dei singoli; derogabili le norme la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo degli interessati. ½ sono inoltre le norme suppletive, le quali sono destinate a trovare applicazione solo quando i soggetti privati non abbiano provveduto a disciplinare un determinato aspetto della fattispecie. Le norme di diritto pubblico sono quasi sempre cogenti e le norme di diritto privato sono per la maggior parte derogabili.

Fonti delle norme giuridiche

Per 'fonti' legali di 'produzione' delle norme giuridiche si intendono gli atti e i fatti che producono o sono idonei a produrre diritto. Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di 'cognizione', ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo. Le fonti si possono distinguere in materiali (atti o fatti produttivi di norme generali ed astratte) e formali (atti o fatti che producono diritto). Rispetto a ciascuna fonte, quando si tratta di un atto si può distinguere:

  • l'autorità investita dal potere di emanarlo (il parlamento, il governo);
  • il procedimento formativo dell'atto (ad esempio il procedimento di emanazione di una legge costituzionale);
  • il documento normativo;
  • i precetti ricavabili dal documento.

Nel nostro paese la gerarchia delle fonti viene così ricostruita:

a)  alla sommità della scala si collocano principi definiti 'supremi' o 'fondamentali', da cui discendono i diritti 'inviolabili';

b)  seguono le disposizioni della carta costituzionale italiana;

c)  le leggi statali ordinarie.

Le leggi statali ordinarie sono approvate dal parlamento con una particolare procedura disciplinata dalla carta costituzionale. Una legge ordinaria non può né modificare la costituzione o altra legge di rango costituzionale, né contenere disposizioni in contrasto con norme costituzionali. A presidio di questa rigidità della nostra carta costituzionale, è stato istituito un apposito organo, la corte costituzionale, cui è affidato il compito di controllare se le disposizioni di una legge ordinaria siano in conflitto con norme costituzionali. La legge ordinaria può modificare o abrogare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre non può essere modificata o abrogata se non da una legge successiva. Ha valore prevalente rispetto alle stesse leggi ordinarie statali tutta la normativa comunitaria (ossia quella che si chiamava comunità economica europea e che è diventata Unione europea). Subordinate alle leggi si possono avere altre fonti di diritto: i 'regolamenti', le 'norme corporative' e gli 'usi' (o consuetudini).

Il Codice Civile

Tra tutte le leggi ordinarie, speciale rilievo hanno quelle leggi che vengono definite 'codici' (abbiamo il codice civile, il codice penale, il codice di procedura civile, il codice di procedura penale, il codice della navigazione). Il termine codice ha molteplici significati: nel linguaggio giuridico indica una raccolta di materiali informativi. Oggi il codice non è più la 'raccolta di leggi', bensì una legge del tutto nuova, che si caratterizza per le note dell'organicità (un intero settore dell'esperienza giuridica), della sistematicità (coordinamento logico della disciplina adottata), della semplicità e chiarezza, dell'abrogazione di tutto il diritto precedente, dell'accentramento delle soluzioni nell'intero territorio contemplato, della facilità nella consultazione. Il codice civile nei paesi di 'diritto privato' riveste un ruolo di centralità: regolano i soggetti (sia le persone fisiche sia quelle giuridiche), i beni (la proprietà), l'attività, nonché i principi sulla responsabilità civile. Il primo grande codice di diritto privato è stato il 'codice civile dei francesi' emanato nel 1804 che favorì la diffusione dei principi dell'uguaglianza tra i cittadini e della libertà di iniziativa economica dei privati. Nel nostro paese, dopo l'unificazione del regno d'Italia, fu emanato il codice civile del 1865, ispirato a quello francese. Anche i codici, venendo approvati con leggi ordinarie, possono essere sempre modificati o abrogati con leggi ordinarie successive.

La consuetudine

Il diritto consuetudinario riceve scarsissima attenzione. Questo atteggiamento è giustificato dall'importanza del tutto secondaria che la consuetudine riveste. Si ritiene che una consuetudine (uso) sussista ricorrendo:

  • la ripetizione di un certo tipo di comportamento osservabile;
  • un atteggiamento interiore.

Per intendere adeguatamente la nozione di consuetudine occorre cogliere il punto di equilibrio, di bilanciamento, fra usus e opinio. Sussiste una consuetudine se:

la ripetizione generale e costante di un certo tipo di comportamento produce la convinzione che esso costituisca uno standard vincolante di condotta;

  • la convinzione che il tipo di comportamento che costituisce uno standard vincolante di condotta produce la sua ripetizione generale costante.

In dottrina si usa distinguere tre tipi di consuetudini:

    1. si dicono consuetudini secundum legem quelle che operano in accordo con la legge;
    2. si dicono consuetudini praeter legem quelle che operano al di là della legge;
    3. si dicono consuetudini contra legem quelle che operano contro la legge.

La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla costituzione. Essa costituisce fonte del diritto in virtù di una disposizione di rango legislativo; la consuetudine è fonte subordinata alla legge, e può operare solo nei limiti in cui la legge lo consente.


Efficacia temporale delle leggi

Entrata in vigore della legge

Per l'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede, oltre all'approvazione da parte delle due camere:

  1. la promulgazione della legge da parte del presidente della Repubblica;
  2. la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale;

c.   il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla pubblicazione all'entrata in vigore, e che è di regola di quindici giorni.

Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa obbligatoria per tutti, anche per chi non ne abbia conoscenza. Vale il principio per cui nessuno può invocare a propria scusa per evitare una sanzione di avere ignorato l'esistenza di una legge.

Abrogazione della legge

Una disposizione di legge viene abrogata quando un nuovo atto dispone che ne cessi l'efficacia (anche se una norma, pur dopo abrogata può continuare ad essere applicata ai fatti verificatisi anteriormente). Per abrogare una disposizione occorre l'intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico; una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore. L'abrogazione può essere tacita o espressa. Si ha l'abrogazione espressa quando la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge anteriore; si ha l'abrogazione tacita se manca una dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti, oppure costituiscono una regolamentazione dell'intera materia già regolata dalla legge precedente. Fenomeno simile, rispetto all'abrogazione, è la deroga, che si ha quando una nuova norma sostituisce, ma solo per casi specifici, la disciplina prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi. Un'altra ura di abrogazione espressa è il referendum popolare; la proposta di abrogazione si considera approvata se alla votazione partecipano la maggioranza degli aventi diritto.

Irretroattività della legge

L'articolo 11, comma 1 delle preleggi stabilisce che 'la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo'. Si dice retroattiva una norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche concrete verificatesi in momenti anteriori alla sua entrata in vigore. L'irretroattività della legge deve considerarsi il principio di civiltà giuridica. Nel nostro ordinamento soltanto la norma penale non può essere retroattiva: 'nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui commesso, non costituiva reato'. Ogni altra norma può essere anche retroattiva. Efficacia retroattiva hanno le leggi 'interpretative', ossia le leggi emanate per chiarire il significato di norme antecedenti.

Successione di leggi

L'applicazione del principio dell'irretroattività non è sempre agevole. In alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la vecchia legge e quella nuova, con specifiche norme che si chiamano disposizioni transitorie. Può avvenire che il legislatore non abbia previsto alcuni casi, e allora sorgono delle questioni che vengono designate come questioni di diritto transitorio, o di conflitto di leggi, o di successione di leggi nel tempo. A questo proposito, sono state sostenute due teorie:

  1. la legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che, cioè, sono già entrati nel patrimonio di un soggetto (teoria del diritto quesito);
  2. la legge nuova non estende la sua efficacia ai fatti definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge precedente, ancorché dei fatti stessi siano pendenti gli effetti (teoria del fatto compiuto).

Quest'ultima teoria è la più seguita.


L'applicazione e l'interpretazione della legge

L'applicazione della legge

Per applicazione della legge si intende la concreta realizzazione di quanto è ordinato dalle regole. Se si tratta di norme di organizzazione, la loro applicazione consiste nella creazione degli organi previsti e nel loro funzionamento; se si tratta di norme di condotta, la loro applicazione consiste nel non fare ciò che è proibito e nel fare ciò che è doveroso. La maggior parte delle liti che insorgono quotidianamente non vengono portati all'esame del giudice e quindi si può avere:

  1. rinuncia alla lite da parte di uno dei litiganti, che accetta il punto della controparte;
  2. transazione, ossia un accordo con quale le parti compongono la lite facendosi reciproche concessioni rispetto agli iniziali punti di vista;
  3. compromesso, ossia accordo per deferire alla soluzione della controversia ad uno o più arbitri privati.

Ciascuna delle parti, se non vuole lasciare insoluta la lite, ha sempre il diritto di rivolgersi ai giudici; di fronte all'iniziativa giudiziale, il convenuto può assumere uno dei seguenti atteggiamenti:

  1. non costituirsi in giudizio, rinunciando a difendersi;
  2. costituirsi in giudizio per opporsi all'accoglimento della domanda dell'attore. Le ragioni su cui il convenuto si fonda per chiedere la reiezione delle domande attrici si chiamano eccezioni e possono essere 'di fatto' o 'di diritto';

c.   costituirsi in giudizio per proporre a sua volta delle domande inconvenzionali contro l'attore.

Per risolvere sia le questioni di fatto sia le questioni di diritto è indispensabile aver individuato la disposizione da applicare e averla 'interpretata'.

L'interpretazione della legge

Interpretare un testo normativo non vuol dire solo accertare (conoscere) quanto il testo in sé già esprime, bensì decidere (scegliere) che cosa si ritiene che il testo effettivamente possa significare. Va respinta l'idea secondo cui di ogni disposizione una sola sarebbe l'interpretazione 'esatta', essendo ogni altra 'erronea' (o falsa). Di ogni disposizione normativa possono ammettersi 'letture' plurime. Le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto fra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità. Nell'interpretazione della legge non rientrano soltanto l'attività interpretativa in senso stretto, ma altre operazioni, quali la ricerca e l'individuazione della norma da applicare, l'integrazione della legge, l'analisi dei comportamenti. Dal punto di vista dei soggetti che svolgono l'attività interpretativa si suole distinguere tra interpretazione giudiziale, dottrinale ed autentica. L'interpretazione giudiziale ha di fatto una notevole autorità a causa delle tendenze alla consolidazione della giurisprudenza; ciò non svaluta l'importanza dell'interpretazione dottrinale, che è costituita dallo studio dei cultori delle materie giuridiche; non costituisce vera attività interpretativa l'interpretazione autentica, ossia quella che proviene dallo stesso legislatore.

Le regole dell'interpretazione

L'indagine dell'interprete non può limitarsi alla lettura della legge. Si tenta di individuare non 'l'intenzione' (soggettiva), ma lo 'scopo' (obiettivo). Altri criteri cui l'interprete si rivolge sono:

  1. il criterio logico, attraverso l'argomentum a contrario (volto ad escludere dalla norma quanto non vi appare espressamente compreso); l'argomentum a simili (volto ad estendere la norma per comprendervi anche fenomeni simili a quelli risultanti dal contenuto letterale della disposizione); l'argomentum fortiori (volto ad estendere la norma in modo da includervi fenomeni che a maggior ragione meritano il trattamento riservato a quello risultante dal contenuto letterale della disposizione); l'argomentum ad absurdum (volto ad escludere quell'interpretazione che dia luogo ad una norma assurda);
  2. il criterio storico;
  3. il criterio sistematico;
  4. il criterio sociologico;
  5. il criterio equitativo, volto ad evitare interpretazioni che contrastino col senso di giustizia della comunità.

L'analogia

È impossibile che il legislatore, per quanto possa essere attento, riesca a disciplinare l'intero ambito dell'esperienza umana; il giudice si trova spesso di fronte a problemi che nessuna norma prevede (le lacune dell'ordinamento); perciò l'articolo 12, comma 2 delle preleggi, prevede che il giudice possa procedere applicando 'per analogia' le disposizioni che regolino casi simili o materie analoghe. Ciò significa applicare ad un caso non ha regolato una norma non scritta ricordata da una norma scritta, la quale risulta dettata per regolare un caso diverso ma simile a quello da decidere. Il ricorso all'analogia è sottoposto a dei limiti: l'analogia non è consentita per le leggi penali, né per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.


I conflitti di leggi nello spazio

Il diritto internazionale privato

Gli ordinamenti primitivi sono caratterizzati dal principio di 'territorialità': il diritto vigente in ciascun ordinamento si applica a tutti, cittadini e stranieri, che si trovino nel territorio ove quel ordinamento è in vigore. Questo principio vige ancora per il diritto pubblico, per le norme di polizia e per il diritto penale, ma non per il diritto privato. In ciascun paese vengono elaborate norme di diritto internazionale privato, ossia regole che stabiliscono quale tra le varie leggi nazionali vada applicata in ogni singola ipotesi, scegliendo la legge vigente nello stato ove il rapporto appaia meglio 'focalizzato'. Occorre chiarire:

  1. che il diritto internazionale privato non è, in realtà, davvero un diritto internazionale, perché è un diritto interno;
  2. che il diritto internazionale privato non abbraccia solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma comprende pure altri tipi di rapporti, e tra questi quelli di tipo processuale;
  3. che il diritto internazionale privato è costituito non da norme materiali, bensì da regole strumentali, che si limitano ad individuare a quale ordinamento debba farsi capo per giungere a stabilire come quel rapporto vada disciplinato.

L'importanza del diritto internazionale privato è cresciuta a causa del continuo incremento dell'internazionalizzazione, dell'aumento della mobilità delle persone fisiche, dell'imponente sviluppo del commercio internazionale.

Qualificazione del rapporto e momenti di collegamento

Per stabilire quale sia l'ordinamento da applicare occorre procedere alla qualificazione del rapporto in questione evidenziandone la natura. Può accadere che i singoli ordinamenti seguano identici criteri nel classificare i rapporti giuridici, ed allora ci si chiede a quale ordinamento si deve procedere per la qualificazione di ciascun rapporto. Compiuta la qualificazione del rapporto si procede ad un'ulteriore operazione: occorre cioè che la norma di diritto internazionale privato precisi un elemento del rapporto per elevarlo a momento di collegamento, ossia a momento decisivo per l'individuazione dell'ordinamento competente a regolare il rapporto in oggetto.

Il limite dell'ordine pubblico

L'articolo 31 delle preleggi disponeva che 'in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente o le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all'ordine pubblico o al buon costume'. Questa norma è stata abrogata dall'articolo 73 della legge 218/ 95. L'articolo 16, comma 1 di tale legge ribadisce che la legge straniera non può essere applicata 'se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico': si tratta di una formulazione attenta ai risultati concreti cui potrebbe condurre la loro applicazione nel caso di specie. Il secondo comma aggiunge che nel caso operi il ricordato limite della contrarietà all'ordine pubblico, si deve tentare di applicare la legge richiamata 'mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa'.

I vari momenti di collegamento

Per quanto riguarda la 'capacità giuridica delle persone fisiche' si applica la lex originis, ossia la legge nazionale della persona (articolo 20). Se ha più cittadinanze si applica la legge di quello tra gli stati con il quale ha il collegamento più stretto (articolo 19). La 'capacità di agire delle persone fisiche' è regolata dalla loro legge nazionale (articolo 23). Gli enti, società, associazioni, fondazioni, 'sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione" (articolo 25). Per quanto riguarda il matrimonio, si distingue tra:

  • la 'capacità matrimoniale' e le 'altre condizioni per contrarre matrimonio', che sono regolate dalla 'legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio' (articolo 27);
  • la forma del matrimonio (articolo 28), per la quale vale 'la legge del luogo di celebrazione';
  • i 'rapporti personali tra coniugi' (articolo 29);
  • i 'rapporti patrimoniali tra coniugi' (articolo 30);
  • la 'separazione personale' e lo 'scioglimento del matrimonio' cui si applica la 'la legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione' (articolo 31).

Lo stato di lio è determinato dalla 'legge nazionale del lio al momento della nascita' (articolo 33). Le condizioni per il riconoscimento 'sono regolate dall'articolo 35'. I rapporti personali patrimoniali tra genitori e li dall'articolo 36. L'adozione è regolata la 'dal diritto nazionale dell'adottato o degli adottanti se comune, o dal diritto dello Stato nel quale i adottanti sono residenti' (articolo 38). La successione mortis causa 'è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte' (articolo 46). Per i beni mobili si applica la lex reisitae (articolo 51). Per i beni immateriali si applica la legge dello Stato di utilizzazione (articolo 54).

La condizione dello straniero

Tra gli stranieri occorre distinguere i cosiddetti 'cittadini comunitari' dai cosiddetti 'extracomunitari'. Ai cittadini comunitari non solo va riconosciuto, senza possibilità di discriminazioni, il godimento degli stessi diritti civili attribuiti al cittadino nazionale, ma spettano perfino alcuni limitati diritti politici, quali il voto nelle elezioni comunali. Anche agli extracomunitari, peraltro, è applicabile sia il 'diritto d'asilo', sia all'inammissibilità della estradizione 'per reati politici'. Inoltre ' allo straniero sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti'. Nei casi in cui sia prevista la cosiddetta condizione di 'reciprocità ', ossia la concessione di un diritto allo straniero a condizione che nella medesima fattispecie ad un italiano, nel paese di cui quello straniero è cittadino, di quel diritto sarebbe parimenti riconosciuto, la ricorrenza di tale reciprocità dev'essere accertata secondo criteri e modalità da statuirsi in un apposito regolamento di attuazione.


L'ATTIVITÀ GIURIDICA


Il rapporto giuridico

Il rapporto giuridico

Le norme si riferiscono ad azioni tra soggetti rilevanti per l'ordinamento. Il diritto si riferisce sempre a rapporti tra soggetti. Tali rapporti prendono il nome di rapporti giuridici. Il diritto soggettivo viene definito come la capacità di agire per il soddisfacimento del proprio interesse, mentre il diritto oggettivo è il regolamento dei rapporti giuridici. Il soggetto può essere attivo, ovvero colui a cui l'ordinamento giuridico attribuisce il potere, oppure passivo, ovvero colui a carico del quale sta il dovere. Le persone tra le quali intercorre il rapporto giuridico sono definite "parti"; "terzo", invece, chi non è soggetto o parte del rapporto.

Situazioni soggettive attive

Con l'attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione dell'interesse del singolo al quale, al tempo stesso, si riconosce una situazione di libertà. Il diritto soggettivo è il potere di agire per il soddisfacimento del proprio interesse, protetto dall'ordinamento giuridico. Mentre l'esercizio del diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che ritiene più opportuni, l'esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine della cura dell'interesse altrui. Le facoltà (o diritti facoltativi) sono, invece, manifestazioni del diritto soggettivo che non hanno carattere autonomo, ma sono in esso comprese. Così costituisce una delle estrinsecazioni del potere di escludere gli altri dal godimento della cosa. Non è ammessa la prescrizione estintiva delle sole facoltà: solo la prescrizione del diritto determina necessariamente la prescrizione della facoltà di cui il diritto stesso consta. Può avvenire che l'acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi successivi. Se di questi alcuni si siano verificati ed altri no, si ha la ura dell'aspettativa. L'aspettativa è perciò un interesse preliminare del soggetto, tutelato in via provvisoria strumentale, ossia quale mezzo al fine di assicurare la possibilità del sorgere dei diritti. Questa situazione è anche chiamata fattispecie a formazione progressiva, per dire che il risultato si realizza per gradi, progressivamente (prima l'aspettativa, poi il diritto). Status è una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell'individuo in una collettività. Lo status può essere di diritto pubblico (lo stato di cittadino) o di diritto privato (stato di lio, di coniuge).

L'esercizio del diritto soggettivo

Colui al quale l'ordinamento giuridico attribuisce il diritto soggettivo si chiama titolare del diritto medesimo. Esercizio del diritto soggettivo è l'esplicazione dei poteri di cui il diritto soggettivo consta. L'esercizio del diritto soggettivo dev'essere distinto dalla sua realizzazione, che consiste nell'attuazione, nella soddisfazione dell'interesse protetto. La realizzazione dell'interesse può essere spontanea o coattiva: quest'ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi che l'ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo. La legge è intervenuta, nelle ipotesi di maggior rilievo, con il divieto degli atti di emulazione e delle immissioni, a temperare con criteri di socialità e di solidarietà l'esercizio del diritto di proprietà.

Categorie di diritti soggettivi

La prima classificazione dei diritti soggettivi è fra i diritti assoluti, che garantiscono al titolare un potere che egli può far valere verso tutti, e diritti relativi, che gli assicurano un potere che egli può far valere solo nei confronti di una o più persone determinate. Tipici diritti assoluti sono i diritti reali e cioè diritti su una cosa. La categoria dei diritti relativi si riferisce in primo luogo ai diritti di credito; quella dei diritti assoluti non comprende solo i diritti reali ma anche cosiddetti diritti della personalità. Il rovescio, sia del diritto di credito che del diritto reale, è costituito dal dovere. ½ sono tuttavia ipotesi nelle quali al potere di una persona non corrisponde alcun dovere, ma solo uno stato di soggezione. Questa considerazione permette di individuare un ulteriore categoria di diritti soggettivi: la categoria dei diritti potestativi. Essi consistono nel potere di operare il mutamento della situazione giuridica di un altro soggetto. Il diritto potestativo si esercita con la dichiarazione del titolare del potere a lui attribuito, indirizzata al soggetto passivo (dichiarazione recettizia). In una situazione di soggezione, basta l'iniziativa del titolare perché si abbia la realizzazione dell'interesse tutelato: perciò esercizio e realizzazione del diritto coincidono; il comportamento del soggetto passivo è irrilevante.

Gli interessi legittimi

Quando una norma disciplina un rapporto fra il cittadino ed una pubblica amministrazione, il rapporto che ne discende si conura come giuridico. Si parla in tal caso di norme di relazione. Più frequenti, peraltro, sono le cosiddette norme di azione che regolano, cioè, il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Da queste norme non derivano, per i privati interessati alla loro osservanza, diritti soggettivi, perché quelle norme non sono destinate ad essi, ma soltanto a disciplinare l'attività pubblica. È chiaro, peraltro, che tutti i cittadini hanno un generico interesse all'osservanza di tutte le norme dettate per il funzionamento dei pubblici poteri. In taluni casi l'osservanza di una disposizione viene ad interessare determinati individui non più genericamente quali cittadini, bensì specificamente come portatori di interessi coinvolti dall'azione pubblica. In questi casi al privato viene riconosciuto uno specifico potere di controllo della regolarità dell'azione pubblica ed un potere di impugnativa degli atti eventualmente viziati. La situazione giuridica dei portatori di tale interesse qualificati è definita come 'interesse legittimo'.

Situazioni di fatto

Quelle che abbiamo esaminato sono le situazioni giuridiche legittime ossia le situazioni conformi alle previsioni dell'ordinamento e alle regole da esso stabilite. Ma l'ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il dolo altrui anche la situazione di fatto in cui il soggetto può trovarsi rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti.

Situazioni soggettive passive (dovere, obbligo, soggezione, onere)

Mentre le altre le abbiamo già viste, ci occupiamo in questa sede della ura dell'onere, che ricorre quando ad un soggetto è attribuito un potere, ma l'esercizio di tale potere è condizionato ad un adempimento (che però, essendo previsto nell'interesse dello stesso soggetto, non è obbligatorio e quindi non prevede sanzioni per l'ipotesi che resti inattuato).


Il soggetto del rapporto giuridico: la persona fisica

La capacità giuridica

Tutti gli uomini sono 'persone', idonee in tutto, ed in modo eguale fra loro, ad essere titolari di diritti e di doveri, ed anzi necessariamente titolari, per il solo fatto di nascere. La capacità giuridica è l'idoneità a divenire titolari di diritti e di doveri e nel nostro ordinamento, per le persone fisiche, è attribuita dal legislatore per il fatto solo della nascita. ½ è dunque l'attribuzione al concepito sia della capacità di succedere, sia della capacità di ricevere donazioni; giuridicamente, dunque, la capacità di diventare titolare di diritti si può acquistare soltanto a partire dalla nascita.

Inammissibilità di limitazioni della capacità giuridica individuale

L'articolo 3 della costituzione esclude tassativamente che possano giustificarsi discriminazioni, per ragioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Nondimeno, sono tuttora individuabili ure di limitazione della capacità giuridica, come nel caso dello straniero, che come ricordato è ammesso a godere dei diritti civili 'a condizione di reciprocità', cioè nei limiti in cui lo Stato di appartenenza dello straniero riconoscerebbe gli stessi diritti ad un cittadino italiano.

La capacità di agire

Per capacità di agire s'intende l'idoneità a compiere validamente atti giuridici che consentano al soggetto di acquisire ed esercitare diritti o di assumere e adempiere obblighi. Se la persona fisica è incapace di agire, occorre che altri provvedano per lui alla cura dei suoi interessi (il padre e la madre, ovvero un tutore). Ricorre in tal caso il fenomeno della rappresentanza legale. Peraltro numerosi atti, definiti personalissimi, non possono essere compiuti tramite rappresentanti: così, ad esempio, il testamento ed il matrimonio.

La minore età

La legge fissa con criterio generale un'età, uguale per tutti, al cui il raggiungimento si reputa che ciascuno sia capace di assumere validamente ogni decisione che lo riguarda. Gli atti posti in essere da un minorenne sono, di regola, annullabili, a meno che il minore abbia, non soltanto dichiarato falsamente di essere maggiorenne, ma addirittura abbia con raggiri occultato la sua minore età. L'atto annullabile può essere impugnato dal rappresentante legale del minore o dallo stesso minorenne quando sia divenuto maggiorenne. Non può mai , viceversa, essere impugnato dalla controparte maggiorenne (si parla perciò di negozi claudicanti).

Interdizione giudiziale

Sebbene legalmente capace, una persona può ben essere di fatto in una situazione di incapacità di rendersi adeguatamente conto del valore degli atti che compie. Si parla in tal caso di incapacità naturale. Se un maggiorenne si trova in condizioni di abituale infermità di mente tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi, possono richiederne l'interdizione. L'interdizione determina una situazione di incapacità legale identica a quella in cui si trova il minore, cosicché gli atti eventualmente compiuti dall'interdetto sono annullabili. L'incapacità derivante da interdizione cessa per effetto della sentenza di revoca dell'interdizione, pronunziata quando sia cessata la causa che vi ha dato luogo. Da ciò che precede si comprende la ragione per cui, per designare l'incapacità di cui si parla, si utilizza l'espressione 'interdizione giudiziale'.

Interdizione legale

Il codice penale prevede un altro caso di incapacità di agire, come pena accessoria di una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni: per indicare questa ipotesi si parla di interdizione legale.

L'incapacità naturale

Sebbene le persone legalmente capaci siano normalmente in grado di provvedere a se stesse, tuttavia può talvolta accadere che la persona, in realtà, non sia in grado di valutare adeguatamente le conseguenze degli atti che compie. Si dice che, in tal caso, il soggetto è affetto da incapacità naturale o di fatto. Come si vede, l'incapacità naturale può consistere sia in una condizione permanente sia in una situazione puramente transitoria: ciò che conta, affinché l'incapacità naturale assuma rilevanza, è il momento in cui un atto giuridico sia stato posto in essere. Per gli atti unilaterali, per l'invalidità dell'atto occorre, oltre all'incapacità di intendere o di volere, 'un grave pregiudizio' a danno dell'incapace; per i contratti, per l'invalidità dell'atto occorre, oltre all'incapacità di intendere o di volere, la 'mala fede' dell'altro contraente.

Incapacità relativa - Emancipazione, inabilitazione

Le incapacità legali finora esaminate si dicono assolute: ma il minore può essere talvolta emancipato o l'infermità non essere così grave da farsi luogo all'interdizione. In questa ipotesi si ha la cosiddetta incapacità relativa o parziale: il soggetto non può compiere da solo gli atti che possono incidere più sensibilmente sul suo patrimonio, ma può compiere validamente atti di ordinaria amministrazione che sono quelli che riguardano la conservazione del bene e il consumo del reddito che il bene dà. L'emancipazione può oggi essere conseguita soltanto dal minore che venga ammesso dal tribunale a contrarre matrimonio prima del compimento del diciottesimo anno. In tal caso con il matrimonio il minore risulta emancipato di diritto, ossia senza bisogno di altri provvedimenti. L'inabilitazione può essere pronunciata dal giudice nei confronti dell'infermo di mente lo stato del quale non sia talmente grave da far luogo all'interdizione. La revoca dell'inabilitazione è disposta quando cessa la causa che vi ha dato luogo.

Assistenza

All'incapacità relativa o parziale si ovvia, per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, facendo ricorso ad una ura diversa dalla rappresentanza: l'assistenza, che è affidata al curatore. Questi non si sostituisce all'emancipato o all'inabilitato, che esprimono anch'essi la loro volontà, ma integra la dichiarazione di volontà dell'uno o dell'altro.

La sede della persona

Il luogo in cui la persona vive e svolge la propria attività ha importanza per l'ordinamento giuridico. In relazione alle persone fisiche l'ordinamento giuridico prende in considerazione il domicilio (luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, anche morali e familiari), la residenza (luogo in cui la persona ha la dimora abituale) e la dimora (luogo in cui la persona attualmente si trova). Inoltre, per determinati atti od affari si può stabilire un luogo diverso (domicilio speciale) da quello in cui vi è la sede principale dei propri affari ed interessi (domicilio generale). Mentre è unico il domicilio generale, si possono avere più domicili speciali. La residenza è una situazione di fatto che può essere provata con qualunque mezzo e non soltanto con i certificati anagrafici. Il trasferimento di residenza si trova con la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona ed a quello in cui la persona si trasferisce.

Cessazione della persona fisica

La personalità giuridica dell'individuo si estingue con la morte. La letteratura medico - legale tende a considerare decisiva la morte cerebrale, consistente nell'irreversibile cessazione di ogni attività del sistema nervoso centrale. Se due persone muoiono nello stesso sinistro può avere talora rilevanza stabilire con precisione quale delle due sia morta prima.

La ssa e l'assenza

La persona ssa è la persona rispetto alla quale concorrono l'allontanamento dal luogo del suo ultimo domicilio o la sua ultima residenza, oppure la mancanza di notizie. Accertati questi requisiti, il tribunale dell'ultimo domicilio o dell'ultima residenza può nominare un curatore, il quale rappresenterà lo sso negli atti che siano necessari per la conservazione del suo patrimonio. L'assenza è la situazione che si verifica quando la ssa della persona si protrae per più tempo. Essa è dichiarata con sentenza, trascorsi due anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia della persona. Il tribunale ordina l'apertura dei testamenti, se vi sono, ed i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni. La dichiarazione di assenza, non essendo equiparata alla morte, non scioglie il matrimonio dell'assente.

La dichiarazione di morte presunta

La dichiarazione di morte presunta, che viene pronunciata con sentenza del tribunale quando la ssa si protrae per un periodo di tempo maggiore o si riconnette ad avvenimenti che fanno apparire probabile la morte, produce effetti analoghi a quelli prodotti dalla morte: gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni; il coniuge può contrarre un nuovo matrimonio. Essa, tuttavia, da luogo soltanto ad una presunzione di morte, quindi se la persona ritorna o se ne prova l'esistenza, recupera i beni nello stato in cui si trovano ed ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati, il nuovo matrimonio contratto dal suo coniuge è invalido. Per la dichiarazione di morte presunta occorre che siano trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia dell'assente.


Il soggetto del rapporto giuridico: la persona giuridica

Gli enti

Persone giuridiche dovrebbero essere soltanto gli enti specificamente individuati e registrati. Sennonché nella vita odierna gli organismi cosiddetti 'intermedi', diversi, cioè, sia dallo Stato che dall'individuo, tendono a moltiplicarsi, in correlazione con la maggiore complessità della vita odierna, e non soltanto sul piano economico, ma pure in tanti altri campi. La nostra carta costituzionale garantisce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente per perseguire qualsiasi fine non vietato, ed anzi, ancor più ampiamente riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo non soltanto come singolo, ma pure nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Classificazione degli enti

Gli enti si distinguono in base a numerosi criteri di classificazione, tra cui i più importanti sono i seguenti:

a)  persone giuridiche pubbliche e persone giuridiche private, o persone giuridiche 'di diritto pubblico' e persone giuridiche 'di diritto privato'. Tra le prime vi è innanzitutto lo stesso Stato e poi gli altri enti pubblici territoriali (le regioni, le province ed i comuni). Negli ultimi anni si è preferita la privatizzazione degli enti pubblici; gli enti pubblici non sono disciplinati da una normativa specifica a carattere generale, ma da regole dettate di volta in volta;

b)  enti registrati ed enti 'di fatto';

c)  enti a struttura associativa (con la partecipazione di una pluralità di persone) ed enti a struttura istituzionale (o fondazionale), costituiti da volontà unilaterale di un costituente o fondatore;

d)  enti con finalità di lucro ed enti con finalità ideali (politiche, sindacali, culturali);

e)  nell'ambito degli enti con finalità di lucro occorre distinguere tra enti con finalità egoistiche, in cui cioè gli operatori intendono appropriarsi degli eventuali lucri ricavati, ed enti cosiddetti no profit, in cui gli operatori, invece, si impegnano a non distribuirsi gli utili, ma a reinvestirli nell'impresa o a destinati ad altri scopi non lucrativi.

Le più importanti ure di enti sono: le società, le associazioni, le fondazioni e le organizzazioni di volontariato.

Autonomia patrimoniale della persona giuridica

Elemento caratteristico fondamentale della persona giuridica è la cosiddetta autonomia patrimoniale: vale a dire che il patrimonio dell'ente si distingue nettamente da quello degli associati. Per gli enti di fatto vale una cosiddetta 'autonomia patrimoniale imperfetta'. L'irresponsabilità dei singoli per le obbligazioni assunte dalla persona giuridica viene mitigata dal principio che gli amministratori di un ente sono responsabili, sia verso l'ente che verso i terzi, per i danni da essi arrecati violando i doveri inerenti alla loro carica.

Elementi della personalità giuridica

Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono, per le associazioni, una pluralità di persone e lo scopo comune; per le fondazioni, il patrimonio e lo scopo. Tuttavia perché nasca occorre il riconoscimento da parte dello Stato, concesso con un decreto del Presidente della Repubblica. Il riconoscimento può, peraltro, anche essere conferito genericamente dalla legge (riconoscimento generico) per gli enti che abbiano i requisiti dalla legge stessa determinati e dopo che siano state eseguite le formalità previste. Il codice civile stabilisce in via generale che ogni società per azioni acquista la personalità giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese. L'atto con il quale più persone decidono di dar vita a un'associazione si chiama atto costitutivo. L'atto con cui la persona separa alcuni beni dal proprio patrimonio e li destina ad uno scopo determinato si chiama negozio di fondazione: esso è un negozio unilaterale. La vita e l'attività della persona giuridica sono regolate da un atto che si chiama statuto. Il controllo e la vigilanza da parte dell'autorità amministrativa si realizzano nel potere di modificazione del fine della fondazione quando questo sia esaurito, impossibile o inutile; nel potere di coordinamento di ogni singola fondazione con altre o in quello di raggruppamento amministrativo quando il patrimonio sia divenuto insufficiente; e ancora nel potere di nomina, revoca e sostituzione degli amministratori fuori dei casi previsti dallo statuto e di scioglimento degli organi sociali e di nomina di commissari straordinari o liquidatori.

Capacità e formazione della volontà della persona giuridica

La persona giuridica ha una capacità giuridica più limitata dalle persona fisica. Essa può essere titolare di alcuni diritti personalissimi (diritto al nome, integrità morale). Nella sfera dei diritti patrimoniali la persona giuridica subiva, inoltre, una notevole limitazione per evitare il fenomeno denominato un tempo mano morta e, cioè, l'accumulo presso di essa di beni, sottratti alla circolazione e, quindi, a destinazioni produttive: era richiesta infatti l'autorizzazione governativa per l'acquisto di beni immobili; ma la norma è stata abrogata. A prima vista, sembra che le persone giuridiche debbano ritenersi incapaci di agire, in quanto la loro volontà è manifestata da altri soggetti muniti di potere di rappresentanza (rappresentanza legale). Tuttavia l'organo della persona giuridica è parte della persona stessa. Nelle associazioni l'organo più importante è l'assemblea, nella quale si riuniscono gli associati su convocazione degli amministratori. Per la validità delle deliberazioni è necessaria la presenza di almeno metà degli associati (numero legale) in prima convocazione. Se non si raggiunge questo numero, occorre una seconda convocazione, nella quale possono essere prese deliberazioni qualunque sia il numero degli intervenuti; si applica per le deliberazioni il principio della maggioranza o principio maggioritario, per effetto del quale la volontà della maggioranza prevale su quello della minoranza.

La nazionalità e la sede

La nazionalità è determinata dallo Stato che ha proceduto al riconoscimento: sono, perciò, italiane le persone giuridiche che hanno ottenuto il riconoscimento in Italia. La sede è il luogo in cui la persona giuridica svolge la sua principale attività. La sede deve risultare dall'atto costitutivo e deve essere indicata nel registro delle persone giuridiche.

