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Sulla misura soggettiva della colpa - Di una pretesa arbitrarietà del criterio soggettivo - Il principio dell'aspettativa sociale nella tesi oggettivi



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De Francesco

Sulla misura soggettiva della colpa


1: L'accertamento della colpa tra oggettivismo e soggettivismo.

Numerose sono le conquiste raggiunte sul terreno dell' illecito colposo. La sua costruzione intorno alla violazione del dovere di diligenza ha consentito la sua differenziazione dall'illecito doloso e da altri criteri di imputazione come la responsabilità oggettiva: negligentemente agisce chi provoca una lesione giuridica che poteva e doveva evitare. Pacifico è che evitabili sono le conseguenze prevedibili del proprio comportamento ( Homo tantum potest quantum scit ). Ma qui sorge il problema, posto da Mannheim al centro della propria riflessione: La prevedibilità e l'evitabilità devono essere determinate alla stregua dell'agente concreto? Oppure di un modello di uomo idealmente collocato al posto dell'agente? Infatti la prevedibilità è il risultato di una prognosi postuma, inserita all'interno di un giudizio probabilistico che verifichi l'attitudine causale ( ex ante ) della condotta a determinare l'evento lesivo. Ma il giudizio probabilistico presuppone necessariamente la scelta di un punto di vista. Si pensi al caso di una contadina che si reca per la prima volta in metropolitana e, non sapendo della chiusura automatica delle porte, lascia che il proprio nipotino ci resti incastrato. Esistono due possibili metri di valutazione, entrambi coerenti con il giudizio probabilistico: la prevedibilità può essere valutata alla stregua delle conoscenze della maggioranza degli uomini, e allora si riconoscerà la donna colpevole, oppure sulla base delle sue conoscenze personali, ammettendo così che la donna non poteva prevedere il pericolo. Stesso discorso per l'evitabilità. Il ferimento di un terzo da parte di un automobilista inesperto deve essere considerato confrontandolo con l'automobilista medio o tenendo conto della limitatezza delle sue conoscenze e della sua esperienza? In realtà, c'è chi aderisce all' una e chi aderisce all'altra tesi. Gli oggettivisti, in ossequio al principio di certezza, costruiscono la responsabilità colposa, sulla base di un confronto tra l'agente concerto ed un modello ideale di uomo, le cui doti e capacità siano il risultato di un processo di generalizzazione e astrazione: il rimprovero di colpevolezza segue l'accertamento che l'evento fosse prevedibile ed evitabile di regola, non per il singolo agente. I soggettivisti, invece, ritengono che, così opinando, ciascuno sarebbe tenuto ad astenersi dall' illecito non nella misura in cui egli stesso può, ma nella misura in cui potrebbe astenersi un altro. Da qui l'esigenza di misurare la diligenza tenendo conto delle qualità fisiche e intellettuali dell'agente concreto.




2: Di una pretesa arbitrarietà del criterio soggettivo.

