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COSTITUZIONE ITALIANA E LA "COSTITUZIONE EUROPEA". PRIMI CENNI AL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ'

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COSTITUZIONE ITALIANA E LA "COSTITUZIONE EUROPEA". PRIMI CENNI AL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ'. (24/25 FEBBRAIO)


Una Costituzione è un atto normativo che contiene tutti i principi generali che presiedono al rapporto tra lo Stato ed il cittadino rendendo questo rapporto paritario e garantista (dal punto di vista del cittadino). La costituzione comprende

- Una parte in cui sono specificate tutte le garanzie che il cittadino ha come singolo o come parte di un gruppo.

- Una parte sull'organizzazione. La struttura dello stato infatti tutela l'impostazione garantista. Il principio base è quello della divisione dei poteri (principio vecchio quanto lo stato moderno, fino al settecento prevalse l'impostazione assolutista): chi esercita il potere deve fare i conti con altri centri di potere paritari.

Funzioni dello stato

- Legislativa: al parlamento spetta la redazione di leggi, ossia di atti generali che hanno per destinazione tutti i cittadini



- Amministrativa potere di emanare atti specifici che hanno come destinatario il singolo

- Giurisdizionale: porre in essere atti singoli per l'attuazione di una legge (l'atto deve essere emanato da un terzo in conseguenza di un contrasto tra parti, per esempio per dirimere un contratto)

- Di controllo (garanzia) controllo di costituzionalità delle leggi. Organi: Presidente della Repubblica e Corte costituzionale.

[Nell'articolo 13 vediamo citate le varie funzioni dello Stato: La sanzione più grave, cioè l'essere privati della libertà personale può essere applicata ma in modo da tener salva l'istanza garantista. (giurisdizionale). La reclusione può essere anche applicata dalla pubblica sicurezza (la polizia dipende dal ministero dell'interno, amministrazione statale), solo in flagranza di reato. (il giudice deve comunque ratificare l'arresto entro 48 ore.]

La separazione verticale dei poteri, cioè secondo le funzioni, non è la sola. Una altra forma di garanzia è le separazione orizzontale dei poteri [ripartiti sulla base di enti (gli enti sono formati da organi) territoriali - regioni, provincie, comuni -].

La prima forma di Costituzione, in embrione, può considerarsi la "dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", del 1789 [La rivoluzione francese iniziò con la concessione del re di riunire gli Stati Generali, quindi con una tendenza riformista della monarchia. Gli stati generali, non riuscirono però ad accordarsi su come si dovesse votare, per teste o per stati. Allora scoppiò la rivoluzione]; in essa, all'art. 16 "Uno stato in cui i diritti dell'uomo non siano elencati e garantiti e non sia prevista la separazione dei poteri, non ha Costituzione."

La funzione di controllo si è resa necessaria perché si è appurato che la legge non bastava a garantire i diritti dei cittadini. Per esempio, nel '900 le dittature sono andate legalmente al potere e, con la maggioranza parlamentare, hanno potuto modificare la costituzione e togliere tutte le garanzie in modo legale. (la costituzione precedente il 1948, in Italia era lo Statuto Albertino, promulgato nel 1821 in Piemonte e esteso nel 1865 al regno d'Italia)

Quindi nel dopoguerra i costituenti hanno creato un documento simile allo statuto Albertino, per i contenuti, ma con una forza giuridica superiore alla legge. Infatti, poiché la legge successiva modifica le precedente, basterebbe che la maggioranza parlamentare emanasse una legge contraria alla costituzione e questa verrebbe abrogata. Per modificare la costituzione è necessario un procedimento speciale, secondo l'art. 138.

A differenza delle costituzioni dell'800 la nostra è lunga e ha connotazioni di tipo valoriale (nell'800 la teoria dell'individualismo liberale definiva diretto il rapporto tra cittadino e Stato): ha una connotazione di tipo più sociale che individualista, infatti

a) intende i cittadini come gruppo, con i gruppi che sono titolari di diritti

b) i diritti non sono solo di libertà negativa (è vietato intervenire su i miei diritti), ci sono infatti diritti sociali o di prestazione, salute, lavoro, istruzione, ambiente.

La costituzione sta al vertice delle fonti del diritto se lo Stato è sovrano (superiorem non rcognoscent), ma quale è la posizione del diritto internazionale? Esso non è vincolante, deve essere ratificato dagli stati. La CEE è nata come ente di diritto internazionale.

Il termine "costituzione europea" tecnicamente è errato. Non esiste infatti un documento che regolamenti l'esercizio di tutto il potere pubblico e che si sia formato in una assemblea costituente con legittimazione democratica. Esistono trattati (atti negoziati dai governi, non dal parlamento, il parlamento interviene solo in fase di ratifica), non un atto normativo europeo che abbia una efficacia di vertice dal punto di vista delle fonti. Ma i trattati, pur non essendo una Costituzione funzionano come se lo fossero. Perché:

a) Le norme che vengono emanate a partire da questi non hanno efficacia di trattati (solo per gli Stati, che poi emanano una legge che vincola i cittadini) ma direttamente per i cittadini.

b) Gli organi di riferimento (consiglio, parlamento, commissione e corte di giustizia) non si limitano ad applicare i trattati, ma hanno anche una vita propria: possono sviluppare attività che sono state stabilite solo formalmente, per esempio possono "emanare regolamenti", senza che sia specificato riguardo a cosa. Questo è un mandato amplissimo, a differenza di quello di altri organi internazionali. Per esempio gli organi del trattato "per la salvaguardia dei diritti dell'uomo" sono molto più legati ad un mandato specifico. Inoltre, progressivamente le competenze comunitarie si sono estese (prima erano soltanto numerate, economiche) ed ora, grazie al fenomeno dell'ampliamento, l'ente ha una competenza quasi generale, non più su specifici problemi (gli stati hanno competenza generale) [a Bruxelles ci sono tante commissioni quanti sono i ministeri italiani]

c) La corte di giustizia ha avuto un ruolo fondamentale di trasformazione, imponendo progressivamente una superiorità delle norme comunitarie su quelle statali. Si può dire che esista un rapporto di sovraordinarietà (tipico della costituzione) tra norme europee e statali.

d) Come dato di fatto:

- La politica economica nazionale è determinata ora non dagli stati, ma da Maastricht. Infatti lì sono stati imposti parametri rigorosi per entrare nella CEE, e ogni Stato ha dovuto adeguare la propria politica economica a normative non sue.

- In politica estera: pur non avendo un esercito si impone in altri settori (politica commerciale, cooperazione e sviluppo) a livello extra continentale.

- Immigrazione (altro aspetto della politica estera che si sta comunitarizzando)

C'è un grande principio che regola i rapporti tra stati e la comunità europea: il principio di sussidiarietà (in difesa della autonomia e specificità statale). Nasce come principio volto a difendere lo stato civile dalle ingerenze dei pubblici poteri. Stabilisce che lo Stato c'è e interviene solo se i gruppi sociali non sono in grado di perseguire i propri scopi naturali o istituzionali. Per esempio solo se la famiglia, i sindacati non riescono si interessa lo stato (questa idea nell'800 non esisteva, perché i gruppi sociali non erano visti come autonomi. I sindacati erano vietati). Dimenticato per decenni riemerge a livello di costituzione europea. Es.: nell'atto unico si stabilisce una linea di condotta per la politica ambientale (l'industria infatti si insedia dove ci sono minori vincoli ambientali per questo la politica ambientale deve essere discussa insieme alla politica industriale). La comunità deve svolgere solo un ruolo sussidiario, per esempio stabilendo gli standard su aria e acqua; la politica faunistica è invece di competenza nazionale. Una divisione rigida basata sull'elencazione dei compiti di ciascuna sarebbe macchinosa, si è quindi stabilito che la comunità interviene solo se lo stato non raggiunge gli obbiettivi. Il principio ripartisce le competenze in base a valutazioni qualitative: cosa è meglio (più efficiente). Dopo la politica ambientale il principio di sussidiarietà ha influenzato anche Maastricht.

Si tratta di un criterio poco garantista, infatti chi e in relazione a che cosa si deve stabilire il significato di meglio, più efficiente? E' vago, non dà un effettivo potere (E per questo tutte le correnti si sono accordate su di esso); pericoloso, visto che non esiste un controllo (La Corte di giustizia si è rifiutata di giudicare in merito, sostenendo che servono esperti, dati. La Corte ha stabilito che il controllo deve essere esercitato dall'organo stesso che deve emanare l'atto. Quindi la valutazione alla fine spetta alla Comunità, ma questo non rispetta l'intento del principio, nato con lo scopo di difendere lo Stato da ingerenze comunitarie).

Tuttavia, affermato a livello comunitario ha avuto ripercussioni anche interne agli stati: dal 1990 al 2000 lo Stato si è sempre più federalizzato cioè ha progressivamente concesso autonomia agli organi territoriali (formula innovativa, visto che negli anni '70-'80 la tendenza era stata al centralismo, in nome dell'efficienza e della uniformità). Il procedimento di decentramento è passato attraverso una prima fase durante la quale si sono riorganizzati gli enti locali, poi, con le leggi Bassanini si è trasferito loro potere, Tutto questo è un effetto del principio, sempre più valorizzato nelle leggi. Si pone tuttavia il problema di come possa esserne imposto il rispetto [la commissione d'Alema aveva proposto un tentativo di riforma della costituzione che prevedeva anche la costituzionalizzazione di questo principio]. Il principio può essere definito costituzionale nel senso che è costitutivo, strutturale per il sistema di leggi italiano.

Estendere il termine di costituzione, cioè di un atto normativo caratterizzato da una forza maggiore, all'insieme dei trattati europei teoricamente non è corretto, e per questo l'espressione "costituzione europea" deve sempre essere indicata tra virgolette - Ma dal punto di vista teorico ha più importanza un trattato europeo o la Costituzione? Dal punto di vista puramente legale la Costituzione, perché è sempre possibile denunciare un trattato. Tuttavia si afferma sempre di più il fenomeno per cui l'adesione a trattati viene "costituzionalizzata" nei singoli Paesi. Infatti in Sna, Francia, Belgio, le costituzioni nazionali sono state modificate in modo da sancire l'adesione ai trattati [in Italia no, ma nel 1995 un referendum consultivo, indetto con legge costituzionale con la domanda "volete procedere sulla strada dell'integrazione comunitaria", ha dato esito positivo. Questo ha in un certo senso costituzionalizzato l'adesione in Italia]. Ormai l'intero processo di unificazione ha un solidissimo aggancio costituzionale, per cui sarebbe difficilmente invertibile. Diventa infatti quasi impossibile denunciare un trattato internazionale senza modificare la costituzione. In questo modo le garanzie costituzionali di rigidità sono in pratica estese al sistema dei trattati, visto che i legami tra i due livelli sono di natura costituzionale.

Il controllo di costituzionalità risponde al problema: rendere la costituzione più forte delle modifiche approvabili dalla maggioranza parlamentare (per approvare una legge devono essere in aula almeno la metà degli aventi diritto e di questi devono assentire la metà più uno. E' "facile" modificare la legge, ma per la costituzione articolo 138 e 134.