L'estinzione

La stessa volontà degli associati o del fondatore può preventivamente stabilire la durata della persona giuridica o le cause della sua estinzione. Perciò la persona si estingue per le cause previste nell'atto costitutivo o nello statuto. L'autorità governativa, in caso di insufficienza del patrimonio o quando lo scopo è esaurito o è diventato impossibile o di scarsa utilità, può trasformare la fondazione assegnandole un altro scopo, che si allontana il meno possibile dalla volontà del fondatore. Nelle associazioni l'estinzione si verifica anche per lo scioglimento disposto dall'assemblea o dal governo oppure quando tutti gli associati sono venuti a mancare. Per l'estinzione è necessario un provvedimento di carattere pubblico. Tuttavia esso serve soltanto a determinare il passaggio ad una fase particolare, la liquidazione, resa necessaria dall'esigenza di provvedere alla sorte dei beni che facevano parte del suo patrimonio e di definire i rapporti giuridici pendenti, che è diretto, anzitutto, a soddisfare i creditori della persona giuridica.

Le associazioni non riconosciute

Per le associazioni che non hanno ottenuto o non hanno richiesto il riconoscimento da parte dello Stato, si presuppone che lo scopo cui l'attività di queste organizzazioni è rivolta sia lecito. A queste associazioni viene riconosciuta efficacia agli accordi intervenuti tra gli associati per quanto attiene all'ordinamento interno, cioè, ai rapporti degli associati tra loro, e all'amministrazione dei beni. I contributi degli associati ed i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo comune dell'associazione: questo fondo comune è destinato a soddisfare i creditori dell'associazione. Vi è anche qui un'autonomia patrimoniale, ma imperfetta. Alle associazioni non riconosciute è attribuita la capacità processuale: esse possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo gli accordi degli associati, è conferita la presidenza o la direzione dell'associazione. L'associazione non riconosciuta non può, in quanto tale, ricevere donazioni né lasciti testamentari.

I comitati

Avviene di frequente che persone raccolgano fondi allo scopo di arrecare soccorsi in occasione di pubbliche calamità. Può, per queste finalità, essere costituita una persona giuridica e allora si applicano le regole già esaminate. Comitato è il gruppo di persone che si propongono di raccogliere i fondi. Il comitato si può costituire senza formalità, anche verbalmente. I fondi si costituiscono con le offerte dei singoli che devono considerarsi donazioni manuali e, pertanto, non sono soggette alla forma dell'atto pubblico richiesta per le donazioni. Gli organizzatori sono responsabili personalmente e solidamente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato. Anche al comitato è stata riconosciuta la capacità processuale: esso può stare in giudizio nella persona del presidente. Se i fondi raccolti sono insufficienti o lo scopo non si può attuare o vi è un residuo di fondi, sulla devoluzione dei beni provvede l'autorità governativa.


L'oggetto del rapporto giuridico

Il bene

I concetti di "bene" e di "cosa" sono spesso confusi, ma in realtà si tratta di concetti ben diversi. "Cosa" è una parte di materia ma non ogni cosa è un "bene". Secondo l'art. 810 cod. civ. "sono beni (soltanto) le cose che possono formare oggetto di diritti", e cioè quelle suscettibili di appropriazione e di utilizzo e che, perciò, possono avere un valore. In senso economico "bene" è la cosa che presenta un valore, in senso giuridico bene è non tanto la res, quanto il diritto. Nel senso ristretto il bene è oggetto (diretto) dei soli diritti reali.

Categorie di beni: corporali e immateriali

I beni oggetto dei diritti reali si caratterizzano per la loro corporeità (materialità), oltre che per la loro suscettibilità di valutazione economica. Il legislatore ricomprende tra i beni mobili le energie naturali purché anch'esse abbiano "valore economico". Molto più delicata è l'analisi relativa alla ammissibilità di beni immateriali. Tali vanno considerati gli stessi diritti quando possono formare oggetto di negoziazione. Si discute poi della conurabilità di "beni" (immateriali) con riguardo alle opere dell'ingegno (poesie, romanzo, brano musicale). Di bene, in senso economico, può parlarsi soltanto quando l'opera arrivi a formare oggetto di scambio o di sfruttamento.

Beni mobili e immobili

Fondamentale è la distinzione tra bene mobile ed immobile. Immobile è il suolo e tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Il secondo comma dell'art. 812 considera immobili (immobili per determinazione di legge) anche alcuni beni che non sono incorporati al suolo: mulini, bagni, edifici, galleggianti. Tutti gli altri beni sono mobili. Le due categorie di beni sono sottoposte ad un regime giuridico sotto vari aspetti diverso. La circolazione dei beni mobili è più semplice: gli atti di trasferimento della proprietà non sono soggetti a forma vincolata, mentre l'atto scritto per la cessione o la costruzione di qualsiasi diritto reale su un immobile. Riesce agevole per gl'immobili, annotare i trasferimenti e le loro vicende giuridiche in pubblici registri da porre i terzi in condizione di conoscerli (pubblicità immobiliare). Questo regime di pubblicità si è potuto istituire anche per alcuni mobili, detti mobili registrati.

Valori mobiliari

La necessità di assicurare adeguati controlli in ordine alla attività di emissione e distribuzione tra il pubblico di strumenti finanziari ha determinato l'individuazione di una categoria di beni da assoggettare a particolari discipline: i "valori mobiliari" o "strumenti finanziari". L'art. 1, comma 2, D.lg. 58/1998 elenca e definisce una vasta tipologia di "strumenti finanziari" (azioni ed obbligazioni emesse da società di capitali, titoli di Stato, quote di fondi comuni di investimento). Qualsiasi "sollecitazione all'investimento" per l'acquisto di strumenti finanziari, deve essere comunicata alla CONSOB, allegando un apposito "prospetto".

Beni fungibili e infungibili

Un'altra distinzione è quella tra beni fungibili e infungibili. Il bene fungibile può essere sostituito indifferentemente con un altro, in quanto non interessa avere proprio quel bene ma la stessa quantità e qualità. La fungibilità dipende dalla natura dei beni. Per adempiere l'obbligazione di dare una quantità di beni fungibili e renderne proprietaria un'altra persona, è necessaria la separazione, la quale consiste nella numerazione, nella pesatura o nella misura della parte dovuta. La distinzione tra cose fungibili ed infungibili serve anche a distinguere il mutuo dal comodato.

Beni consumabili e inconsumabili

I beni si distinguono anche in consumabili ed inconsumabili. Entrambi i termini devono essere intesi sotto il punto di vista economico. Consumabili sono quei beni che non possono prestare utilità all'uomo senza perdere la loro individualità o senza che il soggetto se ne privi (il danaro). Gli altri beni sono inconsumabili perché si deteriorano con l'uso (i vestiti). I beni consumabili possono essere goduti una sola volta e non sono suscettibili di quei rapporti con cui si concede agli altri il godimento del bene con l'obbligo di restituirlo. L'usufrutto, è un diritto reale con il quale si attribuisce il godimento di uno o più beni a persona diversa dal proprietario con l'obbligo di rispettare la destinazione economica del bene e di restituire lo stesso o gli stessi beni ricevuti, non è concepibile rispetto ai beni consumabili: rispetto a tali beni è conurabile un rapporto diverso: il quasi - usufrutto (il quasi - usufruttuario ha diritto di servirsi dei beni e deve restituirne il valore al termine dell'usufrutto). Altro aspetto della distinzione tra beni consumabili ed inconsumabili si ravvisa nella distinzione tra comodato e mutuo. Il comodato è un contratto con il quale si consegna ad una persona una cosa a titolo gratuito, perché se ne serva con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.

Beni divisibili e indivisibili

Un'altra distinzione è quella tra beni divisibili e indivisibili. Il criterio da seguire è quello della valutazione economico-sociale; divisibili sono le cose suscettibili di essere ridotte in parti omogenee senza che se ne alteri la destinazione economica (un fondo, un edificio); è indivisibile, invece, un animale vivo, un appartamento. L'indivisibilità può dipendere anche dalla volontà delle parti, che possono considerare non suscettibile di divisione anche un bene che è ritenuto divisibile.

Beni presenti e futuri

Altra distinzione notevole è quella tra beni presenti e beni futuri. Presenti sono i beni già esistenti in natura; solo questi possono formare oggetto di proprietà o di diritti reali. I beni futuri possono formare oggetto di rapporti obbligatori, per cui non si può esercitare un potere immediato su una cosa che non esiste.

I frutti

I frutti si distinguono in frutti naturali e frutti civili. I primi provengono direttamente da altro bene, vi concorra o no l'opera dell'uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i prodotti delle miniere. Perché si possa parlare di frutti, occorre che la produzione abbia carattere periodico e non incida sulla sostanza e sulla destinazione economica della cosa madre. Finché non avviene la separazione dal bene che li produce i frutti naturali si dicono pendenti. Essi sono considerati beni futuri e quindi possono formare oggetto di rapporti obbligatori. Frutti civili sono i redditi che si conseguono da un bene, come corrispettivo del godimento che ne venga concesso ad altri. I frutti civili sono quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i dividendi azionari, le rendite vitalizie, il corrispettivo delle locazioni.

Combinazione di beni

I beni possono essere impiegati dall'uomo o separatamente o collegati in modo da accrescerne l'utilità. Infatti posiamo distinguere tra cosa semplice e cosa composta. Cosa semplice è quella i cui elementi sono talmente compenetrati tra loro che non possono staccarsi senza distruggere o alterare la fisionomia del tutto (un animale, un minerale, una pianta). Cosa composta è quella risultante dalla connessione, materiale o fisica, di più cose, ciascuna delle quali potrebbe essere staccata dal tutto ed avere autonoma rilevanza giuridica ed economica (la casa). Alla cosa composta si applica il principio possesso vale titolo, che non vige invece per l'universalità di mobili.

Le pertinenze

Nella cosa composta gli elementi che la costituiscono diventano parti di un tutto, il quale non può sussistere senza di essi. Se una cosa è posta a servizio o ad ornamento di un'altra, senza costituirne parte integrante ma in modo da accrescere l'utilità, si ha la ura della pertinenza. Per la costituzione del rapporto di pertinenza occorrono sia l'elemento oggettivo (rapporto di servizio o ornamento tra cosa e cosa) sia l'elemento soggettivo (volontà di effettuare la destinazione dell'una cosa a servizio dell'altra). Esempio di pertinenza d'immobile ad immobile: il garage destinato al servizio di una abitazione; esempio di pertinenza di mobile ad immobile: la cucina a gas e lo scaldabagno; esempi di pertinenza di mobile a mobile: il paracadute dell'aeromobile. La destinazione di una cosa al servizio dell'altra fa sì che l'altra abbia carattere accessorio rispetto all'altra. Il vincolo che sussiste tra le due cose deve essere durevole e posto in essere da chi è proprietario della cosa principale ovvero ha un diritto reale su di essa. Il vincolo pertinenziale può creare nei terzi la convinzione che le pertinenze appartengano allo stesso proprietario della cosa principale. La legge tutela, entro certi limiti la buona fede di questi terzi in riferimento sia alla costituzione che alla cessazione della qualità di pertinenza:

a)  costituzione: i terzi proprietari delle pertinenze possono rivendicarle contro il proprietario della cosa principale. Se la cosa principale è un bene immobile o un mobile registrato, ai terzi in buona fede non si può opporre l'esistenza di diritti altrui sulle pertinenze; se la cosa principale è un mobile non registrato, il terzo acquirente in buona fede è protetto in base al principio possesso vale titolo;

b)  cessazione: la cessazione della qualità di pertinenza non opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale. Per esempio: se la cosa principale è stata venduta dal proprietario a Tizio senza esclusione delle pertinenze e queste vengono poi vendute a Caio, questa seconda vendita non può essere opposta a Tizio.

Le universalità patrimoniali

L'art. 816 c.c. definisce universalità di mobili la "pluralità di cose che appartengono alla stessa persone e hanno una destinazione unitaria" (i libri di una biblioteca). L'universalità di mobili si distingue dalla cosa composta perché non v'è coesione fisica tra le varie cose; si distingue dal complesso pertinenziale in quale le cose non si trovano l'una rispetto all'altra, ma insieme costituiscono un'entità nuova dal punto di vista economico-sociale. I beni che formano l'universalità possono essere considerati a volte separatamente a volte come un tutt'uno. Ciò dipende dalla volontà delle parti ed assume particolare importanza nell'usufrutto. Il principio "possesso vale titolo" non si applica all'universalità di mobili. La dottrina distingue, inoltre, tra universalità di fatto e universalità di diritto. L'universalità di fatto è costituita da più beni ed in essa l'unificazione è opera del proprietario; l'universalità di diritto è costituita da più rapporti giuridici (eredità).

L'azienda

Un posto particolare tra le combinazioni di cose spetta all'azienda, che il codice (art. 2555) definisce come il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Un'azienda è costituita da un insieme di beni vari, organizzati, ossia collegati tra loro da un nesso di dipendenza reciproca. L'azienda costituisce il complesso più importante di beni, in quanto è diretto o alla produzione di nuovi beni o allo scambio di beni o alla produzione di servizi. L'opinione tradizionale la considera come un'universalità di fatto. Ma come si è visto, il concetto di universalità esige che le cose appartengano allo stesso proprietario, mentre questo non è richiesto nell'azienda. È comunque, titolare dell'azienda anche chi non sia proprietario del complesso organizzato o dei singoli elementi costitutivi, purché organizzi e diriga ad un determinato fine produttivo o di scambio l'attività economica dell'azienda assumendone il rischio. ½ è anche chi considera l'azienda come universalità di diritto. Tra gli elementi che formano l'azienda ha particolare importanza l'avviamento; si dice che un complesso aziendale è ben avviato per affermare che fa molti affari. Ha dato luogo a molte dispute il rapporto che passa tra l'impresa e l'azienda. Il codice non dà la definizione dell'impresa, ma quella dell'imprenditore: l'imprenditore, secondo l'art. 2082 c.c., è chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. L'impresa, dunque, è l'attività economica svolta dall'imprenditore; l'azienda è il complesso dei beni di cui l'imprenditore si avvale per svolgere l'attività stessa.

Il patrimonio

In senso giuridico si chiama patrimonio il complesso dei rapporti attivi e passivi, suscettibili di valutazione economica, facenti capo ad una persona. Il patrimonio non è considerato come un bene unico e, quindi, esso non è un'universalità. Ogni soggetto ha un unico patrimonio con il quale risponde dei propri debiti, né è concesso al singolo di staccare dei beni o dei rapporti giuridici dal proprio patrimonio per riservarli ad alcuni creditori escludendo gli altri. Diverso dal patrimonio separato è il patrimonio autonomo; è quello che viene attribuito ad nuovo soggetto mediante la creazione di una persona giuridica sprovvisto di personalità ma dotato di autonomia patrimoniale.

Beni pubblici

Di beni "pubblici" si parla in due sensi: beni appartenenti ad un ente pubblico (beni in senso soggettivo); beni assoggettati ad un regime speciale, diverso dalla proprietà privata, per favorire il raggiungimento dei fini pubblici (beni in senso oggettivo). Sotto questo secondo profilo sono pubblici i beni demaniali che possono appartenere solo ad enti pubblici territoriali, vi appartengono:

a)  il demanio marittimo (lido del mare, spiaggia, porti);

b)  il demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi). Queste due categorie costituiscono il demanio naturale necessario, cioè beni che non possono non appartenere allo Stato;

c)  il demanio militare;

d)  il demanio stradale (strade, autostrade);

e)  acquedotti, beni culturali, mercati comunali, cimiteri.

I beni demaniali sono assoggettati ad un particolare regime, non possono formare oggetto di negozi di diritto privato; sono inalienabili; non possono formare oggetto di possesso; non possono essere acquistati per usucapione da privati. I beni non demaniali appartenenti ad un ente pubblico si chiamano beni patrimoniali. Si distinguono in due categorie:

a)  beni indisponibili (foreste, miniere, fauna selvatica) che non possono essere sottratti alle loro destinazioni;

b)  beni disponibili, che non sono destinati direttamente ed immediatamente a pubblici servizi e sono soggetti alle norme del codice civile.

La disciplina dei beni degli enti ecclesiastici è dettata nella legge 20 maggio 1985, n. 222. Le chiese possono appartenere anche a privati e sono soggette alla disciplina del diritto privato, possono quindi essere alienate, usucapite ma non possono essere sottratte alla loro destinazione e al culto.


Il fatto giuridico

La fattispecie

La fattispecie astratta è la situazione con cui il legislatore si riferisce quando detta divieti o precetti, quella concreta si riferisce al singolo caso concreto preso in considerazione. La fattispecie può essere semplice se prevede un solo atto (morte di un individuo), complessa con più atti, a formazione progressiva quando tra i fatti della fattispecie si costituisce un collegamento logico. I fatti giuridici possono essere positivi se si concretano in azioni o negativi se si concretano in omissioni. Il tempo e lo spazio sono molto importanti per il diritto, il tempo in particolare può dar luogo all'acquisto (usucapione o prescrizione acquistata) o alla perdita di un diritto(prescrizione o decadenza).

Distinzione dei fatti giuridici

Il diritto non prende in considerazione tutti gli atti o i fatti che si verificano nella realtà di ogni giorno ma soltanto quelli che in un dato momento storico presentano interesse per la società. Per fatto giuridico s'intende pertanto qualsiasi avvenimento naturale o umano giuridicamente rilevante in quanto produttivo di effetti sul piano del diritto. In relazione alle conseguenze che ne derivano, i fatti giuridici si distinguono in:

  • costitutivi: quando producono la costituzione di un rapporto giuridico;
  • modificativi: quando determinano la modificazione di un preesistente rapporto giuridico;
  • estintivi: quando danno luogo alla estinzione di un precedente rapporto giuridico.

Dai fatti giuridici si distinguono i fatti giuridicamente irrilevanti che non producono alcuna conseguenza per il diritto. Nell'ambito dei fatti giuridici si distinguono i fatti naturali che sono fenomeni o eventi indipendenti dalla volontà dell'uomo come la morte accidentale di una persona, e gli atti giuridici, che sono invece comportamenti umani consapevoli e volontari come la conclusione di un contratto.


Influenza del tempo sulle vicende giuridiche (in particolare: la prescrizione e la decadenza)

La prescrizione estintiva

Definizione e fondamento

La prescrizione estintiva produce l'estinzione del diritto soggettivo per effetto dell'inerzia del titolare del diritto stesso che non lo esercita o che non lo usa per il tempo determinato dalla legge. Il fondamento dell'istituto consiste nel fatto che se un diritto soggettivo non viene esercitato, si forma nella generalità delle persone la convinzione che esso non esista o sia stato abbandonato.

Operatività della prescrizione

Le parti non possono rinunziare preventivamente alla prescrizione né prolungare né abbreviare i termini stabiliti dalla legge. Diversa è invece la situazione rispetto alla rinunzia successiva al decorso del termine di prescrizione. La disposizione dell'articolo 2937, consente la rinuncia successiva alla prescrizione, la rinuncia, cioè, attuata dopo che la prescrizione si è compiuta. Come ogni manifestazione di volontà questa rinunzia può essere tanto espressa che tacita. Sempre in virtù del principio che la prescrizione non opera automaticamente, ma solo in quanto sia opposta, il debitore che a spontaneamente il debito medesimo non può farsi restituire quanto ha ato.

Oggetto della prescrizione

La regola è che tutti i diritti sono soggetti a prescrizione estintiva; ne sono esclusi i diritti indisponibili (diritti imprescrittibili). La ragione dell'esclusione è che questi diritti sono attribuiti al titolare nell'interesse generale e costituiscono, spesso, oltre che un potere, anche un dovere. Anche il diritto di proprietà non è soggetto a prescrizione estintiva, perché anche il non uso è un'espressione della libertà riconosciuta al proprietario. Non sono prescrittibili nemmeno le singole facoltà (o diritti facoltativi) che formano il contenuto di un diritto soggettivo: essere si estinguono se e in quanto si estingua il diritto soggettivo o il potere, di cui costituiscono le manifestazioni.

Inizio della prescrizione

La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto avrebbe dovuto essere esercitato. Il termine generico per la prescrizione è di dieci anni; vi sono tuttavia casi, come per il risarcimento di un danno, in cui il termine è ridotto a cinque anni.

Sospensione e interruzione della prescrizione

La prescrizione presuppone l'inerzia ingiustificata del titolare del diritto: essa, quindi, non opera, allorché sopraggiunga una causa che giustifichi l'inerzia stessa, oppure nel caso in cui l'inerzia stessa venga meno. Entrano quindi in gioco i due istituti della sospensione e dell'interruzione della prescrizione. La sospensione è determinata o da particolari rapporti fra le parti, o dalla condizione del titolare. L'interruzione ha luogo o perché il titolare compie un atto con il quale esercita il diritto o perché il diritto viene riconosciuto dal soggetto passivo delle rapporto. Nella sospensione l'inerzia del titolare del diritto continua a durare, ma è giustificata; nell'interruzione è l'inerzia stessa che viene a mancare. La sospensione spiega i suoi effetti per tutto il periodo per il quale gioca la causa giustificativa dell'inerzia, ma non toglie valore al periodo eventualmente trascorso in precedenza. L'interruzione, facendo venir meno l'inerzia, toglie ogni valore al tempo anteriormente trascorso.

Durata della prescrizione

Rispetto alla durata, si distinguono la prescrizione ordinaria e le prescrizioni brevi. La prima è applicabile in tutti i casi in cui la legge non dispone diversamente e dura dieci anni. Termini più brevi giustificati dalle peculiarità dei relativi casi sono, invece, previsti per altri tipi di rapporto e danno luogo alle cosiddette prescrizioni brevi. Deve, peraltro, avvertirsi che, se il titolare del diritto abbia proposto azione nel termine di prescrizione breve previsto dalla legge e sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, l'azione diretta all'esecuzione del giudicato è soggetta al termine di dieci anni previsto per la prescrizione ordinaria.

Le prescrizioni presuntive

Le prescrizioni presuntive si basano sulla considerazione che vi sono rapporti della vita quotidiana nei quali l'estinzione del debito può avvenire senza che il debitore abbia cura di richiedere e conservare una quietanza, che gli garantisca la possibilità di provare, anche a distanza di tempo, di avere già provveduto ad estinguere il debito. A sua tutela, perciò, la legge, trascorso un breve periodo, presume che il debito si sia già estinto. Come vedremo, le presunzioni sono di due specie: presunzioni iuris tantum, che ammettono la prova contraria e presunzioni iuris et iure che non la ammettono. Non è tuttavia ammesso, contro la presunzione di estinzione, qualsiasi mezzo di prova; il creditore, ove la prescrizione presuntiva gli sia stata opposta in giudizio, può cercare di vincerla soltanto ottenendo dal debitore la confessione; altrimenti occorre deferire all'altra parte il giuramento decisorio, ossia l'invito ad assumere tutte le responsabilità inerenti ad una dichiarazione solenne davanti al giudice con la quale il debitore confermi che l'obbligazione sia davvero estinta. Il creditore, qualora abbia elementi da cui risulti la falsità del giuramento, può denunciarlo per il reato di falso giuramento. La presunzione ha luogo anche se, per esempio, il debitore, pur riconoscendo di non aver ato, afferma che il debito gli è stato rimesso.

La decadenza

Fondamento e natura

Il fondamento della prescrizione è l'inerzia del titolare che fa ritenere abbandonato il diritto; alla base della decadenza sta il decorso di un termine perentorio, senza riguardo alle circostanze subiettive che abbiano determinato l'inutile decorso del termine. Così la legge concede alla parte soccombente in un giudizio il potere di impugnare la sentenza, ma l'impugnazione dev'essere proposta in breve termine, trascorso il quale, senza che si possa tener conto di nessuna causa di impedimento, inesorabilmente l'impugnazione diventa inammissibile, si decade dal diritto di proporre l'impugnativa. Perciò, la decadenza produce l'estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del tempo. La decadenza può essere impedita solo dall'esercizio del diritto mediante il compimento dell'atto previsto. Con l'esercizio del diritto cade, infatti, la stessa ragione d'essere della decadenza: l'onere, a cui era condizionato l'esercizio del diritto è ormai soddisfatto. A differenza della prescrizione che è prevista dalla legge solamente nell'interesse generale, la decadenza può essere pattuita anche nell'interesse di uno dei soggetti del rapporto e può perciò anche essere prevista in un contratto. La decadenza legale costituisce sempre un istituto eccezionale, in quanto deroga al principio generale, secondo il quale l'esercizio dei diritti soggettivi non è sottoposto a limiti. Quindi le norme che stabiliscono la decadenza non sono suscettibili di applicazione per analogia. Se la decadenza legale è stabilita nell'interesse generale e, cioè, in relazione a diritti indisponibili, le parti non possono né modificare il regime previsto dalla legge né rinunziare alla decadenza ed il giudice, a differenza di quanto abbiamo visto in tema di prescrizione, deve rilevarla d'ufficio. Se la decadenza è stabilita a tutela dell'interesse individuale, trattandosi di diritti disponibili, le parti possono modificare il regime legale della decadenza e possono anche rinunziarvi. Nella compravendita decadenza e prescrizione possono coesistere, in quanto il termine entro il quale il compratore deve denunciare i vizi occulti della cosa (otto giorni) è soggetto a decadenza mentre la scadenza della garanzia (uno o due anni) è soggetta a prescrizione.


L'atto e il negozio giuridico

Classificazione degli atti giuridici

Gli atti giuridici si distinguono in due grandi categorie: atti conformi alle prescrizioni dell'ordinamento giuridico (atti leciti) e atti compiuti in violazione di doveri giuridici e che producono la lesione del diritto soggettivo altrui (atti illeciti). Gli atti leciti si suddividono in operazioni (o anche atti reali o materiali o comportamenti) che consistono in modificazioni del mondo esterno, e dichiarazioni, che sono atti diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero, la propria opinione, il proprio stato d'animo o la propria volontà. Si dicono invece dichiarazioni di scienza gli atti con i quali si comunica ad altri di essere a conoscenza di un atto o di una situazione. Tutti gli atti umani consapevoli e volontari, che non siano negozi giuridici, sono denominati atti giuridici in senso stretto (o atti non negoziali). I loro effetti giuridici non dipendono dalla volontà della gente, ma sono disposti dall'ordinamento senza riguardo all'intenzione di colui che li pone in essere. Secondo un autorevole dottrina, per questi atti, sarebbe richiesta la capacità di intendere di volere. Una particolare categoria di atti è costituita dagli atti dovuti, o satisfattivi, che consistono nell'adempimento di un obbligo.

Il negozio giuridico

Il negozio giuridico è un atto consapevole e volontario diretto a produrre degli effetti riconosciuti e garantiti dal diritto, cioè costituire, modificare ed estinguere un rapporto giuridico. È il pieno riconoscimento del potere della volontà, è l'espressione più alta del modo in cui il diritto soggettivo si attua in piena autonomia. Quindi il fenomeno negoziale corrisponde alla necessità di lasciare ai singoli una sfera di libertà che l'ordinamento giuridico riconosce ai privati nella gestione dei propri interessi (art. 1322). Questa libertà produce l'effetto di un vincolo che lega sia l'autore del negozio che coloro contro i quali è diretto il negozio: è un vincolo irrevocabile (art. 1372). I negozi giuridici possono essere collegati tra loro: la ura più importante di collegamento è costituita dal procedimento o atto - procedimento, che consiste in più atti successivi, in cui ogni atto costituisce l'antecedente del successivo.

Classificazione dei negozi giuridici

L'art. 1322 comma 1 afferma che "si riconosce alle parti la libera determinazione del contenuto negoziale", mentre il comma 2: amplia la libertà del comma 1 nel senso che consente ai privati di concludere dei contratti diversi da quelli disciplinati dal codice, non riconosciuti dalla legge ma inventati dalla prassi: i contratti atipici. Contratto atipico vuol dire nuovo, ipotesi non conosciuta, non tipizzato in modelli disciplinati dalla legge. Il problema dell'atipico non riguarda il negozio o il contratto ma la causa che caratterizza il tipo contrattuale. Le cause contrattuali si distinguono in:

onerosa, quando si tende a sacrifici da entrambe le parti;

gratuita, quando vi è uno spostamento unilaterale di un flusso di beni;

associativa, secondo la quale si mettono insieme delle forze per uno scopo comune.

Quindi la giurisprudenza non ha tutti i torti sul contratto atipico, perché tutti i contratti non possono uscire da queste categorie di cause contrattuali. L'atipicità del rapporto è un fatto rilevante che influisce sul contratto, un effetto prodotto dalla causa, si influisce sui rapporti nuovi. Esistono, da questo punto di vista, altri tipi di contratti:

contratto legalmente tipico, cioè disciplinato dal Codice Civile e leggi speciali;

contratto socialmente tipico (legalmente tipico), cioè non previsti dalla legge ma consolidati da tempo con la prassi (consuetudine sucundum legem);

contratto totalmente atipico, né riconosciuto dalla legge e né ha avuto un radicamento nella prassi, per un'esigenza sempre nuova di tutelare nuovi rapporti.

Se il negozio giuridico è perfezionato con la dichiarazione di una sola parte, il negozio si dice unilaterale (il testamento). Non si deve peraltro confondere la nozione di parte con quella di persona: per parte s'intende un "centro d'interessi". Perciò si può avere una parte sola nonostante che le persone siano più: ciò avviene se queste persone abbiano lo stesso interesse. In tal caso si parla di negozi pluri -personali, che promanano appunto da più persone, costituenti, peraltro, una parte unica. Se le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la volontà di un soggetto diverso, e propriamente di una persona giuridica, si ha l'atto collegiale. I negozi unilaterali si distinguono in recettizi, se, per produrre effetto, la dichiarazione negoziale deve pervenire a conoscenza di una determinata persona, alla quale, pertanto, deve essere comunicata o notificata; e non recettizi, se producono effetto indipendente dalla comunicazione ad uno specifico destinatario. Se le parti sono più di una, si ha il negozio bilaterale o plurilaterale. Si distinguono i negozi mortis causa, i cui effetti presuppongono la morte di una persona, dai negozi inter vivos, che prescindono da tale presupposto. Secondo che si riferiscano a rapporti familiari o ad interessi economici si distinguono i negozi di diritto familiare dai negozi patrimoniali. Nei primi prevale sull'interesse del singolo l'interesse superiore del nucleo familiare, onde sono stati qualificati come atti di potestà familiare. I negozi patrimoniali si suddividono in negozi di attribuzione patrimoniale, che tendono ad uno spostamento di diritti patrimoniali da un soggetto ad un altro, e negozi di accertamento che si propongono soltanto di eliminare controversie sulla situazione esistente. I negozi patrimoniali si distinguono in negozi a titolo gratuito e negozi a titolo oneroso. Il codice non definisce le nozioni di gratuità ed onerosità: vi è tuttavia un accordo in dottrina per qualificare un negozio "a titolo oneroso" quando un soggetto, per acquistare qualsiasi tipo di diritto, beneficio o vantaggio, accetta un correlativo sacrificio, e tra vantaggio e sacrificio esiste un nesso di causalità, mentre si dice "a titolo gratuito" il negozio per effetto del quale un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun correlativo sacrificio.

La rinunzia

Negozio abdicativo è la rinunzia, che è la dichiarazione unilaterale del titolare di un diritto soggettivo, diretta a dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad altri. Esula del tutto la ura della rinunzia, se la dismissione del diritto è fatta verso un corrispettivo. Manca in quest'ipotesi l'elemento della unilateralità, caratteristico della rinunzia. Se la rinunzia ha per oggetto un diritto di credito, si chiama remissione.

Elementi del negozio giuridico

Gli elementi o requisiti del negozio giuridico si distinguono in elementi essenziali, senza i quali il negozio è nullo, ed elementi accidentali, che le parti sono libere di apporre o meno. Gli elementi essenziali si dicono generali, se si riferiscono ad ogni tipo di negozio; particolari, se si riferiscono a quel particolare tipo considerato. Così in una vendita sono essenziali, oltre il consenso e la causa, la cosa e il prezzo. Anche gli elementi accidentali sono generali o particolari. In ordine agli elementi accidentali, tuttavia, occorre tener presente che, pur essendo le parti libere di opporli o no, se vengono posti, essi incidono sull'efficacia del negozio. La dottrina meno recente soleva aggiungere un'altra categoria di elementi: i cosiddetti elementi naturali. In realtà si tratta di effetti naturali del negozio, ossia di effetti che la legge considera connaturati al negozio posto in essere dalle parti stesse: essi si producono senza bisogno di previsione delle parti.


La dichiarazione di volontà

Modalità della dichiarazione

La volontà del soggetto diretta a produrre effetti giuridici dev'essere dichiarata e, cioè, esternata: deve insomma uscire dalla sfera del soggetto, perché gli altri possano percepirla, averne conoscenza. A seconda dei modi con cui la dichiarazione avviene, essa si distingue in dichiarazione espressa (s'è fatta con qualsiasi mezzo idoneo a far palese ad altri il nostro pensiero) e dichiarazione tacita (consistente in un comportamento che risulti incompatibile con la volontà contraria), detta anche perciò dichiarazione indiretta o comportamento concludente. Se le parti rinviano per il contenuto del negozio alle clausole di un altro contratto o a disposizioni di legge, si ha la ura del negozio per relationem. Vecchia questione è se il silenzio possa valere come dichiarazione tacita di volontà.

La forma

L'ordinamento, di regola, non impone rigidi formalismi per riconoscere effetti giuridici agli atti dei privati. Peraltro talvolta il legislatore avverte la necessità di subordinare la validità di un atto a forme solenni; più ampiamente il legislatore impone che la volontà sia dichiarata o quantomeno in forma scritta ovvero addirittura mediante atto pubblico, ossia con l'intervento di un pubblico ufficiale. Questi casi si dicono a forma 'vincolata'. Dal caso in cui un requisito di forma di un atto sia imposto dalla legge va tenuto distinto il caso in cui un requisito di forma sia invece imposto dagli stessi privati (il cosiddetto 'formalismo convenzionale'), come ad esempio avviene allorché in un contratto si inserisce una clausola.

Il bollo e la registrazione

Non sono requisiti di forma né il bollo né la registrazione di un atto. Per molti negozi lo Stato, per ragioni fiscali, impone l'uso della carta bollata. L'inosservanza di tale prescrizione non dà luogo, tuttavia, alla nullità del negozio, ma ad una sanzione pecuniaria. Anche la registrazione, che consiste nel deposito del documento presso l'ufficio del registro, serve prevalentemente a scopi fiscali.

Formazione o perfezione del negozio

In linea generale il negozio è formato o perfetto quando la dichiarazione esce dalla sfera di colui che la manifesta. I negozi unilaterali non recettizi sono perfetti nel momento in cui la volontà viene manifestata; i negozi unilaterali recettizi nel momento in cui pervengono a conoscenza della persona cui sono destinati. Per designare la perfezione del contratto si adopera anche il termine conclusione. Dal concetto di perfezione occorre distinguere quello di efficacia, che è l'attitudine nel negozio a produrre i suoi effetti.

Cenni sulla pubblicità

Fini e natura

Il negozio non interessa soltanto le parti tra cui è concluso, ma anche i terzi. La pubblicità serve a dare ai terzi la possibilità di conoscere l'esistenza ed il contenuto di un negozio giuridico, o lo stato delle persone fisiche e le vicende delle persone giuridiche. È chiaro che la pubblicità non si confonde con la dichiarazione negoziale: essa, invece, presuppone la dichiarazione negoziale, resa eventualmente nella forma dovuta, e costituisce soltanto un mezzo perché la dichiarazione stessa possa essere conosciuta dai terzi. Quanto al rapporto tra forma e pubblicità del negozio, si suole dire comunemente che la pubblicità presuppone che il negozio sia sottoposto a forma vincolata.

Tipi di pubblicità

Si distinguono tre tipi di pubblicità:

  • la pubblicità - notizia, la cui omissione da luogo ad una sanzione pecuniaria o penale, ma è irrilevante per la validità dell'atto, che rimane anche opponibile ai terzi;
  • la pubblicità dichiarativa che serve a rendere opponibile il negozio ai terzi. L'omissione della pubblicità dichiarativa non determina l'invalidità dell'atto tra le parti;
  • la pubblicità costitutiva, per la quale il negozio senza pubblicità non soltanto non si può opporre ai terzi, ma non produce effetti nemmeno tra le parti.

Mancanza di volontà e contrasto tra volontà e dichiarazione

A) Il problema in generale

La teoria dell'affidamento

Può verificarsi che la dichiarazione non sia conforme all'intento negoziale del dichiarante. Partendo dalla premessa che la volontà è l'anima del negozio, si dovrebbe giungere alla conclusione che una dichiarazione cui non corrisponda un'interna volontà è come un corpo senz'anima. La conseguenza rigorosamente logica dovrebbe essere la nullità del negozio. Tuttavia, questo risultato non corrisponde alle finalità sociali dell'ordinamento giuridico. Secondo la teoria dell'affidamento se la dichiarazione diverge dall'interno volere, ma colui cui essa è destinata non era in grado di conoscere la divergenza, il negozio è valido; è invalido se il destinatario sapeva o era in grado di accorgersi che la dichiarazione non corrispondeva all'interno volere del dichiarante.