Mannheim è l'autore di quelle critiche alla teoria soggettivistica alle quali si ispirano ancor oggi coloro che avversano questa concezione. Secondo Mannheim, la prospettiva soggettivistica sarebbe affetta da un'insanabile contraddizione. Infatti, le capacità di un individuo sono desumibili dai frutti, cioè dal comportamento esteriore; quindi, per avere un quadro quanto più possibile completo della personalità dell'agente, bisognerebbe prendere in considerazione tutte le azioni. Però, se si prendesse in esame anche l'azione di cui si sospetta l' illiceità, si finirebbe con l'ammettere come metro di giudizio l'oggetto del giudizio stesso, soluzione evidentemente impossibile dal punto di vista logico. Se, però, si trascura l'azione da giudicare, il criterio soggettivistico diventa arbitrario, perché proprio quell'azione potrebbe essere particolarmente sintomatica della sua intelligenza; viceversa, non è assolutamente detto che tutte le azioni precedenti siano un indice univoco delle sue capacità: il soggetto nelle precedenti occasioni potrebbe essere stato solo più fortunato. Quindi, l'alternativa in cui incorre il criterio soggettivistico è l'arbitrarietà o l'impossibilità logica. Ma, contro la tesi dell'arbitrarietà, si può replicare che le capacità di un individuo si misurano giorno per giorno, per cui un giudizio sul potere concreto dell'agente sarebbe sempre formulabile. Che si tratti di un giudizio probabilistico, è un rilievo cui non si sottrae neanche lo stesso criterio oggettivistico. La probabilità, il giudizio di verosimiglianza, infatti,  è una necessità di tutto il diritto: il convincimento del giudice non potrà mai fondarsi su una certezza assoluta, perché la stessa logica della prova è una logica di probabilità. La stessa determinazione del nesso di causalità ai fini della tipicità si basa su un giudizio probabilistico. Certo, non possono essere disconosciute le oggettive difficoltà di valutazione delle capacità e caratteristiche individuali dell'agente concreto. Ma del resto, sul piano della praticabilità, la teoria oggettivistica non è migliore di quella soggettivistica. Infatti la costruzione di un modello di agente può ruota intorno a due alternative. Infatti, il termine di paragone può essere costituito: da un uomo ideale particolarmente accorto, anzi, dotato della maggiore diligenza possibile ( soluzione osteggiata dallo stesso Mannhein ) oppure dal bonus pater familias o, più spesso, dall'homo eiusdem professionis et condizionis. A ben vedere, l'edificazione di un uomo medio non può che essere il frutto di una generalizzazione che coinvolga tutti gli appartenenti alla categoria; perciò, l'esclusione dell' agente concreto da questo processo di generalizzazione risulterebbe arbitraria, la sua inclusione logicamente impossibile. Quindi, sono proponibili alla teoria oggettivistica gli stessi rilievi utilizzati per criticare quella soggettivistica.


3: Il limite logico all'individualizzazione del giudizio.

Una volta dimostrata l'infondatezza della tesi dell'arbitrarietà, la praticabilità della teoria soggettivistica non può più essere messa in discussione. E' infatti condivisibile l'altra censura mossa da Mannhein, quella sull'impossibilità logica di un giudizio che assuma come metro di valutazione l'oggetto stesso da misurare. Se, infatti, la misura soggettiva andasse ricostruita tenendo conto di tutte le caratteristiche dell'agente, anche di quelle manifestate con l'azione incriminata, allora essa condurrebbe sempre a giudizi assolutori, perché l'ultima azione finirebbe con il testimoniare che anche l'uomo dotato di grandi capacità, non è in grado di utilizzarle costantemente. E' quindi inevitabile procedere all'astrazione dal comportamento oggetto del giudizio. Ma, per le ragioni sopra illustrate, questa esclusione non sconfina nell'arbitrarietà. 


4: Misura della colpa e grado di generalizzazione del giudizio.

Pertanto, sulla necessità di fare astrazione da una circostanza concordano oggettivisti e soggettivisti. La disputa verte su quale sia questa circostanza dalla quale occorre prescindere per muovere un rimprovero di colpa. Gli oggettivisti hanno proposto prima il canone dell' homo diligens, quale modello unico cui fare rinvio per qualsiasi situazione oggetto di giudizio. Poi, il tentativo di abbassare il limite inferiore della colpa ha condotto all' identificazione di un uomo medio o comune. Ma l'adozione di un modello unico è forse possibile in civiltà, dove le doti e le caratteristiche degli individui sono approssimativamente uniformi, come una società di pastori, agricoltori e cacciatori. La diversificazione dei ruoli sociali, con la conseguente specializzazione dell'individuo in settori, impone la creazione di categorie con standard di diligenza differenziati ( homo eiusdem professionis et condicionis ). L'articolazione delle categorie e, quindi, la definizione della misura di diligenza dovuta, devono, però, tener conto non solo dell'attività professionale svolta, ma anche dell'ambiente sociale di appartenenza ( che può così giustificare la chiusura di un bambino nel forno da parte di una donna appartenente ad un villaggio in cui siano radicate determinate superstizioni ), del settore della vita di relazione nel quale l'agente si trovi concretamente ad operare ( per cui, basta uscire di casa per diventare pedoni od automobilisti e, quindi, essere obbligati ad agire come utenti della strada ), del diverso bagaglio di esperienze che un addetto matura pur nell'ambito della stessa attività professionale ( per cui, la disattenzione di un modesto internista sarà valutata diversamente da quella di un cattedratico, perché diversa è l'altezza dalla quale essi potevano valutare il rischio e, quindi, diversa l'attitudine a prevedere ed evitare il fatto tipico ) e di eventuali menomazioni fisiche ( come la miopia ). In definitiva, di ogni caratteristica che sia comune a più persone. Ma questa progressiva articolazione della misura della diligenza in gruppi e sottogruppi sempre più piccoli si traduce in realtà in un processo di concretizzazione ed individualizzazione inarrestabile, che conduce a tener conto, prima o poi, di tutte le caratteristiche della persona e, quindi, alla stessa soluzione proposta dalla teoria soggettivistica. Anche quest' ultima, infatti, contiene un certo margine di generalizzazione, all' interno del quale confluiscono, però, a differenza della visione oggettivistica, anche le qualità intellettuali, che restano, quindi, l' unico  campo di battaglia.




