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SITUAZIONE ESISTENTE NEGLI ANNI SUCCESSIVI A BALDO E A BARTOLO = CRISI DEL DIRITTO COMUNE



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SITUAZIONE ESISTENTE NEGLI ANNI SUCCESSIVI A BALDO E A BARTOLO = CRISI DEL DIRITTO COMUNE

(Baldo muore nel 1400 e in Francia è la data di inizio dell'umanesimo, cioè si apre un'altra epoca: in Italia, però, l'umanesimo giuridico non attecchisce).

DIRITTO COMUNE = diritto romano e diritto canonico, perché è diritto comune a tutte le genti (lex generalis omnium = legge generale a tutte le genti cristiane).

Quindi, il diritto comune si identifica con il diritto imperiale universale contro gli iura propria.

Perché diciamo SISTEMA di diritto comune? Perché proprio con Bartolo questa idea del diritto comune diventa un vero e proprio sistema, cioè un sistema produttivo di principi e categorie (sistema iuris) e grazie a questi principi e categorie è possibile interpretare qualsiasi fattispecie pratica, non solo con l'estensione analogica delle norme romane (cioè con il sistema legum), ma proprio con l'enucleazione di principi che valgono astrattamente per una serie indefinita di fattispecie.



Questo sistema, però, va in crisi con la fine del 1300 e gli inizi del 1400 e questa crisi dura più di tre secoli.

In realtà, si parla di crisi, perché questo sistema del diritto comune è stato elaborato in un certo periodo particolare e dai giuristi, Bartolo soprattutto, e tocca l'apice di una certa fase storica in cui i giuristi sono gli arbitri della società (arbitri perché grazie all'elaborazione del sistema di diritto comune riescono a porsi come mediatori della società del tempo: questo, soprattutto, quando vive ancora il comune popolare).

Questo sistema va in crisi con l'avvento della signoria, perché il rapporto tra le corporazioni dei giuristi, e il nuovo potere (non più collettivo, ma monocratico e, in certi casi, tirannico) cambia il rapporto tra i giuristi e il potere, quindi cambia anche il modo di vedere il diritto comune rispetto alle forme di potere vigenti. Di conseguenza, questo sistema bartolistico comincia a non essere più adeguato alle esigenze del tempo e deve modificarsi, perdendo un po' l'autenticità che aveva ai tempi di Bartolo: il bartolismo è una risposta tradizionale ai problemi nuovi.

In realtà, il diritto comune si trasforma nella pratica. Finora abbiamo visto i giuristi impegnati nelle università, tranne nel caso del consilium sapientis iudiciale, cioè quel parere giuridico che i sapienti danno al console di giustizia e, in generale, agli organi giudiziari del comune.

I giuristi, in questo periodo, non fanno solo i professori: essi sono anche "élite dirigente", cioè fanno parte di una forte corporazione di giuristi che conta nelle scelte politiche della città, ma sono spesso scelti anche come ambasciatori, o come uomini di mediazione politica, anche perché spesso le loro corporazioni sono internazionali, nel senso che hanno un sapere che vale non solo per Bologna, o per Modena, o per Napoli, ma è un sapere che vale per tutte le città, quindi è un tipo di élite molto richiesta nelle mediazioni politiche.

Quando si afferma la signoria diventano, poi, consiglieri del signore e, a volte, entrano nelle corti dei vari signori, diventano cioè "uomini di corte".

Insomma, si trasforma la società e anche il giurista si deve trasformare, ma rimane pienamente inserito nell'élite dirigente della società.

Per quanto riguarda l'attività giuridica vera e propria, in quest'epoca i giuristi si impegnano, in particolare, in due tipi di attività:

Attività professionale = giurista come patrocinatore forense, cioè il giurista che interviene nel tribunale. Gli strumenti con cui il giurista interviene nei tribunali sono ALLEGATIONES e POSITIONES = strumenti abbastanza simili con cui i giuristi allegano la posizione processuale del proprio assistito.

Attività consultiva = il giurista da dei pareri e si parla così di CONSILIA: il magistrato cittadino chiede un parere al giurista, poi questo parere viene sottoscritto e diventa sentenza (=consilium sapientis iudiciale = tipico consilium in cui il committente è un organo pubblico). I consilia possono anche essere dati a dei privati, i quali ano parecchio per farsi dare un parere da un giurista autorevole: più il giurista è autorevole e più il consilium costa.