B) Casi di mancanza di volontà o di divergenza

Dichiarazioni a scopo rappresentativo o didattico; scherzo; riserva mentale; violenza fisica

Non possono avere valore le dichiarazioni di apparente contenuto giuridico fatte durante una rappresentazione a teatro o inserite nella trama di un film o quelle fatte da un professore ai suoi alunni. Si distinguono le dichiarazioni fatte nello scherzo, ossia in condizioni tali che ciascuno intenda che non s'agisce sul serio, e le dichiarazioni fatte per ischerzo, ossia con intenzione non seria, senza, però, che ciò risulti dall'altra parte. Nella prima ipotesi il negozio è evidentemente nullo; nella seconda è valido, se la controparte non è in grado di avvedersi dello scherzo. La riserva mentale consiste nel dichiarare intenzionalmente cosa diversa da quel che si vuole effettivamente, senza alcuna intesa con l'altra parte e senza che, almeno di solito, questa sia in condizioni di scoprire la divergenza. Questo rimane vincolato. La violenza fisica si differenzia dalla violenza psichica; la prima costituisce un'ipotesi alquanto insolita e si ha quando manca, del tutto, la volontà; la seconda consiste in una minaccia che fa deviare la volontà inducendo il soggetto a emettere una dichiarazione che, senza la minaccia, non avrebbe emesso.

Errore ostativo

Il trattamento dell'errore ostativo nei contratti è equiparato a quello dell'errore - vizio: l'errore ostativo è l'errore che cade sulla dichiarazione; esso è equiparato all'ipotesi in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio che n'era stato incaricato.

C) La ura più importante: la simulazione

La nozione

Gli articoli 1414 e successivi del codice civile sono dedicati alla ura della simulazione. Si considera 'simulato' un contratto quando le parti ne documentano la stipulazione, al fine di poterlo invocare di fronte ai terzi, ma sono tra loro d'accordo che gli effetti previsti dall'atto simulato non si devono verificare. Ciò che caratterizza la simulazione è il cosiddetto accordo 'simulatorio', ossia l'intesa, meramente interna e destinata, in linea di principio, a restare riservata, che il contratto ufficiale, stipulato contestualmente tra le stesse parti, è meramente fittizio e pertanto inidoneo a realizzare gli effetti cui appare preordinato, cosicché la situazione giuridica che dovrebbe essere effetto del contratto è solo apparente, mentre la situazione giuridica reale rimane quella anteriore all'atto. La divergenza tra la dichiarazione e la reale volontà delle parti non è soltanto consapevole, ma è addirittura concordata. Di solito l'accordo interno tra le parti, che si contrappone all'atto ufficiale, viene documentato da una controdichiarazione scritta.

Simulazione assoluta e relativa

La simulazione si dice assoluta se le parti, con i loro accordi interni, si limitano ad escludere la rilevanza, nei loro rapporti, del contratto apparentemente stipulato; si dice invece relativa qualora le parti concordino che nei loro rapporti interni assuma rilevanza un diverso negozio, che si dice dissimulato, in quanto celato sotto l'ombrello del negozio simulato. La simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva, a seconda che negozio dissimulato differisca da quello simulato per quanto riguarda l'oggetto dell'atto, o per i soggetti. La ura più importante di simulazione relativa soggettiva è la cosiddetta interposizione fittizia di persona, quando si vuole che gli effetti dell'atto si verificheranno nei confronti di un terzo. L'interposizione fittizia si distingue dall'interposizione reale: in quest'ultimo caso l'alienante non partecipa agli accordi tra acquirente e terzo, cosicché l'alienazione non è simulata, ma realmente voluta e gli effetti dell'atto si producono regolarmente in capo all'acquirente. La fattispecie si inquadra nella ura della cosiddetta rappresentanza indiretta.

Effetti della simulazione tra le parti

Gli effetti della simulazione sono diversi secondo che si consideri la situazione tra le parti o rispetto ai terzi. Per quanto concerne gli effetti tra le parti, occorre distinguere tra simulazione assoluta e relativa. Se la simulazione è assoluta, poiché il contrasto tra volontà e dichiarazione è perfettamente conosciuto dalle parti, si giunge alla considerazione che il negozio simulato non produce effetto. Se si tratta di simulazione relativa, il contratto simulato non può produrre effetti tra le parti in quanto le parti sono d'accordo nell'averlo stipulato quale mera apparenza, ma senza volerne realmente gli effetti. L'articolo 1414 comma 2 stabilisce che 'se le parti hanno voluto concludere il contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato', ma subordina tale efficacia alla condizione che dell'atto realmente voluto 'sussistano i requisiti di forma e di sostanza'.

Effetti della simulazione di fronte ai terzi

Più complicata si presenta la questione della rilevanza della simulazione rispetto ai terzi, cioè alle persone estranee al negozio simulato. La prima situazione da esaminare è quella dei terzi interessati a dedurre la simulazione: per l'articolo 1415 comma 2 i terzi estranei al contratto simulato, se ne sono pregiudicati, possono farne accettare la nullità. Più delicato è il discorso per quanto riguarda i terzi che abbiano acquistato diritti dal titolare apparente. L'articolo 1415 comma 1 dispone che 'la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente'. Per quanto riguarda l'onere della prova della buona fede si applica il principio stabilito dall'articolo 1147 del codice civile in base al quale la buona fede si presume; inoltre la conoscenza successiva della simulazione non nuoce. Terzo non è solo chi ha acquistato a titolo oneroso, ma anche chi ha acquistato a titolo gratuito.

Effetti della simulazione nei confronti dei creditori

I creditori della parte alienante hanno interesse a far valere la simulazione, perché ne vengono ad essere pregiudicati, in quanto non possono agire sui beni che sono apparentemente usciti dal patrimonio del loro debitore; quelli dell'acquirente simulato, invece, hanno interesse contrario: essi infatti, hanno tutto da guadagnare dalla possibilità di espropriare i beni che sono fittiziamente entrati nel patrimonio del loro debitore. I creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti e, facendo prevalere la realtà sull'apparenza, agire sui beni che solo apparentemente sono usciti dal patrimonio del loro debitore. Per quanto riguarda i creditori di colui che appare acquirente bisogna distinguere se il credito è stato garantito da pegno o da ipoteca sui beni, avendo acquistato il creditore un diritto reale su quei beni, nei suoi confronti è inopponibile. Nel conflitto tra le due categorie di creditori, la legge preferisce creditori chirografari del simulato alienante soltanto se il loro credito è anteriore all'atto simulato. In questo caso, la legge ritiene giusto far prevalere la realtà sull'apparenza, perché creditori del simulato alienante concessero il credito prima che il debitore si spogliasse dei beni, ed è perciò da ritenere che essi fecero affidamento pure su quei beni che sono poi usciti, ma solo apparentemente, dal patrimonio del debitore. Se, invece, il credito nacque successivamente all'atto simulato, nessuna ragione particolare sorregge creditori del simulato alienante, che non potevano riporre affidamento alcuno su beni che, al momento in cui diventarono creditori, non uravano più nel patrimonio del debitore.

La prova della simulazione

Di solito le parti che pongono in essere un contratto simulato si premuniscono: quando fanno il contratto per iscritto, si scambiano una controdichiarazione scritta, nella quale si dichiarano reciprocamente che il contratto apparente non è da esse effettivamente voluto e che esse o non hanno voluto concludere alcun contratto (simulazione assoluta) oppure hanno inteso concludere un contratto diverso (simulazione relativa). Supponiamo che questa controdichiarazione non sia stata fatta o sia andata perduta. Si deve distinguere l'ipotesi in cui la simulazione sia dedotta dai terzi da quello in cui sia fatta valere da una delle parti contro l'altra. I terzi, sia perché essi non si potevano procurare la prova scritta della simulazione, sia perché le restrizioni alla prova testimoniale si riferiscono ai contratti e non ai fatti e valgono, perciò, di fronte a contraenti e non già rispetto ai terzi estranei, per i quali il contratto, concluso tra altre persone, assume valore soltanto di semplice fatto. Per quanto concerne l'ammissibilità della prova tra i contraenti, bisogna distinguere tra l'ipotesi in cui quella prova sia diretta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato e quella in cui quest'ultimo non sia illecito. Nel primo caso la prova per i testimoni e per presunzioni è ammesso senza limiti, nella seconda ipotesi valgono le limitazioni stabilite dalla legge della prova testimoniale. Inoltre la simulazione può essere sempre provata mediante confessione, ovvero mediante giuramento.

Negozio indiretto e negozio fiduciario

È da tener presente la differenza tra simulazione e frode alla legge o ai creditori: mentre nel negozio simulato gli effetti negoziali non sono voluti dalle parti, negli atti in frode gli effetti negoziali sono voluti. Con la simulazione, e in specie con l'interposizione fittizia, non deve essere confusa l'intestazione di un bene a nome d'altri. Questa ura ricorre tutte le volte in cui un bene viene intestato a favore di un soggetto, sebbene i mezzi per il suo acquisto siano stati forniti da un soggetto diverso. Il negozio simulato si distingue anche da quello fiduciario e da quello indiretto. Si ha il negozio indiretto o procedimento indiretto, quando un determinato aspetto giuridico non viene realizzato direttamente, ma viene conseguito mediante una via traversa, ponendo in essere atti diretti ad altri effetti, ma che con la loro combinazione realizzano ugualmente il risultato perseguito, o un risultato simile. La categoria più importante di negozi indiretti è costituita dai cosiddetti negozi fiduciari. Di negozio fiduciario si parla quando un soggetto, detto fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo) o fa trasferire da un terzo (ando lui il relativo prezzo) ad un fiduciario la titolarità di un bene, ma con il patto che l'intestatario utilizzerà o disporrà del bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciario gli ha già impartito o si riserva di impartirgli successivamente. Il negozio fiduciario non è regolato dal codice civile ma non si dubita che sia consentito nell'ambito della generale autonomia contrattuale riconosciuta ai privati, a meno che sia diretto a realizzare finalità illecite. La legge peraltro prevede espressamente sia le cosiddette 'società fiduciarie', che provvedono in via professionale ed imprenditoriale ad intestarsi beni dei fiducianti, curandone l'amministrazione; sia l'esercizio professionale dell'attività di 'gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi', amministrazione cosiddetta dinamica di valori mobiliari.


La rappresentanza

Nozione

La rappresentanza è l'istituto per cui ad un soggetto (rappresentante) è attribuito (dalla legge o dall'interessato) un apposito potere di sostituirsi ad un altro soggetto (rappresentato) nel compimento di attività giuridica per conto di quest'ultimo e con effetti diretti nella sua sfera giuridica. La ura dal rappresentante differisce da quella del nuncius. Il nuncius è colui che trasmette materialmente la dichiarazione altrui, ovvero un portavoce.

Rappresentanza diretta e indiretta

Perché si abbia la ura della rappresentanza vera e propria, o rappresentanza diretta, non basta che una persona agisca per conto di un'altra persona: essa deve anche agire in nome di quest'altra persona, dichiarare, in sostanza, che non compie l'atto per sé, ma in nome dell'interessato. Se una persona agisce nell'interesse altrui, ma non dichiara di agire in nome altrui, si ha la cosiddetta rappresentanza indiretta o impropria o mediata o interposizione gestoria. Mentre, nel caso della rappresentanza diretta, gli effetti del negozio si producono immediatamente e direttamente nella sfera del rappresentato, nella rappresentanza indiretta, invece, chi fa la dichiarazione acquista i diritti e diventa correlativamente soggetto degli obblighi nascenti dal negozio. La rappresentanza indiretta si denomina anche interposizione reale. ura particolare, che si avvicina alla rappresentanza indiretta, è l'autorizzazione, con cui una persona (autorizzante) conferisce ad altra (autorizzato) il potere di compiere negozi giuridici, diretti ad influire nella sfera dell'autorizzante, in nome, tuttavia, dell'autorizzato.

Negozi per i quali è esclusa la rappresentanza

Non in tutti i negozi è ammessa la rappresentanza: essa, di regola, è esclusa nei negozi che, per la loro natura, si vogliono riservare esclusivamente alla persona interessata e, perciò, in quelli di diritto familiare.

Fonte della rappresentanza

È chiaro che una persona, per poter agire in nome altrui, deve averne il potere. Questo potere può derivare dalla legge (rappresentanza legale) o essere conferito dall'interessato (rappresentanza volontaria). La rappresentanza legale ricorre quando il soggetto è incapace; si usa parlare di rappresentanza legale anche a proposito della cosiddetta rappresentanza organica, ossia con riguardo al potere di rappresentare un ente che spetta all'organo, che, in base allo statuto dell'ente stesso, ha la competenza ad esternare la volontà di quest'ultimo. Non si deve però confondere il potere rappresentativo, che riguarda la manifestazione esterna della volontà dell'ente, con il potere gestorio, che riguarda la direzione interna dell'ente. Diversa così dal concetto di rappresentanza legale come da quella di organo della persona giuridica è la nozione di ufficio privato: questo consiste nel potere di svolgere un'attività nell'interesse altrui e con effetti diretti nella sfera giuridica del soggetto sostituito, in adempimento di una funzione prevista dalla legge.

La procura

Ci occuperemo ora della rappresentanza volontaria. Il negozio con il quale una persona conferisce ad un'altra il potere di rappresentarla si chiama procura (nel linguaggio comune si parla anche di delega). Perciò il rappresentante volontario si chiama procuratore. La procura consiste in un negozio unilaterale che va tenuto distinto dal rapporto interno tra rappresentante e rappresentato: questo rapporto interno (cosiddetto rapporto di gestione) può derivare da un mandato o da un contratto di lavoro. Come ogni dichiarazione di volontà, la procura può essere espressa o tacita. Di regola, per la procura non è richiesta alcuna forma particolare: fa eccezione l'ipotesi in cui tale forma sia richiesta per il negozio da concludere. Per quanto riguarda i requisiti della procura è necessaria la capacità legale del rappresentato. La procura può concernere un affare o più affari determinati (procura speciale) o può riguardare tutti gli affari del rappresentato (procura generale). Sia la procura generale che quella speciale possono contenere limiti all'attività del procuratore: ed è naturale che il rappresentante possa vincolare il rappresentato solo nei limiti dei poteri conferitigli. Poiché in genere la procura è conferita nell'interesse del rappresentato, questi può modificarne l'oggetto o i limiti e può anche togliere al rappresentante il potere che egli aveva conferito. L'atto con il quale il rappresentato fa cessare gli effetti della procura si chiama revoca della procura, ed è anch'esso un negozio unilaterale. La procura cessa, di regola, anche per la morte sia del rappresentante che del rappresentato; anche la nomina di un nuovo rappresentante per uno stesso affare o il compimento di questo da parte dello stesso rappresentato, purché siano comunicati al rappresentante, implicano revoca tacita della procura. La revoca e le modificazioni della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei: il legislatore stabilisce che, se non si è provveduto a portare a conoscenza del terzo la revoca o la modificazione, il negozio concluso dal rappresentante, nonostante la revoca o la modificazione, resta valido.

Vizi della volontà e stati soggettivi del negozio rappresentativo

Il negozio concluso dal rappresentante sarà annullabile se egli versava in errore o è stato costretto alla sua conclusione da violenza. In ogni caso la malafede del rappresentato inquina il negozio, ancorché essa riguardi la sfera lasciata alla discrezionalità del rappresentante.

Il conflitto d'interessi tra rappresentante e rappresentato

In generale il potere di rappresentanza è conferito nell'interesse del rappresentato. Se il rappresentante è portatore di interessi propri o di terzi in contrasto con quelli del rappresentato si ha il conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante. Nel caso in cui il rappresentante venda il bene del rappresentato ad una società di cui lui stesso o sua moglie è socio, può darsi che sia stato diligente e abbia conseguito un risultato vantaggioso per il rappresentante, ma vi è il sospetto che anziché curare gli interessi del rappresentato abbia avuto di mira il proprio vantaggio (conflitto potenziale). L'atto posto in essere dal rappresentante in conflitto di interessi è viziato, perciò, indipendentemente dal fatto che il rappresentato sia stato effettivamente danneggiato. Naturalmente il conflitto di interessi è irrilevante se il rappresentato, essendone a conoscenza, autorizzi il rappresentante a concludere egualmente il negozio. Se il rappresentante agisce in conflitto di interessi con il rappresentato, il negozio è annullabile su domanda del rappresentato. Rientra nello schema del conflitto di interessi la ura del contratto con se stesso che è, di regola, annullabile: è valido quando il rappresentato abbia autorizzato espressamente la conclusione del contratto oppure il contenuto del contratto sia stato determinato preventivamente dallo stesso rappresentato in guisa da escludere la possibilità di conflitto.

Rappresentanza senza potere

Si può anche verificare il caso che lo svolgimento di attività negoziale in nome altrui non sia preceduto dal conferimento del potere di rappresentanza da parte dell'interessato. Il negozio compiuto da chi ha agito come rappresentante senza averne il potere (difetto di potere) o eccedendo i limiti delle facoltà conferitigli (eccesso di potere) non produce alcun effetto nella sfera giuridica dell'interessato: il negozio è perciò inefficace. L'interessato può, con una propria dichiarazione di volontà, approvare ciò che è stato fatto da altri senza che egli avesse attribuito il potere di rappresentarlo. Questa dichiarazione si chiama ratifica; essa può essere espressa o tacita: inoltre ha effetto retroattivo. L'articolo 1399 prevede che il terzo contraente possa invitare l'interessato a chiarire definitivamente se intenda o meno ratificare il negozio stipulato dal falso procuratore, assegnandogli un termine entro il quale dovrà pronunziarsi, perché altrimenti, scaduto tale termine, il suo silenzio viene equiparato dal legislatore ad un rifiuto della ratifica. Se il contatto rimane inefficace vi è da chiedersi se il terzo possa chiedere il risarcimento dei danni allo pseudo rappresentante. Se avrebbe potuto accorgersene usando la normale diligenza, non può pretendere alcun risarcimento; se invece è stato ingannato, non si è accorto e non avrebbe potuto accorgersi, con l'ordinaria diligenza, di aver a che fare con una persona in realtà priva del potere di spendere, allora avrà diritto di chiedere il risarcimento del danno subito. Comunque il terzo non potrà pretendere tutto quanto avrebbe potuto ricavare dall'affare sfumato, ma potrà chiedere soltanto, oltre al rimborso delle spese sostenute, il risarcimento per aver perso eventuali occasioni di stipulare altro contatto.

La gestione di affari altrui

La legge, nel caso in cui taluno senza esservi obbligato e, quindi, spontaneamente, assume la gestione di affari altrui, stabilisce che, qualora la gestione sia stato utilmente iniziata, l'interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui. Non si deve guardare, perciò, all'esito finale, ma occorre, invece, tener conto dell'utilità iniziale e vedere, quindi, se l'affare stesso si prevedeva necessario o utile, in base alla valutazione che il dominus come buon padre di famiglia avrebbe fatto al momento in cui fu intrapreso.

Altre ure di cooperazione nell'altrui attività giuridica

La rappresentanza si distingue da altre ure in cui una persona presta il proprio ausilio all'attività giuridica altrui. La forma più semplice è costituita dal consiglio che una persona può dare ad un'altra sulla convenienza o sulla necessità di un determinato atto: chi consiglia resta naturalmente del tutto estranea all'atto. Forme più complesse di cooperazione si riscontrano nell'assistenza, nella mediazione, nel contratto per persona da nominare. Nel momento della conclusione di un contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare la persona nella cui sfera giuridica il negozio deve produrre effetti. Se segue entro tre giorni la dichiarazione di nomina, accomnata dalla dichiarazione di accettazione da parte della persona indicata, si producono gli stessi effetti che si sarebbero verificati se fosse stata conferita la procura anteriormente al negozio. Se manca la dichiarazione di nomina, il negozio produce effetti direttamente nei confronti di colui che ha stipulato il contratto riservandosi di fare la dichiarazione di comando, ma poi non l'ha fatta. Le parti possono convenire che la dichiarazione di nomina possa essere effettuata entro un termine maggiore dei tre giorni fissati dalla legge, purché si tratti di un termine certo e determinato. Il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta, in quanto non occorre un nuovo negozio perché gli effetti si producano a favore dell'interessato: basta la dichiarazione unilaterale di nomina, purché fatta nel termine innanzi detto. Si distingue dall'interposizione fittizia o simulata perché in questa, con l'intesa dell'altra parte, il contraente dichiara apparentemente e fittiziamente di agire in nome proprio, ma, in realtà, chi contrae è l'interponente; nel caso del contratto per persona da nominare il contraente, invece, dichiara di contrarre per persona da nominare. Il contratto per persona da nominare si distingue inoltre dal contratto per conto di chi spetti. La natura del contratto per persona da nominare è disputata: secondo l'opinione che riteniamo preferibile si chiama rappresentanza innominata, perché il terzo dichiara di agire in nome altrui, ma non rivela la persona per cui agisce. La dichiarazione di nomina e l'accettazione sono negozi unilaterali. Essi servono ad integrare il contratto, che reca in bianco il nome della persona nei cui confronti deve produrre i suoi effetti: perciò essi devono rivestire la stessa forma che le parti hanno usato per il contratto.


La causa del negozio giuridico

Nozione

Elemento essenziale di ogni negozio giuridico è la sua causa. Il primo luogo si parla, frequentemente, di causa dell'obbligazione, ad indicare 'il titolo' da cui il debito deriva, la sua fonte. In secondo luogo si parla di causa con riguardo a ciascuna attribuzione patrimoniale, per determinare se lo spostamento di ricchezza è giustificato. Quando il contenuto del negozio dipende dalla libera scelta del privato è necessario che gli effetti complessivamente perseguiti siano giustificati. L'esigenza della causa indica la necessità che siano leciti non soltanto i singoli effetti perseguiti, ma soprattutto la loro combinazione. Per i contratti tipici l'esistenza della causa, ossia la giustificazione dell'accordo, è già valutata positivamente in linea di principio dalla legge. Una categoria particolare dei contratti atipici è rappresentata dai contratti misti o complessi, la cui causa è costituita dalla fusione delle cause di due o più contratti tipici. Al contratto misto si applica per analogia la disciplina del contratto la cui funzione è in concreto prevalente (teoria dell'assorbimento). Non sembra esatta la cosiddetta teoria della combinazione, secondo la quale la disciplina risulta dalle regole dei vari contratti tipici insieme combinati.

Negozi astratti

Ogni negozio deve avere la sua causa, perché ogni negozio deve corrispondere ad uno scopo socialmente apprezzabile. Ciò non esclude che, in alcuni negozi, gli effetti si producano astraendosi o prescindendosi dalla causa, la quale resta, per così dire, accantonata. Tali negozi sono detti astratti in contrapposto agli altri che sono detti causali. Anche nei negozi astratti la causa ha la sua rilevanza, nel senso che la sua inesistenza o la sua illiceità toglie efficacia all'attribuzione patrimoniale, ma la reazione dell'ordinamento giuridico è, per così dire, ad effetto ritardato. Per i negozi astratti si richiede sempre una forma solenne che deve servire a mettere sull'avviso chi li pone in essere. L'astrazione sostanziale è quella di cui abbiamo parlato e per cui il negozio nel suo funzionamento resta svincolato dalla causa. L'astrazione processuale presuppone che il negozio sia causale: chi agisce per ottenere la prestazione, derivante a suo favore da siffatto negozio, non ha l'onere di dimostrare l'esistenza e la liceità della causa, ma chi è chiamato in giudizio deve provarne l'eventuale mancanza o l'illiceità, se vuol sottrarsi alla condanna. L'astrazione processuale si risolve, pertanto, in una inversione legale dell'onere della prova.

Mancanza della causa

La causa può mancare fin dall'origine, dalla genesi del negozio (mancanza genetica della causa); può anche avvenire che, pur esistendo originariamente la causa, per vicende successive non sia più realizzabile il risultato cui il negozio era diretto (mancanza funzionale della causa). Occupiamoci anzitutto del difetto genetico della causa. Nei negozi atipici la causa manca quando il negozio non è diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela. La mancanza originaria della causa produce la nullità del negozio. Può darsi che la causa manchi originariamente solo in parte (difetto genetico parziale della causa). Ciò può avvenire nei contratti a prestazioni corrispettive. A rigore, perché la causa debba ritenersi in parte mancante, basterebbe che le due prestazioni non siano equivalenti: ma, per la sicurezza delle contrattazioni, la legge attribuisce rilevanza al difetto di causa solo se lo squilibrio tra la prestazione di una parte ed il corrispettivo assuma proporzioni inique o notevoli. La causa può esistere originariamente: possono sopravvenire, peraltro, circostanze che impediscono alla causa di funzionare (difetto sopravvenuto o funzionale della causa). Il contratto non è nullo, ma la parte può agire per la risoluzione del contratto e così sciogliersi dal vincolo.

L'illiceità della causa

L'ordinamento giuridico non riconoscere e non tutela l'autonomia privata, se essa è diretta a scopi contrari alla legge e alle concezioni morali comunemente accolte. E perciò la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume: l'illiceità della causa produce la nullità del negozio. Il negozio contrario a norme imperative o all'ordine pubblico si chiama illegale, quello contrario al buon costume, e, cioè, che viola i principi morali comunemente accolti, si chiama immorale. L'immoralità può essere unilaterale o bilaterale: se l'immoralità è unilaterale il diritto di chiedere la restituzione di quanto sia stato ato è senz'altro riconosciuto all'interessato. Tale diritto, invece, dev'essere negato se il amento deve considerarsi immorale anche in relazione a chi effettua la prestazione.

I motivi

Il motivo che spinge un soggetto a porre in essere un negozio giuridico è lo scopo pratico, individuale, da lui perseguito e che lo 'motiva' al compimento dell'atto. Perlopiù il motivo in funzione del quale ciascuna parte si determina a porre in essere un negozio giuridico non viene comunicato alla controparte, ed anche se le viene comunicato rimane per questa del tutto indifferente. I motivi talvolta diventano giuridicamente rilevanti, soprattutto quando la loro realizzazione venga espressamente a formare oggetto di un patto contrattuale o di una condizione cui si subordina l'efficacia dell'atto. In maniera contrattuale, l'articolo 1345 del codice civile stabilisce che 'il contratto è illecito' (e quindi nullo) 'quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe'. Occorre, quindi, perché il contratto sia colpito da nullità:

a)  che l'accordo abbia per entrambe le parti lo stesso motivo;

b)  che il motivo comune sia illecito (ovvero risulti contrario a norme imperative);

c)  il motivo illecito comune dev'essere stato esclusivo e quindi determinante del consenso.

Nella donazione non occorre, per determinare la nullità dell'atto, che il motivo illecito sia comune: è sufficiente un motivo illecito unilaterale del donante, perché risulti dall'atto e sia 'il solo che ha determinato il donante alla liberalità'. In tema di atti gratuiti pure l'errore sul motivo (irrilevante nei contratti) diventa causa di impugnabilità dell'atto a condizione che il motivo risulti dall'atto e sia il solo che ha determinato la liberalità.

Il negozio in frode alla legge

All'illiceità della causa all'articolo 1344 del codice civile equipara la frode alla legge, che ha luogo, quando il negozio, pur rispettando la lettera della legge, costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa e cioè per raggiungere un risultato praticamente equivalente a quello vietato. Il negozio in frode si distingue dal negozio contrario alla legge. Con quest'ultimo cioè le parti mirano direttamente a un risultato vietato; con il negozio in frode, invece, mirano mediante qualche accorgimento, ad ottenere un risultato equivalente a quello vietato dalla norma imperativa. La frode alla legge costituisce un vizio della causa dell'atto, che si completa in un abuso della funzione strumentale tipica del negozio: questo viene impiegato per un fine che contrasta con la funzione sociale (causa) che gli è propria. La frode alla legge si distingue dalla frode ai creditori che è diretta a danneggiare specificamente costoro e che viene colpita con una particolare azione (azione revocatoria). La frode alla legge si distingue anche dalla frode al fisco, che non dà luogo alla nullità del negozio, ma alle sanzioni stabilite dalla legge tributaria.


I vizi della volontà

A)    Il problema in generale

Nozione di vizio della volontà

Il compimento di un negozio giuridico è preceduto da una serie di motivi che inducono il soggetto a porlo in essere. I vizi della volontà a cui la legge attribuisce rilevanza sono l'errore, il dolo e la violenza (art. 1427 cod. civ.). Essi non producono il grave effetto della nullità del negozio, ma una conseguenza minore: l'annullabilità.

B) Errore

Errore ostativo ed errore-vizio

L'errore consiste in una falsa conoscenza della realtà. Otto il vigore del codice abrogato aveva grande importanza la distinzione tra errore-vizio (incidente interno di formazione della volontà) ed errore ostativo (determinante divergenza o contrasto tra volontà e dichiarazione). Errore ostativo: voglio scrivere 100, ma per lapsus calami scrivo 110; errore-vizio: m'induco a comprare un oggetto credendo che sia d'oro, invece è di metallo. La dottrina e la giurisprudenza ritenevano che l'errore ostativo producesse la nullità del negozio, mentre l'errore -vizio desse luogo all'annullabilità. Il codice vigente ha equiparato gli effetti, entrambi determinano l'annullabilità del contratto, ma a condizione:

a)  che l'errore sia essenziale;

b)  che l'errore sia riconoscibile dall'altro contraente.

Con il principio che subordina la rilevanza dell'errore alla sua "riconoscibilità" da parte dell'altro contraente il legislatore accorda tutela all'errante soltanto quando ciò non contrasti con la necessità di proteggere la buona fede e l'affidamento della controparte. La stessa regola, dai contratti si estende agli atti unilaterali, non si applica né al testamento né al matrimonio. Nei negozi bilaterali e plurilaterali un'altra ura di errore ostativo è costituita dal dissenso, che ha luogo quando le parti, pur sottoscrivendo una identica dichiarazione, non si rendono conto di attribuire significati tra loro divergenti. Anche in tal caso la rilevanza del vizio dipende dalla sua essenzialità e riconoscibilità.

Errore di fatto ed errore di diritto

L'errore può essere di fatto o di diritto; è di fatto quando cade su una circostanza di fatto, è di diritto quando concerne la stessa vigenza (poso per esempio ignorare che una legge è stata abrogata e ritenerla ancora in vigore). La portata della regola nemo censetur ignorare legem deve essere correttamente intesa. Essa impedisce a chiunque di addurre come scusa l'inosservanza di un dovere nascente da una legge la circostanza di avere ignorato di essere tenuto ad osservarlo.

Essenzialità dell'errore

Perché l'errore, sia esso errore-vizio che errore ostativo, sia errore di fatto che di diritto, produca l'annullabilità del contratto, è necessario che esso sia essenziale e riconoscibile dall'altro contraente. L'errore è essenziale quando presenta due caratteristiche: deve essere stato tale da aver determinato la parte a concludere il contratto,ovvero, se l'errore non ci fosse stato, la persona non avrebbe stipulato il contratto. In secondo luogo, non ogni errore determinante può considerarsi perciò solo "essenziale", perché il codice qualifica tale solamente l'errore che cade:

o sulla natura del negozio (credo di dare una cosa in locazione, mentre il contratto è di enfiteusi);

o sull'oggetto del negozio (credo che siano viti gli oggetti che voglio comprare e invece sono chiodi);

o su una qualità della cosa, oggetto del negozio (si crede che sia lana animale ciò che è lana sintetica);

o sulla persona e, cioè, sull'identità o sulle qualità dell'altro contraente;

o può assumere rilevanza anche l'error in quantitate, ossia sulla quantità della prestazione, sempre che essa sia determinante del consenso e non si riduca ad un errore di calcolo, il quale non dà luogo ad annullabilità ma a semplice rettifica del negozio.

Anche l'errore di diritto, deve avere carattere essenziale. Non ha carattere di essenzialità l'errore che cade sui motivi che inducono il soggetto a concludere il negozio. Se per esempio m'induco ad acquistare una casa, perché ritengo erroneamente che sarò trasferito nella città in cui la casa si trova, il mio errore è irrilevante. L'errore sul motivo, purché risulti dall'atto ed abbia valore determinante, ha rilevanza nel testamento e nella donazione. La natura gratuita dei due negozi spiega la deroga.

Riconoscibilità dell'errore

Perché l'errore produca l'annullabilità del negozio, è necessario un ulteriore requisito: la possibilità che esso sia riconoscibile dall'altro contraente, secondo i principi della teoria dell'affidamento. L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto, la controparte avrebbe potuto accorgersene. Quella della riconoscibilità dell'errore è un'indagine che va fatta caso per caso: una quaestio facti. Nel caso di errore bilaterale o comune, e cioè nel caso in cui entrambi i contraenti siano incorsi nel medesimo errore, la giurisprudenza ritiene che non vada applicato il principio dell'affidamento, e quindi che sia sufficiente l'essenzialità dell'errore per l'annullabilità del negozio, non rilevando la riconoscibilità dal momento che ciascuno dei contraenti ha dato luogo all'invalidità del contratto indipendentemente dal comportamento dell'altro. Si disputa se, altre ai requisiti dell'essenzialità e della riconoscibilità, sia richiesto che l'errore non dipenda da colpa dell'errante (errore scusabile).

C) Dolo

Nozione

Il dolo come vizio del consenso (o dolo inganno), è disciplinato dal codice civile agli artt. 1439 e 1440. per l'annullabilità dell'atto devono concorrere:

a)  il raggiro o l'artificio, ossia un'azione idonea a trarre in inganno la vittima; ad es., presentare una falsa licenza di costruzione per indurre la controparte a ritenere edificabile un terreno ed a decidere di acquistarlo;

b)  l'errore del raggirato: non è sufficiente che l'autore dell'inganno abbia tentato di farmi credere cose non esatte; se io ho capito come stavano in realtà le cose, non posso trarre a pretesto il comportamento della controparte. Il negozio è annullabile solo se il dolo è stato "determinante", se l'inganno ha avuto successo;

c)  la provenienza dell'inganno della controparte: se sono vittima di raggiri di terzi, che nulla hanno a che fare con l'altro contraente, l'atto non è impugnabile, a meno che quest'ultimo ne fosse a conoscenza e ne abbia tratto vantaggio.

Per quanto riguarda il comportamento ingannevole utilizzato per far cadere in errore la vittima, non occorre un errore "essenziale" basta un semplice errore sui motivi. Per la menzogna, si ritiene che il negozio non sia annullabile, qualora il dichiarante, usando la normale diligenza, avrebbe potuto rendersi conto di quale fosse la verità.

Quanto alla reticenza (dolo omissivo), e cioè al fatto di tacere circostanze che avrebbero potuto indurre la controparte a rinunciare alla stipulazione dell'atto, si ritiene che sia sufficiente per integrare la ura del dolo, e ad rendere annullabile il negozio.

La vecchia dottrina distingueva dal dolus malus, concretante comportamenti fraudolenti, un supposto dolus bonus, irrilevante in quanto limitato a bonaria esaltazione della propria merce. Dal dolo determinante (o causam dans), che si caratterizza per aver determinato la vittima a stipulare un atto che, se non fosse stata ingannata, non avrebbe concluso; si distingue il dolo incidente (incidens), che si limita ad incidere sulle condizioni contrattuali. Ricorre questa ura quando la vittima dell'inganno non si è determinata alla stipula dell'atto per effetto del raggiro subito, dal momento che avrebbe voluto il negozio anche se non fosse indotta in errore: ma l'inganno ha giocato un ruolo sul complessivo regolamento negoziale, in quanto, se non fosse caduta in errore, la parte raggirata avrebbe stipulato l'atto a condizioni diverse. In questo caso il contratto non è annullabile. Dal punto di vista civilistico non è rilevante se il comportamento del responsabile completa o meno altresì gli estremi della truffa

Rilevanza del dolo

Se si tratta di un contratto, perché il dolo abbia rilevanza deve provenire dall'altro contraente. Se i raggiri sono stati usati da un terzo, occorre, ai fini dell'annullabilità del contratto, che siano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio. Se ciascuna delle parti ha cercato di ingannare l'altra (dolo reciproco) vi sarebbe una compensazione tra le due frodi. Se si tratta di un negozio unilaterale che non sia recettizio (testamento), il dolo ha rilevanza da chiunque provenga. Il dolo può avere rilevanza in tutti gli atti, tranne quelli in cui, per particolari ragioni, tale rilevanza è esclusa dalla legge: così nel matrimonio possono dedursi solo l'errore e la violenza; nella confessione che è impugnabile solo per errore di fatto o violenza. ½ sono negozi nei quali l'errore non può essere addotto come vizio della volontà se non è provocato dal dolo: l'accettazione e la rinunzia dell'eredità e la divisione.