5: Il principio dell'aspettativa sociale nella tesi oggettivistica.

Il maggior livello di generalizzazione garantito dalla teoria oggettivistica risponde, secondo i suoi sostenitori, all'esigenza di giustizia connaturata all'idea stessa di diritto. Da essa deriverebbe la necessità dell'uniformità della valutazione, nonostante la diversità di attitudini e capacità, anche se poi lo stesso fine di giustizia consiglia di contenere il livello di generalizzazione ed operare delle differenziazioni, distinguendo la misura della diligenza per settori di attività umana. Il limite alla riduzione della generalizzazione ( o all'aumento della concretizzazione ) è fornito dal principio dell'affidamento, secondo cui ciascuno deve poter fidare sul fatto che ogni altro agisca con la diligenza propria del normale appartenente alla cerchia di rapporti di cui si tratta. In questo modo, il possessore di un' automobile che porti il veicolo da un tecnico per una revisione dell'impianto frenante, deve poter fidare che le riparazioni vengano effettuate a regola d'arte; il proprietario che dispone tegole sul tetto è tenuto comunque a comportarsi come un operaio specializzato. L' esclusione della responsabilità nei casi di perdita improvvisa della capacità ( come un malumore ) non contrasta con la ura- modello del normale appartenente al gruppo. I difetti intellettivi imputabili a difetto di socializzazione, l' ignoranza, l' inesperienza che siano individuali legittimano invece il rimprovero di colpevolezza, proprio perché compito del diritto è promuovere la formazione e l'educazione della personalità dei singoli. Diverso è il caso in cui l' ignoranza o il difetto di socializzazione coinvolga un intero gruppo ( come nel caso della donna superstiziosa che chiuda il proprio bambino nel forno ). In questo caso, è pur sempre l'applicazione del criterio oggettivo ( la misura della diligenza propria di quel determinato ambiente sociale) a determinarne l'impunità.


6: Il principio di personalizzazione del rimprovero di colpa nella tesi soggettivistica: significato e limiti.

La deviazione dallo standard di diligenza esigibile dal gruppo di appartenenza conduce gli oggettivisti ad incriminare l'automobilista inesperto che abbia procurato il ferimento di terze persone per non aver evitato una manovra fattibile per l'automobilista medio; ed anche l'anziana signora che non impedisca il ferimento del nipote nelle porte della metropolitana. La scusabilità del difetto di socializzazione viene, infatti, riconosciuta solo quando sia ascrivibile all'intero gruppo di appartenenza. Proprio per evitare queste conseguenze, i soggettivisti hanno optato per una maggiore personalizzazione dell'addebito, che consiglia di superare il criterio dell'aspettativa del gruppo  quando l'agente non sia personalmente in grado di rendersi conto della deviazione dallo standard di diligenza. Come si è più sopra accennato, i soggettivisti propendono per una considerazione anche delle capacità intellettive dell' agente, che conducano alla ricostruzione di un modello umano, sostituivo del modello sociale proposto dagli oggettivisti. In realtà, la diversità di vedute esula dai confini di una mera disputa tecnico- giuridica ed affonda le proprie radici in una diversa concezione del principio di colpevolezza.




7: La colpa nella concezione etica della colpevolezza.