Organi con la funzione di controllo sono il Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, composta da 5 giudici delle Supreme Magistrature Ordinaria e Straordinaria (3 della Corte di Cassazione, 1 della corte dei conti, 1 della corte di stato) che restano in carica per 9 anni. La durata di un organo è direttamente proporzionale alla sua importanza e alla sua indipendenza dalla politica, considerata troppo mutevole. Ci sono due modelli di controllo Costituzionale

a) Modello diffuso: tutti i giudici possono pronunciarsi sulla costituzionalità di una legge; vantaggi: più persone controllano la leggi meno vizi di costituzionalità è probabile che vi siano; svantaggi: ci sono differenti opinioni ed inoltre un singolo giudice che può decidere della costituzionalità in assoluto sarebbe pericoloso. In effetti il pronunciamento del giudice rende inefficace la legge solo nel singolo caso.

b) modello accentrato: un solo organo può decidere sulla incostituzionalità della legge. Se si pronuncia positivamente la legge viene abrogata.

L'Italia ha adottato un modello accentrato, decide la Corte costituzionale, ma i giudici comuni hanno un certo potere di controllo. Infatti la Corte costituzionale può essere attivata in due modi: con il processo incidentale o principale. Quest'ultimo sebbene sia quello "regolare" è il meno applicato (solo in pochi casi che riguardano le rispettive competenze): lo Stato nella persona del governo o di una regione possono chiedere che la Corte si pronunci su una legge statale (lo chiede la regione) o regionale (lo chiede lo stato).

Il processo incidentale si conura invece come un "incidente" in un processo di qualunque ordine e grado: le parti o il giudice possono chiedere l'accertamento di una legge che deve essere applicata in quel processo: possono cioè "sollevare la questione di costituzionalità". Il giudice del processo può sospendere il processo e chiedere la verifica, dopo aver valutato a) che la norma impugnata serva effettivamente per il processo, cioè valuta la rilevanza, l'indispensabilità; b) che la richiesta no sia manifestamente infondata. Dopo avere deciso di chiedere la verifica il giudice fa un'ordinanza di rimessione e manda gli atti alla Corte Costituzionale, con le proprie valutazioni scritte, che la Corte prenderà in considerazione. Quindi, con questo sistema è permesso al giudice comune sia di fare da filtro (valutando la rilevanza e la non pretestuosi) sia di esprimere proprie opinioni. Una volta che la richiesta è stata ammessa:

1) Controllo dei presupposti processuali, cioè si controlla a) che il giudice sia un giudice (infatti nell'ordinamento Italiano esistono giudici, per esempio coloro che si occupano dei procedimenti di adozione che si discute se siano giudici), anche se di solito si interpreta il termine giudice nel senso più lato; b) che il processo sia effettivamente un processo; c) rilevanza; d) fondatezza.

Se ci sono problemi in questa fase la Corte emette una sentenza od una ordinanza processuale, non di merito. Una sentenza processuale riguarda gli aspetti formali del processo in atto risponde alla domanda "è possibile pronunciarsi su questo caso?" Riguarda le condizioni, cioè i presupposti che la legge richiede per avviare il processo. E' stata introdotta per snellire i procedimenti giudiziari perché è più semplice. Una sentenza di merito, al contrario riguarda gli aspetti di sostanza, decide cioè se la norma è legittima.

2) Decide per l'accoglimento o per il rigetto. Nel caso dell'accoglimento la norma viene dichiarata costituzionalmente illegittima e viene abrogata. Ma ci sono altri effetti: per esempio durante il processo è vietato risollevare la questione con le stesse motivazioni. Inoltre, per quanto riguarda l'abrogazione, la norma non può più essere applicata dal giorno che segue la data di pubblicazione della sentenza di accoglimento; se le cose stessero esattamente così, nessuno avrebbe interesse a sollevare la questione di costituzionalità, perché il suo rapporto giuridico sarebbe risolto ancora in base alla vecchia legge. In effetti non si applica l'abrogazione in senso classico, la sentenza della Corte ha una retroattività limitata al processo in questione, e ai procedimenti non ancora esauriti [cioè quelli passati in giudicato o quelli per cui non siano ancora scaduti i termini di prescrizione e decadenza. Ricorda che se una transazione è stata stabilita processualmente esaurisce il rapporto] e a quelli in cui, anche se sono già passati in giudicato, siano stata comminate pene detentive.




















PRINCIPI FONDAMENTALI E DIRITTI INVIOLABILI DELL'UOMO. LA CORTE COSTITUZIONALE. (2/3 MARZO)


La Corte Costituzionale svolge attività interpretativa o creativa?

Nei sistemi di civil law, (diritto scritto) l'attività giurisprudenziale non è produttiva di diritto. Il giudice è "bocca della legge" cioè declina nel quotidiano l'astrattezza della legge. Nei paesi di common law non ci sono - in linea di principio - norme scritte, ma norme consuetudinarie, quindi per creare diritto ci si fonda sui pronunciamenti dei giudici [per esempio non esiste un codice penale, ma raccolte di precedenti giurisprudenziali]. Nel primo sistema la giurisprudenza è essenzialmente interpretativa, nel secondo è creativa.

Per quanto riguarda la Corte essa può emettere sentenza di rigetto o di accoglimento. Le sentenze di rigetto sono chiaramente indice di una attività interpretativa, ma quelle di accoglimento? Il loro effetto è quello di abrogare una legge quindi in un certo senso si tratta, oltre che di attività conoscitiva (per procurarsi le informazioni e decidere) anche di attività creativa (con una finzione si potrebbe dire che crea una legge che abroga la precedente).

Tra questi due estremi ci sono una serie intermedie di tipologie, in cui la corte cerca di evitare una sentenza di accoglimento per evitare di sostituirsi al Parlamento. Infatti la Corte è l'organo che gode di una minore legittimazione democratica, (anche se per questo i suoi membri restano in carica più a lungo) e non può strafare, [Il Parlamento, eletto direttamente, resta in carica 5 anni; il Governo, nominato dalla maggioranza, dipende; Il Presidente della Repubblica eletto dalla due camere in seduta comune, resta in carica 7 anni, con una legittimazione meno forte; la corte costituzionale resta in carica 9 anni, i magistrati della corte suprema sino alla pensione].

Emette sentenze interpretative (di accoglimento o di rigetto) in cui non valuta la coerenza della disposizione [cioè la formulazione della norma], ma della norma [cioè il risultato della attività interpretativa della disposizione]; questo significa che indica, dei possibili significati estrapolabili dalla disposizione del testo, quali sono costituzionalmente legittimi o illegittimi. In questo modo la norma è salva, non viene abrogata, e si evita di creare una lacuna. Es. La legge garantisce il diritto ad avere un interprete durante il processo per chi non è in grado di comprendere la lingua Italiana. La Corte ha stabilito che interpretare questa disposizione in senso stretto sarebbe incostituzionale, perché spesso durante le indagini preliminari che precedono il processo la presenza di un interprete è fondamentale, perché si rendono dichiarazioni importanti. Quindi il termine processo va inteso in senso lato. Si tratta di una sentenza interpretativa o creativa? Metà e metà.

Emette sentenze additive, cioè, partendo da una norma costituzionale dichiara legittima una norma che tuteli un diritto non scritto, ma comunque riconducibile ad una categoria (intesa in senso ampio) compresa nella costituzione. Il principio di uguaglianza occupa una metà delle sentenze della corte, poiché è molto complesso nelle sue applicazioni, infatti concedere un beneficio ad una categoria significa escludere dal beneficio una categoria affine. Si tratta di stabilire quali sono i requisiti importanti per ottenere il beneficio. All'inizio si applicava trattando situazioni uguali in modo uguale, ma chi decide il significato di uguale? Quali sono le differenze rilevanti? Se il compito di stabilirle è lasciato al legislatore il principio di uguaglianza è tautologico, infatti una legge che prevedesse "tutti i bianchi possono sposarsi solo con bianchi, tutti i neri solo con neri" tratta situazioni uguali allo stesso modo, ma la discriminazione appare ingiustificata. La Corte ha così stabilito il principio di ragionevolezza, che vale quando si decida di raggiungere un fine positivo con mezzi ragionevoli. Il ricorso al principio di ragionevolezza autorizza il giudice a decidere secondo equità, che è la caratteristica dei sistemi di common law. Il problema delle applicazioni del principio di uguaglianza si fa sentire particolarmente nel passaggio dalla stato liberale allo stato sociale. Nello stato liberale la legge, uguale per tutti, è essenzialmente quella penale, mentre lo stato sociale, intendendo i cittadini come gruppi, interessato alle azioni da intraprendere per il loro benessere, nel momento in cui concede un beneficio ad un gruppo si deve scontrare con le pretese del gruppo affine escluso dal beneficio (legislazione pensionistica è un classico esempio, complicato dal fatto che una legge che comporti un aumento di spesa per l'erario deve essere approvata. quindi un'estensione di benefici economici ad opera della Corte è particolarmente problematica). L'articolo 3 è potenzialmente violato ogni volta che si fa una legge.

La Corte Costituzionale oltre alla funzione cognitiva-interpretativa ha la funzione di interpretare la Costituzione (di solito lo schema interpretativo è: la norma oggetto è una legge ordinaria e la norma parametro una norma costituzionale), tuttavia si tratta di un compito delicato, perché non si fanno mai leggi chiaramente anticostituzionali. Di solito si tratta di un contrasto più sottile, tra due diritti ugualmente legittimi: per es. tra l'art. 11 e la legge che vieta di possedere più di 10 canali televisivi. La Corte deve interpretare la norma costituzionale e capire se ha a che fare con il caso specifico. (in questo caso l'art. 11 "stabilisce" anche il diritto ad una informazione pluralistica e quindi la legge ordinaria è salva. Ma il diritto ad una informazione pluralistica è violato dal possesso di 11 canali televisivi?) Quando la Corte Costituzionale estrapola da una formula generale una norma specifica che non stava scritta da nessuna parte, interpreta o crea? [c'è differenza rispetto all'applicazione del principio di ragionevolezza perché in questo caso l'art. 11 protegge anche il diritto ad una informazione pluralistica. L'operazione quindi è quella di un "bilanciamento" dei valori, si tratta di decidere tre due valori ugualmente legittimi quale prevale. La legge può intervenire limitando un valore a favore di un altro. Quindi il circuito politico e quello costituzionale sono complementari, spesso opposti]

Per garantire la sua validità nel tempo, nella Costituzione sono elencati dei valori, che presiedono alla struttura dello Stato e all'organizzazione dei cittadini. Il primo di questi aspetti è stabilito nell'art. 1 dove il concetto di democrazia sta per "governo della maggioranza nel rispetto dei diritti della minoranza" ossia, la sovranità esiste ma non è assoluta, poiché è limitata e gestita dalla Costituzione.

Il secondo è affermato in vari articoli. La Costituzione infatti riconosce (a differenza di quelle ottocentesche, nella nostra non è lo stato che pone i diritti, a solo la funzione di fare emergere i diritti naturali, connaturati all'uomo - l'800 era stato giuspositivista, = diritto incorporato nella legge-); dovere (il diritto è dato ad un soggetto che deve rispettare il legame sociale a cui è sottoposto), diritti inviolabili (non possono essere modificati neppure da modifiche della Costituzione). Essi sono:

- La forma repubblicana che è stata interpretata come garanzia dei fondamenti ultimi di democraticità e sovranità popolare e diritti inviolabili, cioè come garanzia di non modificabilità degli art 1 e 2.