Rapporti tra il dolo vizio della volontà e la nozione generale di dolo

Il dolo-inganno non va confuso con il dolo-intenzione, cioè con quella ura di dolo che s'incontra non solo nel diritto penale ma nel diritto privato. Il dolo non indica un particolare tipo di azione ma costituisce un elemento soggettivo o psicologico, ossia l'intenzione dell'agente di realizzare un determinato risultato, e si concreta nella corrispondenza tra un programma perseguito da una persona e l'azione da essa posta in essere; l dolo quale vizio della volontà denota proprio un particolare tipo di azione, l'azione di chi inganna o raggira, e che si concreta in un determinato fatto

D Violenza

Nozione

La violenza psichica (vis compulsiva) consiste nella minaccia di un male ingiusto, rivolto ad una persona allo scopo di estorcerle il consenso alla stipulazione di un contratto. La violenza "morale" assume rilievo come vizio della volontà quando miri non già ad un qualsiasi altro risultato bensì se sia diretta ad ottenere dal minacciato il compimento di un atto a carattere negoziale. La vittima della violenza psichica è posta di fronte alla scelta tra subire il male minacciato, rifiutandosi di concludere il negozio. La violenza psichica a differenza della violenza fisica produce non la nullità, ma l'annullabilità del negozio. L'ordinamento affida a chi ha subito la violenza la valutazione circa l'opportunità di agire oppure no, per l'annullamento. La violenza si distingue dal timore riverenziale che consiste nell'intenso rispetto che si nutre verso persone autorevoli, i genitori ecc.

Violenza e stato di pericolo

La violenza si distingue dallo stato di pericolo. Il timore che spinge il soggetto ad emettere la dichiarazione negoziale è provocato dalla altrui manaccia; nello stato di necessità o di pericolo vi è una situazione psichica diretta a far concludere il negozio. Se per effetto dello stato di pericolo una persona ha assunto obbligazioni a condizioni inique, il negozio è annullabile, ma rescindibile.

Requisiti della violenza

La violenza s'inquadra tra i vizi del consenso nella stipulazione di un negozio giuridico. Non ricorre la violenza in qualsiasi caso di minaccia di un male ingiusto, ma soltanto quando la minaccia sia diretta allo scopo di indurre la vittima a perfezionare il negozio. Il male minacciato deve essere ingiusto e notevole e deve riguardare la vittima stessa o il coniuge o un discendente o i rispettivi beni. Non si esclude a priori la rilevanza della violenza, se il male minacciato riguarda altre persone, la violazione dell'efficacia della minaccia è rimessa all'apprezzamento del giudice. Il male minacciato deve essere ingiusto, requisito che non ricorre nel caso della minaccia di far valere un proprio diritto. Così nell'ipotesi che il creditore minacci al debitore che non hi la subastazione dei beni o il fallimento. Se il titolare del diritto soggettivo si serve della minaccia per conseguire non ciò che gli spetta, ma la stipulazione di un contratto che la controparte potrebbe non avere interesse di concludere, la minaccia acquista carattere d'ingiustizia ed il negozio è annullabile. A differenza del dolo che per aver rilevanza nei contratti, deve provenire dall'altro contraente, la violenza produce l'annullabilità del negozio anche se esercitata da un terzo. Si giustifica questa differenza tra dolo e violenza del terzo, con la considerazione della maggiore antigiuridicità della violenza rispetto al dolo. Il reato di estorsione è punito più gravemente della truffa.


Gli elementi accidentali del negozio giuridico

A)    Nozioni generali

Gli elementi accidentali ed i motivi

Gli elementi accidentali più importanti sono la condizione, il termine e il modo. La condizione ed il modo possono servire ad attribuire rilevanza giuridica a motivi che non trovano considerazione nell'ambito della struttura tipica del contratto e pertanto resterebbero irrilevanti.

B)    La condizione

Definizione

La condizione è un avvenimento futuro ed incerto, dal quale le parti fanno dipendere o la produzione degli effetti del negozio o l'eliminazione degli effetti che il negozio ha già prodotto. L'espressione «condizione» viene adoperata sia per indicare la clausola condizionale inserita nel negozio, sia l'evento dedotto in condizione per farne dipendere la produzione o la risoluzione degli effetti dell'atto. La condizione può essere: sospensiva, se da essa dipende l'efficacia del negozio, risolutiva, se da essa dipende l'eliminazione degli effetti del negozio.

Esempio di condizione sospensiva: mi impegno a comprare il fondo tusculano al prezzo pattuito se il Comune rilascerà la concessione ad aedificandun. Se invece compro il fondo subito, sotto la condizione che entro un anno non venga rilasciata la concessione ad edificare, il contratto cesserà di avere i suoi effetti, la condizione è risolutiva. Non tutti i negozi giuridici tollerano l'apposizione della condizione: essa è inopponibile al matrimonio, all'accettazione dell'eredità, alla cambiale. Quando un negozio non tollera l'apposizione della condizione si parla di actus legitimus. Dalla condizione così come è stata definita (condicio facti), si distingue la condicio iuris. La condicio facti dipende dalla volontà delle arti, che sono, libere, nello stipulare un atto, di apporla o non apporla secondo la propria valutazione. La condicio iuris costituisce un elemento previsto e stabilito dalla legge, sul quale la volontà delle parti non può influire. Alla condicio iuris non si applicano le regole che si riferiscono alla condicio facti. La condizione, sia essa sospensiva sia risolutiva, si distingue in casuale se il suo avveramento dipende dal caso o dalla volontà di terzi; potestativa se dipende dalla volontà di una delle due parti; mista se dipende in parte dal caso o dalla volontà di terzi, in parte dalla volontà di una delle parti. La condizione potestativa si distingue in meramente potestativa se consiste in un comportamento della stessa parte obbligata, che può tenerlo o meno a suo arbitrio. Circa la condizione meramente potestativa, occorre distinguere: se essa fa dipendere l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo della mera volontà dell'alienante o del debitore, essa rende nullo in negozio a cui è apposta. Se è l'acquisto del diritto o del credito che dipende dalla mera volontà dell'acquirente o del creditore non v'è ragione perché il negozio non sia valido.

La presupposizione

ura diversa della condizione è la presupposizione. Ricorre un caso di «presupposizione» quando da un'interpretazione secondo buona fede della volontà negoziale risulta che le parti hanno considerato pacifica e come determinante per la conclusione dell'affare una data situazione di fatto attuale o futura. Dottrina e giurisprudenza sono incerte ed oscillanti. Da un lato vale il principio della irrilevanza dei motivi non dichiarati e della mancanza di qualsiasi orma di legge che attribuisca importanza alla presupposizione; dall'altro il rispetto della buona fede esige di accordare tutela alla parte il cui consenso era strettamente condizionato ad un presupposto noto alla controparte.

Illiceità e impossibilità della condizione

La condizione è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico, al buon costume. La condizione illecita si considera apposta ai negozi mortis causa; rende invece nullo il negozio tra vivi. La condizione impossibile è quella che consiste in un avvenimento irrealizzabile, o dal punto di vista naturale, o da quello giuridico.

Pendenza della condizione

In un negozio condizionato si debbono distinguere due momenti:

pendenza della condizione, l'avvenimento non si è ancora verificato, ma può ancora verificarsi;

avveramento o mancanza della condizione, l'incertezza è eliminata: l'avvenimento si è avverato o è certo che non si può più verificare.

Durante la pendenza della condizione sospensiva il diritto che deriva dal negozio non è ancora nato, vi è la possibilità che esso nasca; durante la pendenza della condizione risolutiva v'è la possibilità che il diritto esso sia perduto dal suo titolare e acquistato dalla controparte. Nel corso della pendenza una delle parti esercita il diritto, mentre l'altra parte non lo esercita, ma ha la speranza di divenirne titolare, se la condizione si verificherà. Questa parte, se non ha un diritto, ha una aspettativa all'acquisto del diritto, aspettativa che è trasmissibile agli eredi.

Avveramento della condizione

La condizione si dice avverata (condicio existit), quando si verifica l'evento dedotto. Quando la condizione sospensiva si è verificata, si producono tutte le conseguenze del negozio, con effetto retroattivo al tempo in cui è stato concluso, ossia si considera come se gli effetti si fossero prodotti non già dal momento in cui l'avvenimento dedotto in condizione ha avuto luogo, ma da quello della conclusione del negozio (retroattività della condizione). L'inverso avviene se la condizione è risolutiva. La dottrina denomina questa retroattività come retroattività reale o esterna per distinguerla dalla retroattività obbligatoria. Retroattività reale significa che gli effetti del negozio si considerano verificati o cadutati dal momento della conclusione anche di fronte ai terzi. La retroattività obbligatoria trova applicazione in tema di risoluzione per inadempimento. La retroattività non è un elemento essenziale, ma costituisce un effetto naturale della condizione: essa si fonda sulla presunta volontà delle parti che possono stabilire diversamente. L'irretroattività può dipendere anche dalla natura del rapporto. La retroattività non si applica agli atti di amministrazione compiuti in pendenza della condizione di colui che esercita il diritto, perché questi atti tendono alla conservazione della cosa. La retroattività non si applica ai frutti che siano stati percepiti durante il periodo di pendenza della condizione.

C)    Il termine

Natura

Il termine consiste in un avvenimento futuro e certo, dal quale (termine iniziale) o fini al quale (termine finale) debbono prodursi gli effetti del negozio. Il termine differisce dalla condizione per il carattere di certezza del verificarsi dell'avvenimento: questo è anch'esso futuro ma non vi è alcun dubbio circa il suo avvenimento. Il termine si distingue in determinato (il giorno di Natale o di Pasqua del 1990) e indeterminato (il giorno della mia morte). Tenendo conto della possibilità d'incertezza sull'avverarsi dell'avvenimento si distinguono quattro ipotesi: 1) dies certus an et quando (che giungerà e quando giungerà): il 5 aprile 1990 (termine determinato); 2) dies certus an et incertus quando (il giorno della mia morte, termine indeterminato); 3) dies incertus an et centrus quando (il giorno in cui compirò 50 anni, ma non è certo che arrivi, potendo morire prima); 4)incertus an et quando (il giorno in cui prenderà la laurea, se la prenderò). Come vi sono negozi che non tollerano l'apposizione di condizioni, ve ne sono che non ammettono apposizione  di termine: anch'essi si chiamano actus legitimi: es. matrimonio, l'accettazione o la rinunzia dell'eredità. Quello di cui ci siamo finora occupati è denominato termine di efficacia del negozio, ed è distinto dal termine di adempimento o di scadenza. Se ti do in locazione un appartamento dal 1° gennaio 1996 (termine iniziale) al 31 dicembre 1997 (termine finale), il termine determina il periodo in cui il rapporto deve produrre i suoi effetti (termine di efficacia). Se, invece, pattuisco la somma data in prestito (mutuo) mi deve essere restituita il 31 dicembre 1993, si ha un esempio di termine di adempimento o di scadenza.

Effetti del termine

La condizione potestativa a parte debitoris rende nullo il negozio, è valido, invece, il negozio con termine rimesso alla volontà del debitore (termine potestativo): spetterà al giudice di fissare, secondo le circostanze, il momento in cui il negozio comincerà ad avere efficacia. Anche in relazione al termine si distinguono due momenti: pendenza e scadenza. Durante la pendenza, il diritto non può essere esercitato, perché il termine ha appunto lo scopo di differirne l'esercizio. Con la scadenza del termine si verificano gli effetti del negozio, ma essi non retroagiscono, come nella condizione. È stata proprio ed appunto la volontà delle parti a volere che gli effetti stessi si verifichino in un momento successivo alla conclusione del negozio.

D)    Il modo

Natura

Il modo è una clausola accessoria che si appone a una liberalità allo scopo di limitarla. La limitazione può consistere in un obbligo di dare, di fare o di non fare. Il modo riduce gli effetti dell'attribuzione patrimoniale, ma non ne costituisce un corrispettivo: fuori senso sarebbe pensare ad un corrispettivo rispetto al testamento; ma anche nella donazione modale non si mira ad uno scambio, per esempio tra ciò che è donato e la costruzione dell'ospedale. Invece il donante vuole beneficiare il donatario. Se il modo costituisce una limitazione della liberalità, non rappresenta la causa del negozio, che resta l'attribuzione a titolo gratuito, ma un motivo di particolare rilevanza, che non sempre ha valore determinante della volizione. Perciò il modo non esclude il carattere gratuito del negozio. Il modo si distingue dalla semplice raccomandazione o dal semplice desiderio, che rappresenta un dovere morale per che riceve l'attribuzione patrimoniale: dell'interpretazione della volontà risulterà se il donante o il testatore abbia voluto imporre un vero obbligo giuridico o fargli una pura e semplice raccomandazione. Il modo si distingue anche dalla condizione sospensiva, in quanto questa non produce un obbligo a carico della persona, e, il modo non sospende, a differenza della condizione sospensiva, l'efficacia del negozio. Se costruisci un ospizio per i poveri, ti dono un miliardo, la donazione è sottoposta a condizione sospensiva; tu, anche dopo la donazione sarai libero o meno di costruire l'ospizio, ma non avrai il miliardo se non quando avrai costruito l'ospizio. Se, invece, ti dono un miliardo con l'obbligo di costruire uno ospizio, tu riceverai subito il miliardo ma sarai obbligato a costruirlo.

Modo impossibile o illecito

Poiché il modo costituisce un motivo, si applica al modo illecito (ti dono una somma ma devi uccidere un mio nemico) e al modo impossibile la disciplina che la legge adotta rispetto al motivo illecito negli atti a titolo gratuito. L'onere impossibile o illecito , sia che si tratti di liberalità inter vivos che mortis causa, si ha per non apposto, a meno che esso non risulti essere stato il solo motivo determinante.

Adempimento del modo

La disciplina che il codice stabilisce in ordine all'adempimento e all'inadempimento del modo è in correlazione con la sua natura giuridica. Il modo non è un consiglio, una raccomandazione, ma costituisce un obbligo giuridico. Circa gli effetti dell'inadempimento, giova ricordare che il modo non inerisce alla causa del negozio e non si confonde con il corrispettivo, che caratterizza i negozi a titolo oneroso. Perciò non si applicano all'inadempimento del modo le regole relative alla risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive. La risoluzione del negozio ha luogo, soltanto quando il modo ha assunto un tale rilievo nella volizione del testatore o del donante da essere prevista nell'atto come conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo. Se poi il modus è apposto in un testamento, riaffiora la tendenza legislativa ad attribuire risalto alla volontà, del testatore; la risoluzione può essere pronunciata dal giudice, se l'adempimento dell'onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione.

Interpretazione del negozio giuridico

Le regole legislative di ermeneutica

L'interpretazione del negozio giuridico tende a determinare il significato giuridicamente rilevante da riconoscere ad una 'dichiarazione' negoziale. Pertanto l'interpretazione di un negozio va intesa come volta a determinare quali effetti il negozio sia idoneo a produrre, valutandolo alla stregua dei criteri legali dettati dal legislatore in tema di interpretazione. Queste norme, per verità, sono dettate per il contratto, ma valgono, in quanto compatibili, anche per gli altri negozi. Le regole di interpretazione si distinguono in due gruppi:

  • regole di interpretazione soggettiva, quelle che sono dirette a ricercare il punto di vista dei soggetti del negozio;
  • regole di interpretazione oggettiva, che intervengono quando non riesca possibile attribuire un senso al negozio nonostante il ricorso alle norme di interpretazione soggettiva.

Per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare anche il loro comportamento, sia anteriore alla conclusione del negozio, sia posteriore. In materia di contratti e di atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale ha rilievo, anche in tema di interpretazione, il principio dell'affidamento: perciò il contratto deve essere interpretato secondo buona fede. Se nonostante il ricorso alle regole ore indicate, il senso non risulti chiaro, si applica il principio della conservazione del negozio: nel dubbio, il negozio deve interpretarsi nel senso in cui esso possa avere qualche effetto anziché in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno.


Effetti del negozio giuridico

Tra le parti

Il negozio giuridico, una volta posto in essere, ha 'forza di legge' rispetto alle parti che l'hanno perfezionato. Vale a dire che gli effetti attribuiti all'atto sono vincolati per chi lo ha posto in essere, quand'anche egli sia pentito. Peraltro, per stabilire quali effetti un negozio è idoneo a produrre occorre non soltanto averlo interpretato, ma altresì aver proceduto ad altre due operazioni: la qualificazione dell'atto e l'integrazione dei suoi effetti. Per qualificazione dell'atto si intende la sua esistenza sotto il nome della legge dal quale si determina la disciplina applicabile. L'atto produce poi non soltanto gli effetti perseguiti dalle parti, ma anche quelli disposti dalla legge, dagli usi e dall'equità. L'integrazione degli effetti del negozio è importante soprattutto per risolvere i problemi posti dalle eventuali lacune della disciplina negoziale che possono essere colmata da norme dispositive.

Rispetto ai terzi

Il negozio giuridico produce, di regola, i suoi effetti tra le parti: esso non può danneggiare ne giovare al terzo estraneo. Per verità, non mancano negozi unilaterali gratuiti i quali si propongono di arrecare un vantaggio ad altri, ma anche rispetto ad essi gli effetti non si producono mai contro la volontà del beneficiario. L'effetto non può essere mai pregiudizievole, ma sempre favorevole al terzo. Naturalmente i negozi giuridici, se non producono effetti diretti rispetto ai terzi, possono peraltro produrre rispetto ad essi effetti indiretti o riflessi.

Negozi ad effetti reali e negozi ad effetti obbligatori

Gli effetti che i negozi aventi contenuto patrimoniale possono produrre sono di due specie: reali ed obbligatori. In conformità a questa distinzione, essi si distinguono in negozi dispositivi ad effetti reali e negozi ad effetti obbligatori: i primi hanno per oggetto la trasmissione o la costituzione di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto; i secondi danno luogo alla nascita di un rapporto obbligatorio.


Invalidità ed inefficacia del negozio giuridico

A) Il problema generale

Invalidità

L'ordinamento giuridico, pur riconoscendo ai privati l'autonomia privata, attribuisce a tali dichiarazioni valore ed effetti giuridici in quanto rientrino nei limiti che l'ordinamento stabilisce per l'attuazione dell'autonomia privata. Se questi limiti sono sorpassati, o violati, o inosservati, la sanzione che colpisce l'attività del privata è l'invalidità. Il negozio giuridico è invalido quando per l'inosservanza dei limiti stessi, il negozio è viziato, difettoso, malato. L'invalidità può assumere due aspetti distinti: la nullità e l'annullabilità. Per designare la situazione che si verifica nel caso di nullità del negozio, si adopera anche il termine inesistenza. L'inesistenza implica una deficienza grave da impedire l'identificazione del negozio.

B) La nullità

Nozione

I negozi giuridici sono atti di autonomia, mediante i quali i privati mirano a conseguire determinati risultati (acquistare la proprietà di un bene, diventare creditore di un prezzo). I risultati perseguiti vengono realizzati se il negozio è efficace; ma non necessariamente un negozio efficace è anche valido. Un atto valido è pure efficace, ma può accadere che un atto sia valido e inefficace (un testamento prima della morte del testatore, una locazione che avrà luogo il mese prossimo); e viceversa un atto invalido può essere efficace (un contratto annullabile, produce i suoi effetti, benché sia impugnabile e  fin quando non venga o annullato o sanato). Il negozio nullo non solo è invalido ma è inidoneo. Il codice civile qualifica spesso un atto come "nullo" , ma non specifica mai che cosa comporta tale qualifica. La ura della nullità si è estesa dal campo del diritto privato a tutti gli altri rami dell'ordinamento. Un atto si dice nullo, quando a prescindere dalla "causa" della nullità va valutato come inidoneo a produrre i suoi effetti "tipici". Per affermare la nullità di un negozio occorre individuare la causa che giustifica una condanna così perentoria circa la inidoneità dell'atto a produrre i suoi effetti, il "vizio" da cui l'atto è così gravemente inficiato. Tali cause possono raggruppasi in tre grandi categorie:

a)  specifica comminatoria di nullità contenuta in una norma di legge;

b)  la mancanza di uno degli elementi essenziali del negozio: ad es. la forma, quando è richiesta ad substantiam, o l'oggetto, o il contenuto, o la causa. In questa stessa categoria può farsi rientrare la nullità per illiceità dell'atto, tanto che si tratti di illiceità dell'atto, quanto che si tratti di illiceità della causa;

c)  un atto è nullo "quando è contrario a norme imperative", quand'anche la nullità dell'atto non sia espressamente prevista dalla norma.

Il vizio che determina la nullità può investire l'intero negozio (nullità totale), soltanto una o più clausole del dell'atto (nullità parziale), l'intero negozio è parimenti travolto dalla nullità "se risulta che i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità", ossia se risulta che la parte invalida doveva considerarsi essenziale, per cui senza di essa l'atto non sarebbe stato posto in essere. La nullità di singole clausole invalida il resto del negozio quando è lo stesso legislatore ad avere già previsto la c.d. sostituzione automatica delle clausole invalide con clausole «imposte» dalla legge; ad es. i prezzi o le tariffe stabilite da norme imperative si sostituiscono automaticamente a quelli previsti pattiziamente, se contrastanti.

L'azione di nullità

Il negozio nullo non produce alcun effetto giuridico, ma ciò non significa che non possa essere eseguito. Ad es. è certamente nullo il contratto con cui un killer si impegna ad ammazzare una persona contro un compenso in denaro, ma la carenza di qualsiasi effetto giuridico non esclude che quel patto venga integralmente eseguito. Possiamo trovarci di fronte ad un atto valido ed efficace, ma non eseguito, e viceversa un atto nullo ed inefficace può essere stato in toto o in parte eseguito. La nullità di un atto può essere pacifica per le parti, che non ne pretendono l'esecuzione, ma può darsi che insorgano contestazioni tra le parti. Qualora s'intenda dirimere una controversia circa la validità o meno di un atto; qualora si voglia chiedere la restituzione di una prestazione effettuata in esecuzione di un atto nullo, o rifiutare l'esecuzione di una prestazione, è necessario rivolgersi al giudice per far accettare e dichiarare la nullità del negozio in questione. Un contratto può essere e restare nullo senza che nessuno si preoccupi mai di chiedere che ne sia dichiarata la nullità, o perché nessuno ne pretende l'esecuzione o perché l'esecuzione si svolge senza problemi; ma se si vuole chiarire la situazione è inevitabile chiedere al giudice di dichiarare se il negozio è nullo o è valido. Benché un atto sia «nullo», la sua «esistenza» può essere fonte di contestazioni, onde l'interesse a farne accertare l'invalidità, risultato che si può ottenere solo rivolgendosi al giudice. L'azione di nullità presenta alcune caratteristiche significative:

a)  in primo luogo è imprescrittibile («l'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione»). La differenza più significativa rispetto all'azione di annullamento, che è invece sempre soggetta a prescrizione;

b)  il negozio nullo è insanabile, «non può essere convalidato», ne potrebbe essere confermato o ratificato. La convalida non va confusa ne con la "conversione" del negozio nullo, né con una rinnovazione dell'atto, effettuata evitando di incorrere nella stessa causa di nullità;

c)  l'azione di nullità è di mero accertamento, in quanto la sentenza che abbia ad accogliere la domanda non modifica la situazione giuridica preesistente, limitandosi ad accertare che il negozio è nullo;

d)  la legittimazione attiva a far valere la nullità di un negozio è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse, in caso di nullità di un contratto possono esperire l'azione di nullità sia entrambi i contraenti sia di terzi, purché comprovino il loro interesse ad ottenere l'accertamento che il negozio è nullo;

e)  la nullità di un atto «può essere rilevata d'ufficio dal giudice».

La conversione del negozio nullo

Il negozio nullo non può produrre gli effetti per realizzare i quali era stato posto in essere. La legge, però ammette che possa attuarsi un fenomeno automatico di trasformazione/limitazione di quanto pattuito (denominato conversione). Sebbene una conversione si realizzi in casi molto rari, l'art. 1424 cod. civ. richiede i seguenti presupposti:

a)  che sia stato stipulato un negozio nullo inidoneo a produrre gli effetti divisati dalle parti;

b)  che quel negozio presenti tutti i requisiti, sia di sostanza che di forma, di n diverso negozio;

c)  che sia possibile dimostrare che le parti, qualora al momento della conclusione del negozio nullo fossero state consapevoli della nullità, avrebbero accettato di concludere, quel diverso negozio che sarebbe stato idoneo a produrre i suoi effetti.

La maggiore difficoltà di questa fattispecie risiede nella prova di tale volontà ipotetica, dovendosi dimostrare non qualcosa di realmente accaduto, bensì quanto le parti avrebbero potuto volere se fossero state a conoscenza della nullità. Immaginiamo un atto costitutivo di una servitù prediale stipulato verbalmente (anzi ché scritto): l'acquirente avrà interesse a sostenere che quell'atto, inidoneo a costituire un diritto reale, possa ammettersi una automatica conversione in un valido impegno da parte del proprietario del fondo servente, meramente obbligatorio, a tollerare l'esercizio della servitù da parte del proprietario del fondo dominante. Da questo tipo di conversione si distingue la conversione formale, che opera automaticamente: il documento che sia stato formato senza la formalità prescritta perché possa qualificarsi come atto pubblico, vale come scrittura privata; il testamento segreto, che manchi di qualche requisito proprio, ha effetto come testamento olografo. Diversa dalla conversione è la rinnovazione, le parti pongono in essere un nuovo negozio eliminando il vizio che dava luogo alla nullità. La conversione non esige una nuova manifestazione di volontà: è l'ordinamento giuridico che attribuisce al tipo di negozio voluto dalle parti gli effetti di un negozio giuridico diverso.

Conseguenze della nullità

Il negozio giuridico nullo non produce alcun effetto. Ma da un lato il legislatore apporta delle deroghe a questa regola, e dall'altro lato occorre tener conto della eventuale rilevanza del negozio nullo di fronte ai terzi. Sotto il primo profilo si considerano quali esempi, l'art. 2126 cod. civ., in materia di lavoro, e l'art. 2332 comma 2, in tema di società di per azioni: per tutto il periodo un cui un rapporto di lavoro abbia esecuzione, l'eventuale nullità del contratto «non produce effetto». Sotto il secondo profilo la nullità di un atto non è opponibile a taluni terzi se il negozio nullo sia stato eseguito, si può pretendere la restituzione delle prestazioni eseguite. Si applicano le regole sulla ripetizione di ogni amento indebito che saranno esaminate a suo tempo. 

C) L'annullabilità

Nozione

L'annullabilità costituisce un'anomalia di minore gravità della nullità. L'annullabilità deriva dell'inosservanza delle regole che, mirano a proteggere uno dei soggetti. Il negozio annullabile produce tutti gli effetti a cui era diretto (cosiddetta efficacia interinale o precaria del negozio annullabile), ma questi effetti vengono meno se viene proposta ed accolta l'azione di annullamento. L'annullabilità di un negozio presenta i seguenti aspetti:

a)  l'azione tendente a far annullare un negozio è un'azione costitutiva, in quanto non si limita a far accertare la situazione preesistente, ma mira a modificarla;

b)  salvo diversa disposizione di legge, la legittimazione a chiedere l'annullamento dell'atto spetta solo alla parte nel cui interresse l'invalidità è prevista dalla legge. In sostanza l'eliminazione degli effetti del negozio è fatta dipendere dall'iniziativa della persona che la legge intende proteggere;

c)  l'annullabilità di un atto non può essere rilevata d'ufficio dal giudice;

d)  l'azione di annullamento è soggetta a prescrizione: di regola il termine di prescrizione è di cinque anni, ma spesso sono stabiliti termini diversi. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è cessata la causa che ha dato luogo al vizio, e dal giorno del compimento della maggiore età, se si tratta di un negozio posto in essere da un minore; dal giorno in cui si è scoperto l'errore, se si tratta di un negozio viziato da errore o dolo; dal giorno in cui sono cessate le minacce se si tratta di un negozio viziato da violenza. Negli altri casi la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il negozio è stato concluso;

e)  l'annullabilità è sempre sanabile, o attraverso la prescrizione dell'azione di annullamento o attraverso la «convalida» del negozio.

L'azione di annullamento è soggetta a prescrizione, la corrispondente eccezione può essere proposta in ogni tempo.

Effetti dell'annullamento

Se l'azione di annullamento viene accolta dal giudice, l'annullamento ha effetto retroattivo, si considera come se il negozio non avesse prodotto alcun effetto. Deve essere restituita la prestazione eventualmente eseguita in virtù del negozio annullabile. Se il negozio è annullato per incapacità di uno dei contraenti, in virtù dell'art. 2039 cod. civ., l'incapace è tenuto a restituire la prestazione ricevuta solo nei limiti in cui essa è stata rivolta a suo vantaggio. Il principio dell'efficacia retroattiva dell'annullamento derivante da incapacità legale è applicato anche di fronte ai terzi. Se un minore senza la rappresentanza  o assistenza ha venduto un bene e l'acquirente lo rivende ad un terzo, l'annullamento del primo negozio travolge anche il secondo. Se invece l'annullamento deriva da altra causa esso non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in buona fede, che ignoravano l'esistenza del vizio che colpiva il negozio. L'annullamento travolge anche gli effetti del secondo negozio, se l'acquisto era a titolo gratuito o l'acquirente non era in buona fede.

La convalida

Il negozio annullabile può essere sanato con la convalida. La convalida è un negozio con il quale la parte legittimata a proporre l'azione di annullamento si preclude la possibilità di far valere il vizio. Essa non si confonde con la ratifica. La convalida, per spiegare i suoi effetti, non deve essere affetta dallo stesso vizio che ha determinato l'annullabilità del negozio che si vuol sanare. Se questo era stato posto in essere da un minore, occorre che costui sia diventato maggiorenne o sia rappresentato o assistititi; se il negozio è annullabile per vizio della volontà, occorre che la violenza sia cessata, il dolo o l'errore scoperto. Per la validità della convalida è necessaria la conoscenza del vizio che colpisce il negozio. La convalida può essere espressa o tacita: la prima deve contenere la menzione del negozio annullabile, e la dichiarazione che s'intende convalidare il negozio. La seconda si verifica qualora venga data esecuzione volontaria al negozio annullabile.

D) L'inefficacia

Nozione

Il negozio, pur essendo valido, può non produrre i suoi effetti (perché, ad esempio, non si è verificata la condicio iuris, o non si è verificata la condicio facti). In genere, si adopera in senso ristretto l'espressione inefficacia, che in senso largo abbraccerebbe anche l'invalidità. L'inefficacia può essere originaria o successiva: la prima rispetto alle parti è sempre transitoria; l'inefficacia successiva può dipendere dall'impugnativa di una delle parti o di terzi.


La prova dei fatti giuridici

I mezzi di prova in generale

Chiunque voglia far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ed eguale onere è a carico di chi, invece, eccepisca l'inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto vantato dal primo si è modificato o estinto. ½ sono ipotesi in cui chi agisce per far valere un determinato diritto, o chi resiste alla sua pretesa, è dispensato, in deroga al principio innanzitutto enunciato, dal provare i fatti che costituiscono il fondamento della sua azione o della sua eccezione. Quando ciò avviene si parla di prescrizioni legali. Le prove possono essere classificate in due principali categorie a seconda che preesistano al processo o siano assunta in sede processuale: si parla di prove precostituite nel primo caso e di prove costituende nel secondo.

Le presunzioni

Le presunzioni sono conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto. A seconda che la legge ammetta o meno una prova contraria, si parla di prescrizioni relative nel primo caso e assolute nel secondo. Le presunzioni sono generalmente basate su massime d'esperienza oppure sono stabilite dalla legge al solo scopo di sollevare una certa parte dall'onere di fornire prove la cui produzione, per la particolare natura dei fatti da dimostrare, sarebbe estremamente disagevole o addirittura impossibile.

Le prove documentali: l'atto pubblico

L'atto pubblico è un documento redatto, con le formalità richieste dalla legge, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ossia una garanzia di veridicità della provenienza e dei fatti attestati particolarmente qualificata. L'atto pubblico fa piena prova delle circostanze di tempo e di luogo in cui è stato formato, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, nonché della provenienza delle dichiarazioni dalle parti che le hanno rese (elementi estrinseci), ma non fa prova della verità di tali dichiarazioni, né della loro corrispondenza all'intimo volere delle parti (elementi intrinseci).

La scrittura privata

La scrittura privata, a differenza dell'atto pubblico, è un documento che i privati predispongono liberamente e da soli, senza, cioè, l'intervento di un pubblico ufficiale. Essa ha, perciò, un'efficacia probatoria inferiore a quella dell'atto pubblico; infatti l'autore deve provarne l'autenticità: ciò può avvenire attraverso uno speciale procedimento, detto di verificazione. La sottoscrizione della scrittura privata può essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale, previo accertamento dell'identità del sottoscrittore, che la sottoscrizione è stata posta in sua presenza.

Le prove costituende: la prova testimoniale

La prova testimoniale consiste nell'assumere, in sede processuale, da un terzo estraneo dichiarazioni intorno a fatti rilevanti ai fini della decisione della causa. Non sempre la prova testimoniale è ammissibile. Il legislatore, infatti, da un lato ha scarsa fiducia nelmemoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria umana e teme il pericolo di deformazioni inconsapevoli dei fatti; dall'altro tende a diffidare di un mezzo di prova che non offre alcuna garanzia sul piano dell'attendibilità e veridicità delle dichiarazioni rese sia pure sotto giuramento. Nessuno può testimoniare a favore di se stesso.

La confessione

La confessione è la dichiarazione che una parte fa, in sede processuale o altrove, di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte. La confessione, a differenza della prova testimoniale, ha un'efficacia dimostrativa piena ed incondizionata perché, una volta rese in giudizio, vincola il giudice alle risultanze probatorie. È necessario, però, perché tale effetto si produca, che il confidente, ossia chi rende la confessione, abbia il potere di disporre del diritto a cui i fatti contestati si riferiscono. La confessione è irrevocabile, salvo che si provi che è stata determinata da errore di fatto o da violenza.

Il giuramento

Il giuramento è la dichiarazione con la quale una parte afferma la verità di uno o più fatti ad essa favorevoli, nella forma solenne stabilita dalla legge. Si tratta di un espediente probatorio basato sull'efficacia intimidatoria delle sanzioni che l'ordinamento prevede per chi abbia giurato il falso. Il giuramento può essere di due specie:

  • decisorio è quello che una parte deferisce all'altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa;
  • suppletorio è quello definito d'ufficio dal giudice ad una delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova.

Una particolare specie di giuramento suppletorio è il giuramento estimatorio, che è deferito dal giudice, anche in questo caso d'ufficio, al fine di determinare il valore della cosa domandata quando non sia possibile accertarlo con altri mezzi.



LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI


La tutela giurisdizionale dei diritti

Premessa

Se l'esercizio di un diritto soggettivo viene contestato, solo in casi eccezionali l'ordinamento giuridico ammette che il titolare del diritto medesimo possa provvedere alla sua tutela per conto proprio.

Cenni sui tipi di azione

Al cittadino è riconosciuto il diritto di rivolgersi agli organi all'uopo istituiti per ottenere quella giustizia che da se non ci si può assicurare. Questo diritto si chiama azione. La costituzione prevede altresì che ai non abbienti siano assicurati mezzi doni per essere difesi adeguatamente davanti a qualsiasi giudice.

La cosa giudicata

Per meglio assicurare la conformità della sentenza a giustizia, è concesso alle parti di promuovere il riesame della lite, impugnando la decisione. Tuttavia, questo riesame non può andare all'infinito e non può essere consentito senza limiti: verificatesi certe condizioni, il comando contenuto nella sentenza non può essere più modificato da nessun altro giudice.

Il processo esecutivo ed il pignoramento

Se non viene adempiuto il comando contenuto nella sentenza, colui a cui favore è stato emesso può iniziare il processo esecutivo, il quale può avere per oggetto la consegna di una cosa mobile o il rilascio di immobile, se non è adempiuto all'obbligo di consegnare l'uno o l'altro. Se invece non è adempiuto un obbligo di fare, l'avente diritto può ottenere soltanto che esso sia eseguito a spese dell'obbligato. La forma di gran lunga più importante di processo esecutivo è, peraltro, quella che ha per oggetto l'espropriazione dei beni del debitore, nel caso che egli non adempie all'obbligazione di are una somma di denaro. In questo processo il bene o i beni colpiti dall'esecuzione vengono venduti ai pubblici incanti e la somma ricavata ripartita tra i creditori.



I DIRITTI ASSOLUTI

A) I diritti della personalità

I diritti della persona e del cittadino sono diritti fondamentali che spettano a tutti gli esseri umani in quanto persone (diritti della personalità) o che spettano ai soli cittadini (diritti di cittadinanza). La differenziazione viene fatta risalire storicamente alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, in cui fu solennemente proclamata la distinzione tra la condizione di cittadino (ossia la cittadinanza) e la condizione di persona (ossia la personalità). La Costituzione italiana riconosce i diritti inviolabili che spettano alla persona in quanto tale e affida allo stato il compito di eliminare gli ostacoli di natura economica che limitano la libertà e l'uguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona. Nell'ambito dei diritti fondamentali vanno distinti pure i diritti di libertà dai diritti sociali. I diritti di libertà consistono nel divieto dello stato di interferire in alcune sfere della vita delle persone e dei cittadini (ad esempio nel divieto di interferire nelle scelte di natura religiosa); i diritti sociali consistono invece nell'obbligo dello stato di intervenire per assicurare alla persona e al cittadino il godimento di alcuni beni e servizi fondamentali. Secondo la nostra Costituzione, tra i diritti della persona rientrano diritti di libertà come il diritto alla libertà personale, alla libertà di pensiero e di fede; inoltre sono diritti della persona alcuni diritti sociali come il diritto alla salute, all'istruzione, il diritto a un'equa retribuzione del lavoro. Rientrano invece tra i diritti del cittadino diritti di libertà come il diritto a risiedere e a circolare nel territorio dello stato e diritti sociali come il diritto al lavoro, il diritto alla sussistenza e all'assistenza sociale.