La differenza tra attività professionale e attività consiliare consiste nel fatto che i consilia vengono dati "proveritate" (=secondo la verità della propria coscienza). Quindi, nell'attività professionale il giurista è un patrocinatore, va in processo e rappresenta la parte con le allegationes e con le positiones. Nell'attività consiliare il giurista non va in processo, ma resta nel suo studio e il committente va da lui, a una certa somma e gli chiede un parere su un determinato problema. Nell'attività professionale il giurista deve essere parziale, come tutti i buoni avvocati; invece il consilium deve essere emesso secondo la verità, cioè il giurista deve parlare secondo la propria coscienza (è come un perito).

Sostanzialmente, però, la differenza è meno chiara, perché il consilium si pone come un'attività imparziale, ma viene però poi ato da una parte processuale, quindi non può essere più di tanto imparziale, proprio per questo motivo.

Questi consilia proveritate hanno una loro destinazione processuale: il parere viene speso processualmente, nel senso che il privato impegnato in un contenzioso processuale, non solo si serve di un avvocato che produce allegationes e positiones, ma fa notare al giudice il parere autorevole di un giurista. Naturalmente, però, per influenzare il giudice occorre che il giurista sia molto importante.



Quindi, vediamo che i consilia espressi da un giurista hanno influenza nell'emanazione della sentenza.

Comincia ad emergere, così, anche la spendibilità, da parte di un privato, dei consilia proveritate, che hanno un tale successo e qualificano il giurista importante, il quale comincia, con l'avvento della stampa (fine 1400), a raccoglierli e a pubblicarli: quindi abbiamo una notevole diffusione a stampa di questi consilia, che diventa un vero e proprio genere letterario.

L'invenzione della stampa incide profondamente sulla scienza giuridica: l'insegnamento all'università medievale è soprattutto orale e ci sono i vari manoscritti di glosse, di letture e di commenti. Questa produzione scritta, scientifica, si proa a dismisura con l'avvento della stampa. Vediamo che si pubblicano:

RACCOLTE DI COMMENTARIA = enciclopedie esegetiche su tutto il corpus. Sono dei volumi che rappresentano il commento di Bartolo da Sassoferrato e tutte le leggi del corpus iuris.

TRACTATUS che, con la stampa, non sono più solo quaestiones con un argomento monografico, dove tutte le quaestiones sono state unite in un'unica materia. Adesso il tractatus comincia a diventare un "trattato monografico", cioè una vera e propria monografia che approfondisce un determinato istituto giuridico.

RACCOLTE DI CONSILIA.

Già con la magna glossa accursiana la compilazione giustinianea si era abbassata di un tono, nel senso che la glossa aveva assunto la stessa autorità del testo di Giustiniano.

Ora ci troviamo a qualcosa di diverso.

Vediamo che emerge potentemente la ura dell'interprete: è l'attività creativa e soggettiva dell'interprete che comincia ad avere la preponderanza.

ESEMPIO: secondo l'idea del medioevo, il testo è centrale e il giurista è secondario: la verità è quella del corpus giustinianeo e il giurista può solo avere una intuizione per giungere alla verità. Adesso è il contrario, perché il testo diventa un pretesto per l'attività creativa dell'interprete, il quale produce consilia (pareri ati), tractatus (approfondimenti monografici) e commentaria (intere enciclopedie di esegesi al testo giustinianeo).

Quindi, l'attività creativa dell'interprete assume preponderanza rispetto al testo giustinianeo, che rimane sempre importante, ma comincia a diventare un pretesto, cioè qualcosa che sta dietro.

Così quello che viene prodotto dall'interprete è una OPINIO, cioè qualcosa di soggettivo: non c'è l'oggettività del testo giustinianeo dei primi glossatori, ma quello che viene ora venduto sul mercato è l'opinio autorevole di un giurista.

Bisogna dire che il diritto romano aveva un precedente all'opinio che è l'EXEMPLUM (=precedente giudiziario o di fatto a cui il giurista, avvocato o giudice, si poteva attenere per la risoluzione di una problematica giuridica o di un contenzioso). L'exemplum acquista una certa fortuna in questa seconda fase della scuola dei commentatori, appunto perché cambiano i rapporti tra i giuristi e il potere, ma cambia anche il rapporto tra il giurista e il testo giustinianeo e viene a risaltarsi la ura soggettiva del giurista.

Quindi, anche l'exemplum, come precedente, comincia ad assumere una forza importante che si vede verificata nella pratica.


In che modo i giudici si fanno influenzare dai consilia? I consilia hanno una mera probabilitas. Il testo giustinianeo è la veritas (come hanno insegnato i glossatori).  Però questa verità è ormai appesantita da generazioni e generazioni di esegesi su questa verità. Allora, la verità scende un po' in secondo piano e sale l'interpretazione dei giuristi su questa veritas.