- Tutti quelli elencati nella prima parte della Costituzione, ossia diritti di libertà e partecipazione

- I diritti non scritti, cioè quelli che tecnicamente non potrebbero venire inclusi, perché non scritti in costituzione, ma che la realtà ha costretto ad ammettere. Questo situazione si è verificata raramente e sempre è stata coperta da interpretazioni da parte della Corte costituzionale che ampliavano il significato di certi articoli. La norma di riferimento è quella che tutela la dignità umana dalla quale è stato possibile ricavare, per via interpretativa, il diritto all'obiezione di coscienza, il diritto all'immagine Per esempio nel caso del diritto all'aborto la corte ha affermato il diritto alla vita del feto (che persona non è), l'ha confrontato con il diritto alla salute (art. 32) e ha deciso di far prevalere il secondo. Ora il diritto all'aborto non è scritto nell'art. 32 eppure si utilizza quest'ultimo per garantirlo. In altri casi la corte non decide se il diritto non scritto sia garantito ma fa una sentenza del tipo "il diritto c'è, ma se il legislatore non interviene esso non è garantito". E' il caso per esempio del diritto all'identità sessuale. Se la corte definisce un diritto riconosciuto, questo non può essere abrogato con un referendum abrogativo, perché esso diventa costituzionalmente tutelato, e inoltre esso diventa parametro di valutazione della legge ordinaria.

Si definisce stato patrimoniale quello in cui il rapporto territorio e sovrano è definito secondo il rapporto di proprietà (per esempio negli stati romano barbarici). Parallelamente si ha una concezione del diritto basata sulla giurisprudenza. Nella Roma antica non esisteva il diritto pubblico (modo di organizzare i rapporti tra stato e cittadini), lo stato si basava su un rapporto privato, il rapporto di proprietà, appunto. La Magna Charta (la prima "costituzione") fu estorta al re giocando appunto sul venire meno del rapporto di proprietà.

Dal '400 in poi si fa strada l'idea che il sovrano è tale non perché possegga la terra, ma piuttosto per una investiture (nei comuni l'investitura viene dal popolo, nelle signorie da Dio). La ura del re per diritto divino (l'ereditarietà è un segno della volontà divina) ha un potere assoluto, ma anche condizionamenti pesanti sia politici (da parte delle assemblee, per esempio gli stati generali, in Francia, da parte del clero) sia economici, ossia vincoli di tipo storico (fedecommesso) o religioso che pesano sui beni.

Lo stato assoluto si sviluppa dallo Stato liberale: il cittadino ha garanzie minime che da solo, come individuo, può sviluppare pienamente. Quasi fatale che lo stato liberale si involva in senso prima autoritario e poi, a volte, nello stato totalitario, in cui tutto il potere è concentrato nelle mani del capo del governo. La forma di stato attuale, lo stato costituzionale è in crisi perché dal punto di vista economico e amministrativo si sta soffocando il sistema. Inoltre ci sono pesanti ingerenze da parte della corte costituzionale. Si profila uno stato "sussidiario" che ha perso la propria sovranità parte a favore della CEE parte a favore delle regioni. Sul piano teorico la sovranità non è più indivisibile: l'art. 11 lo ammette.

Ha senso parlare di forme di governo solo dopo aver introdotto il principio della separazione dei poteri, che fu elaborato da Montesquieu in riferimento al sistema inglese; si tratta quindi di una osservazione empirica e non teorica, in cui si descrive una forma di governo in cui i diritti dei privati sembrano meglio tutelati (istanza garantista) [Tra l'altro ritiene che il potere esecutivo sia adatto solo ad occuparsi della pace e della guerra]

La teoria della separazione dei poteri definirà poi nel corso dell'800 i poteri ed i rispettivi atti tipici: la legge per il potere legislativo, la sentenza per quello giurisdizionale e il decreto per il potere esecutivo. Nello stato moderno le suddivisioni non sono più le stesse: l'idea di fondo è che, comunque una suddivisione tuteli meglio il cittadino.

Per quanto riguarda le forme di governo si sono evolute da basi comuni:

- Monarchia costituzionale (ora non esiste più, ma ha avuto profondi influssi sia sulle definizioni delle fonti del diritto sia sui diritti; in una parola su tutto il diritto pubblico). Ha un impianto dualista. Da una parte il re concede una costituzione (ottriata) che crea un'altra fonte di potere, di cui è sovrano il popolo. Si tratta quindi di una struttura potenzialmente conflittuale, a causa della sua organizzazione dualista: il Parlamento eletto dal popolo si trova a lavorare con un Governo nominato dal re.

Si sviluppa l'idea della riserva di legge, cioè che i diritti soggettivi possano essere limitati solo con un atto del parlamento, cioè con una legge; in questo contesto il governo è sempre visto come nemico.

Da questa forma si sviluppano in ordine storico il presidenzialismo e poi il parlamentarismo.

- Parlamentarismo: dati i due centri di potere occorre legarli in modo da garantire anche al governo una legittimazione democratica (può esprimersi in una repubblica parlamentare o in una monarchia parlamentare, in cui il potere di nomina del re è limitato: prima deve chiedere al parlamento quale sarà il governo che otterrà la fiducia parlamentare)

- Parlamentarismo: non c'è un rapporto di fiducia, permane una struttura di tipo dualistico, perché è nato negli USA dove il re non c'è mai stato. La legittimazione democratica del popolo è diretta perché vota direttamente il Presidente, che è il capo sia del governo che del parlamento. In altre elezioni sono invece nominati il senato e il congresso.










I SISTEMI ELETTORALI ED IL REFERENDUM (9/10 MARZO)


Istituti di democrazia diretta sono i modi in cui il popolo esprime la sua sovranità: sono stabiliti dalla costituzione nell'art. 1 che disciplina i modi e i limiti dell'esercizio della sovranità. Il popolo può esprimere la propria sovranità indirettamente, tramite i propri rappresentanti o direttamente (i due modelli sono compresenti nella Costituzione), e in questo caso le sue manifestazioni di volontà hanno efficacia giuridica vincolante, come se fossero unanimi e non solo della maggioranza. I gruppi minoritari quindi non sono tutelati, mentre negli istituti di democrazia indiretta c'è una fase di dibattito i cui anche le minoranze, se rappresentate, possono avere un peso.

Nel nostro ordinamento la regola è la rappresentanza indiretta, ma ci sono istituti diretti:

- Qualunque soggetto può presentare una petizione ad una delle due camere. Queste però non hanno alcun vincolo a farli valere.

- Iniziativa legislativa popolare: 50.000 elettori possono presentare alle camere proposte di legge già redatte in articoli. Le camere hanno il dovere di prenderle in considerazione (non c'è l'obbligo di ripresentarle se le camere cambiano), ma ovviamente non sono tenute ad approvarle così come sono, anche perché spesso la forma giuridica non è appropriata.

- Referendum: al popolo è data la possibilità di pronunciarsi in modo vincolante sulla passata attività legislativa del Parlamento. All'Assemblea Costituente furono presentate diverse proposte per definire il referendum. [per esempio uno propositivo, in cui il popolo sarebbe stato chiamato a pronunciarsi sui testi di proposte di legge]. Questo strumento, che permetteva un eccessivo ricorso agli istituti di democrazia diretta, sembrò pericoloso, vista per esempio l'esperienza della instabilità della repubblica di Weimar; si optò quindi per una soluzione che garantisse una stabilità politica maggiore. Sono previsti tre tipi di referendum:

Referendum territoriale, per la modifica degli enti territoriali.

Referendum costituzionale, una fase eventuale all'interno del procedimento di modifica della Costituzione (art. 138), oppure può avere per oggetto la proposta di una modifica (il no blocca il processo); può essere richiesto entro 3 mesi dalla pubblicazione del progetto, anche da un terzo dei membri del Parlamento, e non ha quorum di validità. La corte non si pronuncia sulla validità.

Referendum abrogativo, in cui il popolo ha solo la funzione di legislatore negativo, dimostrando così il disaccordo con l'operato parlamentare. Costituzionalmente è disciplinato con l'art. 75, che lascia alle legge ordinaria i dettagli. La prima legge in proposito è del 1970 (legge 352/70), modificata dalla 351/75, per cui per venti anni dalla entrata in vigore della Costituzione non si è potuto fare uso di questo strumento.

Mediante referendum (art. 75) si può abrogare soltanto la legge ordinaria (o il decreto legge, atto ad essa assimilato); può essere richiesto da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali; la legge ordinaria stabilisce i modi e i termini.

Se la richiesta proviene da 5 Consigli regionali deve essere approvata da 5 maggioranze assolute che si pronuncino tutte su un testo identico. In alternativa si può formare un comitato promotore (almeno 10 persone) che raccolga le firme. Le firme o la richiesta dei consigli devono essere depositate presso l'ufficio centrale del referendum, presso la cancelleria della corte di Cassazione. Il comitato promotore deve prima recarsi presso l'ufficio del referendum, dichiarare che intende procedere alla raccolta delle firme e ritirare i moduli timbrati su cui far firmare. Dal giorno della richiesta deve raggiungere il totale entro tre mesi.

Le richieste possono essere presentate tra l'1 gennaio e il 30 settembre di ogni anno, tranne quello antecedente alla scadenza naturale delle camere e i 6 mesi successivi alla convocazione delle elezioni.

Nel caso di uno scioglimento anticipato delle camere il procedimento referendario (se già richiesto) resta bloccato per un anno dalla data delle nuove elezioni. In ogni caso con la fine della raccolta delle firme (o votazioni regionali) si esaurisce la fase della richiesta e inizia quella dei controlli.

L'ufficio centrale deve terminare entro il 15.12 quella che gli compete: deve cioè controllare la legittimità formale della fase precedente e soprattutto che la legge oggetto sia ancora in vigore. Questo controllo continua fino al giorno prima del referendum per evitare che si vada a votare per niente. Il Parlamento potrebbe evitare il referendum abrogando in questo lasso di tempo la legge, e approvandone contestualmente un'altra identica. Una sentenza additiva della corte costituzionale ha attribuito all'ufficio centrale il compito di controllare tutta la legislazione successiva sulla materia. Nel caso ne sia approvata una simile l'ufficio deve trasferire il referendum sulla nuova legge automaticamente. Dopo il controllo formale spetta alla corte costituzionale (entro il 10.02) pronunciarsi sulla ammissibilità del referendum. Ci sono infatti alcuni tipi di leggi che non possono essere oggetto di referendum abrogativo (si è ritenuto che il popolo non potesse deciderne equamente:

a) Legge di Bilancio

b) Legge di ratifica dei trattati internazionali

c) Leggi di amnistia e di indulto

d) Leggi tributarie

Nei primi anni '70 la Corte si è attenuta strettamente a questo elenco, in seguito ha dedotto dalla Costituzione altri motivi di invalidità. Con la sentenza 16/78 ha aggiunto:

1) Leggi strettamente collegate a quelle dell'elenco, per esempio la legge finanziaria, strettamente collegata a quella di bilancio, o quelle che diano esecuzione ai trattati internazionali

2) Le leggi costituzionali e di revisione costituzionali

3) Leggi costituzionalmente obbligatorie, per le quali il referendum non è impossibile, ma ha dei limiti [per esempio la legge elettorale: il referendum deve essere congegnato in modo che la normativa di risulta sia sufficiente a funzionare, anche se soltanto per casi di emergenza].

4) La domanda referendaria deve essere omogenea: se costringesse l'elettore ad esprimersi univocamente su problemi diversi (caccia e pesca) manipolerebbe la sua opinione violando l'art. 48.

Nel caso la Corte dichiari l'ammissibilità si passa alla fase dell'indizione. Il referendum infatti deve essere indetto dal Presidente della Repubblica con un decreto, stabilendo come data una domenica tra il 15.04 e il 15.06. Sono ammessi a votare gli elettori della camera dei deputati. La costituzione prevede un quorum di validità (maggioranza degli aventi diritto) e uno di efficacia (maggioranza dei voti validamente espressi).