B) I diritti reali


I diritti reali

Caratteri

I diritti reali sono diritti soggettivi facenti parte della più ampia categoria dei diritti assoluti che attribuiscono al titolare il potere di farli valere nei confronti di chiunque e goderne a proprio piacimento senza essere disturbato nell'esercizio di tale diritto. Caratteristica principale dei diritti reali è la loro tipicità, ovvero l'impossibilità di stipulare contratti a contenuto reale diversi da quelli espressamente previsti dal legislatore. Questa disciplina si giustifica alla luce del carattere dell'assolutezza del diritto reale che ha portato il legislatore a escludere che un bene possa essere sottoposto a vincoli ulteriori rispetto a quelli previsti espressamente dalla legge. Un'altra peculiarità dei diritti reali che deriva dalla loro assolutezza è il diritto di seguito o di sequela, cioè il fatto che questi continuino a sussistere indipendentemente dagli eventuali passaggi di proprietà della cosa oggetto del diritto reale. Il diritto reale più importante è il diritto di proprietà; esso si caratterizza per la sua assolutezza, che attribuisce al titolare il diritto di utilizzare e di godere il bene nonché il diritto di far proprio il suo valore di scambio. Dalla proprietà, intesa come diritto sulla cosa propria, bisogna distinguere i diritti reali parziari che si suddividono in diritti reali di godimento e in diritti reali di garanzia. I primi (come l'usufrutto, l'enfiteusi e il diritto di servitù) attribuiscono al proprio titolare il diritto di usufruire di alcuni vantaggi che attengono all'utilizzo del bene stesso; i secondi (pegno e ipoteca) garantiscono al titolare il potere (il cosiddetto diritto di prelazione) di essere ato prima, rispetto agli altri creditori, nel caso in cui il debitore non adempia l'obbligazione sulla quale è stata costituita una garanzia.


La proprietà

Il contenuto del diritto

Il proprietario ha il diritto di godere (cioè di decidere se come e quando utilizzare la cosa nella destinazione designata dal legislatore, area edificabile o no) e disporre delle cose (il potere di alienarla, lasciarla in testamento) in modo pieno ed esclusivo. Il diritto di proprietà ha i caratteri della pienezza (ogni proprietario può utilizzare la cosa per ogni lecita faccenda; i limiti che comprimono il diritto possono venire o da un atto stipulato tra privati, diritto reale di godimento, o da disposizioni di legge), elasticità (quando il potere di proprietà sono stati limitati da un usufrutto quando questo si estingue il diritto riacquista la sua ampiezza primitiva), autonomia e indipendenza, imprescrittibilità (la proprietà non si perde per non uso).

Limiti legali della proprietà

La legge ha operato una distinzione tra limite e limitazione. La limitazione è una fattispecie che comprime il diritto di proprietà nel vero senso della parola, esse avvantaggiano uno nei confronti di un altro (servitù), i limiti sono dei limiti imposti dalla legge alla proprietà per regolare i rapporti del buon vicinato, sono rivolti ad entrambi i soggetti (non si può costruire a meno di un 1,5 metri dal vicino). A differenza delle limitazioni, i limiti nascono contemporaneamente assieme al diritto di proprietà. I limiti imposti dalla legge possono essere posti nell'interesse pubblico o nell'interesse privato. Nel primo caso sono oggetto del diritto amministrativo dove sono qualificati come vincoli, prevede l'espropriazione, l'occupazione e la requisizione; al proprietario spetta solo un'indennità che non è il prezzo del bene. Nel secondo caso concernano le proprietà immobiliari e regolano i rapporti tra il vicinato (le immissioni devono essere di normale tollerabilità, gli atti emulativi se proibiti se hanno come unico scopo di dare fastidio agli altri). Il diritto di proprietà si estende in verticale fino all'infinito. Il proprietario non può non permettere la costruzione di una galleria che non pregiudichi la stabilità dell'edificio e non danneggi gli interessi del proprietario. In orizzontale la proprietà si estende fino ai confini.

Modi di acquisto della proprietà

La proprietà può essere acquistata a titolo originario quando non dipende da un uguale diritto del precedente titolare o sorge per la prima volta (pesce pescato); i modi di acquisto a titolo originario operano senza l'aiuto del giudice. L'acquisizione a titolo derivativo significa che dipende dall'esistenza del diritto di un precedente proprietario (compravendita). L'occupazione è la presa possesso di cose mobili (gli immobili sono di proprietà dello stato) che non sono proprietà di nessuno. L'accessione  si verifica quando una proprietà preesistente attira nella sua orbita costruzioni o altre cose, e quindi il proprietario della cosa originaria diventa proprietario anche della nuova cosa.

Azioni a difesa della proprietà

Le azione petitorie sono quelle poste in difesa della proprietà, che mirano cioè ad accertare ed affermare la titolarità del diritto di proprietà. Esse si dividono nelle seguenti categorie:

  • la rivendica è l'azione con cui il proprietario rivendica la cosa propria da chiunque la possiede o la detiene senza titolo, legittimato attivamente è chi sostiene di essere proprietario della cosa, passivamente è chi detiene la cosa abusivamente;
  • l'azione negatoria è quell'azione con cui il proprietario fa dichiarare l'inesistenza dei diritti affermati da altri soggetti sulla cosa quando teme pregiudizi o vuole far cessare molestie sul suo diritto. Legittimato attivamente è il proprietario che deve solo dimostrare che la proprietà è sua, legittimato passivamente è colui che provoca molestie o afferma di essere titolare di diritti reali sulla cosa;
  • l'azione di regolamento di confini consiste nel fatto che due proprietari confinanti possono chiedere di definire i confini. L'onere della prova spetta ad entrambi i proprietari;
  • l'azione per apposizione di termini è l'azione con cui due proprietari confinanti, con confini certi, possono chiedere che, a spese comuni, vengano messi dei segni materiali per delineare i confini.

I diritti reali di godimento

La loro caratteristica comune è che comprimono il potere di godimento che spetta al proprietario.

La superficie

Il proprietario può far costruire al di sopra del proprio suolo un edificio cedendo ad altri la proprietà. In seguito può alienare la superficie senza toccare l'edificio. Il diritto di superficie può essere fatto con negozio o testamento. Legittimato a costruire è solo il proprietario del suolo. Il diritto di superficie può essere perpetuo o temporaneo. Se temporaneo quando questo finisce il proprietario del suolo diventa proprietario anche dell'edificio, può estinguersi per prescrizione se il diritto di eseguire la costruzione non viene esercitato per venti anni.

L'enfiteusi

Si tratta di un diritto di godimento di cosa altrui che attribuisce al titolare lo stesso potere di godimento del fondo che spetta al proprietario salvo l'obbligo di are un canone periodico e di migliorare il fondo. Può essere costituita per usucapione, testamento e contratto, può essere perpetua o determinata, in quest'ultimo caso deve avere almeno venti anni di durata. L'enfiteuta deve are, migliorare il fondo ed ha diritto al rimborso per i miglioramenti apportati. L'enfiteuta non può a sua volta costruire enfiteusi sul fondo. L'affrancazione è un diritto potestativo dell'enfiteuta il quale attraverso il suo lavoro diventa proprietario del fondo ando una somma uguale a quindici volte il canone annuo. Se il proprietario non aderisce l'enfiteuta può adire l'Autorità Giudiziaria la quale con sentenza pronuncia l'affrancazione. La devoluzione è un diritto potestativo del proprietario che, con l'aiuto dell'Autorità giudiziaria, può chiedere la caduta dell'enfiteusi se l'enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo. La richiesta di affrancazione prevale sempre su quella di devoluzione. L'enfiteusi si estingue per perimento del fondo, affrancazione o devoluzione, confusione, per non uso ventennale del diritto da parte dell'enfiteuta.

L'usufrutto , l'uso e l'abitazione

L'usufrutto è il diritto riconosciuto all'usufruttuario di godere ed usare della cosa altrui traendo da essa tutte le utilità che può dare, frutti compresi con l'obbligo di non mutarne la destinazione economica. Solitamente riguardano beni infungibili e inconsumabili. Possono riguardare però anche cose consumabili, allora si parla di quasi usufrutto. L'usufruttuario in questo caso non ha l'obbligo di restituire i beni imprestati, ma altri beni dello stesso genere e qualità. L'usufrutto può acquistarsi per legge, per testamento, per contratto, per usucapione. L'usufruttuario può servirsi del bene ed amministrarlo, può ipotecarlo o darlo in locazione, può cedere il proprio usufrutto (non per testamento), ha diritto ad una indennità per i miglioramenti apportati. Inoltre deve restituire la cosa al termine del contratto, non modificare la destinazione economica, sostenere le spese per l'amministrazione e custodia del bene, are le tasse riguardanti la cosa, denunciare al proprietario le usurpazioni fatte da terzi e sopportare assieme le spese delle liti che riguardano la proprietà. Il proprietario deve sostenere le spese non annuali (spese di miglioria), curare le riparazioni straordinarie del bene. L'usufrutto si può estinguere per perimento del bene, prescrizione (non uso ventennale), consolidazione (confusione), abuso dell'usufruttuario (aver lasciato deperire il bene per le operazioni di ordinaria manutenzione), rinuncia dell'usufruttuario, annullamento, rescissione, risoluzione del contratto, scadenza del termine. Il diritto di uso attribuisce al titolare il diritto di servirsi di un certo bene e se questo è fruttifero di avere i frutti ma solo in proporzione ai bisogni suoi e della sua famiglia. Il diritto di abitazione conferisce al titolare il diritto di abitare in una famiglia limitatamente ai bisogni suoi e della famiglia. Questi due diritti hanno carattere personalissimo.

Le servitù prediali

La servitù è quel peso che un fondo dominante attua su un fondo (fondo servente) per la sua l'utilità. Può riguardare anche un'utilità non economica (conservare la vista panoramica di una villa). La servitù si trasferisce congiuntamente al trasferimento del fondo. Esse sono apparenti se sono ben visibili (acquedotto), non apparenti non sono visibili (non edificare), affermative se implicano un comportamento attivo del proprietario (passaggio); queste a sua volta possono essere continue se una volta fatte non è richiesto il fatto dell'uomo (acquedotto), discontinue se è richiesta l'attività ripetuta del fondo dominante (passaggio). Le servitù coattive sono quelle previste dalla legge. E' un diritto potestativo del proprietario farla valere oppure no, egli può deciderla contrattualmente o con sentenza del tribunale. Le servitù volontarie possono essere acquistate per testamento o per contratto solitamente a titolo oneroso. Le servitù apparenti possono essere acquistate per usucapione o per destinazione del padre di famiglia. La servitù termina per confusione, per non uso di 20 anni, scadenza del termine e verificarsi della risoluzione risolutiva, abbandono del fondo servente da parte del proprietario. Le azioni della servitù sono le azioni di mero accertamento (far conoscere in giudizio l'esistenza della servitù), azione confessoria (far cessare gli impedimenti e turbative della servitù), azione per il risarcimento dei danni (tutela il diritto che nasce dalla servitù).


La comunione

Natura

La comunione ricorre quando un diritto di proprietà appartiene a due o più persone: queste non hanno una quota materiale, ma possiedono il bene nella sua integrità. La comunione può essere volontaria (accordo tra le parti), incidentale (per atto indipendente dalla volontà), ordinaria (ognuno può chiedere la divisione) o forzosa (niente divisione). Le fonti sono la volontà delle parti, le norme speciali e quelle generali. Ogni comunista può usare la cosa, alienarla o ipotecarla, gode degli utili in proporzione alla sua quota, può chiedere la divisione, gestire assieme agli altri la cosa comune. Le spese vanno divise in proporzione. La comunione finisce con la divisione.

Il condomino negli edifici

Il condominio è una particolare forma di comunione forzata e perpetua in quanto ogni persona oltre che essere proprietaria del suo appartamento è comproprietaria di scale, muri perimetrali. Il condominio è formato dall'assemblea che delibera e dall'amministratore che esegue. Per essere valida l'assemblea deve essere composta da un quorum che è un numero minimo di condominiali i quali devono essere tutti invitati. Le decisioni vengono presi con il maggioritario semplice, per le innovazioni maggioranza qualificata, tutti i condomini per atti di disposizione. Ogni condominio con più di 10 persone deve avere un regolamento in cui viene spiegato come funzione l'assemblea, norme di uso dei vari beni. Il condominio si estende quando tutto l'edificio viene ad avere stesso proprietario.

La multiproprietà

La multiproprietà ricorre quando lo stesso immobile viene alienato a più soggetti. Questi hanno il godimento del bene per un periodo limitato a turno con gli altri proprietari (casa al mare).


Il possesso

Natura

Il possesso è il potere che si ha sulla cosa e che si manifesta con l'esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. Gli elementi del possesso sono: l'elemento oggettivo (il soggetto si comporta come da proprietario del bene), soggettivo (la volontà del possessore di esercitare sul bene i poteri del proprietario). Sono suscettibili al possesso tutti i beni mobili, non sono suscettibili le universalità giuridiche, le parti non separabili, le pertinenze, lo spazio aereo.

Rapporto tra detenzione e possesso

La detenzione è il mero potere di fatto sulla cosa senza intenzione di esercitare su di essa un diritto reale. La detenzione può tramutare in possesso solo se un terzo (proprietario del bene) trasferisca il diritto di proprietà al detentore o se il detentore faccia sapere al proprietario che intende tenere il bene in nome e per conto proprio.

L'acquisto e la perdita del possesso

L'acquisto del possesso si realizza con l'apprendimento della cosa fisica con l'intendo di possederla; può realizzarsi per consegna (consegna delle chiavi dell'immobile), successione. Quando muore il possessore il possesso continua per mezzo del suo erede con gli stessi caratteri che aveva rispetto al defunto.

I vari tipi di possesso

Il possesso può essere legittimo se è stato continuo, non clandestino, non interrotto, di buona fede se colui che possiede ignora di ledere al diritto altrui; questo possesso, con un titolo idoneo al trasferimento, porta all'usucapione. Il proprietario può esercitare la volontà di far riconoscere il suo diritto e avere la cosa indietro. Il possessore di buona fede deve restituire i frutti dalla domanda di rivendica o quelli che avrebbe potuto restituire se avesse usato la diligenza giusta, il possessore di malafede deve restituire i frutti da quando ha iniziato a possedere il bene, ha diritto, però, al rimborso delle spese fatte. Se un terzo acquista da un soggetto un bene di cui non ne è proprietario, il terzo acquista la proprietà se era in buona fede ed esiste un titolo idoneo al trasferimento (contratto, negozio unilaterale). Può solo riguardare beni mobili non registrati.

Le azioni di reintegrazione o di spoglio

Questa è l'azione con cui il possessore spogliato del possesso chiede di essere reintegrato in esso. Lo spoglio cioè l'arbitraria privazione materiale del possesso operata consapevolmente da un soggetto deve avere i requisiti di violenza (anche morale) o clandestinità (in modo occulto nei confronti del possessore); legittimato positivamente è il possessore, negativamente l'autore materiale dello spoglio.

L'azione di manutenzione

L'azione di manutenzione è diretta a tutelare i possessori contro le molestie e le turbative, è concessa anche per lo spoglio non clandestino e non violento. E' tutelabile solamente il bene immobile e mobile registrato. Legittimato attivamente è il possessore, passivamente è l'autore morale o materiale della molestia o dello spoglio non clandestino.


L'usucapione

L'usucapione è il mezzo attraverso il quale, per effetto del protratto possesso del bene per un certo periodo di tempo si produce l'acquisto della proprietà o altro diritto di godimento. Questo si giustifica nel favorire chi si occupa del bene rendendolo produttivo, l'esigenza di rendere certa e stabile la proprietà. Il bene viene acquistato a titolo originario. Per produrre gli effetti il possesso deve essere continuo, non violento o clandestino, protratto per un certo periodo di tempo, il bene deve essere in commercio e non demaniale. L'usucapione si dice ordinario se la durata è di 20 anni per l'acquisto della proprietà o altri diritti reali di godimento su universalità di mobili o immobili, abbreviata se oltre ai soliti requisiti si aggiunge la buona fede (ignoranza di ledere a diritto altrui), un titolo valido ed astrattamente idoneo al trasferimento del diritto (valido per forma e sostanza), la trascrizione del titolo da cui decorre il tempo necessario per l'usucapione. In questo caso la durata si abbassa a 10 anni per beni immobili, 3 anni per mobili registrati, 5 anni per fondi rustici. Per i beni mobili con il titolo e la buona fede l'acquisto è immediato, se manca il titolo l'usucapione si realizza in 10 anni in buona fede o 20 in malafede.


I DIRITTI RELATIVI

A) Le obbligazioni


Il rapporto obbligatorio

Nozione

L'obbligazione è un rapporto tra due parti in virtù del quale una di esse (debitore) è obbligata ad eseguire una prestazione a favore dell'altra parte (creditore). Mentre il diritto reale è opponibile a terzi, il diritto di credito può essere fatto valere solo nei confronti del debitore che, risponde dell'inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

L'obbligazione naturale

Si distingue dall'obbligazione "civile" (il debitore è vincolato giuridicamente all'esecuzione della prestazione), quella "naturale" (il debitore naturale è obbligato solo di un piano morale o sociale ad eseguire una attribuzione patrimoniale a favore di un altro soggetto). Ipotesi di obbligazioni naturali sono il debito prescritto ed il debito di gioco. Tali obbligazioni (art. 2034), non producono altro effetto che quello dell'irripetibilità di ciò che è stato ato (il debitore non può ottenerne la restituzione).

Fonti delle obbligazioni

Fonte dell'obbligazione può essere il contratto, l'atto illecito ed ogni altro atto idoneo a produrla secondo l'ordinamento.


Gli elementi del rapporto obbligatorio

I soggetti

Elementi del rapporto giuridico sono anzitutto i soggetti e la prestazione (condotta o comportamento del debitore). I soggetti sono il creditore o soggetto attivo, e il debitore o soggetto passivo. Di regola sono entrambi determinati all'epoca in cui il vincolo sorge.

L'obbligazione solidale

Può verificarsi l'ipotesi che vi sia una pluralità di soggetti, o attivi o passivi. Se il creditore può pretendere da ogni debitore solo la sua parte, l'obbligazione si dice parziaria; se invece da uno di essi può pretendere l'intero, l'obbligazione si chiama solidale. In tal caso, l'adempimento da parte di uno libera gli altri; il condebitore solidale, però, può agire contro gli altri condebitori (azione di regresso) affinché ciascuno gli rimborsi la sua parte (art. 1299). Questa è la solidarietà passiva. Ma la solidarietà può anche essere attiva: ciò si verifica se, in caso di pluralità di creditori, ciascuno può pretendere l'intero, ma l'adempimento fatto nelle mani di uno di essi libera il debitore verso tutti.

Divisibilità e indivisibilità dell'obbligazione

Diversa è l'obbligazione indivisibile, in cui il diritto di richiedere e l'obbligo di prestare l'intero derivano dalla natura della prestazione che ha per oggetto una cosa che non è suscettibile di essere ridotta in parti per sua natura (es. cavallo vivo) (indivisibilità oggettiva) o per la volontà delle parti (indivisibilità soggettiva).

La prestazione

La prestazione cui il debitore è obbligato può consistere in un dare (una somma di denaro), in un fare (eseguire un'opera o un servizio) o in un non fare. Con il termine prestazione si intende tanto il comportamento dovuto (c.d. obbligazioni di mezzi, in quanto il debitore, attraverso il suo comportamento, non garantisce la realizzazione di uno specifico risultato), quanto il risultato di quel comportamento (c.d. obbligazioni di risultato). La prestazione si dice infungibile quando assumono rilievo le qualità personali dell'obbligato, si dice fungibile quando ciò è irrilevante. La prestazione dovuta deve avere carattere patrimoniale, vale a dire che deve essere suscettibile di valutazione economica (art. 1174). Perché un'obbligazione sia validamente assunta occorre che la prestazione dovuta sia: a) possibile: ad es. non sorge l'obbligazione di consegnare una cosa inesistente; b) lecita: ad es. è certamente illecito l'impegno di non sposarsi; c) determinata: nel senso che siano determinati (dalle parti o dalla legge) i criteri per giungere alla sua specifica determinazione.

L'oggetto

Oggetto dell'obbligazione è la prestazione dovuta. Con riferimento alle obbligazioni di dare si distinguono le obbligazioni generiche, quando il debitore è tenuto a dare cose non ancora individuate ed appartenenti ad un genere (cento quintali di grano), dalle obbligazioni specifiche, quando il debitore è tenuto a dare una cosa determinata (questa automobile).

Le obbligazioni pecuniarie

L'obbligazione pecuniaria - consistente nell'obbligo di procurare al creditore una somma di denaro - è l'obbligazione di gran lunga più frequente e per estinguerla occorre utilizzare moneta avente corso legale nello Stato al tempo del amento (art. 1277). Quando il debitore non è tenuto a are contestualmente al sorgere del debito, l'obbligazione si dice a termine, ossia va adempiuta dopo un certo intervallo di tempo rispetto al momento in cui è sorta. Per la restituzione, nel nostro ordinamento, vale il c.d. principio nominalistico, ossia il principio per cui il debitore si libera ando, alla scadenza, la medesima quantità di moneta inizialmente fissata, indipendentemente dal fatto che, nel frattempo, il potere d'acquisto del denaro sia più o meno diminuito (il creditore può cautelarsi mediante, ad esempio, la pattuizione degli interessi). Il principio, si applica con certezza ai crediti liquidi, ossia già determinati nel loro ammontare; non altrettanto può dirsi per i crediti illiquidi, ossia per quei crediti dei quali non risulti ancora fissato il concreto quantum dovuto.

Gli interessi

Gli interessi formano oggetto di obbligazione pecuniaria accessoria che, cioè, si aggiunge (quale frutto civile) ad un'obbligazione pecuniaria avente carattere principale (capitale); in altre parole, il debitore di una somma di danaro è tenuto a corrispondere, oltre l'ammontare di questa, un'altra quantità di danaro, la cui entità varia in funzione del tasso di produzione degli interessi. Gli interessi possono essere: a) legali. Secondo il codice, i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto; b) convenzionali. Si dicono "convenzionali" quando sono le parti stesse, nel titolo costitutivo dell'obbligazione, a pattuire il versamento degli interessi; c) moratori: quando il debitore di una somma di danaro è in mora, ossia è in ritardo nel amento, deve al creditore, a titolo di risarcimento del danno, almeno gli interessi legali; d) usurari: sono quelli superiori ai tassi medi praticati da banche e intermediari finanziari e quelli che superano del 50% i saggi pubblicati. Ove siano convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. In linea di principio è proibito l'anatocismo, ossia la capitalizzazione degli interessi dovuti affinché questi producano a loro volta nuovi interessi.

Obbligazioni alternative

Può avvenire che due o più siano le prestazioni previste, ma il debitore possa liberarsi eseguendone una sola. Per esempio, in un concorso a premio, il vincitore può scegliere tra una motocicletta o una crociera. In tal caso l'obbligazione si dice alternativa. Se le parti non hanno stabilito diversamente, la scelta spetta al debitore. L'obbligazione alternativa si distingue da quella facoltativa: in questa una sola è la prestazione prevista, e l'obbligazione è semplice.


Modificazione dei soggetti dell'obbligazione

Premessa

I soggetti originari del rapporto obbligatorio possono essere sostituiti nel corso di tale rapporto: ad es. in caso di morte del creditore o del debitore. Tale modificazione viene denominata attiva se riguarda il creditore, e passiva se, al contrario, riguarda il debitore.

A) Modificazioni nel lato attivo del rapporto obbligatorio

La cessione del credito

Si parla di "cessione" del credito (art. 1260) sia per indicare il contratto con il quale il creditore (cedente) pattuisce con un terzo (cessionario) il trasferimento in capo a quest'ultimo del suo diritto verso il debitore (ceduto); sia per indicare l'effetto di tale contratto e cioè, il trasferimento del credito in capo al cessionario. Ogni credito può formarne oggetto purché non sia strettamente personale, non sia vietato dalla legge, o la cui cessione non sia stata esclusa dalle parti.

Efficacia della cessione

Affinché la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore, occorre che a quest'ultimo venga notificata. Ove il debitore abbia conoscenza della cessione e a comunque al cedente, può essere costretto dal cessionario ad un nuovo amento. L'accettazione o la notificazione servono inoltre ad attribuirle efficacia di fronte a terzi. Con la cessione, modificato il soggetto attivo, l'obbligazione rimane inalterata.

Rapporti tra cedente e cessionario

Se la cessione è a titolo oneroso il cedente è tenuto a garantire l'esistenza del credito e, a volte, anche la solvenza del debitore. Quando la cessione sia stata effettuata per estinguere un debito del cedente verso il cessionario (art. 1198), si presume che la liberazione del cedente si verifichi solo quando il cessionario abbia ottenuto il amento dal debitore ceduto.

Il contratto di factoring

Il factoring è una ura negoziale di matrice anglosassone regolata dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52 ("Disciplina della cessione dei crediti di impresa"). Con questo contratto, un'impresa specializzata (il factor) si impegna - contro amento di una "commissione" - a gestire, per conto di un'impresa cliente, l'amministrazione (contabilizzazione, riscossione, ecc.) di tutti o di parte dei crediti di cui quest'ultima diventa titolare verso i propri clienti. L'applicazione di tale legge è prevista soltanto a favore di una banca o di un "intermediario finanziario", il cui oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti d'impresa. Tale cessione riguarda i crediti pecuniari, i crediti di "massa" e i crediti "futuri", cioè ceduti anche prima che siano  stipulati i contratti dai quali sorgeranno.

Altre ure di successione nel lato attivo

Altre ure di successione nel lato attivo sono la delegazione attiva e la surrogazione per amento. La prima, è un accordo tra creditore, debitore e un terzo, con il quale il creditore dà mandato al debitore, che accetta, di are al terzo. A differenza della cessione del credito, il debitore partecipa direttamente all'accordo.

B) Modificazioni nel lato passivo

Principi generali

La sostituzione del soggetto passivo, oltre che nei casi di successione universale, di cessione del contratto, di cessione d'azienda, può realizzarsi mediante delegazione passiva, della espromissione e dell'accollo. La sostituzione del debitore non è possibile senza l'espressa volontà del creditore.

La delegazione

Si ha delegazione quando una persona (delegante) ordina o invita un'altra persona (delegato) ad eseguire o a promettere di eseguire un determinato amento a favore di un terzo soggetto (delegatario). E' perciò un'operazione trilaterale. La delegazione di amento si ha quando il delegante invita il delegatario ad effettuare senz'altro un amento (es. assegno bancario). Il amento del delegato al delegatario vale giuridicamente come effettuato dal delegante al delegatario (rapporto di valuta), ma vale altresì come effettuato dal delegato al delegante (rapporto di provvista). Nella delegazione a promettere, il delegante invita il delegato di assumere l'obbligo di effettuare successivamente un determinato amento al delegatario (es. la cambiale tratta). La liberazione del delegante (insieme al delegato) dal debito si avrà soltanto con l'adempimento (delegazione cumulativa), anche se, il delegatario può, con un espressa dichiarazione, liberare subito il delegante (delegazione liberatoria).

L'espromissione

E'il contratto con il quale il creditore e un terzo convengono che il terzo si assuma il debito dell'obbligato originario. Ciò che differisce l'espromissione dalla delegazione è la spontaneità dell'iniziativa del terzo. Anche l'espromissione può essere cumulativa e liberatoria.

L'accollo

E' un contratto tra il debitore (accollato) e un terzo (accollante), con il quale quest'ultimo assume a proprio carico l'onere di procurare il amento al creditore (accollatario). Esistono due specie di accollo:

l'accollo interno, che si ha quando le parti non intendono attribuire nessun diritto al creditore verso l'accollante;

l'accollo esterno, che si ha quando l'accordo si presenta a favore del creditore (accollatario), cosicché può essere modificato o posto nel nulla da quest'ultimo. Anche l'accollo esterno può essere cumulativo e liberatorio.


L'estinzione dell'obbligazione

I modi di estinzione

L'obbligazione è un rapporto temporaneo, destinato ad estinguersi attraverso fatti giuridici. Il tipico fatto estintivo è l'adempimento, ossia la realizzazione della prestazione dovuta. L'obbligazione, comunque, può estinguersi anche se non si adempiuta: ciò accade in caso di compensazione, confusione, novazione, remissione ed impossibilità sopravvenuta.

L'adempimento

L'esatto adempimento

L'adempimento è l'esatta realizzazione della prestazione dovuta. Il debitore deve usare la diligenza del "buon padre di famiglia" (art. 1176), ossia dell'uomo medio e, può adempiere personalmente o per mezzo di ausiliari, del cui comportamento è responsabile. Per valutare la regolarità dell'adempimento bisogna tener conto:

del destinatario del amento: il debitore deve eseguire il amento nelle mani del creditore, se questi ha la capacità (legale) di ricevere, altrimenti, in quelle del suo rappresentante o, ancora, ad una persona che il creditore gli abbia indicato (delegatario);

del luogo dell'adempimento: è di regola determinato nel titolo costitutivo del rapporto (es. testamento), o dagli usi o dalla natura stessa della prestazione. Qualora tali principi non soccorrano, esistono delle norme suppletive, in forza delle quali l'obbligazione va adempiuta nel luogo in cui si trovava la cosa quando l'obbligazione è sorta;

del tempo dell'adempimento: se l'obbligazione ha carattere di durata, occorre determinare il momento iniziale e finale della prestazione; se ha carattere istantaneo è indicato nel titolo costitutivo dell'obbligazione, altrimenti, il creditore può immediatamente pretendere il amento.

Il debitore decade dal termine fissato, ossia il creditore può agire in giudizio come se il termine fosse già scaduto, qualora il debitore sia divenuto insolvente o abbia diminuito le garanzie date.

Limitazioni all'uso del contante

Anche in Italia è stata introdotta (con il D.L. 3 maggio 1991, n. 143) una disciplina per combattere il "riciclaggio" di denaro "sporco": sono stati imposti limiti all'uso di denaro "contante" o di titoli di credito al portatore (utilizzati solo per effettuare versamenti entro i 20 milioni di lire), mentre per amenti superiori occorre avvalersi di intermediari "abilitati" (banche). Le violazioni degli obblighi determinano sanzioni amministrative e penali.

Adempimento del terzo (limiti)

Per il creditore è indifferente se la prestazione viene eseguita dal debitore o da un terzo, salvo che la prestazione sia infungibile. Se invece è fungibile, non può rifiutare la prestazione, salvo che il debitore gli abbia comunicato la sua opposizione.

Imputazione del amento

Se una persona, che ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona, fa un amento che non comprenda la totalità dei debiti, può dichiarare quale di questi, vuole estinguere. In mancanza di tale dichiarazione il amento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico, altrimenti, l'imputazione va fatta proporzionalmente ai vari debiti.

Il amento con surrogazione

Il amento può anche dar luogo alla sostituzione del creditore con un'altra persona (surrogazione). In tal caso l'obbligo non si estingue, ma muta direzione, in quanto all'originario creditore si sostituisce un altro creditore. La surrogazione può avvenire per volontà del creditore che, ricevendo il amento da un terzo, può dichiarare espressamente di volerlo far subentrare nei propri diritti verso il debitore; o per volontà del debitore che, prendendo a mutuo una somma di denaro al fine di are il debito, può surrogare il mutuante nella posizione del creditore; o per volontà della legge nei vari casi elencati nell'articolo 1203 del codice civile.

La prestazione in luogo di adempimento

Il creditore, avendo diritto all'esatta esecuzione della prestazione, può legittimamente rifiutare una prestazione diversa. Tuttavia, può accettare ciò: in questo caso, il contratto realizza il suo scopo soltanto quando il debitore esegua la prestazione sostitutiva.

La cooperazione del creditore nell'adempimento e la mora credendi

A volte per la realizzazione dell'adempimento è necessaria la cooperazione del creditore (ad es. nella consegna della cosa). Aiuto che, talvolta, il creditore non è disposto a dare: ad es., per ottenere la risoluzione del contratto o per continuare a percepire interessi. In questi casi si profila la ura della mora del creditore (mora credendi), che ha luogo quando il creditore senza legittimo motivo rifiuta il amento del debitore, oppure omette di compiere gli atti preparatori per il ricevimento della prestazione. Perché si abbia mora credendi, è necessario che il debitore faccia al creditore offerta della prestazione; offerta che si distingue in:

solenne, compiuta, secondo le prescrizioni stabilite nell'art. 1208, da un pubblico ufficiale;

secondo gli usi, in cui gli effetti della mora si verificano dal giorno del deposito delle cose dovute.

Occorre distinguere l'offerta non formale (fatta per es. mediante lettera), che vale ad escludere la mora debendi (del debitore).

I modi di estinzione diversi dall'adempimento

La compensazione

Quando tra due persone intercorrono rapporti obbligatori reciproci, tali rapporti possono estinguersi, in modo totale o parziale, senza bisogno di provvedere ai rispettivi adempimenti, mediante "compensazione". La legge prevede tre tipi di compensazione:

compensazione legale. Essa richiede omogeneità delle prestazioni dovute (i due crediti debbono avere per oggetto una quantità di cose fungibili dello stesso genere), liquidità di entrambi i crediti (il loro ammontare deve essere già determinato), esigibilità dei crediti stessi;

compensazione giudiziale. Il giudice, di fronte a due crediti omogenei ed entrambi esigibili, ma di cui uno solo è liquido, può dichiarare l'estinzione dei due crediti a condizione che il credito non ancora liquido sia di facile e pronta liquidazione;

compensazione volontaria. In questo caso i debiti reciproci si estinguono soltanto in forza di uno specifico contratto, con il quale le parti rinunciano ai rispettivi crediti.

La confusione

Qualora le qualità di creditore e debitore vengano a trovarsi riunite nella stessa persona, l'obbligazione si estingue; ciò può accadere, ad es., perché il creditore diventa erede del debitore o viceversa.

La novazione

La novazione è un contratto con il quale i soggetti di un rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto a quello originario. Se la sostituzione riguarda la persona del debitore, la novazione si dice soggettiva. Se viene modificato l'oggetto o il titolo si dice oggettiva. Gli elementi che la caratterizzano sono due: uno oggettivo, consistente nella modificazione dell'oggetto o del titolo, e uno soggettivo, la volontà di estinguere l'obbligazione precedente. Se l'obbligazione precedente era nulla, la novazione è senza effetto.

La remissione

La remissione è la rinunzia del creditore al credito. Essa consiste in un negozio unilaterale recettizio, che produce effetto quando la dichiarazione è comunicata al debitore, il quale, può dichiarare di non volerne profittare.

L'impossibilità sopravvenuta

L'impossibilità sopravvenuta estingue l'obbligazione liberando il debitore, se essa dipende da causa non imputabile al debitore (caso fortuito o forza maggiore). L'effetto estintivo si verifica se l'impossibilità ha carattere definitivo. Se la prestazione ha per oggetto una cosa determinata e diviene impossibile per causa imputabile ad un terzo, il debitore non incorre in responsabilità, ma è tenuto a dare al creditore quanto abbia conseguito dal terzo a titolo di risarcimento.


L'inadempimento e la mora

L'inadempimento

Se il debitore non esegue la prestazione è inadempiente. L'inadempimento può essere conseguenza di una precisa scelta del debitore, di una sua incapacità (finanziaria), di errori, di negligenza. L'inadempimento imputabile può concretarsi o in un inadempimento assoluto (quando l'adempimento non potrà più verificarsi), o in un inadempimento relativo (quando la prestazione non è stata ancora eseguita ma può ancora verificarsi) o in un adempimento inesatto (quando la prestazione eseguita differisce qualitativamente o quantitativamente da quella dovuta).

La mora del debitore

La mora è il ritardo, o l'inadempimento relativo. Può verificarsi ex re, ossia automaticamente, o ex persona, mediante un atto di costituzione in mora, con cui il creditore richiede per iscritto l'adempimento. Si ha mora ex re:

quando l'obbligazione deriva da fatto illecito;

se il debitore dichiara per iscritto di non voler adempiere;

se l'obbligazione è a termine e la prestazione dev'essere eseguita al domicilio del creditore.

Nelle altre ipotesi, perché la mora si verifichi è necessaria un'intimazione o una richiesta per iscritto (mora ex persona) del creditore.

Gli effetti della mora debendi

Gli effetti della mora debendi sono l'obbligo di risarcire il danno ed il passaggio del rischio. Se, cioè, il debitore non è in mora, il rischio è a carico del creditore, nel senso che se la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile al debitore l'obbligazione si estingue. Viceversa, se il debitore è in mora, il rischio è a suo carico.