La colpevolezza ha un fondamento etico, che obbliga l'uomo a comportarsi nei limiti della proprie possibilità e pone in risalto, quindi, la sua individualità , la sua peculiarità. Criterio di giudizio non può che essere il suo potere individuale. Palese è l'incompatibilità con la teoria oggettivistica della misura della colpa, che, invece, tende a stabilire il dovere individuale sulla base del potere altrui. Una concezione etica della colpevolezza conduce necessariamente ad abbracciare la prospettiva soggettivistica. E così, nel caso della contadina e dell'anziana signora, la considerazione delle capacità intellettive dell'agente come l'ignoranza e il difetto di socializzazione, che sono eticamente incolori, determina l'impossibilità di muovere qualsiasi rimprovero di colpevolezza. E da un punto di vista etico, neanche sarebbe possibile condannare l'aver fatto insorgere il difetto di socializzazione, perché significherebbe rimproverare una persona per essere come è, visto che non è possibile distinguere quali caratteristiche della personalità siano addebitabili all'individuo e quali dipendano da condizionamenti esterni. La concezione etica della colpevolezza accoglie buona parte dell'eredità lasciata dal liberalismo, tra cui l'affermazione dell'esteriorità del diritto, che garantisce l'individuo da ogni possibile ingerenza del diritto nella propria sfera interiore e si manifesta, non a caso, nell'idea della colpevolezza il per singolo fatto. Facilmente intuibili sono le difficoltà di inserimento all' interno di questa categoria dell' istituto della colpa incosciente. Come ha osservato Kaufmann, la struttura della colpa incosciente, innanzitutto, rivela come il dovere individuale venga ricostruito sulla base del potere di un altro, che è proprio quanto osteggiato dalla concezione etica; e poi, come manchi qualsiasi colpevole determinazione contro un obbligo morale. In conclusione, la colpa incosciente non rispetta il principio di colpevolezza, ma bandirla, secondo Kaufmann, significherebbe illudersi che il principio di colpevolezza possa essere realizzato pienamente, il che, invece, rappresenta un'utopia. Quindi, l'accettazione della colpa incosciente si fonda sulla realistica presa d'atto che il principio di colpevolezza, così come la giustizia, non potrà mai ottenere un completo soddisfacimento.


8: Il carattere analogico del giudizio di colpevolezza: a proposito di un rilievo degli oggettivisti.

Contro la concezione etica della colpevolezza, gli oggettivisti notano che la libertà dell'uomo di autodeterminarsi è empiricamente indimostrata e indimostrabile. Ma anche a volerla dare per presupposta, resta l' impossibilità di verificare se essa sussista in quel singolo autore per quel singolo fatto, tanto è vero che gli stessi soggettivisti riconoscerebbero l'inattitudine del loro criterio a stabilire l'effettivo potere dell'agente concreto. Ma quest' obiezione degli oggettivisti è superabile ove si osservi che la verificabilità concreta è consentita dal ricorso ad un procedimento analogico che confronti l'agente con un uomo medio a metà strada tra l'astratto ed il concreto. Infatti, l'individualizzazione del giudizio non può comunque prescindere da un momento di generalizzazione.


9: Misura della colpa e prevenzione generale.

Un'altra obiezione sollevata dagli oggettivisti alla concezione etica della colpevolezza poggia sulla constatazione che il diritto penale non deve realizzare la giustizia morale. Von Ferneck contesta l' utilizzabilità in sede giuridica del concetto etico di colpevolezza. Questo infatti presuppone la conoscenza della norma violata, mentre la colpevolezza giuridica ne prescinde. Infatti, compito del diritto penale è inibire determinati comportamenti e per perseguire quest' obiettivo, il legislatore deve commisurare lo standard di diligenza esigibile non al singolo individuo, ma alle masse: prevedibile deve significare non prevedibile per l'agente concreto, ma prevedibile in astratto, in generale. Solo la prevedibilità generale può fondare la colpevolezza in senso giuridico. Lo stesso Kaufmann sostiene che la problematicità etica della punizione non esclude la sua necessità sociale. E suona strano che si esprima in questi termini proprio uno dei più convinti sostenitori del modello etico, a testimonianza che il raggiungimento della giustizia morale sembra utopico ai suoi stessi fautori. Che senso ha, infatti, attaccare gli oggettivisti per la negazione del carattere etico della colpevolezza quando un'analoga negazione è sostenuta, sia pur eccezionalmente per la colpa incosciente, dagli stessi soggettivisti?