Nel caso in cui, raggiunto il quorum dell'efficacia si sia votato con un no, sarà impossibile sottoporre ancora la legge a referendum nei successivi 5 anni. Nel caso del sì un decreto del Presidente della repubblica, valido dal giorno successivo alla pubblicazione (anche se il Presidente può posticiparne fino a 60 gg l'entrata in vigore, nel caso di una legge che crei una significativa lacuna).

I sistemi elettorali consentono di individuare i rappresentanti del popolo nelle assemblee parlamentari, tramite il diritto di voto, ossia la capacità elettorale, sia attiva (capacità di eleggere i propri rappresentanti) che passiva (capacità di essere eletti).

Il diritto di voto attivo spetta a tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto i 18 anni per quanto riguarda i referendum, i consigli regionali, i consigli comunali, la camera dei deputati, il parlamento europeo e i consigli circoscrizionali. Per il Senato invece il limite di età è più alto: 25 anni. Non possono votare ne essere votati tutti coloro che sono sottoposti a misure di condanna detentiva, e coloro che hanno subito una condanna che prevede l'esclusione anche temporanea, dal diritto di voto (es. i falliti). Per l'elettorato passivo i limiti di età sono di 25 anni per la camera dei deputati e di 40 anni per il senato (50 per la carica di presidente della repubblica).

Ci sono cause di ineleggibilità anche per coloro che hanno diritto di voto: ciò dipende dal fatto che si trovano in una posizione particolare (sindaci dei comuni maggiori, magistrati) in forza della quale sono in grado di influenzare il voto altrui, (in questo modo limitano la libertà di voto). Questi soggetti devono dimettersi dalla carica almeno 90 gg prima delle elezioni. Se non lo fanno, pur essendo eletti, non possono accogliere il mandato. L'incompatibilità è diversa: nessun soggetto può cumulare in capo a sé più mandati: ad esempio nessuno può essere deputato e senatore. Una volta eletto, se è già titolare di una carica può scegliere, in tempo utile, in caso contrario viene dichiarato decaduto d'ufficio. Disciplinando il diritto di voto, l'art. 48 garantisce la democraticità del sistema. Il voto è personale, cioè è vietata la procura; uguale: tutti i voti espressi hanno il medesimo valore, almeno in partenza, perché tutti i sistemi elettorali contengono dei meccanismi distorsivi; libero e segreto: non si può sottoporre a coercizioni esterne.

Per sistema elettorale si intende in senso stretto il modo in cui vengono eletti i rappresentanti del popolo, il modo in cui i voti espressi assegnano un seggio parlamentare. La scelta di una formula elettorale finisce con l'avere ripercussioni sul sistema politico, in quanto avvantaggia un partito o un altro; si tratta però di un condizionamento reciproco. I due principali sistemi elettorali sono il proporzionale e il maggioritario. Le formule maggioritarie distribuiscono tutti i seggi in una determinata quota di territorio al partito che ha ottenuto la maggioranza in quella circoscrizione. Le proporzionali consentono la rappresentanza in parlamento di tutti i partiti che hanno candidati in proporzione ai voti ottenuti. Una formula maggioritaria piena comporterebbe un'unica circoscrizione elettorale, e il partito vi che ottenesse la maggioranza avrebbe tutti i seggi del parlamento. Non sarebbe democratico. I sistemi maggioritari dividono il territorio in collegi uninominali, che eleggono cioè un solo candidato, quello del partito che ha ottenuto la maggioranza. Tutti i sistemi prevedono formule miste di proporzionale e di maggioritario, non esistono nella forma pura. [per le elezioni del parlamento europeo l'Italia è divisa in 4 circoscrizioni]. Negli anni '50 un politologo francese aveva individuato delle leggi matematiche che legano il sistema elettorale scelto con il sistema politico. Esistono infatti fattori di reciproco condizionamento:

a) Il sistema maggioritario (tanti collegi uninominali quanti sono i seggi del parlamento) portava dal punto di vista politico ad un sistema bipartitico.

b) Il proporzionale provoca una maggiore frammentazione politica, con una serie di partiti.

Ambedue i sistemi hanno pro e contro; a favore del maggioritario: un sistema bipartitico è più stabile, la vita politica più regolare. Ma vi sono effetti distorsivi, specialmente per i partiti minori; essi infatti ottengono pochi seggi in proporzione alla somma dei voti ottenuti nelle circoscrizioni. Infatti anche se sono votati in tutte le circoscrizioni solo in poche possono ottenere la maggioranza e quindi hanno pochi seggi in parlamento. In Inghilterra nel 1951 e nel 1974 è successo che anche se i partiti minori hanno avuto una scarsissima rappresentanza, il partito con la maggioranza di voti nel paese in Parlamento era in minoranza. Questo perché aveva stravinto ma in pochi collegi, "pareggiando" quasi negli altri, e ottenendo pochi seggi. Al contrario i sistemi proporzionali non disincentivano la formazione d nuovi partiti, favorendone la proliferazione. In compenso il Parlamento rispecchia più fedelmente l'orientamento politico del Paese.

La situazione Italiana, da un punto di vista normativo resta disciplinata da leggi ordinarie. Le norme elettorali non sono state inserite nella costituzione per evitare la difficoltà nei cambiamenti (la disciplina elettorale, in particolare è di per sé difficile da modificare), che si rendono necessarie per seguire l'evoluzione del sistema politico. Il nostro sistema elettorale è uscito dalla seconda guerra mondiale con due partiti maggiori la DC e il PCI, ma non si poteva definire di tipo bipartitico. Infatti una alternanza all'inglese era improponibile: il PCI aveva legami con l'unione sovietica che lo connotavano come un partito di estrema sinistra e, per questo, non è mai riuscito a formare un governo, ma si è limitato ad appoggiare quelli più moderati. Per questo i costituenti capirono che un sistema maggioritario non poteva funzionare, ma lasciarono aperta la strada ad un cambiamento. L'unica cosa stabilita dalla costituzione é che i deputati siano 630 e i senatori 315 eletti su base regionale (ogni regione può avere sette senatori tranne il Molise, 2, e la Val d'Aosta, 1.) Il sistema quindi che rimase in vigore fino al 1993 era più proporzionale alle camere che al senato, ove si basava su un compromesso tra liberali e comunisti: all'interno di ciascuna regione si crearono collegi uninominali quante erano i candidati da eleggere. In ciascun collegio ogni partito poteva portare un solo candidato che, se otteneva almeno il 65% dei voti, era eletto, altrimenti confluiva nella circoscrizione regionale, dove era applicato il sistema proporzionale. I seggi erano poi distribuiti con il metodo HONDT: tutti i voti ottenuti dai candidati dei partiti in competizione vengono sommati nella cifra elettorale del partito. Ciascuna cifra elettorale viene divisa per il numero di seggi da assegnare e si assegna con il metodo dei quozienti più alti.

Per la camera si era previsto invece un sistema proporzionale a liste concorrenti, senza nessun vincolo regionale. L'intero territorio era diviso in circoscrizioni plurinominali, in ciascuna erano in palio più seggi. L'elettore poteva dare il voto ad un partito o esprimere (fino a 4) preferenze [dal referendum del 1991 solo una, perché più preferenze mettevano a rischio la segretezza del voto, infatti ogni scheda poteva essere identificata dall'ordine in cui sono espresse le preferenze]. La ripartizione avviene con il metodo IMPERIALI (del quoziente rettificato): si sommano i voti validi di ogni partito in tutta la circoscrizione e lo si divide per i numero dei seggi corrispondenti più due = quoziente elettorale. Si assegna a ciascuna lista il numero di seggi uguale al numero delle volte che il quoziente elettorale sta nella cifra elettorale. Le liste che non avessero raggiunto l'uno o che avessero "decimali" da giocarsi, potevano sperare nella redistribuzione nazionale dei resti, a patto che avessero raggiunto in una circoscrizione l'uno o 300.000 voti validi espressi su tutto il territorio.

Nulla è cambiato dal 1948 fino al 1993; la legge truffa che si era tentato di introdurre nel 1953 fu immediatamente abrogata: consisteva in un premio di maggioranza, cioè se ci fosse stato un partito con il 50% +1 voti avrebbe avuto una rappresentanza dei 2/3 in parlamento. Dagli anni '80 si sente l'esigenza di migliorare la rappresentanza ma soprattutto la governabilità del paese; poiché il Parlamento non riusciva a proporre niente di valido si utilizzò il referendum, con un problema: le leggi elettorali sono protette costituzionalmente contro il referendum abrogativo. Si pensò di passare attraverso la legge elettorale del senato. Mario Segni propose di eliminare il "65%", e di trasformare con i voti del collegio il sistema elettorale. Tuttavia inizialmente il testo della legge senza quella parte non aveva senso, così fu trasformato in "risulta eletto chi ha la maggioranza dei voti, non inferiore al 65%". In questo modo, eliminando l'ultima parte con un referendum, il testo reggeva. C'era un altro problema: una legge elettorale del 1963 aveva portato il numero dei senatori da 238 a 315, ma il numero dei collegi era rimasto 238. Questo nel 63 aveva poca importanza, tanto pochi candidati raggiungevano il 65% nei collegi, e gli altri erano distribuiti su base regionale. Nel 1993 questo costrinse a proporre un sistema misto, che assegnasse i 3/4 dei seggi su base maggioritaria e 1/4 proporzionale. La camera fu regolata come il senato, perché i deputati non riuscirono ad accordarsi.

La scheda elettorale odierna per il senato propone un candidato per ogni partito, che viene eletto se ha la maggioranza relativa. Tutti gli altri candidati confluiscono nella circoscrizione regionale, dove sono eletti 1/4 dei senatori con il sistema proporzionale. Al senato sono ammesse le candidature indipendenti

Il sistema per la camera dei deputati è simile, ma ci sono due schede elettorali: una per eleggere i candidati singoli con il metodo maggioritario a maggioranza relativa, l'altra presenta le liste di candidati (in numero di 4, e con ordine fisso) eleggibili con sistema proporzionale; non c'è vincolo regionale anche se, per permettere ai partiti di portare diverse candidature, poiché le liste sono bloccate e brevi, si divide in circoscrizioni; la fase di calcolo viene fatta su base nazionale con il metodo del quoziente naturale. Non sono ammesse candidature indipendenti. Sono ammessi a partecipare alla distribuzione con sistema proporzionale solo i partiti con almeno il 4% del totale dei voti validi. Un'altra differenza rispetto alla camera è lo scorporo, che viene fatto al Senato per computare la cifra elettorale su base nazionale i voti dei non eletti nella circoscrizione (alla camera, poiché le schede sono due questo obbligo non c'è). Alla camera lo scorporo non è totale: si tolgono al candidato soltanto i voti che gli hanno permesso di vincere, cioè quelli presi dal secondo candidato più uno. Si è ritenuto che al senato non fosse antidemocratico lo scorporo totale, perché serve a limitare il potere dei partiti che hanno già vinto nei collegi uninominali.

E' stato fatto un referendum per alzare la quota distribuita con il proporzionale, ma non si è raggiunto il quorum di validità: questo ha permesso di riproporre il referendum per maggio.






Contributo del prof. Cariola sui limiti di ammissibilità del referendum abrogativo (13 Aprile)


Il referendum abrogativo è un istituto soltanto italiano. All'estero il popolo è chiamato a pronunciarsi tramite i referendum su disegni di legge e per questo, quindi, il referendum abrogativo pone problemi del tutto peculiari.