La responsabilità per danni

La conseguenza sanzionatoria principale dell'inadempimento è l'obbligo di risarcire al creditore il danno arrecatogli. Se l'inadempimento è assoluto, la prestazione risarcitoria si sostituisce a quella originariamente dovuta (la quale non può più essere eseguita); se invece, l'inadempimento è relativo, la prestazione risarcitoria si aggiunge a quella originaria. In ogni caso il risarcimento deve comprendere "così la perdita subita dal creditore ("danno emergente"), come il mancato guadagno ("lucro cessante")". Ovviamente grava sul creditore, l'onere di provare i singoli fattori lesivi. Dal giorno della mora il debitore che non abbia puntualmente ato la somma dovuta è tenuto automaticamente a are gli interessi moratori. La liquidazione del danno - convenzionale, quando le parti si mettono amichevolmente d'accordo, o giudiziale, quando il creditore è costretto a richiedere al giudice di stabilire l'importo dovuto - dev'essere diminuita se a determinare il danno ha concorso il fatto colposo del creditore.

Differenza tra mora del debitore e mora del creditore

Anche nella mora credendi vi è un ritardo che dipende dal creditore. Questa mora non estingue l'obbligazione. Se il creditore è in mora, il debitore non deve più gli interessi, né i frutti della cosa e può pretendere il risarcimento dei danni, oltre il rimborso delle eventuali spese sostenute per la custodia della cosa dovuta.


La responsabilità patrimoniale del debitore

La garanzia generica

Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Infatti, se il debitore non adempie, il creditore può promuovere il processo esecutivo sui beni del debitore, facendoli espropriare. Si suole dire che tutto il patrimonio del debitore costituisce una garanzia generica.

Concorso di creditori e cause di prelazione

Se vi sono più creditori, tutti hanno uguale diritto di soddisfarsi con il ricavato della vendita dei beni del debitore (parità di trattamento tra i creditori) in base all'entità del credito. Tuttavia, ad alcuni creditori la legge assicura il soddisfacimento a preferenza degli altri. Le cause legittime di prelazione, ossia le cause in virtù delle quali la legge assicura questa preferenza, sono i privilegi, il pegno e l'ipoteca.

Il privilegio

Il privilegio è la prelazione che la legge accorda in considerazione della causa del credito. Alcuni creditori sono, cioè, considerati dal legislatore con particolare favore e sono preferiti, nella distribuzione del ricavato della vendita dei beni, ai creditori chirografari, non assistiti cioè da cause di prelazione. Il privilegio è generale (su tutti i beni mobili del debitore) o speciale (su determinati beni mobili o immobili). Il primo non attribuisce il diritto di sequela; il secondo costituisce invece un diritto reale di garanzia. Il pegno è preferito al privilegio speciale sui mobili, il privilegio speciale sugli immobili è preferito all'ipoteca.


I diritti reali di garanzia (pegno ed ipoteca)

A) Caratteri generali e comuni

Natura

Sono entrambe cause legittime di prelazione, sono diritti reali e, in quanto tali, hanno l'elemento dell'assolutezza, in quanto sono opponibili a tutti. Inoltre attribuiscono al creditore il diritto di sequela, cioè il potere di esercitare la garanzia, espropriando il bene e soddisfacendosi sul prezzo ricavato dalla vendita. Appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui e differiscono dai diritti reali di godimento perché mentre quest'ultimi limitano il potere di godimento del proprietario, essi limitano il potere di disposizione. Si differenziano inoltre dal privilegio speciale: i privilegi sono infatti stabiliti dalla legge, mentre essi sono frutto della volontà privata (hanno infatti bisogno di un proprio titolo costitutivo).

Pegno ed ipoteca: differenze

La differenza tra il pegno e l'ipoteca sta nel fatto che nel pegno il possesso della cosa passa al creditore, nell'ipoteca rimane al debitore. Inoltre, il pegno ha per oggetto cose mobili, mentre l'ipoteca ha per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari: tra i beni mobili possono essere sottoposti ad ipoteca soltanto i mobili registrati e le rendite dello Stato.

Il patto commissorio

Pegno e ipoteca assicurano al creditore la soddisfazione del credito. La legge tutela il debitore contro il rischio che, confidando di poter riuscire a are il debito, accetti di pattuire, per il caso di mancato adempimento, l'automatico trasferimento in favore del creditore della proprietà del bene concesso in garanzia. Per far ciò, sancisce la nullità di tale patto (detto commissorio). Di regola invece, la cosa ipotecata o pignorata, va venduta agli incanti (vendita pubblica al miglior offerente) e il ricavato serve per soddisfare il creditore. Pegno e ipoteca attribuiscono perciò al creditore soltanto la facoltà di espropriare la cosa e la preferenza rispetto agli altri creditori.

B) Il pegno

Natura

Il pegno è un diritto reale su una cosa mobile del debitore o di un terzo, che il creditore può acquistare mediante un apposito contratto con il proprietario a garanzia del suo credito. Possono inoltre essere concessi in pegno crediti, universalità di mobili e altri diritti (es. usufrutto) aventi per oggetto beni mobili. E' vietato invece il suppegno, ossia il pegno che abbia per oggetto un altro diritto di pegno. Il pegno attribuisce al creditore in primo luogo una prelazione, sul ricavato della vendita coatta del bene costituito in pegno, rispetto ai creditori chirografari (cioè non assistiti da pegno, ipoteca o privilegio). Inoltre, a volte, a garanzia del soddisfacimento di un credito, vengono consegnate cose fungibili: il creditore ne acquista la disponibilità e diviene debitore della somma e l'istituto assume il nome di pegno irregolare.

Costituzione

Affinché il pegno sia opponibile ai terzi, e possa essere valido come garanzia di un credito, è necessario che:

il contratto costitutivo risulti da atto scritto;

che la scrittura abbia data certa;

che nella scrittura risultino indicati sia il credito garantito ed il suo ammontare, sia il bene dato in pegno che, deve essere consegnato al creditore o ad un terzo di comune fiducia.

Effetti del pegno

Gli effetti prodotti dalla costituzione del pegno sono:

il creditore ha diritto di trattenere la cosa affidatagli in pegno, ma ha l'obbligo di custodirla;

il pegno non attribuisce altro potere se non la funzione di garanzia;

il creditore può chiedere la vendita dei beni del debitore e l'assegnazione della cosa (valida come amento) sino all'estinzione del debito.

C) L'ipoteca

Natura

L'ipoteca è un diritto reale di garanzia, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale l'ipoteca è costituita e di essere soddisfatto con preferenza sul ricavato dell'espropriazione. L'ipoteca presenta, in comune con il pegno, i seguenti ulteriori requisiti:

specialità, in quanto non può cadere se non sui beni determinati;

indivisibilità significa che, se a garanzia di un solo credito sono ipotecati più beni, il creditore può a sua scelta fare espropriare uno qualsiasi di essi e soddisfarvi l'intero credito.

Inoltre l'ipoteca continua a sussistere anche se il debitore ha ato una parte del debito. Indispensabile è poi la pubblicità: non esistono ipoteche occulte. La pubblicità dell'ipoteca ha carattere costitutivo: il diritto d'ipoteca si costituisce mediante l'iscrizione nei pubblici registri.

Oggetto dell'ipoteca

Oggetto d'ipoteca possono essere gli immobili con le loro pertinenze, i mobili registrati (navi) e le rendite dello Stato e anche i diritti reali di godimento su beni immobili.

Ipoteca legale

L'ipoteca può essere iscritta in forza di una norma di legge (ipoteca legale), in forza di una sentenza (ipoteca giudiziale) o in forza di un atto di volontà del debitore (ipoteca volontaria). L'ipoteca legale attribuisce a determinati creditori il diritto di ottenere, senza o anche contro la volontà del debitore, l'iscrizione dell'ipoteca sui beni. L'ipoteca legale spetta:

all'alienante sopra gli immobili alienanti, per l'adempimento degli obblighi derivanti a carico dell'acquirente dall'atto di alienazione (es. per il amento del prezzo) (ipoteca dell'alienante);

ai coeredi, ai soci e agli altri condividenti per il amento dei conguagli (ipoteca del condividente).

Ipoteca giudiziale

In questo caso il creditore non ha diritto di chiedere unilateralmente l'iscrizione di un'ipoteca a carico di beni del debitore, a meno che non ottenga una sentenza esecutiva che condanni il debitore. In tal caso, ha diritto di ottenere l'ipoteca anche senza il consenso del debitore.

Ipoteca volontaria

L'ipoteca volontaria può essere iscritta in base a contratto o anche a dichiarazione unilaterale di volontà del concedente, dove, deve essere indicato l'immobile su cui si concede ipoteca.

La pubblicità ipotecaria

Dalla natura costitutiva dell'iscrizione deriva un'importante conseguenza: l'ordine di preferenza tra le varie ipoteche è determinato non già dalla data del titolo, ma da quella dell'iscrizione. Ogni iscrizione riceve un numero d'ordine: questo numero determina il grado dell'ipoteca. Non è vietato lo scambio del grado tra creditori ipotecari, purché esso non leda i creditori aventi gradi successivi. Se il negozio costitutivo, o titolo di concessione dell'ipoteca, è nullo o annullabile, nulla o annullabile è anche l'iscrizione.

L'iscrizione

La pubblicità ipotecaria si attua mediante gli atti d'iscrizione, annotazione, rinnovazione, cancellazione. L'iscrizione è l'atto con il quale l'ipoteca prende vita. Essa si esegue nell'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l'immobile.

L'annotazione

L'annotazione serve a rendere pubblico il trasferimento dell'ipoteca a favore di altra persona. Resa pubblica, la cancellazione dell'ipoteca non si può eseguire senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell'annotazione.

La rinnovazione

L'iscrizione dell'ipoteca conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data. La rinnovazione serve ad evitare che si verifichi l'estinzione dell'iscrizione: essa deve eseguirsi prima che i venti anni siano decorsi, altrimenti l'ipoteca si può di nuovo iscrivere.

La cancellazione

La cancellazione estingue l'ipoteca ed ha luogo di regola quando il credito è estinto o quando il creditore rinunzia all'ipoteca. Può essere consentita dal creditore o essere ordinata dal giudice.

Il terzo acquirente del bene ipotecato

L'ipoteca ha efficacia anche nei confronti di chi acquista l'immobile dopo l'iscrizione, esponendolo all'espropriazione del bene. La legge però, gli consente di evitare tale espropriazione esercitando a sua scelta una delle seguenti facoltà:

are i crediti iscritti;

rilasciare i beni ipotecati;

liberare l'immobile dalle ipoteche.

Estinzione dell'ipoteca

L'ipoteca si estingue:

a)  con la cancellazione dell'iscrizione;

b)  con la mancata rinnovazione dell'iscrizione;

c)  con l'estinguersi dell'obbligazione;

d)  con il reperimento del bene ipotecato;

e)  con la rinunzia del creditore;

f)    con lo spirare del termine a cui l'ipoteca è stata limitata o col verificarsi della condizione risolutiva; con la pronunzia del provvedimento che trasferisce all'acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche.

Bisogna però distinguere l'estinzione degli effetti dell'iscrizione, dall'estinzione dell'ipoteca: per effetto della prima vengono meno soltanto le conseguenze della pubblicità ipotecaria, ma l'ipoteca si può nuovamente iscrivere. L'estinzione dell'ipoteca colpisce, invece, lo stesso diritto di ipoteca.


I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale

Premessa

Il patrimonio del debitore è, per il creditore, la garanzia del soddisfacimento delle obbligazioni. Per impedire che il patrimonio del debitore possa subire diminuzioni che incidano sulla garanzia, la legge dà al creditore la facoltà di sperimentare taluni rimedi, volti ad assicurare la conservazione di tale garanzia: si tratta dell'azione surrogatoria, dell'azione revocatoria e del sequestro conservativo.

L'azione surrogatoria

Qualora il debitore, con la sua inerzia, determini una situazione di incapienza, ossia tale per cui il suo patrimonio divenga insufficiente a garantire il soddisfacimento di tutti i suoi creditori, la legge consente che ciascun creditore possa surrogarsi al debitore inattivo per esercitare i diritti e le azioni che gli spettano. Non basta però l'inerzia del debitore, ma occorre che da questa inerzia derivi un pregiudizio per i creditori, consistente nel rendere insufficiente la garanzia del debitore. Ovviamente, l'eccezionale legittimazione non può essere esercitata a vantaggio del singolo ma, a vantaggio del patrimonio e quindi di tutti i suoi creditori. Inoltre, tali azioni, debbono avere contenuto patrimoniale.

L'azione revocatoria

Il debitore può peggiorare la situazione non soltanto con la sua inerzia, ma anche ponendo in essere atti che diminuiscono il patrimonio fino a renderlo insufficiente a garantire i creditori. In questi casi, ai creditori è concesso il rimedio dell'azione revocatoria (detta anche pauliana). Per l'azione revocatoria si richiedono:

un atto di disposizione, ossia un atto con il quale il debitore modifica la sua situazione patrimoniale;

l'eventus damni, ossia un pregiudizio per il creditore;

la consapevolezza, da parte del debitore, di nuocere ai creditori.

Differenza fra simulazione e frode ai creditori

Il negozio simulato non è affatto voluto dalle parti; il negozio concluso in frode ai creditori è, invece, voluto.

Effetti dell'azione revocatoria

L'azione revocatoria non rende invalido l'atto, benché venga dichiarato "revocabile", ma consente al creditore di promuovere nei confronti dei terzi acquirenti quelle stesse azioni conservative o esecutive sui beni oggetto dell'atto impugnato. L'inefficacia dell'atto giova, quindi, soltanto al creditore che abbia agito. Che cosa avviene, però, se chi ha acquistato dal debitore ha disposto a sua volta del bene oggetto del negozio fraudolento a favore di terzi? Se il debitore aliena fraudolentemente ad un terzo acquirente e, questo, a sua volta ad un altro terzo (subacquirente o acquirente mediato), la dichiarazione di inefficacia dell'atto stipulato tra i primi due estende i suoi effetti anche al terzo subacquirente, se l'acquisto è a titolo gratuito; non pregiudica, invece, se l'acquisto è a titolo oneroso.

Differenza tra azione revocatoria ed altre azioni

Nell'azione revocatoria, i creditori devono dimostrare che il credito è anteriore all'atto in frode e in ogni caso che questo ha arrecato loro pregiudizio: nell'azione di simulazione, ciò non è necessario, bastando anche la possibilità di un pregiudizio futuro. La differenza, invece, tra azione surrogatoria e revocatoria sta nel fatto che, l'una ha per presupposto l'inerzia del debitore, l'altra il compimento di un atto pregiudizievole per i creditori.

Il sequestro conservativo

Il sequestro conservativo è una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice, quando ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Il sequestro ha per scopo di impedire la disposizione del bene da parte del debitore.

Il diritto di ritenzione

Un altro mezzo concesso al creditore, è il diritto di ritenzione, ossia il diritto di rifiutare la consegna di una cosa di proprietà del debitore, che il creditore detiene, fin quando il debitore non adempia all'obbligazione. E', in sostanza, una forma di autotutela e di legittima difesa.


B) I CONTRATTI


Il contratto

Definizione

La ura più importante del negozio giuridico è il contratto. Secondo l'art. 1321 "il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale". Il contratto si distingue dal testamento e dal matrimonio, da un lato perché è l'accordo di almeno due parti (ed è quindi bilaterale o plurilaterale) e non può mai essere unilaterale, dall'altro perché deve avere contenuto patrimoniale. Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto (autonomia contrattuale). Il legislatore, oltre alle norme dettate per "i contratti in generale", che si applicano a tutti i contratti, regola una serie di "tipi" di contrattuali specifici (la compravendita, la permuta, il contratto estimatorio, la locazione). Ma le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare (si parla di contratti "atipici" o "innominati") purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

Elementi essenziali del contratto

Secondo l'art. 1325 cod. civ. gli elementi essenziali del contratto sono:

l'accordo delle parti;

la causa;

l'oggetto, o contenuto degli accordi dei contraenti, deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile;

la forma, quando è richiesta ad substantiam actus, e cioè per la validità del contratto.

Classificazione dei contratti

Le più importanti classificazioni dei contatti sono le seguenti:

a)  contratti tipici o nominati e contratti atipici o innominati;

b)  contratti con due parti o con più di due parti (contratti plurilaterali). Nei contratti plurilaterali il vizio che colpisce la partecipazione di una delle parti non coinvolge la sorte dell'intero contratto;

c)  contratti a prestazioni corrispettive (o sinallagmatici) e contratti con obbligazioni a carico di una parte sola. I primi sono contratti in cui le attribuzioni patrimoniali rispettivamente a carico di ciascuna parte e a vantaggio della controparte sono legate dal cosiddetto nesso di reciprocità o sinallogma. Esempi di contratti con obbligazioni a carico di una parte sola sono la fideiussione, il deposito gratuito, il comodato. Sono pio chiamati bilaterali imperfetti quei contratti con obbligazioni a carico di una parte sola, dai quali unicamente in via eventuale possono scaturire obbligazioni anche a carico della controparte (ad es. il mandato gratuito, solo il mandatario è obbligato ad agire per conto del mandante, ma dal quale possono derivare a carico di quest'ultimo gli obblighi di rimborsare al mandatario le spese sostenute o di anticipargli i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato).

d)  Contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito;

e)  Contratti di scambio e contratti associativi: nei primi la prestazione è a vantaggio della controparte, mentre nei contratti associativi la prestazione di ciascuno è diretta al conseguimento di uno scopo comune;

f)   Contratti commutativi e contratti aleatori. Commutativi si dicono i contratti in cui i reciproci sacrifici sono certi; aleatori sono i contratti nei quali vi è incertezza sui reciproci sacrifici: nell'assicurazione contro i danni è certa l'entità del premio che l'assicurato deve are, ma è incerto se e quando dovrà are l'assicuratore; nel gioco è incerto chi e quanto vincerà;

g)  Contratti a esecuzione istantanea e contratti di durata: nei primi la prestazione è concentrata in un dato momento (la compravendita), mentre nei secondi la prestazione o continua nel tempo o si ripete periodicamente (contratto di lavoro subordinato). I contratti ad esecuzione istantanea possono essere ad esecuzione immediata o ad esecuzione differita;

h)  Contratti a forma libera e contratti a forma vincolata;

i)    Contratti consensuali e contratti reali. I contratti consensuali si perfezionano con il semplice consenso delle parti; i contratti reali richiedono, oltre il consenso, la consegna del bene. Contratti reali sono il mutuo, il comodato, il deposito, il pegno;

j)    Contratti a efficacia reale e contratti a efficacia obbligatoria. Si dicono ad efficacia reale i contratti che realizzano automaticamente il risultato perseguito (ad es. il trasferimento della proprietà del bene venduto), mentre sono ad efficacia obbligatoria i contratti che non realizzano automaticamente il risultato perseguito, ma obbligano le parti ad attuarlo.

Il contratto preliminare

Si dice preliminare il contratto con cui le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto definitivo, di cui devono avere già determinato il contenuto essenziale. Il contratto preliminare è destinato a soddisfare una particolare funzione. Spesso può accadere che le parti siano d'accordo su un certo scambio ed intendono vincolarsi reciprocamente fin da ora ad attuarlo ma preferiscono rinviarne la realizzazione ad un tempo successivo. Di qui l'opportunità di vincolarsi con un "preliminare". Nel campo immobiliare, il contratto preliminare trova la più frequente applicazione. Non bisogna confondere il contratto preliminare con il contratto definitivo. È frequente, ancora in campo immobiliare, il caso che le parti si accordino in modo definitivo con scrittura privata per la compravendita, impegnandosi a sottoscrivere successivamente il relativo atto notarile. In tal caso è chiaro che non siamo di fronte ad un pactum de contraendo, bensì di fronte ad un normale contratto definitivo. Non bisogna confondere il contratto preliminare con l'intese preparatorie. È chiaro che dal preliminare derivano obblighi contrattuali a carico delle parti, le intese preliminari sono rilevanti soltanto al fine di stabilire eventuali responsabilità in caso di successivo fallimento delle trattative. Il preliminare per non essere invalido per indeterminatezza, deve già precisare il contenuto del contratto definitivo che le parti si impegnano fin da ora a stipulare successivamente: salva la possibilità di modifiche o aggiunte consensuali, la conclusione del definitivo non deve richiedere nessuna ulteriore discussione per decidere punti essenziali dell'accordo da sottoscrivere. Il contratto preliminare può vincolare ambedue le parti o una sola. Per ogni contratto che rimanga inadempiuto, si può richiedere il risarcimento dei danni subiti a causa dell'inadempienza della controparte. Inoltre la legge pone a disposizione della parte che vi ha un interesse uno strumento del tutto peculiare, ossia la facoltà di ottenere, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, una sentenza che produca gli stessi effetti che avrebbe dovuto produrre il contratto che l'altra parte non ha voluto concludere. Mediante il processo e la sentenza si giunge, allo stesso risultato a cui i sarebbe pervenuti con il contratto definitivo. La ura del contratto preliminare si può riscontrare in relazione a qualsiasi tipo di contratto, anche rispetto ai contratti reali.

La trascrivibilità del contratto preliminare

Si era sempre ritenuto che un contratto preliminare di compravendita immobiliare non fosse assoggettabile a trascrizione. È stato introdotto il principio che taluni contratti preliminari sono assoggettabili a trascrizione. Più precisamente è stato inserito nel codice civile un nuovo articolo 2645 bis, con cui è stata ammessa la trascrizione dei contratti preliminari aventi ad oggetto la stipulazione di definitivi rientrarti nei primi quattro numeri elencati dall'articolo 2643 (vale a dire contratti che, relativamente a beni immobili, trasferiscono la proprietà, costituiscono o trasferiscono diritti di usufrutto, superficie ed enfiteusi, ovvero diritti di comunione, diritti di servitù prediali, uso e abitazione). Naturalmente, la trascrizione è ammissibile solo se tali preliminari risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Il secondo comma del nuovo articolo 2645 bis stabilisce la prevalenza (o prenotazione) del preliminare trascritto, purché seguito dalla trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del preliminare. Questa prevalenza peraltro è subordinata al fatto che la trascrizione del contratto definitivo o della domanda giudiziale volta ad ottenere la sentenza costitutiva del trasferimento segua la trascrizione del preliminare entro un anno dalla data contenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione del preliminare, dopodiché questa trascrizione perde qualsiasi valore e si considera come mai avvenuta.

La cessione del contratto

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuna delle parti si trova ad essere creditrice della prestazione dovuta dall'altra parte e debitrice di quella cui essa è tenuta; l'appaltatore, ad es., ha l'obbligo di eseguire l'opera appaltata ma è creditore del corrispettivo fissato. Si ha cessione di un contratto, quando una parte (il cedente) di un contratto originario stipula con un terzo (il cessionario) un nuovo contratto (di cessione), con il quale cedente e cessionario si accordano per trasferire a quest'ultimo "il contratto" (originario), ossia, rectius, tutti i rapporti, attivi e passivi, derivanti dal contratto ceduto. Siccome questi rapporti legavano il cedente con l'altro contraente, il ceduto, ed a seguito della cessione legheranno a quest'ultimo il cessionario, che subentra al cedente, è indispensabile il consenso del ceduto. Il consenso alla cessione da parte del contraente ceduto può essere dato anche in via preventiva in tal caso la cessione del contratto diventa efficace con la semplice notificazione al ceduto dell'accordo di cessione tra cedente e cessionario. Per effetto della cessione il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto e non è neppure responsabile verso quest'ultimo. Se il ceduto vuole evitar questa conseguenza, deve chiarire espressamente che con il suo consenso alla cessione non intende liberare il cedente: in tal caso risponde in proprio qualora il cessionario si renda inadempiente agli obblighi contrattuali. Il cedente non è responsabile verso il cessionario qualora il ceduto non adempia agli obblighi derivanti dal contratto ceduto. Tuttavia il cedente può garantire al cessionario l'adempimento del contratto da parte del ceduto ed in tal caso risponde in solido con quest'ultimo, come un suo fideiussore, dell'adempimento delle obbligazioni derivanti a carico del ceduto dal contratto originario. La cessione del contratto può essere stipulata senza prevede alcun corrispettivo a carico dell'uno e dell'altro dei contraenti, cedente e cessionario. Ma la cessione del contratto può altresì essere stipulata prevedendo un corrispettivo o a carico del cessionario ed a favore del cedente, o a carico del cedente ed a favore del cessionario. Occorre distinguere la cessione del contratto dal subcontratto o contratto derivato. Nella cessione si ha sostituzione di un nuovo soggetto ad uno dei contraenti originari e tutti i rapporti contrattuali restano invariati, salva la modifica di uno dei titolari; nel subcontratto i rapporti tra i contraenti originari continuano a sussistere, accanto ad essi si creano nuovi rapporti tra uno dei contraenti originari ed un terzo, rapporti che pur dipendono dai precedenti, da essi si distinguono: il rapporto tra l'inquilino ed il subconduttore è separato rispetto a quello tra inquilino e locatore.


La conclusione del contratto

Le trattative

Per giungere alla stipulazione di un contratto è necessario un periodo di trattative, sia per negoziare il contenuto degli accordi sia per svolgere quegli eventuali accertamenti tecnici e legali. Durante queste trattative le parti sono libere di concludere un contratto, ma debbono comportarsi secondo buona fede. Se violano questo dovere, incorrono in un particolare tipo di responsabilità (responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo). Un altro aspetto specifico dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede è costituito dal dovere di informare l'altra dell'esistenza di eventuali cause di invalidità, che siano conosciute o che avrebbero potuto con la normale diligenza essere conosciute dalla parte stessa.

La colpa in contrahendo

Secondo la giurisprudenza e la dottrina la colpa in contrahendo è di natura aquiliana o extracontrattuale. La culpa in contrahendo è diversa dalla misura dei danni dovuti all'ipotesi di inadempimento di un contratto. In quest'ultimo caso viene leso l'interesse positivo all'osservanza del contratto, e quindi il risarcimento si commisura all'intero danno subito dal contraente. Se non vengono osservati i doveri che la legge impone durante le trattative e negli altri casi di colpa in contrahendo si viene a ledere un interesse diverso della parte, l'interesse che essa aveva a non iniziare trattative che le hanno fatto perdere tempo e procurato spese. Perciò, nel caso di inadempimento del contratto è risarcibile l'intero danno derivante dall'inadempienza, il risarcimento dovuto in caso di culpa in contrahendo, di responsabilità precontrattuale, è limitato alle spese e alle perdite che siano strettamente dipendenti dalle trattative.

Il momento perfezionativo del contratto

Occorre avere presenti le diverse modalità con cui un contratto può essere concluso: sottoscrivendo un unico documento, attraverso lo scambio di due dichiarazioni scritte identiche, firmata ciascuna da una parte sola, verbalmente, rebus ipsis ac factis. È un po' più complicato quando le trattative si svolgono o in tempi successivi o tra persone lontane, che comunicano tra loro per mezzo della posta, del telefono, del telegrafo. Se consideriamo il procedimento di formazione del contratto due sono gli atti fondamentali. Uno è l'atto con il quale il procedimento medesimo s'inizia, la proposta; l'altro quello con cui si chiude, l'accettazione. Proposta l'accettazione non costituiscono un negozio, ma sono elementi che ne precedono il perfezionamento e sono perciò denominati prenegoziali. Proposta e accettazione costituiscono dichiarazione di volontà unilaterali: quando alla proposta segue l'accettazione allora sia ha l'accordo: proposta ed accettazione si fondono in un'unica volontà, la volontà contrattuale. Vari principio potrebbero essere adottati dal legislatore:

principio della dichiarazione (efficacia della volontà non appena dichiarata);

principio della spedizione (efficacia della volontà non appena trasmessa dall'altra parte);

della ricezione (momento perfezionativo: quello nel quale l'altra parte riceve la dichiarazione di accettazione);

della cognizione (occorre che l'altra parte abbia conoscenza dell'accettazione). Questo principio è stato accolto dal nostro legislatore in verità non può verificarsi la fusione delle volontà, il consenso, se non vi è la consapevolezza di entrambe le parti. Per dimostrare che contratto si è perfezionato, è sufficiente dimostrare che la dichiarazione di accettazione è pervenuta all'indirizzo del proponente. Spesso i contratti si concludono senza bisogno di una formale accettazione, dando esecuzione ad un «ordine» ricevuto: in tal caso l'accordo si considera perfezionato «nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione».

Revocabilità e intrasmissibilità della proposta

La proposta e l'accettazione possono essere ritirate mediante un atto uguale e contrario che si chiama revoca. Mentre la revoca della proposta impedisce la conclusione del contratto purché sia stata emessa e  trasmessa prima che il proponente abbia avuto conoscenza dell'accettazione della controparte, la revoca dell'accettazione non ha effetto se non giunge a conoscenza del proponente prima che vi giunga l'accettazione. La proposta perde automaticamente efficacia se, prima che contratto si sia perfezionato, il proponente muore o diventa incapace (intrasmissibilità della proposta). Del pari perde efficacia l'accettazione se l'accettante muore o diventa incapace nell'intervallo tra la spedizione della dichiarazione di accettazione e l'arrivo di questa al proponente. Il proponente per dare alla controparte uno spatium deliberandi durante il quale questa possa svolgere ogni indagine utile per valutare l'idoneità tecnica e la convenienza economica della proposta, senza timore che nel frattempo l'offerta sia revocata dichiarando che la proposta è irrevocabile. In tal caso una eventuale revoca sarebbe inefficace. La proposta irrevocabile conserva il suo valore pure in caso di morte o sopravvenuta incapacità del proponente.

L'offerta al pubblico

Un particolare tipo di proposta è l'offerta al pubblico che è valida benché indirizzata a destinatari indeterminati, purché contenga gli estremi esenziali del contratto alla cui conclusione è diretta. L'offerta al pubblico, che vale come proposta di contratto non va confusa né con un generico invito a trattare né con la promessa al pubblico. L'offerta al pubblico è revocabile come ogni altra proposta contrattuale. Mentre una proposta con destinatario determinato può essere revocata sola a condizione che la revoca sia portata a conoscenza di quest'ultimo, la revoca dell'offerta al pubblico è efficace anche in confronto di chi non sia venuto a conoscenza della revoca. A discipline specifiche sotto il controllo della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) sono soggette sia le «sollecitazioni all'investimento» (ossia ogni «offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, finalizzati alla vendita»), sia le offerte «pubbliche di acquisto o di scambio» (ossia ogni «offerta, invito a offrire o messaggio promozionale finalizzati all'acquisto lo scambio di prodotti finanziari»). Queste operazioni definite come OPA, OPV, OPAS, sono previste e disciplinate dal T. U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.

L'opzione

La proposta è irrevocabile se il proponente si è impegnato a mantenerla ferma per un certo tempo. Alla proposta irrevocabile va parificata l'opzione che si ha peraltro quando il vincolo della irrevocabilità della proposta non consegue un impegno assunto dal proponente, ma ad un accordo stipulato tra le parti. Dall'opzione, come dalla proposta irrevocabile, deriva il diritto del beneficiario di perfezionare il contratto entro il termine di validità dell'opzione con la sua sola dichiarazione di accettazione, mentre l'altra parte resta vincolata e non può più interferire sulla stipulazione del contratto, che dipende dalla decisione del beneficiario dell'opzione. L'opzione non va confusa con il contratto preliminare. L'opzione si distingue altresì dal patto di prelazione, con cui una parte si impegna a preferire il beneficiario del patto a parità di condizioni, qualora dovesse decidersi stipulare un futuro contratto.

La prelazione

Ciascuno è libero di contrattare con una chi crede. Tuttavia la legge può attribuire ad un soggetto un diritto di prelazione, ossia diritto di essere preferito ad ogni altro, a parità di condizioni, nel caso in cui la persona soggetta la prelazione dovesse decidersi a stipulare un determinato contratto. Il soggetto passivo della prelazione non è affatto obbligato a concludere tale contratto e conserva la sua piena libertà di decidere. La prelazione può essere volontaria, quando venga concessa con un accordo tra privati, può essere legale, ossia accordata da una norma di legge. La prelazione volontaria ha mera efficacia obbligatoria: il promittente, in caso di inadempimento, è tenuto al risarcimento dei danni, ma il terzo acquirente ha acquistato bene e non corre rischi. Non è così quando si tratta di prelazione legale. La prelazione attribuisce al beneficiario il diritto di essere preferito a parità di condizioni, ma nulla vieta che alla parte preferita sia attribuito il diritto di acquistare a condizioni diverse da quelle offerte da terzi.

I contratti "standard" o per adesione

Nelle trattative, le parti discutono il contenuto del futuro contratto e ciascuna di esse cerca di strappare le condizioni che reputa per sé più vantaggiose. Ma il procedimento di conclusione del contratto non può essere sempre adottato, anzi si dimostra troppo complicato quando si tratta di contratti di massa, ossia di contratti che un'impresa conclude con gran numero di persone. In questi casi è ovvio che l'impresa non può mettersi a discutere con ciascun cliente le condizioni del singolo rapporto. Di solito queste imprese predispongono «moduli» o «formulari» contrattuali, nei quali inseriscono clausole uniformi e standardizzate, il cliente non può discutere: o aderisce o rifiuta. La prassi della standardizzazione risulta oggi diffusissima persino per piccole imprese. È tuttavia necessario predisporre delle cautela a favore dell'aderente ad evitare abusi ai suoi danni. Il legislatore del 1942 ha previsto:

a)  che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari le clausole aggiunte prevalgono su quelle del modulo con cui siano incompatibili;

b)  che le condizioni generali contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci solo se la parte che le predisposte abbia fatto in modo da garantire che l'altro contraente sarebbe stato in grado di conoscerle;

c)  che le clausole inserite nelle condizioni generali contratto predisposte da uno dei contraenti s'interpretano «a favore dell'altro»;

d)  che non hanno effetto le condizioni che stabiliscono a favore di colui che ha predisposti moduli o formulari contrattuali, «limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione».

Nel tentativo di dare uniformità alle svariate forme di protezione dei consumatori la Comunità europea ha emanato una direttiva. Le regole principali della nuova disciplina relativa ai «contratti del consumatore» sono:

a)  gli art. 1469-bis e ss. si applicano solo ai contratti conclusi «tra consumatore e la marca" class="text">il consumatore ed il professionista», intendendosi per consumatore «la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta;

b)  in tali contratti si considerano vessatorie le clausole che «determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio»;

c)  non possono considerarsi vessatorie, senza possibilità di prova contraria, le clausole che attengono «alla determinazione dell'oggetto del contratto» o «alla adeguatezza del corrispettivo del bene i servizi»;

d)  sono sempre considerate vessatorie le clausole inserite in una black list;

e)  «si presumono vessatorie fino a prova contraria» tutte le clausole contenute nel lungo elenco di cui al comma 3 dell'art. 1469- bis, a meno che il professionista dimostri che non lo erano, ovvero dimostri che non erano state imposte unilateralmente perché avevano formato «oggetto di trattativa individuale»;

f)    le clausole considerate vessatorie sono inefficaci ma «il contratto rimane efficace per il resto». L'inefficacia «opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice»;

g)   ad iniziativa di taluni enti può essere chiesto al giudice di inibire una volta per tutte ad uso professionista o ad una associazione di professionisti l'uso di determinate clausole che vengano valutate come vessatorie.


Gli effetti del contratto

La forza vincolante del contratto

Finché contratto non si è perfezionato le parti conservano la loro libertà di addivenire o meno alla sua stipulazione. Ma dal momento in cui l'accordo si perfeziona esse sono obbligate ad osservarlo: ciò che la legge esprime affermando addirittura che «il contratto ha forza di legge tra le parti». Ed il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze. In linea di principio una volta perfezionato il contratto non è ammesso il recesso unilaterale, ossia il diritto di liberarsi unilateralmente dagli obblighi assunti con il contratto: un contratto può essere sciolto solo con uno specifico accordo bilaterale in tal senso o per cause ammesse dalla legge. Tuttavia un diritto di recesso (convenzionale) può essere espressamente concordato a favore di una o di entrambe le parti, ma la facoltà di recedere deve essere esercitata prima che abbia inizio l'esecuzione del contratto. Spesso un diritto di recesso è attribuito ad una parte a fronte di un corrispettivo, rappresentato da una somma di danaro consegnata fin dal momento della conclusione del contratto in funzione di anticipo (caparra penitenziale). Talvolta è la legge stessa che attribuisce ad una delle parti il diritto di recedere da un contratto ove si verificano determinati presupposti soprattutto nei contratti di durata.