L'interpretazione dei giuristi, attraverso le loro opioniones, è meramente probabile, cioè non ha la verità, perché l'interprete può solo esprimere la suo opinio, es. attraverso un consilium, e c'è la mera probabilitas, cioè è probabile che sia come dice il giurista, ma non è certamente la veritas. Però è noto che, in virtù della grande molteplicità delle fonti giuridiche del medioevo, questa verità non è sempre immediatamente raggiungibile: per cogliere la veritas, ormai l'opinione pubblica sa che questa veritas può essere colta attraverso un tecnico e questo tecnico è l'interprete. Quindi, non si può attingere direttamente alla veritas, se non attraverso l'interprete.

N.B.: L'interprete è il mediatore necessario, ma egli non produce veritas: produce un opinio che ha la caratteristica della mera probabilitas.

L'opinio, che pure è probabile, però paradossalmente diventa uno strumento di certezza: poiché la veritas ha bisogno degli interpreti, gli interpreti si moltiplicano, così alla fine il giudice, o il giurista, rimane interdetto.

Occorre, allora, un rimedio, che può essere un criterio qualitativo o un criterio quantitativo: ad esempio, si può dire che su quella determinata veritas l'80% dei giuristi ritiene una certa soluzione, mentre il 20% ritiene il contrario =  si adotta, così, un criterio quantitativo e si adotta come probabile l'80% dei giuristi che dicono in un certo modo. Oppure il criterio qualitativo: non basta l'80%, ma si vuole che l'interpretazione provenga dai giuristi più autorevoli.

Però questi due criteri spesso vengono usati insieme e cominciano a coincidere, perché le opinioni più autorevoli diventano anche le opinioni maggioritarie, che a loro volta diventano le più autorevoli.

Tra i criteri per risolvere una controversia, un giudice ha anche del materiale normativo (leggi regie, principi di diritto romano, ecc.), ma tutto questo, spesso, può rappresentare un problema: allora questo giudice si servirà delle opinioni dei giuristi, che però non sono vincolanti, perché hanno la probabilità, ma di fatto cominciano a diventare vincolanti, perché il giudice si sente più sicuro di non sbagliare adottando l'OPINIO COMMUNIS (=opinione comune).

Siamo nell'epoca della COMMUNIS OPINIO: comune, perché l'opinione è stata appunto adottata dalla maggior parte dei giuristi, e dai giuristi più autorevoli.

Questa opinio communis, che pure è meramente probabile, può rappresentare un fattore di incertezza e, in questo sistema, rappresenta una cosa certa, perché di fronte al pluralismo delle fonti medievali e delle interpretazioni dottrinali, ora si ha qualcosa di certo che consiste nel guardare al fatto se un'opinione sia comune, o meno, cioè se è stata condivisa dal maggior numero dei giuristi più autorevoli.

Però, questo fattore di certezza può provocare incertezza, perché le opiniones tendono a modificarsi: di solito i giuristi sono abbastanza tradizionalisti e scelgono l'opinio communis, però ci sono giuristi autorevoli e particolarmente creativi che, a volte, vanno contro e scelgono delle opinioni minoritarie. Così, queste opinioni minoritarie, date da giuristi autorevoli, mettono in crisi il sistema: quindi, questo sistema prodotto per la certezza, a sua volta può produrre incertezza.

(quest'epoca delle opiniones communis è tipica dell'età del bartolismo).

Le interpretazioni dei giuristi, quando sono incanalate nell'opinio communis, possono rappresentare per tutti i giuristi, e per il giudice in particolare, un parametro di riferimento abbastanza certo, anche se, a sua volta, può produrre incertezza, nel lungo periodo.

Per i riformatori del 1700, l'opinio communis è stata vista come un male da eliminare, che si elimina con la certezza dei codici: il codice elimina l'opinio communis, perché il giudice non deve più giudicare in base alle interpretazioni dottrinali, ma deve giudicare solo in base a quella norma, e non si può nemmeno attaccare ai principi di diritto romano.

Qui, però, siamo in un sistema precodificato dall'antico regime e occorre qualcosa che orienti l'operato del giudice. Prima cosa è, appunto, l'opinio communis: è la prima, perché è direttamente collegata con l'attività dottrinale dei giuristi, che finora sono stati una corporazione potente nelle città e nelle università. Anche se adesso cominciano ad entrare in crisi, perché c'è un rapporto diverso con il signore, hanno sempre molto prestigio e molta autorevolezza.

Questo prestigio e questa autorevolezza sono dati sempre dall'insegnamento universitario, ma spesso è dovuto al fatto che questi giuristi sono dei giuristi di corte, quindi hanno una funzione pubblica e sono particolarmente prestigiosi.







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