Per esempio non sono soggette ad abrogazione tramite referendum le leggi "costituzionalmente obbligatorie", cioè quelle che sono al di sopra della legge ordinaria e non abrogabili da essa (esempio gli statuti delle regioni, all'art. 123). Tuttavia è possibile manipolare il testo del referendum, in modo che abroghi soltanto alcune parti del testo di una legge costituzionalmente vincolata, ma tanto da stravolgere completamente il significato della legge.

Ci sono problemi riguardo l'abrogazione di una legge: infatti non si può ripresentare, se prevalgono i no, il referendum per 5 anni. Nulla vieta, però, che, prevalsi i sì, il Parlamento non voti un'altra legge identica a quella abrogata. Contro questo abuso del Parlamento la Corte Costituzionale ha stabilito (1990) che il legislatore non possa fare una legge uguale formalmente o sostanzialmente. Purtuttavia, nel caso il Parlamento lo facesse (ed è successo con la legge sul finanziamento pubblico ai partiti, abrogata nel 1993 e riapprovata nel 1997 e 1999) a chi spetterebbe il controllo? Il Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere le camere, ma non è un organo con una forte legittimazione democratica. Non è rappresentativo, cioè, del corpo elettorale e non può sostituirsi ad un organo con una legittimazione, perché votato direttamente del popolo. Il compito potrebbe spettare al comitato promotore, ma esso decade non appena celebrato il referendum.

I Consigli Regionali non hanno mai fatto opposizione (anche in via principale), ma potrebbero.


























FORME DI GOVERNO E SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO (16/17 MARZO)


Sistema delle fonti italiano:

1) Costituzione e leggi costituzionali (per esempio gli Statuti delle regioni a statuto speciale sono sempre approvati con legge costituzionale)

2) Leggi ordinarie e atti aventi forza di legge

3) Potere regolamentare

4) Consuetudini

Fonti del diritto: sono atti (ossia la legge, che promana dallo Stato) o fatti (ossia la consuetudine che promana dalla società) che servono a porre in essere delle norme. Nel passaggio, avvenuto con la Rivoluzione Francese, dallo Stato feudale e assoluto a quello moderno si compie anche il passaggio dai fatti agli atti come fonte predominante della legge. Inizialmente ci sono atti, basati sulla ricognizione scritta di norme consuetudinarie, che non possono essere modificati dalla volontà regia, sottintendendo che la consuetudine era considerata una fonte superiore al re; che tutta la produzione normativa fosse statale è un'idea della rivoluzione francese; prima la situazione rimandava ad un pluralismo delle fonti.

Tra le fonti del diritto esiste sempre un rapporto giuridico: la fonte superiore modifica quella inferiore ma non può esserne modificata. A ciascun livello ogni fonte modifica quelle antecedenti di pari grado. Questi sono i due predicati del cosiddetto principio gerarchico, fondamentale per l'organizzazione delle fonti italiano ma non sufficiente per descriverlo. Infatti dal sistema piuttosto semplice proposto dalla rivoluzione Francese (legge-regolamento-consuetudine) si è passati nel corso dell'800 e del 900 ad uno sempre più complesso; infatti l'esecutivo si è gradualmente arrogato il diritto di legiferare anche al di fuori di quelle che tradizionalmente gli sono riconosciute come competenze specifiche (guerre e colonie, cioè tutta la politica estera) introducendo nel sistema della fonti i cosiddetti atti aventi forza di legge. La costituzione introduce una riserva di legge (le dittature fecero ampio uso del potere dell'esecutivo di emanare atti aventi forza di legge, facendosi rilasciare dal parlamento le deleghe in bianco a tempo illimitato) in proposito (art. 76 e 77) . Gli atti del Governo aventi forza di legge sono:

- Decreti legislativi: atto che il Governo può emanare se il Parlamento ha emanato una legge di delega (in cui devono essere specificati: l'oggetto della delega; il tempo massimo; i criteri direttivi)

- Il decreto legge è invece un atto emanato dal Governo sotto propria responsabilità che ha valore di legge ordinaria, che entra in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione e può essere emanato in casi urgenza e necessità (senza delega). Se il Parlamento non lo converte in legge entro 60 gg. decade con effetti retroattivi.

Gli atti aventi forza di legge, pur chiamati decreti, non lo sono; un decreto infatti è un atto dell'esecutivo a contenuto particolare: per esempio la nomina di funzionari statali. Per impugnarlo ci si può rivolgere al TAR . Per impugnare un ddl o un dlg invece si deve rivolgersi alla corte costituzionale perché questi ultimi hanno per così dire cambiato natura e la natura di un atto risiede in ultima analisi nei mezzi per impugnarlo.

L'esigenza di dare ordine alle fonti perché influenza profondamente il diritto: le sentenze non potrebbero essere utilizzate in mancanza di un ordine gerarchico. Prima la definizione del sistema delle fonti era di competenza del diritto privato. Oggi le complicazioni introdotte rendono il principio di gerarchia inadatto a spiegare tutto il sistema e quindi è stato introdotto il principio di competenza che consente di analizzare la singola fonte e di individuarne il regime (principio) costituzionale che si articola in due livelli:

- Procedimento di emanazione della singola fonte (cosa dice la costituzione)

- Ambito di competenza (Definire l'ambito di competenza significa invece tracciare delle linee verticali che dividano le norme all'interno di uno stesso gradino, stabilendo le materie su cui l'ordinamento interviene con quel procedimento.)

Il sistema delle fonti è articolato in 4 gradini e riflette la situazione delle fonti al momento dell'entrata in vigore della Costituzione. Ogni gradino della scala gerarchica:

1) Costituzione.

Per quanto riguarda il processo di emanazione ci sono differenze tra le norme costituzionali emanate nel 1948, quelle di revisione costituzionale emanate con il procedimento apposito (art. 138) e gli statuti delle regioni a Statuto speciale (sono emanati con una legge costituzionale, ma elaborata dai consigli regionali, ed hanno bisogno dell'approvazione del Parlamento).

Per quanto riguarda l'ambito di competenza: la forma repubblicana garantisce (art.139) i diritti fondamentali (democrazia, rappresentanza politica, diritti inviolabili). Significa che le norme costituzionali non hanno tutte lo stesso valore, la loro uguaglianza è solo formale, in realtà per il contenuto c'è una distinzione che si riflette nei procedimenti di modifica: tra le norme costituzionali alcune sono modificabili, altre no (art 139). Questo introduce un nuovo elemento di differenziazione. Spetta alla Corte costituzionale decidere in merito, anche se nell'art. 134 questo non è uno dei suoi compiti previsti: ora, oltre agli atti aventi forza di legge, le leggi, ci sono anche le leggi di revisione costituzionale. Particolare è la posizione delle norme europee: anche se toccano la Costituzione la corte non si è mai pronunciata, pur stabilendo che è vietato toccare i principi fondamentali.

2) Legge ordinaria

Si tratta del gradino più rivoluzionato, anche per l'introduzione degli atti aventi forza di legge. Dal punto di vista del procedimento di emanazione, quelli di una legge, di un decreto legge, di un decreto legislativo, sono diversissimi.

Per l'ambito di competenza si considerino per esempio gli art. 7 e 8. Lo Stato del Vaticano e quello Italiano sono entrambi sovrani ed indipendenti, per cui i Patti lateranensi si considerano un trattato internazionale. Se i due Stati sono d'accordo è possibile emanare una legge ordinaria che modifichi il trattato. Si tratterebbe di una applicazione lineare del principio gerarchico, per cui una legge successiva modifica la precedente all'interno dello stesso "gradino". I problemi sorgerebbero nel caso in cui il Parlamento volesse introdurre una modifica unilaterale dei patti: con una legge ordinaria non potrebbe farlo. Perché il settore definito dall'art. 7 ha bisogno dell'accordo delle parti per costituzione, e questo lo sottrae all'ambito di competenza delle legge ordinaria (per modificare l'art. 7 servirebbe una procedura 138, e una volta modificato il 7 il Parlamento potrebbe modificare i patti con legge ordinaria. La Corte Costituzionale potrebbe intervenire per dichiarare l'art. 7 immodificabile in nome della libertà religiosa). Il principio di competenza ha due accezioni: una norma potrebbe avere competenza esclusiva, cioè essere una fonte speciale per determinati rapporti; oppure competenza concorrente, cioè concorrere insieme ad altre fonti nella definizione di alcuni rapporti (es. art.117: il Parlamento emana una legge cornice con i principi fondamentali e lascia alle regioni il compito di definire i dettagli)

3) Potere regolamentare:

Il termine regolamento è piuttosto ambiguo. Si usa per:

I regolamenti parlamentari sono atti particolari in cui si incarna l'autonomia degli organi costituzionali (art. 74 e 72). Un esempio tipico sono i regolamenti interni delle camere ciascuna delle quali adotta il suo proprio e quelli per l'approvazione dei disegni di legge. Competenza: disciplinano settori in cui la legge non ha voce, per esempio l'organizzazione delle camere e la approvazione dei disegni di legge. Hanno la forza di legge, ma se fosse proprio così ogni legge potrebbe decidere da sé il proprio iter. In effetti c'è una riserva di legge che stabilisce una competenza assoluta del regolamento parlamentare per l'approvazione della legge, ogni successiva modifica del regolamento deve essere fatta tramite un regolamento, e non con una legge.. La Corte si è sempre rifiutata di sindacare sui regolamenti, li riconosce come fonte anomala, il che equivale a riconoscere al Parlamento, quando emana regolamenti, lo stesso rango della corte

I regolamenti comunitari invece sono atti legislativi in senso proprio, che sottostanno al regime proprio degli atti comunitari non ci sono art. di riferimento). Competenza: negli atti comunitari la legge nazionale non ha potere di intervento. Se una legge anche successiva è contraria al regolamento o alla direttiva comunitaria non è valida. Cioè la legislazione europea ha una casella di autonomia, di superiorità che le è riconosciuta dalla costituzione, anche se non con un atto specifico. La norma di riferimento è l'art. 11, di cui la corte ha dato una interpretazione che giustifica questa sensibile alterazione della gerarchia.

Regolamenti dell'esecutivo: avendo un contenuto generale ed astratto, si può equiparare alla norma, e non ad un semplice atto amministrativo. Per esempio il D.P.R. ha come contenuto una serie di norme, ma formalmente è un atto amministrativo; come impugnarlo? realizzando la forma davanti al TAR, realizzando la sostanza davanti alla Corte Costituzionale (davanti al TAR). E' disciplinato all'art. 17 legge 400/88: il governo regolamenta perché ciò che è scritto in costituzione può essere carente o incoerente; in alternativa si applica la consuetudine costituzionale (manca l'aspetto reiterato)

a) esecutivi di una legge: approvano e applicano una legge

b) attuativi o applicativi: autorizzati dalla legge per integrarla nei dettagli

c) indipendenti: se non c'è una legge ne una riserva di legge possono legiferare; si dicono norme subprimarie perché regolamentano la materia in assenza della legge.

d) delegati: in alcune materie la legge può delegare le decisioni al regolamento, che quando entra in vigore abroga automaticamente tutte le leggi anteriori. (DELEGIFICAZIONE)

Oppure, a seconda di chi li produce, si dividono in

1) regolamenti governativi (emanati dal consiglio dei ministri con il parere del    di Stato)

2) regolamenti ministeriali (devono rispettare quelli governativi se ci sono)

Siccome sono atti amministrativi per impugnarli si fa ricorso al TAR

Dal punto di vista democratico il regolamento, nonostante il vantaggio della rapidità, è spesso ingiustificato, perché non è emanato da tutto il Parlamento, ma da una minoranza che può essere non rappresentativa, e perché non c'è il controllo di costituzionalità.