Gli effetti tra le parti

Gli effetti del contratto per quanto riguarda le parti, corrispondono al contenuto dei loro accordi. La determinazione del significato di tali accorti dipende dalla interpretazione della volontà delle parti. Nella determinazione degli affetti del contratto non si deve tener conto soltanto delle clausole pattuite dalle parti. La dove queste non abbiano disposto occorre provvedere alla integrazione del contratto, applicando le eventuali norme dispositive o gli usi o la equità. Ad es., se in una compravendite le parti non hanno stabilito il momento ed il luogo del amento del prezzo, interviene l'art 1498 a fissare che il amento deve avvenire al momento della consegna e nel luogo dove questa si svolge. La legge interviene non soltanto con funzione integratrice della volontà privata, bensì con funzione imperativa, importante può essere l'intervento legislativo per imporre ai privati clausole o prezzi, che si sostituiscono di diritto a quelli pattuiti dai contraenti. Il principio fondamentale in tema di esecuzione del contratto deve essere il rispetto della buona fede.

I contratti ad effetti reali

La legge determina gli effetti di alcuni tipi di contratti. Per quanto riguarda i contratti con effetti reali è importante tenere presente la regola che in mancanza di accordo delle parti, fissa il momento in cui ha luogo il passaggio della proprietà per tutte le conseguenze che ne derivano, tra cui la più importante è quella relativa al rischio per il  perimento fortuito della cosa. I principi fissati dalla legge sono:

a)  se si tratta di cosa determinata da proprietà passa per effetto del consenso manifestato nelle forme di legge;

b)  se si tratta di cose determinate solo nel genere la proprietà si trasmette con l'individuazione delle cose mediante pesatura o misurazione.

Perché si abbia l'individuazione occorre non solo la separazione materiale ma è necessario anche che esse non possano essere più sostituite con altre. Le ragioni che si oppongono al trasferimento delle cose fungibili mediante il semplice consenso non valgono quando oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose, qui non v'è bisogno di individuazione: la proprietà si trasmette per effetto del semplice consenso.

Conflitti tra aventi diritto sullo stesso oggetto

Se una persona concede lo stesso diritto prima ad A e poi a B, in linea di logica dovrebbe essere preferito colui a cui il diritto è stato concesso per primo: una volta che il titolare si è spogliato del diritto non può più disporne a favore di altri. Ma questo principio non si può sempre applicare: vi si oppongono le esigenze di protezione della buona fede e dell'affidamento, l'opportunità di favorire chi già si trova nel possesso o nella detenzione della cosa. Regole varie introducono eccezioni notevoli al principio secondo cui la preferenza dovrebbe spettare a colui che ha concluso per primo il contratto. Taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile (non registrato), quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso, è preferita alle altre anche se il suo titolo è di data posteriore. Tra i vari aventi diritto è preferito chi per primo ha conseguito il godimento della cosa; se nessuno ha conseguito tale godimento si applica la regola generale: la preferenza spetta colui che può dimostrare di avere concluso il contratto in data anteriore purché questa risulti in modo certo ai sensi dell'art 2704 cod. civ.

La clausola penale e la caparra

In caso di inadempimento, il creditore ha diritto ad essere risarcito dei danni subiti ma ha l'onere di provare il danno che assume essergli stato arrecato per effetto dell'inadempimento del debitore. Perciò le parti posso inserire nel contratto una clausola con cui stabiliscono ex ante, che uno dei contraenti dovrà are, a titolo di penale, ove dovesse rendersi inadempiente. In tal caso la parte inadempiente è tenuta a are la penale stabilita, senza che il creditore debba dare la prova di avere subito un danno: perciò si dice che tale clausola (clausola penale) contiene una liquidazione convenzionale anticipata del danno. La penale può essere prevista sia per il caso di inadempimento assoluto, che per il caso di semplice ritardo: nel primo caso il creditore se pretende la penale non può più pretendere la prestazione principale; nel secondo caso più pretendere sia la penale che la prestazione prevista. Le parti sono però libere di prevedere espressamente nella clausola che il creditore abbia il diritto di pretendere oltre alla penale anche risarcimento dell'eventuale maggiore danno. La clausola penale non va confusa con la caparra. Il codice disciplina due tipi di caparra: la caparra confirmatoria e la caparra penitenziale. La prima è la più frequente e corrisponde alla prassi antichissima di dimostrare la serietà con il quale il contratto viene stipulato, provvedendo a consegnare all'altra parte del momento del perfezionamento dell'accordo una somma di denaro. La caparra, una volta eseguito il contratto deve essere restituita, ovvero trattenuta a titolo di acconto di acconto sul prezzo. Ove però la parte che ha dato la caparra si rendesse inadempiente agli obblighi assunti, l'altra parte può scegliere se recedere dal contratto trattenendo la caparra ricevuta, a titolo di risarcimento del danno. Ove inadempiente fosse invece la parte che ha ricevuto la caparra, la controparte può pretendere il doppio di quanto aveva versato a titolo di caparra. Più semplice è la funzione della caparra penitenziale, perché in questo caso la somma versata a titolo di caparra ha soltanto la funzione di corrispettivo di un diritto di recesso: vale a dire che chi ha versato la caparra può rinunciarvi ed il contratto è senz'altro sciolto, senza che la controparte possa pretendere altro. Chi ha ricevuto la caparra può recedere dal contratto restituendo il doppio della caparra ricevuta.

Effetti del contratto di fronte ai terzi

È ovvio che gli effetti del contratto sono limitate alle parti. Perciò, se ti prometto che un terzo assumerà il tuo debito o svolgerà una determinata attività a tuo favore, il terzo è del tutto libero di compiere o meno quanto io ho promesso: obbligato sono soltanto io a persuadere il terzo a fare quanto ho promesso. Se il terzo non aderisce alle mie premure l'unica conseguenza della promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo sarà questa: dovrò indennizzare colui a cui ho fatto la promessa.

Il contratto a favore del terzo

Negli ordinamenti giuridici moderni si è fatta strada la concezione che il principio res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest significa soltanto che il terzo non acquista alcun diritto da un contratto al quale è rimasto estraneo, quando le parti non abbiano alcuna intenzione di procurare al terzo l'acquisto del diritto, ma non esclude che la volontà dei contraenti possa essere diretta ad attribuire diritti ad un terzo. L'art 1411 cod. civ. ammette in via generale la ura del contratto con cui le parti attribuiscono ad un terzo il diritto di pretendere in proprio l'adempimento di un contratto. Perché si abbia contratto a favore di terzi è indispensabile che le parti abbiano espressamente voluto e pattuito un vantaggio di fatto a favore del terzo. ure particolari e frequenti di contratto a favore del terzo sono costituite dal contratto di assicurazione sulla durata a favore del terzo, dal contratto di trasporto di cose, dalla rendita vitalizia a favore del terzo. Il contratto a favore del terzo non va confuso con il contratto stipulato da un rappresentante: in caso di contratto stipulato in nome altrui tutti gli effetti dell'atto ricadono sul rappresentato. La disciplina fondamentale del contratto a favore del terzo è semplice:

a)  il terzo acquista il diritto verso chi ha fatto la promessa, fin dal momento della stipulazione del contratto a suo favore ma questo acquisto non è definitivo, perché non può negarsi al terzo la facoltà di rinunciare al beneficio. Solo quando il terzo dichiaro di volerne approfittare, la facoltà di revoca o di modificazione è preclusa;

b)  causa dell'acquisto del diritto a favore del terzo è il contratto a suo favore: perciò chi ha promesso la prestazione può opporre al terzo tutte le eccezioni fondate su questo contratto, ma non quelle fondate su altri rapporti tra promettente e stipulante.


La rescissione e la risoluzione del contratto

Rescissione del contratto concluso in istato di pericolo

La rescissione del contratto può chiedersi per anomalie genetiche, cioè perché è stato concluso in istato di pericolo o per lesioni. Per poter sperimentare l'azione di rescissione di un contratto stipulato in condizioni di pericolo occorrono i seguenti presupposti:

lo stato di pericolo in cui uno dei contraenti o altra persona si trovava, al quale il contraente stesso ha voluto ovviare con la conclusione del contratto. Il contratto è rescindibile anche se lo stato di pericolo è stato volontariamente causato o era evitabile;

l'iniquità delle condizioni a cui il contraente ha dovuto soggiacere.

Un'opera viene prestata a favore di chi ha chiesto il soccorso ed è giusto che essa sia ricompensata, perciò il comma 2 dell'art 1447 attribuisce al giudice il potere di assegnare un equo compenso al soccorritore.

L'azione generale di rescissione per lesione

Il codice ha voluto offrire un rimedio contro i contratti sinallagmatici nei quali vi sia una sproporzione abnorme tra le due prestazioni e vi ha provveduto con un'azione di carattere generale. Si richiedono:

un primo elemento oggettivo: la lesione, ossia una sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra: la lesione deve essere tale che il valore della prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata risulti superiore al doppio del valore della controprestazione. La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta: se per successivi mutamenti di valore si è eliminato quello squilibrio che l'azione vuole evitare, non v'è ragione di rescindere il contratto. La lesione non è poi concepibile riguardo ai contratti aleatori;

un secondo elemento oggettivo: lo stato di bisogno della parte danneggiata. Stato di bisogno non significa situazione di assoluta indigenza ma difficoltà economica. Lo stato di bisogno si distingue dallo stato di pericolo: il primo consiste in una situazione di difficoltà, il secondo implica una situazione di necessità;

elemento soggettivo: l'approfittamento dello stato di bisogno della parte danneggiata. La sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra parte ha approfittato per trarne vantaggio.

Il contraente contro cui è proposta l'azione di rescissione può evitarla eliminando lo squilibrio che ne costituisce il fondamento, cioè offrendo un aumento della sua prestazione, o una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità. L'azione di rescissione è sottoposta a principi diversi da quelli che regolano l'azione di annullamento. La rescissione non ha efficacia retroattiva: perciò non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salva l'applicazione di principi sulla trascrizione della domanda. L'azione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto.

L'azione di risoluzione per inadempimento

È prevista la risoluzione del contratto per cause che si verificano dopo la conclusione: a) per inadempimento; b) per impossibilità sopravvenuta; c) per eccessiva onerosità.

La risoluzione è applicabile soltanto ai contratti a prestazioni corrispettive, nei quali il sacrificio di ciascuna delle parti trova la sua giustificazione nella controprestazione che deve essere seguita dall'altra. Di fronte all'inadempimento dall'altra parte, al contraente non inadempiente è lasciata la facoltà di scegliere fra: o insistere per l'adempimento degli accordi, chiedendo la manutenzione del contratto e quindi la condanna della controparte ad eseguire la prestazione non ancora adempiuta, ovvero esercitare il diritto potestativo di chiedere la risoluzione del contratto; o chiedere che il contratto venga sciolto e considerato come se non fosse mai stato stipulato. In entrambi i casi il contraente ha il diritto di pretendere il risarcimento dei danni subiti. Se egli insiste per la manutenzione del contratto significa che l'adempimento è ancora possibile e che ci troviamo di fronte ad un semplice ritardo; quando il creditore di fronte all'inadempimento della controparte non intende restare vincolato dal contratto stipulato non solo non vuole la conservazione, ma vuole lo scioglimento (risoluzione), il risarcimento cui ha diritto non si aggiunge al diritto nascente dal contratto ma si sostituisce a quello. Vediamo come è regolato il rapporto tra l'azione di adempimento e l'azione di risoluzione. Se viene proposta la prima, la parte non si preclude il diritto di cambiare idea e di chiedere successivamente la risoluzione del contratto. Viceversa, una volta chiesta la risoluzione non si può chiedere l'adempimento. D'altra parte una volta chiesta la risoluzione l'inadempiente non può più rimediare alla precedente violazione, vale a dire che l'altro contraente può legittimamente rifiutare la prestazione che gli venga offerta dopo che sia già stata presentata al giudice la domanda di risoluzione. Per ottenere la risoluzione occorre proporre una domanda giudiziale e spetterà al giudice accertare se vi sia stato inadempimento del contratto e se di tale inadempimento sia responsabile il convenuto. Inoltre giudice, per dichiarare risolto il contratto (con sentenza costitutiva), deve accertare che l'inadempimento non abbia «scarsa importanza». La risoluzione ha efficacia retroattiva, il che significa che non soltanto il contratto risolto non produce gli effetti per l'avvenire, ma che pure prestazioni già eseguita solo ex uno latere devono essere restituite, salvo che per i contratti ad esecuzione continuata o periodica.

La risoluzione di diritto

La risoluzione del contratto può intervenire non soltanto per effetto di una sentenza del giudice ma anche di diritto in tre casi regolati dal codice.

1) Clausola risolutiva espressa. Si chiama così la clausola contrattuale con la quale le parti prevedono espressamente che il contratto dovrà considerarsi automaticamente risolto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o non venga eseguita rispettando le modalità pattuite. È chiara l'importanza che la clausola riveste: quando essa ura nel contratto, la parte che è tenuta ad eseguire l'obbligazione il cui inadempimento giustificherebbe la risoluzione è spinta a non rendersi inadempiente, perché altrimenti la controparte potrebbe provocare ipso iure la risoluzione del contratto una semplice raccomandata.

2) Diffida ad adempiere. Se nel contratto manca la clausola risolutiva espressa, la parte non inadempiente può ottenere egualmente che la risoluzione operi di diritto mediante una «diffida ad adempiere», ossia mediante una dichiarazione scritta con la quale intima all'altro contraente di provvedere all'adempimento entro un termine congruo. Se il contratto non viene adempiuto nel termine indicato, il legislatore realizza automaticamente l'effetto minacciato dalla parte e considera risolto ipso iure il contratto. Anche in questa ipotesi qualsiasi contestazione sarà decisa con una sentenza di accertamento.

3) Termine essenziale. Il termine per l'adempimento di una prestazione si dice essenziale quando la prestazione diventa inutile per il creditore, qualora non venga eseguita entro il termine stabilito. La essenzialità del termine si dice oggettiva quando risulta dalla natura stessa della prestazione che questa può essere utile per il creditore soltanto in quanto venga eseguita nei modi e nei tempi pattuiti; si dice soggettiva quando dalle pattuizioni contrattuali risulti escluso l'interesse del creditore all'esecuzione della prestazione.

Eccezione di adempimento

Un altro rimedio è offerto dalla legge nel caso di inadempimento. La parte tenuta ad adempiere successivamente può legittimamente rifiutare di eseguire la prestazione da lei dovuta, qualora l'altra parte non abbia ancora eseguito la propria. Il rimedio si applica anche nel caso che la prestazione sia già stata adempiuta, ma in modo inesatto. Non basta l'inadempimento dell'altra parte a giustificare il rifiuto della prestazione: occorre che il rifiuto stesso sia conforme a buona fede.

Mutamento delle condizioni patrimoniali dei contraenti

La tutela di chi ha concluso un contratto a prestazioni corrispettive non s'arresta all'ipotesi dell'inadempimento dell'altra parte, ma prende in considerazione anche l'ipotesi del pericolo di inadempimento. È attribuita a ciascun contraente la facoltà di sospendere l'esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell'altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione. Se viene prestata idonea garanzia, cessa il pericolo che la prestazione non sia conseguita e la sospensione non ha alcuna giustificazione.

La clausola del solve et repete

Il congegno della corrispettività importa che una delle parti può rifiutarsi di adempiere la propria prestazione, se l'altra non adempie la sua. Questo principio è stabilito nell'interesse delle parti che possono rinunziarvi. Una delle parti può assicurarsi mediante apposita clausola, una particolare protezione ai fini dell'adempimento della prestazione ad essa dovuta. La clausola solve et repete importa rinuncia al diritto di opporre eccezioni ed è diretta a rafforzare il vincolo contrattuale. La clausola è espressamente compresa tra quelle che inserite in contratti conclusi fra un professionista e un consumatore si presumono «vessatorie». La clausola è mitigata dall'art 1462 che stabilisce i seguenti limiti:

essa non ha effetto per le eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto;

il giudice constata che essa presenta elementi di fondatezza, può sospendere la condanna all'adempimento della prestazione.

La risoluzione per l'impossibilità sopravvenuta

L'impossibilità sopravvenuta della prestazione estingue l'obbligazione: essa libera la parte che vi era tenuta. Tale risoluzione opera di diritto. Se la prestazione è divenuta solo parzialmente impossibile (impossibilità parziale), il corrispettivo è giustificato solo per la parte corrispondente e deve essere ridotto. Se poi la prestazione non offre un interesse apprezzabile per il creditore egli può recedere dal contratto. Per quanto concerne contratti ad effetti reali occorre tener presente i principi già enunciati: si ricorderà che, se oggetto del contratto è una cosa determinata, la proprietà si trasferisce per effetto del semplice consenso, mentre il trasferimento della proprietà delle cose fungibili ha luogo con l'individuazione.

La risoluzione per eccessiva onerosità

Quando tra il momento della stipulazione del contratto e quello della sua esecuzione intercorre un certo periodo di tempo è frequente che in questo periodo si verifichino eventi tali da modificare l'originaria valutazione dell'una o dell'altra parte. Il legislatore ha concesso un rimedio per il caso più grave in cui fatti sopravvenuti straordinari ed imprevedibili rendano la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa. È solo in questi limiti, che si è accolta la clausola rebus sic stantibus, secondo la quale un accordo sarebbe vincolante soltanto a condizione che non si modifichino i rapporti di valore tra le prestazioni oggetto dello scambio. Si ha pertanto diritto alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità quando concorrono le seguenti condizioni:

che si tratti di contratti per i quali è previsto il decorso di un intervallo di tempo tra la stipulazione dell'accordo e la sua esecuzione;

che si verifichi una eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione di una delle parti. Deve trattarsi di una onerosità sopravvenuta successivamente alla conclusione del contratto. In secondo luogo deve trattarsi di una onerosità eccessiva, che crei cioè uno squilibrio economico grave tra prestazione e controprestazione;

che l'eccessiva onerosità dipenda da avvenimenti straordinari e imprevedibili. L'imprevedibilità o meno dell'evento va valutata alla luce del giudizio che, ex ante, un uomo medio avrebbe ritenuto di formulare. La risoluzione per eccessiva onerosità non si applica ai contratti aleatori per i quali è normale l'accettazione di un rischio particolare.


C)    I CONTRATTI TIPICI


Premessa

Raggruppamento dei contratti tipici

L'ordine con cui i singoli tipi contrattuali saranno esaminati prescinde dalle categorie che si sono elencate a suo tempo in funzione delle loro caratteristiche strutturali e tiene conto anche di considerazioni relative alle finalità economiche che le parti si propongono. Pertanto si procederà in quest'ordine:

a)  il principale contratto di scambio: la compravendita;

b)  gli altri contratti di scambio che realizzano un do ut des;

c)  i contratti di scambio che realizzano un do un facias;

d)  i contratti di cooperazione nell'altrui attività giuridica;

e)  i principali contratti reali;

f)    i contratti bancari;

g)  i contratti aleatori;

h)  i contratti diretti a costituire una garanzia;

i)    i contratti diretti a dirimere una controversia.

Vendite "porta a porta" o a "distanza"

Si parla di vendita "porta a porta", di contratti "a distanza", di contratti negoziati "fuori dai locali commerciali", mediante i quali una persona fisica, agendo al di fuori della sua attività professionale, si procura beni o servizi da un fornitore professionista che opera "a distanza" o comunque al di fuori dei locali istituzionalmente preposti alla distribuzione dei propri prodotti. La tutela del consumatore si sostanzia per un verso nel diritto ad essere adeguatamente e preliminarmente informato su tutti gli aspetti di rilievo del contratto e sulle facoltà e poteri che gli spettano in proposito; e per altro verso in un diritto di recesso esercitatile, incondizionatamente e senza subire perdite di sorta, entro dieci giorni dalla stipulazione del contratto.


La compravendita

Si tratta di un contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o quello di un diritto contro il corrispettivo di un prezzo. Primo requisito della compravendita è l'accordo tra le parti, che può essere semplicemente verbale nel caso di vendita di beni mobili non registrati. Per la compravendita di beni registrati (ad esempio un'automobile) e di beni immobili (ad esempio una casa) sono richiesti invece la trascrizione nei pubblici registri e un atto scritto che comprovi il contratto; infatti, in quest'ultimo caso la legge stabilisce che il contratto di compravendita venga sottoscritto rispettando determinate formalità, fra le quali rilevante è la pubblicità dell'atto. Il regime di pubblicità (cioè di accessibilità da parte del pubblico) degli atti che riguardano i beni immobili si spiega con l'esigenza di rendere note le vicende giuridiche di un bene ed evitare così il conflitto tra più acquirenti di uno stesso bene. Nella compravendita sia il venditore sia il compratore hanno degli obblighi: il venditore deve garantire al compratore la proprietà della cosa all'atto della conclusione del contratto; il compratore ha l'obbligo di corrispondere il prezzo concordato nelle modalità previste dal contratto e prendere in consegna la cosa. Il venditore ha inoltre alcuni ulteriori obblighi come quello di garantire al compratore che la cosa venduta sia priva di imperfezioni dovute alla produzione o alla conservazione e che abbia le qualità promesse o essenziali all'uso cui è destinata.


Gli altri contratti di scambio che realizzano un do ut des

La permuta

Si tratta di un contratto mediante il quale le parti si scambiano beni o diritti senza che intervenga l'uso della moneta. Questo tipo di contratto era molto diffuso nell'antichità, essendo una procedura commerciale caratteristica di economie piuttosto arretrate. Nel codice civile è previsto che alla permuta si applichino le norme sulla vendita.


I contratti di scambio che realizzano un do ut facias

La locazione

La locazione è un contratto con il quale una persona (il locatore) decide di mettere a disposizione di un'altra persona (il conduttore o locatario) un proprio bene (mobile o immobile) in cambio del amento di una somma di denaro: ad esempio il proprietario di una casa concede all'inquilino l'uso della propria casa in cambio del amento di un canone. Il locatore deve mettere a disposizione dell'inquilino una casa in buono stato di conservazione e deve far eseguire le riparazioni necessarie eccetto quelle di piccola manutenzione che sono a carico dell'inquilino; quest'ultimo ha l'obbligo di usare la casa secondo l'uso concordato nel contratto e ha l'obbligo di dare il corrispettivo in denaro nel termine stabilito. Per le locazioni di immobili urbani la legge italiana ha stabilito, attraverso la legge 392/78 e successive modifiche, una disciplina speciale volta a tutelare le esigenze della persona e della collettività in relazione all'uso di immobili urbani per abitazione, per ufficio e per l'esercizio di un'attività commerciale. La legge 392/78 prevedeva i criteri per il calcolo del cosiddetto "equo canone", ovvero i parametri cui ancorare la pattuizione del canone nelle sole locazioni abitative di durata quadriennale, rinnovabili per eventuali altri quattro anni. La legge 359/92 introdusse la possibilità di derogare convenzionalmente, in presenza di determinate condizioni tassativamente previste, ai limiti imposti dalla legge 392/78, applicando i cosiddetti "patti in deroga". L'equo canone e i patti in deroga sono stati abrogati dalla legge 431/98; attualmente per i nuovi contratti a uso abitativo non è più applicabile il regime vincolistico dell'equo canone ed è, inoltre, prevista la redazione del contratto per iscritto a pena di nullità. Le locazioni a uso commerciale continuano invece a essere disciplinate dal capo II della legge 392/78, che prevede per esse una durata di sei anni rinnovabile, salvo disdetta motivata, per altri sei anni. L'affitto è una particolare forma di locazione che si ha quando la cosa locata è un bene produttivo (ad esempio un'azienda, un fondo rustico). Assimilabile alla locazione è il noleggio, ad esempio di autoveicolo, contratto mediante il quale viene messo a disposizione di una persona, dietro corrispettivo, un veicolo.

Il leasing

Il leasing è costituito da diverse forme di contratto tramite cui un'impresa prende in affitto macchinari, attrezzature o beni immobili da impiegare nella propria attività produttiva. Si tratta, inoltre, di una forma di credito, in base al quale, tecnicamente, un bene viene preso in affitto per uno specifico periodo di tempo, al termine del quale il noleggiatore ha l'opzione di acquistare il bene oggetto del leasing, solitamente a fronte del amento di una somma predeterminata che terrà conto delle quote di canone precedentemente versate. Durante il periodo di noleggio, il noleggiatore (acquirente) è responsabile dei beni e risponde di qualsiasi danno provocato dalla propria negligenza. Egli può anche sciogliere il contratto in qualsiasi momento, a condizione che consenta al proprietario del bene di rientrare in possesso dello stesso e saldi tutti i amenti in sospeso. Al fine di tutelare i consumatori ed evitare che sottoscrivano un contratto contenente un tasso d'interesse iniquo o qualsiasi altra condizione eccessivamente onerosa, è stata introdotta, in numerosi paesi, una normativa piuttosto rigorosa.

L'appalto

L'appalto è un contratto con il quale una parte (appaltatore) si impegna verso l'altra (appaltante) a compiere un'opera (ad esempio costruire un edificio) o un servizio (ad esempio ripulire un ufficio) in cambio di un corrispettivo in denaro. L'appaltatore è di norma un imprenditore che impiega capitali propri, organizzando i mezzi e le persone necessarie e assumendosi personalmente il rischio. Ciò lo distingue dalla ura del lavoratore autonomo (l'artigiano, il prestatore d'opera ecc.), che presta personalmente la propria opera e ha diritto perciò a un compenso. Il committente approva l'opera prestata dall'appaltatore dopo un collaudo e l'appaltatore deve garantire che la sua opera sia priva di difetti. Una disciplina autonoma è prevista per i contratti di appalto stipulati tra la pubblica amministrazione e un imprenditore privato per l'esecuzione di opere pubbliche.

Il contratto di trasporto

Con il contratto di trasporto una parte (che si chiama vettore) si obbliga verso corrispettivo a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro. Dal punto di vista dell'oggetto si distingue il trasporto di persone dal trasporto di cose; sotto l'aspetto dell'elemento naturale attraverso cui il trasferimento avviene si distingue il trasporto terrestre dal trasporto per acqua e dal trasporto per aria: il trasporto terrestre è regolato dal codice civile, il trasporto per acqua e quello per aria sono regolati dal codice della navigazione. I servizi di linea costituiscono il servizio pubblico che viene esercitato tramite concessione amministrativa. Ad evitare abusi e per assicurare il servizio alla generalità del pubblico, sono stabiliti a carico delle imprese concessionarie due obblighi: quello di contrattare con chiunque ne faccia richiesta e quello di osservare la parità di trattamento secondo le condizioni generali stabilite o autorizzate nell'atto di concessione. La differenza fondamentale che sussiste tra il trasporto di persone e quello di cose è la seguente: nel trasporto di cose queste sono affidate al vettore, al quale incombe l'obbligo di provvedere alla custodia di esse durante il trasporto; nel trasporto di persone manca invece quest'affidamento. Le cose che il viaggiatore porta con sé durante il viaggio, siccome restano nella sua sfera di detenzione, non formano oggetto di affidamento al vettore, il quale non ha l'obbligo della custodia. ½ è la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e la perdita o l'avaria del bagaglio hanno carattere contrattuale: perciò non spetta al passeggero provare la colpa del vettore, ma questa è presunta e incombe al vettore l'onere della prova liberatoria. Tutti principi su enunciati sulla responsabilità del vettore si applicano anche al trasporto gratuito. Vecchia questione è se si applichino anche al trasporto amichevole o a titolo di cortesia. Nonostante l'assenza di corrispettivo, il vettore ha sempre l'interesse e un motivo giuridicamente rilevante ad eseguire la prestazione. Nel trasporto amichevole manca qualsiasi vincolo giuridico, e il rapporto rientra nella sfera dell'amicizia o della cortesia.


I contratti di cooperazione nell'altrui attività giuridica

Il mandato

Il mandato è un contratto con il quale una persona (mandatario) assume l'incarico di svolgere uno o più atti giuridici nell'interesse di un'altra persona (mandante). Il contratto di mandato può essere con o senza rappresentanza: nel primo caso gli effetti giuridici degli atti posti in essere dal mandatario si riversano immediatamente nella sfera giuridica del mandante; nel secondo caso, invece, il mandatario è tenuto a trasferire, con un ulteriore negozio, i diritti acquistati in proprio nome nella sfera giuridica del mandante. Il mandato può essere generale o rilasciato per la conclusione di un solo affare; in questo secondo caso si tratta di un mandato speciale.

La commissione

Si tratta di un contratto con cui un soggetto, detto commissionario, si impegna in nome proprio a vendere o comprare merce per conto di un altro soggetto, detto committente. Due sono le caratteristiche proprie di questo tipo di contratto, che rientra nella ura più ampia del mandato:

gli atti che il commissionario si impegna a porre in essere sono sempre e solo contratti di compravendita;

il mandato è privo di rappresentanza, per cui il commissionario compra e vende per conto del committente ma lo fa in nome proprio.

Dopo che la vendita e l'acquisto sono stati posti in essere, il commissionario è tenuto, mediante un nuovo e diverso contratto, a trasferire al committente i beni o il denaro ricavato dalla vendita. Generalmente il commissionario viene ato per la propria prestazione con una provvigione proporzionale al valore dell'affare concluso. Di norma il commissionario non è tenuto a garantire al committente l'effettiva esecuzione dei contratti conclusi, ma questo può essere espressamente previsto nel contratto con una clausola, in presenza della quale il commissionario è responsabile nei confronti del committente dell'effettiva esecuzione del contratto.

Il contratto di agenzia

Il contratto di agenzia è un contratto mediante il quale una parte (agente) si obbliga di promuovere, per conto dell'altra parte (proponente), e verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. Egli dunque procura le ordinazioni e le trasferisce al proponente: è infatti quest'ultimo a stipulare il contratto con il cliente; tuttavia, se si tratta si un agente con rappresentanza, quest'ultimo può compiere atti giuridici in nome e per conto del proponente. L'agente si assume il rischio della sua attività promozionale e non ha pertanto il diritto di ottenere il rimborso delle spese d'agenzia. Egli è retribuito dal proponente con una provvigione, in altre parole una percentuale sulle vendite pattuita in via anticipata. Si tratta di un contratto di durata, a tempo determinato o indeterminato. Il proponente e l'agente hanno il diritto reciproco di esclusiva: non possono, ovvero, stipulare altri contratti d'agenzia. L'agente è tenuto a iscriversi all'albo per agenti e rappresentanti di commercio.

Il contratto di franchising

Si tratta di un contratto con il quale una società (franchisor), concede a un'altra società (franchisee) il diritto di vendere i propri prodotti o servizi usando il proprio nome o marchio. Si parla di franchising anche quando un imprenditore proprietario di un brevetto autorizza un imprenditore straniero a produrre il proprio prodotto. Il franchising comporta solitamente un amento iniziale da parte del franchisee, detto entry fee, e successivi versamenti variabili determinati in base all'ammontare del giro d'affari del franchisee risultante dalle sue scritture contabili. Altre condizioni sono: l'impegno da parte del franchisee a rifornirsi solo presso il franchisor e a seguire gli stessi criteri di gestione, vendita, arredamento del locale degli altri franchisee; il diritto del franchisee di avere l'esclusiva di vendita dei prodotti del franchisor in una specifica zona e il divieto di venderli al di fuori di essa. I franchisee devono avere la garanzia che i profitti previsti dal franchisor siano realistici e che il franchisor li rifornisca e li assista efficientemente. Il franchising permette al franchisor di espandere il proprio volume d'affari senza perderne il controllo e anche senza investire tutto il capitale necessario. Il franchisee ha il vantaggio di poter esercitare un'attività utilizzando un marchio già affermato e senza dover quindi investire tempo e denaro nell'avviamento di una nuova attività e nella diffusione di un nuovo marchio.

I principali contratti reali

Il deposito regolare

Il deposito è il contratto reale col quale una parte (depositario) riceve dall'altra (depositante) una cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla in natura. La funzione pratica del deposito consiste nell'assicurare la custodia di una cosa, garantendone la vigilanza necessaria per la sua conservazione ai fini della restituzione: al depositario non solo non passa la proprietà, ma nemmeno il possesso della cosa; egli la detiene soltanto nel mio interesse e non ne può disporre e nemmeno servirsene. Il deposito si presume gratuito. Secondo i principi generali, il depositario devo usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia. Il deposito può essere effettuato da chiunque abbia il possesso o la detenzione della cosa, non importa se ne sia o meno proprietario.

Il deposito irregolare

ura sostanzialmente diversa da quella prima esaminata è il deposito irregolare: questo ha per oggetto una quantità di denaro o di altre cose fungibili, delle quali viene concessa al depositario la facoltà di servirsi. Il depositario acquista allora la proprietà delle cose e può, quindi, farne quel che crede: alienarle, consumarle per i propri bisogni; egli è tenuto a restituire non le stesse cose, ma la stessa quantità di esse.

Il comodato

Si tratta di un contratto con il quale una persona (comodante) dà a un'altra persona (comodatario) una cosa, che può essere sia mobile sia immobile, perché se ne serva per un uso e per un periodo di tempo determinati. L'unico onere che incombe sul comodatario è quello di restituire la stessa identica cosa oggetto del comodato. Questo istituto è molto simile al mutuo, dal quale però si discosta perché, mentre quest'ultimo può essere tanto a titolo gratuito quanto a titolo oneroso, il comodato implica sempre la gratuità. Eventuali prestazioni accessorie richieste dal comodante al comodatario non fanno venire meno il requisito fondamentale della gratuità del comodato.

Il mutuo

È il contratto con il quale una persona (mutuante) presta a un'altra (mutuatario) una somma di denaro che l'altra si obbliga a restituire. In genere è previsto nel contratto un termine per la restituzione del denaro e spesso la restituzione avviene a rate. In tal caso se il mutuatario non adempie l'obbligo di are anche una rata soltanto il mutuante ha diritto a chiedere l'intera restituzione della somma prestata.


I contratti bancari

Le operazioni di banca

Le banche sono imprese che esercitano l'attività bancaria. Per attività bancaria s'intende la raccolta del risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito. Le banche possono operare solo se hanno tenuto una particolare autorizzazione e siano state iscritte nell'apposito albo, curato dalla Banca d'Italia. Le operazioni bancarie si distinguono in operazioni passive, con cui le banche si indebitano verso la clientela raccogliendo fondi, operazioni attive, con cui le banche diventano creditrici dei clienti cui concedono finanziamenti, ed operazioni accessorie, che consistono nei servizi che le banche prestano utilizzando la propria organizzazione.

Il deposito bancario

Il deposito bancario costituisce la tipica operazione bancaria passiva e rappresenta lo strumento tradizionale di raccolta del risparmio, essenziale per lo svolgimento della funzione di intermediazione che le banche assolvono. Di regola il deposito è remunerato dalla banca, con un riconoscimento di interessi a favore del depositante. A richiesta del cliente la banca rilascia al depositante un libretto, sul quale si annotano i versamenti ed i prelevamenti. I libretti di risparmio possono essere 'nominativi' se vengono intestati ad una o più persone; 'al portatore' se il depositante preferisce che possono risultare legittimati ad operare anche altre persone al quale il libretto venga consegnato.

Sconto

L'imprenditore ha spesso bisogno di incassare, sia pure con qualche detrazione, crediti peculiari non ancora scaduti, in modo da procurarsi liquidità per la sua attività. A questa esigenza provvede lo sconto, che è il contratto con il quale la banca, alla quale viene ceduto un credito non ancora scaduto che il cliente ha verso terzi, anticipa a quest'ultimo l'importo del credito.

Il conto corrente

Conto corrente ordinario è il contratto con quale due parti, avendo plurimi rapporti da cui derivano crediti pecuniari reciproci, si accordano per considerare inesigibili le rispettive ragioni di credito, inserendoli in un apposito 'conto' unitario, ed accettando nella compensazione integrale, fino a concorrenza, cosicché, alle scadenze pattuite, tutte le partite risultino sistemate con il amento del solo saldo. Il conto corrente bancario, invece, è un contratto necessariamente accessorio ad altre pattuizioni, col quale si stabilisce di far confluire in un medesimo conto accrediti ed addebiti, ma con il quale il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito. Particolare importanza ha il principio per cui la banca è tenuta ad inviare estratti conto periodici, ma questi si ritengono tacitamente approvati in mancanza di opposizione scritta da parte del cliente entro sessanta giorni dal ricevimento.

Cassette di sicurezza

Uno tra i più importanti servizi bancari accessori è costituito dalle cassette di sicurezza. Queste sono recipienti collocati in stanze corazzate, predisposte dalle banche: il cliente vi può deporre ciò che crede.


I contratti aleatori

La rendita

In economia, compenso corrisposto a un proprietario per l'uso dei terreni a fini produttivi. Le teorie sulla rendita furono elaborate dagli economisti inglesi del XVIII secolo; in particolare David Ricardo studiò le variazioni dei profitti ottenuti dalla terra a seconda della sua produttività. In seguito il termine è stato esteso a indicare il compenso ottenuto per l'uso di altri beni (miniere, edifici ecc.). Per rendita vitalizia si intende invece una prestazione eseguita per tutta la durata della vita del beneficiario o di un terzo avente per oggetto una certa quantità di cose fungibili o di denaro. La natura della rendita vitalizia è del tutto aleatoria; se ad esempio una persona decide di vendere un terreno e chiede come corrispettivo che la controparte gli costituisca una rendita vitalizia, colui che acquista il terreno non è in grado di sapere a priori se ha fatto un buon affare o meno. Può essere infatti che la persona a favore della quale è stato costituito il vitalizio viva a lungo, ma può anche accadere che il giorno seguente alla compravendita muoia; in questo caso appare evidente il vantaggio conseguito. Nella rendita vitalizia l'elemento dell'incertezza è fondamentale: infatti la sua mancanza rende il contratto nullo.