10: Dalla concezione etica alla concezione sociale della colpevolezza.

La secolarizzazione dell'ordinamento ha relegato la concezione etica in una posizione marginale, perché il fine primario è divenuto la tutela dei beni giuridici, non certo la giustizia morale. Pertanto, se la concezione etica volesse evitare di soccombere, dovrebbe assolvere la funzione garantistica di limite all'intervento penale. Infatti, esistono tutta una serie di realtà giuridiche che si pongono in insanabile contraddizione con un concetto etico di colpevolezza. Si pensi all'errore su legge penale disciplinato dall'art. 5 c.p. La punizione di un soggetto che non sia stato, neanche minimamente, sfiorato da alcun dubbio circa l'illiceità del proprio comportamento ( nonostante la Corte Cost. con la sentenza 364/88 abbia distinto l'errore evitabile da quello inevitabile ) cozza con il principio di colpevolezza. Quant' anche si volesse imputare al soggetto una carenza di informazione, questa costituirebbe pur sempre una mancanza risalente nel tempo e, quindi, al di fuori della colpevolezza per il fatto. E però, questa logica repressiva è imposta da ragioni di prevenzione generale. Anche l' irrilevanza degli stati emotivi e passionali sancita dall'art. 90 c.p. è giustificata da ragioni di prevenzione generale, perché se si volessero riconoscere le conseguenze debilitanti di alcune situazioni affettive, si finirebbe con l'assolvere circa un quarto degli omicidi. Il tentativo di ricostruire i presupposti della responsabilità sulla base del solo concetto etico della colpevolezza è destinato al fallimento, a piegarsi a esigenze preventive che o sono positivizzate o comunque radicate nella prassi interpretativa: il fine di giustizia cede di fronte alla prevenzione generale, come già nella colpa incosciente.

Nell' odierno panorama della dottrina, l' oggettivista Krumpelmann propone una versione "sociale" della colpevolezza, esente da qualsiasi rimprovero etico- individuale, ma condizionata da considerazioni di prevenzione generale, come evidenziato dalla disciplina dell' imputabilità. Infatti, restano escluse dall'area della non imputabilità, quelle pur menomanti patologie mentali che affondano le proprie radici nella costituzione o nella prima infanzia dell' individuo: l'allargamento della sfera della non imputabilità ( e quindi della non punibilità ) produrrebbe conseguenze inaccettabili sul piano della prevenzione generale. Secondo Krumpelmann, l'interazione tra colpevolezza e prevenzione generale si manifesta nel recepimento da parte della colpevolezza di considerazioni politico- criminali, per cui il momento garantistico e quello preventivo ( l'uno ad assicurare esigenze di giustizia, l'altro di funzionalità del sistema ) convergono. Resta da stabilire se il punto di incontro si collochi nel criterio oggettivo o in quello soggettivo.


11: La misura della colpa tra colpevolezza e prevenzione.

Stratenwearth sottolinea l'imprescindibilità dell'autonomia della colpevolezza di ispirazione etica rispetto alle esigenze di difesa sociale, funzionalità e praticabilità del sistema. L' ancoraggio etico serve a non dimenticare la problematicità di ogni giudizio suscettibile di incidere sulla dignità morale di una persona. Infatti, la prevenzione generale si ritrae di fronte all'espansione della problematicità, che non a caso ha condotto una parte della dottrina a suggerire la depenalizzazione delle colpa incosciente. Un'altra condizione di legittimità della prevenzione generale è la sua conformità agli scopi, che deve essere verificata sul piano empirico. Ecco perché la punizione dell'automobilista inesperto, che non abbia compiuto la manovra necessaria ( fattibile per l'automobilista medio ) per impedire il ferimento di terzi, non può essere invocata né per soddisfare esigenze di prevenzione né per apare un irrazionale bisogno della collettività, inquietata dal verificarsi casuale di incidenti o catastrofi: essa comporterebbe un inammissibile sacrificio, una strumentalizzazione della persona umana, che delegittimerebbe il ricorso alla prevenzione generale.










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