L'iter legis. 315 senatori più quelli a vita, più 630 deputati si pronunciano sulla legge, in diverse fasi: ciascun membro del Parlamento, il Governo nel suo insieme, il capo popolare, i consigli regionali, il CNEL (consiglio nazionale per l'economia e il lavoro) possono presentare un disegno di legge. Gli organi sono stabiliti per riserva di legge e non si può ampliare il numero. Il disegno di legge si presenta al presidente del senato o della camera, e passa ad una delle commissioni parlamentari (gruppi di solito di 10 senatori e 40 deputati, composti in modo da rappresentare la proporzione dei partiti - i partiti minori sono sovrarappresentati). Ciascuna commissione ha un ambito materiale, e rispecchiano la divisione per ministeri. Svolgono tre funzioni:

a) Possono essere chiamate a fare da referente per i disegni di legge, devono cioè radunare tutti i disegni di legge su una certa questione, elaborarne uno che li comprenda tutti, votando il progetto articolo per articolo. Deve allegare una relazione della maggioranza e una della minoranza che spieghi i singoli articoli uno per uno, poi la discussione ricomincia in parlamento, dove ognuno può proporre degli emendamenti.

b) in sede deliberante, con l'autorizzazione del presidente della camera a votare la legge. Ci sono i limiti posti dall'art.72, quarto comma sulla riserva di assemblea

c) la sede redigente non è prevista dalla Costituzione, ma solo dai regolamenti parlamentari, e quindi c'è differenza tra le due camere: si elabora in commissione un disegno e la camera dice sì o no. Se nella seconda camera si fanno degli emendamenti torna alla prima. Quando finisce il passaggio tra le camere il P.R. lo promulga ed entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.








L'ATTIVITÀ' LEGISLATIVA DEL PARLAMENTO (23/24 MARZO)


In Francia per alcune materie è competente a legiferare il Parlamento, per altre il Governo. In Italia no, e in particolare il Parlamento è obbligato a legiferare in caso di riserva di legge, specificando per lo meno i principi della futura legge.

Il procedimento di approvazione di una legge è lungo anche perché in Italia vige il bicameralismo perfetto [le due camere hanno gli stesso poteri (parità sul piano funzionale) ed entrambe sono rappresentative di tutto il popolo (parità strutturale)], unico esempio in tutto il mondo frutto di un compromesso della Costituente; infatti la sinistra voleva un parlamento monocamerale, più progressista, invece, la destra proponeva una seconda camera che rappresentasse le regioni (come negli Stati federali) oppure gli interessi, una sorta di camera delle corporazioni. Il sistema bicamerale è stato in seguito modificato, paradossalmente rendendo ancora più simili le due camere. Le differenze che sussistono ora sono lievissime: la Camera dei deputati consta di 630 membri, che per essere eletti devono avere compiuto i , votati da chi ha compiuto almeno 18; il Senato comprende 315 membri, con almeno   anni, votati da chi ha computo almeno 25 anni.

Sono state proposte varie riforme del sistema parlamentare:

- Si era previsto di trasformare il Senato in una Camera delle Regioni, sul modello americano, ma nell'ultimo progetto di riforma non gli si attribuivano praticamente poteri.

- Oppure il potere legislativo rimaneva ad una camera, e l'altra aveva soltanto una sorta di potere di veto, poteva cioè soltanto chiederne la revisione o approvarlo [la legislatura in cui era stato presentato questo progetto finì, e alla fine di una legislatura tutto ciò che non è diventato legge decade.].

Istituendo una camera delle Regioni si voleva cercare di assicurare una rappresentanza anche alle Regioni che, da enti deboli come erano stati pensati, cioè con compiti secondari, senza alcuna autonomia finanziaria, si stavano definendo - con la legge Bassanini - sempre più come centri di potere autonomo. In mancanza di una camera delle Regioni si è risolto il problema con la "Conferenza Stato - Regioni" e la "Conferenza Stato - Città" In cui siedo i rappresentanti del Governo e rispettivamente i rappresentanti dei governi regionali e i Sindaci. Le due conferenze danno parere ai Governi sui disegni di legge del parlamento in materia di enti locali. Quindi Rappresentanti dei Governi danno parere sui decreti legislativi ed intervengono nei procedimenti legislativi. Nelle conferenze, di fatto, gioca poco l'appartenenza politica, di solito i rappresentanti lavorano all'unanimità e per questo, anche se il loro parere non è vincolante, il Governo ha una certa forza "contrattuale" nei confronti del Parlamento.

Oltre alla funzione legislativa, il Parlamento strumenti per esercitare un controllo sul Governo:

- La legge di Bilancio [solo formalmente si tratta di una legge, in realtà il contenuto è quello di un bilancio tecnico, formulato con dei criteri di competenza - le entrate si iscrivono al momento dell'accertamento e le uscite al omento in cui sorge l'impegno]. Per costituzione Il Governo non può spendere più di ciò che ha previsto nel bilancio, ne istituire nuovi tributi ne stabilire nuove spese: per questo il bilancio non è idoneo ad essere uno strumento di programmazione; non potendo far variare alcuna voce era impossibile governare. Questo ha portato ad una riforma della struttura finanziaria, con l'introduzione negli anni '80 della legge finanziaria che, approvata appena prima del Bilancio, fa ciò che l'art. 81 vieta al Bilancio di fare. Visto poi che la legge Finanziaria modificava dal punto di vista finanziario moltissime leggi, il parlamento ha colto l'occasione per modificare quelle leggi anche sotto aspetti che finanziari non sono. E visto che si toccano praticamente tutti gli aspetti della legge, ora la finanziaria è un lavoro enorme, una legge omnibus, praticamente l'unica, insieme ai suoi collegati, del Parlamento.

Il Bilancio è per legge sottratto al Referendum e, per interpretazione estensiva della Corte Costituzionale anche la legge Finanziaria. Si ha così che paradossalmente il provvedimento legislativo più importante in Italia è sottratto all'abrogazione con il referendum.

La legge di Bilancio è una legge ad iniziativa vincolata (può essere presentata solo dal Governo) e deve essere approvata entro il 31.12. Nel caso che il Parlamento non riuscisse entro questo termine, per evitare di bloccare tutto ili lavoro del Governo, è previsto "l'esercizio provvisorio del Bilancio" che, però non può durare più di 4 mesi (nei quali non si possono spendere più dei 4/12 dei fondi).

Anche la legge Comunitaria è una legge ad iniziativa vincolata, come pure la legge di ratifica dei trattati internazionali. La legge Comunitaria è un'altra legge omnibus, cioè onnicomprensiva che recepisce una tantum tutte le direttive comunitarie. Questo sposta ovviamente il baricentro legislativo dal Parlamento verso il Governo.

- Un altro strumento di controllo sono i meccanismi relativi alla concessione della fiducia.

- Oppure le interrogazioni e le interpellanze, nelle quali il Parlamenti richiede al Governo di dare spiegazioni sulle proprie linee politiche.

- Le mozioni sono auspici politicamente vincolanti perché il Governo si muova in un certo modo, riguardo certe questioni.

- Le Commissioni invece (nel procedimento legislativo sono permanenti e con una competenza specifica) nel procedimento di controllo sono temporanee, istituite con una legge del Parlamento e servono ad indagare su certi settori in cui si ritiene carente il governi. Per fare questo sono dotate di tutti i poteri istruttori della Magistratura.

Ruolo delle fonti comunitarie nell'ordinamento giuridico italiano.

Gli atti normativi adottati dagli organi/istituzioni della Unione Europea (Il parlamento insieme al Consiglio, Il Consiglio oppure la Commissione) possono essere, secondo l'art. 189 del trattato CEE (modificato nella numerazione ad Amsterdam e Maastricht):

1) Regolamenti (atti normativi di portata generale, obbligatori in tutte le loro parti, direttamente applicabili, hanno valore su tutto il territorio dello stato membro. Contengono una disciplina completa della materia regolata, entrano in vigore direttamente e contemporaneamente in tutti gli stati)

2) Direttive (vincolano lo Stato al perseguimento di determinati obiettivi, libero nei mezzi)

3) Decisioni (rivolti a soggetti interni agli Stati, provvedimenti più amministrativi che normativi)

4) Raccomandazioni e Pareri (Non sono fonti del diritto perché privi di valore normativo).

I regolamenti

Sono a priori direttamente applicabili, anzi, è vietato un atto interno che li recepisca, perché il regolamento deve entrare in vigore contemporaneamente in ogni Stato membro, ciascuno dei quali avrebbe dei tempi di recezione diversi.

Per l'ordinamento italiano si pose il problema di legittimare l'ingresso dei regolamenti nel sistema delle fonti. La legge ordinaria (1203/57) con la quale era stato recepito il trattato CEE avrebbe infatti potuto essere dichiarata incostituzionale, poiché la Costituzione italiane non prevede che si possano recepire direttamente norme internazionali, senza una mediazione interna. La Corte Costituzionale ha deciso con una interpretazione estensiva dell'art.11, decidendo che il recepire direttamente un regolamento, equivaleva a consentire una limitazione della sovranità.

I rapporti però tra l'ordinamento italiano e i regolamenti sono complicati dal fatto che la Corte di Giustizia europea ha sempre sostenuto la supremazia del regolamento sulla legge ordinaria (riguardo la stessa materia) come una garanzia della sua diretta applicabilità (se infatti fossero fonti di pari grado una legge successiva abrogherebbe il regolamento, rendendo non uniforme nei vari stati non uniforme), mentre la Corte Costituzionale italiana non è stata sempre dello stesso avviso. Il suo atteggiamento è cambiato nel corso degli anni:

- In una prima fase, negli anni '60 decise (sentenza 14/64) che l'art. 11 era una norma permissiva, non imperativa, negando implicitamente la supremazia del diritto comunitario si quello italiano. L'Italia, cioè, dopo aver consentito alle limitazioni della sovranità che il recepire direttamente i regolamenti comporta, può cambiare idea, cambiando con una legge ordinaria le disposizioni in materia

- Negli anni '70 (la sentenza di riferimento è la 183/73, ripresa e specificata con la 232/75) si arriva a riconoscere ai regolamenti una forma di superiorità. Il problema stava nel fatto che organi non democraticamente legittimati emettessero regolamenti, che non si possono abrogare con referendum, non sono soggetti a controllo costituzionale, di fatto impongono obblighi senza essere leggi. La decisione della Corte fu che i criteri di legittimità delle leggi non si possono applicare ai regolamenti che hanno criteri di legittimità loro propri. La comunità europea ha la prevalenza sono sulle materie per cui è competenti. Nelle altre materie è lo Stato a prevalere.

- Nel '75 si stabilisce che nel caso di conflitto tra un regolamento e una legge ordinaria, prevale sempre il regolamento, applicando il principio gerarchico se precede la legge (infatti una legge successiva contraria al regolamento dovrebbe essere dichiarata incostituzionale per aver violato l'art. 11) e invece quello cronologico se la segue. In questo modo l'art. 11 diventa una norma imperativa e non più semplicemente dispositiva. Tuttavia permangono ragioni di disaccordo con la Corte Costituzionale, visto che questa pretendeva che la prevalenza del regolamento fosse stabilita dal giudice ordinario, senza la necessità di sollevare la questione di incostituzionalità, sulla quale può decidere solo la Corte Costituzionale. (Fino al 1989 era in arretrato di anni sul lavoro, e se avesse dovuto decidere il regolamento non sarebbe entrato immediatamente in vigore, non rispettando così il requisito della contemporaneità). Ormai le divergenze sono ridotte ad un problema pratico.