Le assicurazioni

L'assicurazione è il contratto tra due parti in base al quale l'assicuratore, a fronte del versamento di un contributo denominato "premio", si impegna indennizzare l'assicurato per i danni provocati dal verificarsi dell'evento oggetto del contratto. Il premio e l'indennizzo sono determinati nel contratto di assicurazione, denominato polizza assicurativa.


Contratti diretti a costituire una garanzia

La fideiussione

La fideiussione è un contratto che si realizza quando una persona, obbligandosi personalmente nei confronti del creditore, garantisce l'obbligazione di un terzo, il debitore, fino all'ammontare del credito. Questo tipo di contratto deve essere stipulato in modo espresso e chiaro in modo che non si considerino prestazioni di garanzia semplici opinioni circa la solvibilità di una persona. Il contratto di fideiussione viene stipulato tra due soggetti, il creditore e il fideiussore; il terzo soggetto, che è il debitore principale, rimane del tutto estraneo a tale accordo. È chiaro che nella pratica la stipulazione di un contratto di fideiussione è generalmente preceduto da intese tra il fideiussore e il debitore anche se quest'ultimo, al momento della stipula del contratto e durante l'esecuzione dello stesso, non ha alcuna rilevanza in quanto è, rispetto al contratto, del tutto estraneo.

La fideiussione omnibus

Si parla di fideiussione omnibus per indicare l'impegno assunto da un soggetto verso una banca, e con cui si garantisce l'adempimento di tutti debiti, compresi quelli che potranno sorgere successivamente al rilascio della fideiussione, che un terzo risulterà avere verso la banca nel momento della scadenza pattuita ovvero nel momento in cui la banca chiederà di recedere dal rapporto e di ottenere il saldo dei propri crediti. Il fideiussione corre il rischio di ignorare di quanto si stia espandendo il totale dei debiti del soggetto in cui favore ha rilasciato la garanzia omnibus.


Contratti diretti a dirimere una controversia

La transazione

Si tratta di un contratto per mezzo del quale due o più persone, facendosi reciproche concessioni, mettono termine a una controversia già cominciata o impediscono che questa sorga. L'elemento essenziale della transazione sono le reciproche concessioni a cui le parti giungono per evitare di rimettere a un giudice la soluzione della questione. La transazione non può essere posta in essere relativamente a qualsiasi diritto, infatti, ve ne sono alcuni - come quelli concernenti lo stato e la capacità delle persone - che esulano da una soluzione di questo tipo. Non può essere oggetto di transazione un contratto illecito e questo principalmente perché l'illiceità del contratto si rifletterebbe sull'intera transazione.


I contratti del settore turistico

Il contratto d'albergo

Il contratto d'albergo è un contratto atipico, non disciplinato ovvero dal codice civile, ma soggetto alle norme generali sui contratti e agli usi uniformi, concordati dagli operatori del turismo e raccolti nel Regolamento internazionale alberghiero. Esso è definito come "il contratto con cui una parte (albergatore) s'impegna, verso il amento di un prezzo, a fornire all'altra parte (cliente) alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori". Il contratto prevede che l'albergatore possa richiede il versamento della caparra all'atto della prenotazione, la durata presenta del contratto è di un giorno, salvo accordi diversi, la stanza va lasciata all'ora fissata (generalmente dalle 10 alle 14), i servizi accessori possono comportare un prezzo aggiuntivo. L'albergatore è obbligato dalle leggi di pubblica sicurezza alla registrazione del cliente, mediante l'annotazione dei dati anagrafici, ed alla tempestiva comunicazione al commissariato di polizia. Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte. Il deposito in albergo è regolato, invece, dal codice civile in due casi distinti: "le cose portate in albergo e consegnate all'albergatore" e "le cose portate in albergo e non consegnate". Nel primo caso, la responsabilità dell'albergatore è illimitata per sottrazione, danneggiamento o distruzione. Il danno va quindi risarcito per i beni che l'albergatore accetta di prendere in custodia e per i beni che l'albergatore ha rifiutato di ricevere pur avendone l'obbligo. Nel secondo caso, invece, la responsabilità dell'albergatore è limitata ed egli può rispondere fino ad un massimo di 100 volte il prezzo dell'alloggio per una giornata.

Il contratto di viaggio

L'attuale legislazione italiana relativa ai contratti di viaggio è fondata su due leggi fondamentali: la legge 1084/1977, che regola tutta la materia, ed il decreto legislativo 111/1995, che è riferito specificamente "ai viaggi, alle vacanze, ai circuiti tutto compreso". I contratti di viaggio possono assumere due forme: il contratto d'organizzazione di viaggio e contratto d'intermediazione di viaggio, che fa riferimento alla ura dell'intermediario. Egli è tuttavia estraneo al contratto, i cui soggetti sono organizzatore e cliente, come si nota nella sua mancanza di responsabilità per eventi che abbiano a che fare con il viaggio. Gli obblighi generali delle parti sono, per l'agente semplicemente di comportarsi secondo i principi generali del diritto ed i "buoni usi", mentre il viaggiatore deve fornire tutte le necessarie informazioni richiestegli, nonché rispettare i regolamenti relativi al viaggio, al soggiorno e agli altri servizi. La legge prevede la prevalenza delle normative speciali nazionali quando queste siano più favorevoli per i viaggiatori, considerati come parte contrattualmente più debole. La forma del contratto deve essere scritta, in termini chiari e precisi; una copia deve essere rilasciata al cliente, sottoscritta e timbrata dall'organizzatore o dal venditore. Altre eventuali informazioni sono indicate nell'opuscolo informativo, in cui si leggono con chiarezza le informazioni relative al passaporto, i visti, gli obblighi sanitari, e le altre formalità per l'effettuazione del viaggio. Naturalmente è vietato l'uso d'informazioni ingannevoli a danno dei consumatori. Il contratto d'organizzazione del viaggio è "il contratto mediante il quale una parte (l'agente) s'impegna a suo nome a procurare ad un'altra (il cliente), verso corrispettivo, un insieme di prestazioni (che egli stesso ha organizzato), comprendenti il trasporto, il soggiorno ed eventuali altri servizi". Esso è un contratto non formale, a prestazioni corrispettive, a titolo oneroso, consensuale, e generalmente ad esecuzione differita. Nel contratto sono indicate tutte le informazioni possibili relative al viaggio. Può verificarsi, salvo che il contratto non lo escluda esplicitamente, la sostituzione del viaggiatore, sempre che quest'ultimo soddisfi le esigenze del viaggio. Il viaggiatore può recedere dal contratto in ogni momento, a condizione d'indennizzare l'organizzatore di viaggi conformemente alla legislazione nazionale o secondo le disposizioni del contratto. Il recesso dell'agente è previsto solo nel caso di circostanze eccezionali ed imprevedibili o quando non si raggiunga il numero minimo di partecipanti. In entrambi i casi il recesso non dà luogo ad alcun indennizzo, ma solo al rimborso delle somme versate dal viaggiatore. Nel caso di variazioni del prezzo, il viaggiatore può recede dal contratto senza alcun indennizzo per aumenti superiori al 10%, con l'obbligo dell'agente di restituire le somme già versate dal cliente. La responsabilità degli organizzatori di viaggio è relativa a "qualsiasi pregiudizio causato al viaggiatore a causa dell'inadempimento totale o parziale dei suoi obblighi di organizzazione quali sono dal contratto, salvo che egli non provi a essersi comportato da organizzatore di viaggi diligente". Egli è responsabile, in sostanza, solo della corretta predisposizione de servizi, delle prenotazioni, delle informazioni, ma non di eventuali danni causati al viaggiatore durante il viaggio, salvo che non sano stati causati dai prestatori dei servizi di cui l'agente si avvale. Il contratto di intermediazione di viaggio è "il contratto mediante il quale una parte s'impegna a procurare ad un'altra parte, verso corrispettivo, un contratto di organizzazione oppure uno o più servizi separati". La responsabilità dell'agente è illimitata per dolo o colpa grave, limitata per mancanza di diligenza, esclusa per inadempimento totale o parziale relativo al viaggio, soggiorno o altri servizi di cui risponde l'organizzatore.


D) LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DA ATTI UNILATERALI


Le promesse unilaterali

I titoli di credito

Si tratta di documenti (assegno, cambiale, titoli obbligazionari, buoni del tesoro ecc.) che attribuiscono a chi li possiede legittimamente il diritto di richiedere al debitore la prestazione o il amento in essi indicati. Secondo il principio per cui 'il possesso vale titolo', il diritto a ricevere la prestazione o il amento è incorporato nel documento, cioè è strettamente legato al possesso legittimo ed effettivo del titolo ed è indipendente dal motivo per cui il titolo è stato emesso. Caratteristiche tipiche del titolo di credito sono: la 'letteralità', cioè il fare riferimento al significato letterale delle parole scritte sul documento per determinare l'esistenza (la banca XYZ herà), le modalità (a vista, cioè alla presentazione del documento, e in una certa data) e la sostanza (la cifra scritta sul titolo) del diritto; l''autonomia', ovvero l'essere trasferibile e il conferire a chi lo possiede il diritto a ricevere la prestazione; e l''inopponibilità delle eccezioni' che non siano legate a fatti particolari, come ad esempio la falsità della firma. Esistono diversi tipi di titoli: i titoli 'al portatore', per il cui adempimento basta presentare il titolo al debitore, come i biglietti di banca, gli assegni bancari al portatore, e molti titoli di debito pubblico, ad esempio i Buoni ordinari del Tesoro (BOT); i titoli 'all'ordine', che hanno scritto il nome del titolare del diritto (ad esempio il nome del beneficiario di un assegno) e che devono essere da questi firmati per poter essere ati, o anche, salvo diversa indicazione espressa dalla scritta 'non trasferibile', girati, cioè trasferiti, a un altro soggetto, il giratario; i titoli 'nominativi', che riportano il nome della persona a cui sono intestati sia sul titolo stesso sia nei registri dell'ente che ha emesso il titolo (ad esempio una società per azioni, o un ente pubblico o lo Stato) e che sono trasferibili a un nuovo soggetto soltanto dopo l'annotazione del nome del nuovo proprietario sia sul titolo sia sul registro di chi lo ha emesso, a cura di un notaio o di un agente di cambio.

La cambiale tratta

Si tratta di un titolo di credito contenente l'ordine incondizionato rivolto da una persona (il traente) ad un'altra (il trattario) di are a vista (cioè al momento della sua presentazione), o a una data prestabilita, una specifica somma di denaro a una terza persona (il beneficiario), che è spesso il portatore della cambiale. Accettando la cambiale, il trattario diventa responsabile del amento. Le cambiali tratta sono titoli negoziabili e rappresentano uno dei principali strumenti commerciali in quasi tutti i paesi. La forma più comune di cambiale è l'assegno.

La cambiale herò

È un titolo di credito contenente una promessa incondizionata di una parte, chiamata emittente, di are a un'altra parte, chiamata beneficiario, una certa somma di denaro, sia a vista (cioè al momento della sua presentazione) sia ad una data futura. In genere, la cambiale propria o herò è trasferibile e può essere resa abile al portatore, a una parte menzionata sulla stessa cambiale oppure all'ordine della parte menzionata. La cambiale propria si differenzia dalla 'dichiarazione di credito' in quanto la prima è una promessa di amento mentre la seconda è il mero riconoscimento di un debito.

Gli assegni

Mentre la cambiale costituisce uno strumento di credito e mira, di regola, a dilazionare un adempimento, l'assegno è uno strumento di amento e mira, pertanto, a procurare al portatore l'immediata disponibilità di una somma di denaro. Le due più importanti ure di assegno sono l'assegno bancario e l'assegno circolare. L'assegno bancario ha la stessa struttura della cambiale tratta: vale a dire che consiste in un documento sul quale unilateralmente l'emittente (o traente) sottoscrive un ordine incondizionato rivolto alla banca (il cui nome è stampato sul modulo) di are una somma di denaro determinata a favore del beneficiario indicato sul titolo. L'emissione di assegni bancari deve essere autorizzata dalla banca. L'emissione dell'assegno presuppone l'esistenza, presso la banca, di una adeguata provvista, cioè di fondi disponibili, attingendo ai quali la Banca potrà provvedere a are al beneficiario l'importo indicato. L'assegno può essere emesso con la specifica indicazione del nome del beneficiario, ovvero a favore del 'portatore', e cioè di chi lo presenterà all'incasso. Un assegno può essere emesso anche a favore dello stesso traente. L'assegno circolare non può essere emesso se non da una banca; ed anche le banche possono emettere assegni circolari solo se hanno tenuto specifica autorizzazione in tal senso dalla Banca d'Italia. Naturalmente gli assegni circolari sono emessi dalle banche in quanto un cliente ne faccia richiesta e versi il relativo importo, ovvero previo addebito a suo carico dell'importo per il quale il titolo è emesso. L'emissione non può essere fatta al portatore, ma necessariamente all'ordine di uno specifico nominativo. La struttura dell'assegno circolare è quella della cambiale herò: la banca si impegna incondizionatamente a are a vista l'importo per cui il titolo è emesso, o all'intestatario dell'assegno o ad un giratario.


E) OBBLIGAZIONI NASCENTI DALLA LEGGE


Obbligazioni nascenti dalla legge

La gestione di affari

ure di obbligazioni nascenti dalla legge sono la gestione di affari, la ripetizione di indebito e l'arricchimento senza causa. Si ha la gestione di affari altrui nell'ipotesi in cui taluno, senza esservi obbligato, si intromette negli affari di un altro, che non sia in grado di provvedervi. La legge ne fa derivare innanzitutto un obbligo a carico del gestore di continuare la gestione intrapresa fino a quando il dominus non possa intervenire direttamente. A sua volta il dominus è tenuto ad adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui e deve tenere indenne il gestore per quelle che questi abbia assunto in nome proprio.

La ripetizione in indebito

Il amento serve ad estinguere un'obbligazione: è logico, quindi, che, se si è fatto un amento senza che preesista un debito, chi l'ha fatto abbia diritto alla restituzione di ciò che ha ato, mentre non era dovuto. È necessario tener ben distinte due diverse ure di indebito:

si ha l'indebito oggettivo allorquando viene effettuato un amento benché non esiste alcun debito;

si ha l'indebito soggettivo quando chi non è debitore, tuttavia, credendosi erroneamente tale, a il creditore quanto è, in realtà, dovuto a quest'ultimo da un terzo.

L'ingiustificato arricchimento

L'ordinamento giuridico non può consentire che una persona riceva un vantaggio dal danno arrecato ad altri, senza che vi sia una causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro. La legge ha concesso come rimedio generale l'azione di ingiustificato arricchimento: essa ha carattere sussidiario, ovvero è proponibile quando il danneggiato non può esperire altra azione per rimuovere il pregiudizio. Elementi dell'azione sono:

l'arricchimento di una persona;

la diminuzione patrimoniale di un'altra;

il nesso causale tra la diminuzione patrimoniale e l'arricchimento;

la mancanza di causa giustificativa dell'arricchimento dell'uno e della perdita dell'altro.


F) OBBLIGAZIONI NASCENTI DA ATTO ILLECITO


La responsabilità per atto illecito

Responsabilità civile extracontrattuale

Le fonti delle obbligazioni sono, dunque, fondamentalmente, i contratti e gli atti o fatti illeciti (art. 2043). Per gli atti illeciti si parla di responsabilità extracontrattuale, con riferimento ad una pluralità di atti, tra i quali si sono aggiunti, ad opera della giurisprudenza della Corte di cassazione, anche quelli relativi ad interessi legittimi. L'art. 2043 contiene la fattispecie generale di illecito civile, con obbligo del risarcimento, che è un principio giusnaturalistico. La fattispecie generale si applica dove non esiste una disciplina specifica (art. 2048 e successivi o leggi speciali).

Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Sono evidenziabili due elementi costitutivi del fatto illecito: uno soggettivo, della consapevolezza (dolo o colpa) di colui che ha agito; e uno oggettivo, l'ingiustizia del danno, ovvero la lesione di un interesse meritevole di tutela. E sono due elementi essenziali, perché entrambi sono necessari, ma non sufficienti. Cioè, chi cagiona un danno ingiusto, ma ne' con colpa e ne' con dolo, può essere tenuto al risarcimento. Tra il danno e il comportamento di chi ha agito deve esserci il nesso di causalità. La colpa consiste nell'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini dell'autorità, discipline varie, con un'azione svolta con negligenza, imprudenza o imperizia, ma senza il carattere della volontarietà del danno. Il dolo implica invece una certa intenzionalità nel cercare gli effetti che portano al danneggiamento. A ciò va aggiunto il criterio di imputabilità (2046), cioè la capacità naturale di agire, la capacità di intendere e di volere, a meno che il suo stato di assenza non dipenda da causa (es. ubriachezza), appunto imputabile al soggetto agente. L'incapace legale, invece, risponde del danno causato (es. il minore d'età). Se il soggetto non era in grado di intendere e di volere, non sarà ritenuto responsabile e non dovrà risarcire il danno. Infatti, nel caso di danno arrecato da un incapace, il risarcimento è dovuto dai genitori o dal suo sorvegliante, se questo non dimostra di non aver potuto impedirlo (2047), e se questo non può risarcire, il giudice può stabilire un indennizzo a carico dell'incapace. Se un bambino, invece, è capace naturale (capacità naturale = capacità di intendere e di volere), risponde lui in prima persona. È imputabile solo il soggetto che ha agito con la capacità naturale. Una responsabilità extracontrattuale può trasformarsi in contrattuale se si verifica in violazione di un ordine o di un obbligo preciso preesistente. Questo può verificarsi, per esempio, in un incidente stradale, il soggetto danneggiato chiede il risarcimento; se il danneggiante non adempie, il danneggiato si rivolgerà al giudice, il quale emanerà una sentenza di condanna al amento, cioè un ordine, ossia un obbligo preciso. Se dopo la sentenza il convenuto continua a non voler are, sarà soggetto a responsabilità contrattuale. Gli effetti si riferiscono soprattutto alla prescrizione. Nella responsabilità extracontrattuale, l'onere della prova, in via generale, è a carico del danneggiato, che deve provare sia l'esistenza dell'elemento oggettivo, il danno ingiusto (nel suo ammontare), che quello soggettivo della colpa (o il dolo). Il danno dev'essere ingiusto. Il terzo elemento è il nesso di causalità, cioè il rapporto di dipendenza del danno dal comportamento del danneggiante. La responsabilità extracontrattuale si relaziona ai soli danni immediati e diretti causati da qualcuno. Questo è il senso del terzo elemento dell'atto illecito: l'imputabilità. Per danno risarcibile si deve intendere, oltre che la lesione di un diritto assoluto (la proprietà, oppure un diritto della personalità, per esempi), anche la lesione di un interesse inteso come diritto di credito, che ad esempio non venisse onorato dal debitore per colpa di un terzo, il quale potrà essere chiamato a rispondere del danno direttamente dal creditore principale.

Tipologia del danno

I danni possono essere di tre tipi: economico, non patrimoniale, biologico. Quest'ultimo è di derivazione giurisprudenziale, ed è quantificabile con l'ausilio di alcune tabelle predeterminate dai tribunali e dai periti. Il danno non patrimoniale corrisponde ad un risarcimento solo nel caso in cui l'illecito civile si rifletta da un reato penale, e si conura nel danno morale, ossia il prezzo per il dolore. Nel danno economico rientra l'incapacità lavorativa, ossia quella situazione di impossibilità a produrre il proprio reddito col lavoro, e si quantifica anch'esso con l'ausilio di tabelle. Se il danno è riferito alla persona, scattano automaticamente tutti e tre i tipi di danno. Si è quindi considerato ingiusto che la persona che era stata privata della capacità lavorativa non fosse risarcita del danno. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla natura penale dell'illecito. Riepilogando, per atto o fatto illecito, sono risarcibili: il danno economico (lucro cessante e danno emergente), il danno morale (quando è associato ad un reato) e il danno biologico (che un D.L. ha cercato di disciplinare nella sua determinazione, ma che poi è stato convertito in legge con modifiche senza la disciplina dettata in materia di risarcimento). Il danno biologico è stato concesso anche ai parenti del danneggiato che hanno lamentato l'insorgenza di una nevrosi connessa all'assistenza che hanno dovuto prestare al parente paziente.


L'impresa

Si parla di impresa come organismo atto alla produzione e alla commercializzazione di beni e servizi al fine di ricavarne un profitto. Da un punto di vista economico, l'impresa corrisponde all'azienda di produzione; essa è cioè un soggetto tecnico-economico complesso basato sull'organizzazione dei fattori di produzione umani e materiali. Al fine quindi di assicurarsi un profitto, un'impresa deve considerare tutti gli aspetti legati all'organizzazione del lavoro (con particolare attenzione alle relazioni umane, all'introduzione di nuove tecnologie e allo sfruttamento degli impianti), al reperimento dei capitali e delle materie prime, alle caratteristiche del mercato e delle reti distributive, alle leggi che ne possono regolare o limitare l'attività. Da un punto di vista giuridico, l'impresa è un'istituzione costituita da persone (fisiche o giuridiche) tra cui intercorrono dei rapporti economici. Queste relazioni e l'attività complessiva dell'impresa sono a loro volta soggette alle leggi dello stato. Nell'economia di mercato, l'impresa opera nell'incertezza del conseguimento del profitto. Essa espone quindi a rischio, detto "rischio d'impresa", il proprio capitale (o il capitale di quanti vi partecipano indirettamente, ad esempio attraverso le azioni). Diverso è invece il caso dell'impresa pubblica. Questa produce e fornisce beni o servizi di pubblico interesse, perseguendo un fine sociale e non lucrativo. L'impresa pubblica è volta cioè ad assicurare a tutta la comunità la possibilità di godere di un bene di rilevante importanza ando un prezzo stabilito dalle istituzioni pubbliche. L'impresa può essere privata o pubblica. Queste due forme possono tuttavia intrecciarsi, dando vita a imprese di proprietà mista.


Il rapporto di lavoro subordinato

I diritti e i doveri del lavoratore sono disciplinati dal contratto (tra lavoratore e datore di lavoro) che definisce il salario e le ferie spettanti al lavoratore, la retribuzione in caso di malattia, le disposizioni per la pensione e l'orario di lavoro. Nella conclusione del contratto devono essere rispettate le norme di legge (codice civile e statuto dei lavoratori) che stabiliscono i diritti fondamentali dei lavoratori e gli accordi collettivi conclusi tra i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro. Gli accordi collettivi servono a tutelare da un lato i salari e le condizioni di lavoro dei dipendenti e dall'altro a garantire ai datori di lavoro una continuità di produzione.


Le procedure concorsuali

L'esecuzione concorsuale

Oltre all'esecuzione forzata, il nostro ordinamento riconosce anche la procedura dell'esecuzione concorsuale cioè il procedimento di risoluzione di particolari situazioni in cui il commerciante si trova a dover rispondere di numerosi e gravosi debiti. Lo scopo del fallimento è quello di garantire la pars condicio creditorum. La materia è di vitale importanza, tanto che sono previsti dei reati per la conurazione di particolari situazioni illecite del fallito negligente o disonesto contro l'interesse pubblico. Le norme fallimentari prevedono delle forti limitazioni al patrimonio del fallito al fine di tutelare e limitare la responsabilità patrimoniale nei confronti dei numerosi creditori che accedono a tale procedura. Il fallimento richiede un importante e sostanziale intervento giudiziale. In mancanza del giudice il fallito diverrà semplice debitore inadempiente. Presupposti per la dichiarazione di fallimento dell'impresa commerciale sono:

l'esistenza dell'imprenditore commerciale;

l'insolvenza dell'imprenditore medesimo.

Ragioni storiche e pratiche escludono dal fallimento il piccolo imprenditore e l'imprenditore agricolo. Il fallimento viene dichiarato ed aperto nella sede del Tribunale in cui si trova l'impresa commerciale in difficoltà e lo stesso ha la competenza di tutto l'intero procedimento restante. Il fallimento può avvenire per domanda:

dello stesso imprenditore titolare dell'impresa in difficoltà;

di uno dei creditori in attesa;

del pubblico ministero;

d'ufficio quando il fallimento scaturisca da altri procedimenti giudiziari.

Aperto il fallimento, la sentenza dichiarativa verrà pubblicata immediatamente presso il competente Tribunale e nei luoghi in cui ha sede l'impresa dichiarata fallita. Con la dichiarazione di fallimento vengono sospesi tutti gli interessi nei confronti della ditta, sia di tipo legale che di tipo convenzionale, e viene allontanato dai beni dell'impresa il titolare, fino alla chiusura del procedimento. Nella sentenza dichiarativa di fallimento vengono, tra l'altro, nominate due ure molto importanti e fondamentali:

il giudice delegato che dirige le operazioni del fallimento e vigila sull'operato del secondo e dell'intero procedimento. Come prima cosa, inoltre, egli nomina da tre a cinque fra creditori per costituire il comitato dei creditori che ha funzioni deliberative e di controllo sull'intera procedura;

il curatore fallimentare che amministra il patrimonio fallimentare essendo l'organo attivo del procedimento per eccellenza. Viene retribuito dal tribunale in quanto pubblico ufficiale ed è scelto, su nomina, tra gli albi professionali di avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e procuratori legali.

La procedura fallimentare si suddivide in due grandi gruppi di operazioni: il primo riguarda la determinazione dell'intera massa dell'attivo dell'impresa, mentre il secondo ha il compito di riunire e distribuire l'attivo stesso. Il risultato è intuitivo: si confrontano matematicamente l'attivo con il passivo. Dal risultato, che rappresenta l'utile disponibile, lo si suddivide in proporzione ai vari creditori rispettando, però nel amento, le eventuali prelazioni di privilegio. Durante l'accertamento del passivo ai creditori è assegnato, dalla sentenza dichiarativa, un termine di 30 giorni massimo per la presentazione delle domande di insinuazione del credito da loro preteso. In base alla totalità delle domande di credito, il giudice delegato creerà lo stato passivo dell'impresa. In esso tutti i crediti pervengono, tramite le relative domande, espressamente quantificati in denaro liquido per una semplicità di calcolo. In seguito si procede con la formazione dell'attivo che viene affidata al curatore fallimentare e che rappresenta il momento più difficile e delicato dell'intero procedimento. Essa consiste nell'inventariare tutti i beni dell'impresa, nella vendita degli stessi e nella riscossione di tutti i crediti. Una volta accumulato il denaro liquido, dalla vendita fallimentare e dalla riscossione degli eventuali crediti esistenti, si procederà alla divisione proporzionale delle somme ai creditori. Il procedimento si definisce chiuso con:

il amento di tutti i crediti;

la mancanza dell'attivo;

con la mancanza delle domande di ammissione all'attivo.

Il concordato

Il concordato è un accordo che si viene a creare tra i creditori e il commerciante debitore per evitare il lungo, fastidioso e costoso procedimento fallimentare (concordato preventivo) o per chiuderlo (concordato fallimentare). Per la scelta di una delle due procedure è necessario la votazione maggioritaria di almeno la metà dei creditori che in tal caso impegneranno anche gli assenti alla votazione e i dissenzienti. La procedura può essere un concordato preventivo, che è un istituto riservato all'imprenditore sfortunato ma non disonesto. Per ottenerlo deve possedere tali requisiti: non deve essere stato condannato per reati contro il patrimonio o coinvolto in procedimenti fallimentari negli ultimi 5 anni e deve dimostrare di avere le garanzie per are almeno il 46 % dei debiti. In tal caso il Tribunale nominerà un commissario giudiziale che, sotto la guida ed il controllo del giudice delegato, procederà immediatamente alla verifica dei creditori, dei debitori e all'inventario dei beni facendone una relazione. Una volta stipulata la relazione, si riuniranno tutti i creditori ai quali verrà illustrata la situazione e verrà chiesto di porre ai voti eventuali accordi presi con criterio maggioritario. Una volta eseguita la votazione, questa verrà convalidata dal Tribunale rendendola obbligatoria e definitiva. Se nel corso del procedimento il commissario giudiziale avverte gravi irregolarità del debitore può procedere alla dichiarazione del fallimento. Il concordato fallimentare è una procedura che viene chiesta dallo stesso commerciante titolare dell'impresa dichiarata fallita solamente dopo che verranno verificati tutti i crediti relativi all'impresa stessa. Anche esso consente di evitare le lungaggini e le spese del procedimento fallimentare ordinario. La procedura del concordato fallimentare consiste nell'offerta che fa il fallito di una percentuale che egli è in grado di offrire ai vari creditori e se ritenuta valida questa viene messa ai voti dei creditori dal giudice delegato sentiti prima il curatore fallimentare ed il comitato dei creditori. Se la proposta del debitore fallito viene accettata dai creditori questa viene convalidata dal Tribunale competente e resa obbligatoria e definitiva estinguendo ogni precedente obbligazione Civile tra il debitore fallito e i vari creditori.

Le procedure parafallimentari

La legge fallimentare prevede anche altre procedure para-fallimentari che si muovono parallelamente al procedimento fallimentare ordinario per evitare la morte dell'attività commerciale eventualmente dichiarata fallita. Invece che dichiarare il fallimento dell'impresa, quando i debiti e la situazione lo consentano e quando il debitore lo meriti, è possibile procedere con un'amministrazione controllata dell'impresa. Questa scelta, se fatta, sarà opportuna e conveniente sia per l'impresa che non morirà, sia per la politica nazionale che per i creditori che seppur non immediatamente potranno pretendere i loro crediti per l'intera somma loro dovuta. Questo procedimento viene affidato ad un commissario giudiziale per un periodo di tempo non superiore a due anni. Quando l'impresa presenta aspetti di interesse pubblico, la legge provvede alla sua gestione, anziché al fallimento, mediante l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. In questo procedimento si perseguono anche gli interessi pubblici sovrastando quelli dei singoli creditori. In questo caso il commissario è nominato dal Ministero del Lavoro con un mandato non superiore a due anni svantaggiando, così, i creditori già in attesa che dovranno comunque aspettare la programmatica ripresa dell'attività commerciale ad opera del commissario ministeriale e non potendo usufruire dei relativi benefici di un eventuale procedimento fallimentare ordinario o concordatario.


Le società

La società è il contratto in base al quale, secondo quanto dispone l'articolo 2247 del codice civile, due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Caratteristiche proprie della società sono dunque il fine di lucro (cioè lo svolgimento di un'attività economica con l'obiettivo di un guadagno), il conferimento di beni o servizi (ad esempio denaro per costituire il capitale sociale, o macchinari, o anche esperienze professionali), l'esercizio in comune dell'attività, il nome della società (detto 'ragione sociale' o 'denominazione sociale'), la sede sociale (il luogo dove si svolge l'attività), lo statuto (il documento che fornisce indicazioni sull'obiettivo della società), l'organizzazione e il funzionamento della società, lo scopo della divisione degli utili (elemento che non ricorre nell'ambito delle società cooperative). Accanto alle cosiddette società di fatto, costituite senza le formalità previste dalla legge e quindi prive di una regolamentazione giuridica, si distinguono le società di persone (società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice), le società di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata) e le società mutualistiche (società di mutua assicurazione e società cooperative). Nelle società di persone i soci sono responsabili per eventuali passività anche con il proprio patrimonio personale, mentre nelle società di capitale rispondono finanziariamente nei limiti del capitale sociale versato, salvo la responsabilità civile e la responsabilità penale di amministratori e soci in caso di irregolarità. L'esistenza della società deve essere resa pubblica con il deposito dell'atto costitutivo presso la cancelleria del tribunale e con l'iscrizione nel registro delle imprese (tali requisiti non sono previsti per la società semplice).


Le successioni

Premessa

Quando un soggetto muore il suo patrimonio va ai suoi eredi. La terminologia "successione mortis causa" sta ad indicare che un soggetto subentra nei diritti del defunto. Anche la costituzione definisce le regole generali delle successioni facendo distinzione tra legittima e testamentaria. Tutto questo è legato al sistema della proprietà provata.

Erede universale e legatario

L'erede universale è colui che subentra in tutti i rapporti, anche quelli passivi, è vi risponde anche con il proprio patrimonio. Il successore a titolo particolare (legatario), è colui che succede solo nei rapporti espressamente indicati. Mentre per l'erede è richiesta l'accettazione, per il legatario no, anche se può comunque rinunciare. Il legatario succede immediatamente. Nei confronti del legatario è tenuto l'erede, quindi il primo può chiedere al giudice di fissare un termine per l'accettazione dell'eredità. Talvolta, però, non è semplice capire se il chiamato a succedere nel testamento sia erede o legatario.

Successione legale

Nel nostro ordinamento, la successione mortis causa, si apre nell'ultimo domicilio del defunto. C'è anche la possibilità di redigere un testamento, che è un atto di liberalità mortis causa. Quindi, nell'apertura della successione, bisognerà vedere prima di tutto se c'è un testamento. Se è così, si avrà una successione, in parte per testamento, e in parte legale. Se non c'è testamento si darà luogo alla successione legale. La vocazione ereditaria è la chiamata a succedere. Una volta individuato l'erede, perché sia tale, c'è bisogno della sua accettazione. L'accettazione può essere anche tacita.

Successione necessaria

Il nostro codice definisce sei categorie di succedibili, cioè fino al sesto grado di parentela, dopo di che succede lo Stato. C'è, però, una forte tutela della famiglia evidenziata dalle norme della successione necessaria in favore di eredi legittimati, cioè indicati tassativamente dalla legge. Sono eredi legittimati:

il coniuge;

i discendenti legittimi, naturali e adottivi;

gli ascendenti, se in assenza dei precedenti.

Una quota dell'asse ereditario deve essere necessariamente riservata a questi eredi. Le norme della successione legittima hanno riguardo di questo. E' invece nella successione testamentaria che si può verificare una lesione degli interessi degli eredi legittimati. Se il testamento non rispetta le quote legittime, le sue disposizioni di volontà non sono nulle, ma inefficaci nei confronti dei legittimati, i quali hanno dieci anni di tempo per impugnare il testamento è chiedere l'azione di riduzione. Questa è un'azione personale che non può neanche essere chiesta dai creditori dell'erede leso nella legittima.

Successione testamentaria

I testamenti ammessi dal nostro ordinamento sono tre: olografo, pubblico e segreto. L'olografo è quello privato redatto dal testatore di suo pugno, gli altri sono quelli redatti dal pubblico ufficiale. L'olografo viene tenuto con se dal testatore nella sua abitazione. Può succedere che il testamento sia nullo o che sia annullabile. Ognuno dei testamenti richiede delle forme specifiche, in mancanza delle quali si arriva alla nullità. L'olografo deve essere scritto di pugno e sottoscritto; è richiesta poi anche la data. La sottoscrizione serve per identificare la paternità dell'atto e può anche essere una sigla o un diminutivo usuale. Il testamento pubblico è ricevuto verbalmente dal notaio e messo per iscritto in presenza di due testimoni, che ascolteranno la rilettura da parte del testatore, prima di sottoscriverlo (forma solenne). Il testamento segreto può essere scritto dal testatore, o da un terzo (nel qual caso deve riportare la firma del testatore sopra ogni mezzo foglio). Il notaio poi quando lo riceve, deve assolvere altre necessarie formalità per rendere valido il testamento segreto. Il notaio non conosce il contenuto, ma adempie solo alle formalità del visto.

Istituti di tutela

Ci sono degl'istituti tipici delle successioni, come l'azione interrogatoria, o la rappresentazione, che consente la successione dei discendenti in luogo dell'ascendente che non vuole o non può diventare erede. Questo però si applica solo quando il chiamato a succedere è lio o fratello del defunto. In questo caso, si avrà una successione per stirpi. Un altro istituto tipico è quello della collazione, che ha lo scopo di assicurare la parità di condizione tra li legittimi e naturali e il coniuge, i quali devono conferire agli eredi tutto ciò che hanno avuto dal defunto in donazione, per riequilibrare eventuali situazioni di disparità di trattamento. Ovviamente salva la lesione della legittima. Ci sono beni che sono sottratti alla collazione come per esempio le donazioni di modico valore fatta al coniuge e le spese di mantenimento.

Accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario del successore a titolo universale

Un caso di tacita accettazione dell'eredità è quando l'erede è nel possesso dei beni del defunto. In questo caso ha tre mesi di tempo per dichiarare o meno se accetta l'eredità. L'inventario si deve fare entro quaranta giorni dall'accettazione con beneficio d'inventario. Un altro caso di tacita accettazione dell'eredità è la riscossione di un credito del defunto. Il termine per accettare l'eredità è di dieci anni. Ci sono casi in cui il soggetto deve accettare con beneficio d'inventario, come nel caso dei genitori o del tutore che accettano l'eredità per conto di un lio minore o di un interdetto giudiziale. Devono poi accettare con beneficio d'inventario anche tutte le persone giuridiche, quindi anche gli enti pubblici.




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