- La sentenza 170/84 "L'ordinamento italiano e quello europeo sono separati ma coordinati, il criterio cronologico non ha senso: il regolamento europeo si applica perché prevale, anche se non abroga la legge contraria, che resta inapplicata finché è in vigore il regolamento. La Corte Costituzionale interviene soltanto se la questione di costituzionalità riguarda i principi fondamentali, sia che siano italiani (contrastati dal regolamenti europei) sia che siano comunitari (contrastati dalla legge europea). Nel caso che un regolamento sia in contrasto con i principi fondamentali italiani, però, la Corte non può agire su di esso, abrogandolo; può soltanto rifarsi sulla legge 1203/57 che, recependo il trattato CEE ha permesso al regolamento di entrare nel nostro ordinamento. In questo caso quindi l'Italia uscirebbe dalla comunità europea.

Questo rimedio parve troppo drastico in seguito. Nel 1989 infatti fu posta una questione sul diritto di difesa. Si riteneva che il trattato istitutivo violasse il diritto di difesa perché l'art. 137 del trattato istitutivo concedeva alla Corte di Giustizia la facoltà di far decorrere solo dal futuro l'invalidità di una norma, o comunque di decidere da quando iniziano a decorrere le sue sentenze (quindi il processo che aveva sollevato la questione poteva non beneficiare dalla dichiarazione di invalidità). La sentenza 232/89 "Visto che cioè che si riteneva improbabile accadesse, cioè che un regolamento violi i principi fondamentali, è in realtà possibile, allora è possibile per la Corte Costituzionale valutare ogni norma del trattato singolarmente, così come interpretata e applicata (possibilità di decidere sulle sentenze della Corte di Giustizia), e non uscire dalla CEE tout court.

- Nel 94 la corte si riserva il diritto di intervenire in via principale, e non soltanto incidentale, per impedire il formarsi di leggi viziate che regolino i rapporti Stato/Regione (quindi interviene anche su questioni che non riguardino i principi, purché sollevate in via principale). Della stessa questione (sentenza del '95) se sollevata in via incidentale la corte non decide.

Le direttive comunitarie sollevano il problema dell'obbligo del risultato. Infatti, poiché servono ad armonizzare la normativa nei vari Stati, sono stabiliti in sede comunitaria soltanto i principi, e non mezzi. Ma, poiché alcuni stati erano cronicamente in ritardo (Italia e Belgio) sull'applicazione delle direttive e le lasciavano "scadere", cioè lasciavano decorre il termine per l'applicazione, ora le direttive contengono anche i mezzi: lo Stato se interviene in tempo utile ha la possibilità di decidere autonomamente, ma se le lascia scadere esse divengono immediatamente applicativa. (e su questo Corte Costituzionale e di Giustizia sono d'accordo)

Se la direttiva non è abbastanza dettagliata per essere direttamente applicata e lo Stato la lascia scadere, ciascun diritto che ne avrebbe avuto in capo precisi diritti può chiedere presso qualunque giudice un risarcimento da parte dello Stato. Con queste due sanzioni, da una parte la diretta applicabilità e dall'altra il risarcimento ai cittadini si vuole punire l'inerzia del legislatore.

Lo status di Parlamentari (14 Aprile)


L'art. 65 riserva alla legge il compito di stabilire delle cause di ineleggibilità. Fissare queste ultime, cioè limitare il diritto di essere eletti, è giustificabile soltanto con l'esigenza di salvaguardare il diritto di voto libero degli altri. Gli impedimenti all'elezione sono: il mantenere rapporti economici significativi con lo Stato; essere titolari di concessioni pubbliche di grande importanza o essere amministratori (gli azionisti non sono nominati) detenere cariche impiegatizie ed elettive (ed è strano che altre persone, magari più influenti di un impiegato statale, possano invece accedervi: per esempio un direttore di giornale, il presidente di una squadra). La sentenza 344/93 ha dichiarato che includere tra le cause di ineleggibilità il possesso di cariche locali (sindaci di città con più di 20.000 abitanti, presidente della regione) è un vincolo anticostituzionale alla candidatura in altri collegi., e quindi ha abolito queste cause.

Gli uffici elettorali raccolgono le candidature ma controllano solo i requisiti di età e il possesso dei diritti politici. Gli altri controlli spettano alle camere (per evitare interferenze di altri poterei, tradizionalmente legati al re) in cui essere eventualmente eletti, nel caso un'elezione risulti invalida, se si era stati eletti con il maggioritario bisogna rifare l'elezione; invece con il proporzionale passa al seggio il primo non eletto dello stesso partito.

Il concetto di incompatibilità è diverso da quello di ineleggibilità: infatti, in questo caso chi è eletto per essere titolare della carica deve rinunciare alla carica incompatibile.

Per quanto riguarda il mandato parlamentare ci sono due articoli in parziale contrasto: l'art. 67 vieta il mandato imperativo e l'art. 59 obbliga il parlamentare che andasse contro il programma del partito con il quale si è presentato a dimettersi. La discordanza si spiega considerando che l'art. 59 è valido soltanto in casi estremi: se un partito si presentasse con un programma e poi tentasse la via autoritaria 8senza averla prevista nel programma) tutti i suoi parlamentari sarebbero obbligati a dimettersi. paradossalmente il fatto di essere stati eletti in un collegio favorisce gli spostamenti da un partito all'altro, perché ci si sente più legati agli elettori e meno al partito.

Per quanto riguarda l'immunità parlamentare, di cui all'art. 68, essa copre tutta l'attività politica del parlamentare? La giurisprudenza più recente (sentenze 10 e 11/2000) stabilisce che non tutta l'attività politica è coperta, ma soltanto quella con uno stretto nesso con l'attività parlamentare. Chi ne deve decidere? la querela si presenta al giudice ordinario, se questo decide di procedere contro il parlamentare la camera cui esso appartiene può fare opposizione. Se il giudice la ritiene ingiustificata può fare ricorso alla corte sollevando il conflitto di attribuzione.

I parlamentari godono inoltre di uno speciale regime di tutela della segretezza e libertà; nella precedente versione dell'art. 68 esisteva l'istituto della autorizzazione a procedere, che consentiva alla camera di non consentire a procedere se riteneva che il parlamentare fosse oggetto di persecuzioni. L'abuso fatto di questo istituto ha portato alla modifica dell'art. 68, che stabilisce che è necessaria l'autorizzazione della camera di appartenenza solo per gravi limitazioni della libertà e per procedere a intercettazioni telefoniche (il paradosso è che secondo l'interpretazione letterale la richiesta dovrebbe essere fatta prima, pubblicamente, avvertendo così il parlamentare. Prevale il buon senso).











IL GOVERNO. ATTIVITÀ' DI INDIRIZZO POLITICO E ATTIVITÀ' NORMATIVA. (30 MARZO/4 MAGGIO)


L'idea che guidò la Costituente era quella di avere un governo che svolgesse una funzione di secondo piano, mentre fosse il Parlamento, avendo la competenza esclusiva delle legge, ad avere funzioni di primo piano. Anche nella regolamentazione gli si dedicò poco spazio: 10 articoli, confronto ai 27 del Parlamento. Il Governo uscente rimane in carica fino alla concessione della fiducia al nuovo ma nel periodo transitorio può svolgere solo funzioni di ordinaria amministrazione. Quella fondamentale, indirizzo politico, è legata alla fiducia. Cos'è l'indirizzo politico' la funzione che identifica gli scopi dello stato in quel momento. I programmi di solito riguardano la politica di Bilancio, la politica economica (decisa insieme alla UE e alla Banca d'Italia), la politica estera (che non riguarda più amici/nemici, ma piuttosto i partners commerciali). In teoria il nuovo governo dovrebbe essere in carica da quando presta giuramento nelle mani del P.d.R. (art. 93). Dopo avere accettato le dimissioni del P.d.C. uscente il P.d.R. nomina il nuovo. Questo ha l'incarico di formare un nuovo governo che, dopo avere giurato, deve ottenne la fiducia del Parlamento entro 10 giorni. La fiducia viene concessa sulla base del programma politico dato per appello nominale, ed è sufficiente la maggioranza semplice. La Costituzione prevede dei momenti di confronto tra Parlamento e Governo e in ognuno di questi momenti è possibile la mozione di sfiducia (art. 94), che deve essere sottoscritta da almeno 1/10 dei parlamentari. Per evitare colpi di mano della minoranza devono passare almeno tre giorni dalla sua sottoscrizione prima che la mozione di sfiducia sia discussa; infatti per approvarla definitivamente bastano poco più di 1/4 dei parlamentari (e quindi i tre giorni servono per dare tempo ai parlamentari per essere presenti). La mozione di sfiducia è stata pochissimo usata nella storia italiana perché la maggioranza dei Governi che si sono succeduti era "di coalizione", con uno strapotere dei partiti piccoli, che unendosi a uno dei grandi, permetteva di raggiungere la maggioranza. Il presidente del consiglio, quando veniva meno l'armonia nella coalizione, si presentava direttamente dal presidente della repubblica senza passare dal parlamento. Per non assumersi la responsabilità, il P.d.R. rimanda il P.d.C. alla camere, per provocare una discussione che dovrebbe essere pubblica (per essere democratica) sulle cause delle dimissioni [si critica a questo proposito il Parlamento europeo, perché tutti i suoi lavori si svolgono in segreto].

Il P.d.C. per costituzione mantiene l'unità dell'indirizzo politico, convoca le assemblee, stabilisce l'ordine del giorno, presiede le conferenze Stato -regioni/città, è titolare dei poteri di esternazione Si tratta di un potere significativo, perché non ci sono verbali del consiglio dei ministri. Nel caso uno di essi non fosse d'accordo (il problema è anche della corte costituzionale, ma in quel caso ogni giudice può scrivere nella sentenza la propria opinione) potrebbe andarsene perché, da quando è possibile sfiduciare un solo ministro ci sono delle deroghe alla collegialità dell'organo. I singoli ministri sono organi "bifronti", da una parte sono nel consiglio dei ministri parte di un organo collegiale, dall'altra sono a capo dei rispettivi ministeri. Il Presidente può sottoporre all'intero collegio atti amministrativi dei singoli ministri. Se non lo fa il collegio si suppone in consonanza con quanto deciso dal ministro. L'idea della costituente era quella di regolare un eventuale dissenso tra Parlamento e governo, (anche se teoricamente dovrebbe esserci una certa omogeneità), poiché in Italia i parlamentari non sono vincolati ad alcuna dittatura elettiva, come in Inghilterra e possono fare praticamente ciò che vogliono. Il Governo può anche utilizzare impropriamente lo strumento della fiducia, ricattando il parlamento con la minaccia delle dimissioni per ottenerne l'approvazione. Una volta messo in minoranza il governo (ribaltone) è possibile che le camere vengano sciolte e si indicano nuove elezioni. per quanto riguarda le elezioni regionali, se il presidente di una regione cade, decade anche il rispettivo consiglio regionale (simul stabant, simul cadant). questo non è previsto per il governo ed il parlamento (se votare per la sfiducia significa dover andare a nuove elezioni, il Parlamento ci penserebbe due volte).

E' possibile votare la sfiducia anche al singolo ministro: il governo è un organo collegiale dal punto di vista della struttura: Consiglio dei ministri T singoli ministri T presidente del consiglio. L'organo più importante è il consiglio (i poteri dirigenziali concessi al presidente del consiglio non sono grandi poteri, art. 85), in cui si svolge tutta l'attività del governo. per una fase non è stato possibile sfiduciare una solo ministro, in quanto il governo lavorava collegialmente. Il caso del ministro della Giustizia Mancuso ha sollevato il problema: il parlamento gli votò singolarmente la sfiducia e così il ministro avrebbe dovuto dare la dimissioni, ma non lo fece. Sarebbe dovuto intervenire il P.d.C., che, vedendo un proprio ministro sfiduciato, avrebbe dovuto dimettersi. Oppure il P.d.R. sciogliendo le camere. Invece la gestione del ministero della giustizia venne data al presidente del consiglio ad interim, e la Corte costituzionale diede ragione al parlamento: una scelta in favore della stabilità del governo. Ora la mozione di sfiducia al singolo comporta le sue dimissioni, ed è entrata nella prassi. Le fonti per la legislazione sul governo si trovano nella costituzione, nella legge 400/88 e nella prassi.

Per quanto riguarda i poteri normativi, il governo presenta disegni di legge, decreti legge, decreti legislativi, regolamenti atti di indirizzo e regolamento nei confronti delle regioni.

Dal punto di vista politico ci sono molti ministeri, anche senza portafoglio, per accontentare tutte le diverse forze politiche. Sempre in quest'ottica è stata concepita la ura del vicepresidente del consiglio, e il proliferare dei vari sottosegretari

(hanno una funzione di raccorda tra i politici e l'amministrazione, anche se sono nominati con il governo. il vero tecnico effettivamente è il direttore generale).

Per gestire settori dove sono necessarie grandi competenze tecniche , in cui sia dannosa l'attività tipicamente politica di mediazione, sono state istituite le cosiddette autorità indipendenti, nominate dal presidente ma non revocabili da nessuno, per essere svincolate appunto dal potere politico. hanno poteri amministrativi e normativi e para giurisdizionale e accentrando in sé così tanti poteri, è possibile fare ricorso al giudice contro di loro.


























PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. MAGISTRATURA (6 APRILE)


In Italia tra Governo e Parlamento il rapporto deve permanere con la fiducia. Nel sistema direttoriale, per esempio, il governo dura tutta la legislatura, la fiducia è data una volta per sempre; è un sistema più stabile, adatto al bipolarismo. Di solito più ci sono partiti, più il governo è instabile, perché può essere ricattato dai partiti della coalizione della maggioranza. In Italia è stato concepito il Presidente della repubblica come fattore stabilizzante. Non è più come in passato solo un ingranaggio del potere esecutivo, ma funge da garante. Ha caratteristiche proprie del sistema presidenziale e del sistema monarchico (art. 83-91).

Il Presidente è svincolato dalla maggioranza parlamentare, di questo è garanzia il fatto che sia eletto in seduta comune (che può essere convocata soltanto nei casi previsti dalla costituzione, cioè per nominare posizioni di garanzia: il presidente, i 5 giudici della Corte costituzionale, un terzo dei giudici del consiglio superiore della magistratura), insieme ai delegati delle regioni, scelti in modo che sia rappresentata anche la minoranza. Lo scrutinio è segreto, per evitare le indicazioni dei partiti.

Un aspetto discusso è la identificazione delle candidature: infatti i nomi circolano in modo informale tra i parlamentari, ci sono trattative segrete, i candidati non presentano il proprio programma.

Per le sedute comuni, in assenza di uno specifico regolamento si applica quello della camera (infatti il presidente della seduta comune è quello della camera dei deputati) e quindi sono vietate le discussioni e alla Costituente si era anche formata la proposta di nominare un'assemblea apposita per eleggere il Presidente, ma la proposta è caduta.

Una ulteriore garanzia della sua imparzialità è che abbia una struttura organizzativa sua propria e non è detto affatto che sia u parlamentare. Con tutti gli altri poteri ha relazioni specifiche:

Con il Governo ha un rapporto molto stretto, visto che lo nomina. Infatti la concessione della fiducia segue la nomina, e le consultazioni elettorali che precedono la nomina non sono obbligatorie, sono un'usanza

Può sciogliere le camere (unico e debole vincolo è "sentire" i loro presidenti).

Nei confronti di entrambi poteri è una ura piuttosto blanda in tempi normali, ma che può esercitare pressioni molto forti in momenti di crisi [vi fu un caso in cui il Parlamento votò a voto palese le fiducia ad un Governo su una certa legge e poi, a voto segreto, bocciò la legge. La cosa si ripeté e il Presidente minacciò di sciogliere le camere se il voto sulla legge non avesse rispecchiato quello sulla fiducia].

Ha anche poteri residui (il comando delle forze armate) ereditati dalla ura del sovrano

E' interessante lo stato giuridico del presidente. I parlamentari hanno una serie di garanzie di responsabilità civile e in campo penale (per procedere ci vuole l'autorizzazione della camera di appartenenza. Il Governo al contrario non gode di nessuna garanzia, dopo che è caduta anche quella, lieve, che i ministri potessero essere processati soltanto davanti alla Corte Costituzionale. Per quanto riguarda il Presidente la Costituzione è piuttosto oscura: può essere giudicato solo dalla corte più 16 giudici scelti in apposite liste, solo per alto tradimento e violazione della costituzione. In cosa consistano questi due crimini non è specificato, si lascia di stabilirlo in gravi circostanze. In questo particolare caso non vale la garanzia dell'art. 25, "Nullo crimen sine lege", e le uniche garanzie sono di tipo procedurale. Il fatto che non sia responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, come per i ministri è inteso in senso amplissimo, basta cioè un minimo aggancio alla veste ufficiale. Per i reati comuni è comunque processabile dopo la fine del mandato.

La definizione dell'art. 89 deriva dallo statuto Albertino, e ora ci sono atti validi anche se non controfirmato: le dimissioni, i messaggi (anche se la prassi favorisce l'uso della controfirma.)





L'ATTIVITA' AMMINISTRATIVA (5/11 MAGGIO)


Nell'800 l'amministrazione statale era un corpo minimo, il cui modello ricalcava quello dell'apparato militare prussiano, una struttura cioè fortemente gerarchica. Con il nascere di nuovi bisogni ci si rese conto che era insufficiente. Alla fine dell'800 ci sono nuove esigenze di benessere, ma lo stato sociale in senso proprio nasce nel 1948, con la Costituzione. L'art. 3, per esempio, non segue lo schema "fattispecie-sanzione", pone invece i cosiddetti diritti sociali: al lavoro, alla salute, all'istruzione, alla previdenza sociale.. Il problema è che non è sancito niente di direttamente applicabile, per questo è necessaria la mediazione della legge ordinaria; ma in questo modo la Costituzione no svolge più un ruolo precettivo, ma solo programmatico. [Forse per questa ragione le atre costituzioni non hanno costituzionalizzato i diritti sociali: Germania: lo Stato è sociale; Sna: la norma sul diritto alla salute si indirizza solo al legislatore] Tuttavia in forza di queste norme la Corte Costituzionale ha sempre cercato di ampliare al massimo numero di categorie certe forme di tutela (per esempio estendendo il diritto all'esenzione dal ticket), ma paradossalmente senza mai chiamare in causa l'art. 3: usando il principio di uguaglianza formale davanti alla legge, interpretandolo con il principio di ragionevolezza. Si tratta però di sentenze "politiche" che, per giunta, comportano aggravi fiscali per il bilancio statale. Questa linea della Corte ha portato a gravi problemi, tanto che ora si sente profondamente l'esigenza di rivedere l'intero sistema elle garanzie sociali. E' il caso per esempio delle pensioni: si è passati da una concezione di "retribuzione differita", che implicava che poiché ciascuno deve essere ato in proporzione al lavoro (art. 36), i pensionati dovevano percepire uno stipendio. Ora l'idea è quella di un sistema contributivo, ossia la pensione che spetta a ciascuno deve essere proporzionata a quanto egli ha contribuito al fondo pensioni. La scelta di passare da un sistema all'altro è stata fatta non sulla base della costituzione, ma seguendo esigenze finanziarie.

Quindi cambia la definizione dell'amministrazione: nell'800 "aveva poteri". Ora "svolge funzioni". Si vede osservando la giustizia amministrativa (quando una delle parti in causa è lo Stato o un ente), in cui i giudici sono nominati dallo Stato; l'amministrazione ha ancora poteri quando chiama in causa interessi legittimi; se si tratta di diritti soggettivi essa ha soltanto funzioni, quella appunto di far emerge questi diritti che le preesistono. Il passaggio dai poteri alle funzioni è avvenuto nella prima metà del '900, ma non trova riscontro nella Costituzione: art 97/98 citano soltanto la legalità amministrativa, ossia il concetto per cui gli ambiti di azione dell'amministrazione devono trovare in una legge la motivazione e la modalità di organizzazione dei servizi (la riserva di legge è relativa: non è che la legge debba legittimare tutto, ci sono per esempio anche i regolamenti di organizzazione del governo). L'imparzialità dovrebbe essere garantita se l'amministrazione adottasse provvedimenti precostituiti. Ci sono leggi di organizzazione folli, ma poiché difficilmente danno adito ad un processo è difficile che possano essere sottoposte alla Corte con un processo incidentale. Anche in via principale è difficile intervenire, perché le leggi devono toccare le regioni per poter essere da queste impugnate. (Ci sono stati sinora pochi esempi: il caso delle commissioni di concorso che erano composte solo da politici).

Art. 98: l'idea che i pubblici funzionari siano responsabili delle loro azioni è critica. Se il funzionario sbaglia, per esempio a calcolare le tasse lo è chiaramente; ma se è giudice in un concorso pubblico? se fa un errore di valutazione è significativo?

E' la legge che determina i casi in cui i funzionari sono responsabili, settore per settore. Lo sono comunque sempre per dolo e colpa grave. Un altro problema è se, una volta sbagliato, si debba are un indennizzo (basta provare il fatto) o un risarcimento (bisogna provare fatto e danno).

Per quanto riguarda i pubblici impiegati si sta assistendo ad una privatizzazione in questo campo. La mancanza di controlli di efficienza (pochi sprechi) ed efficacia (obiettivi), ma solo di controlli di legalità, infatti disincentiva la "produttività". Negli anni '90 si è quindi parlato di privatizzazione, ma l'assunzione per concorso pubblico e il controllo di legalità sono ostacoli seri. A livello di vertice, invece, sono stati fatti molti progressi nel senso della responsabilità gestionale, del perseguimento di obbiettivi di efficienza, ma il personale di base resta lo stesso. Le cause di lavoro, tra Stato e pubblici impiegati, che prima erano competenza del TAR, ora sono state trasferite al pretore del lavoro, giudice unico e competente, nell'ottica della privatizzazione. Dei pubblici impiegati si occupa l'art. 98 ter, con un effetto di rafforzamento dei sindacati.

I beni della pubblica amministrazione, demaniali o patrimoniali, sono soggetti ad uno status con vincoli particolari.

Per quanto riguarda la gerarchia il cittadino determina l'organo di vertice della P.A., su base territoriale, che poi deve integrarsi con tutti gli altri livelli. Il problema del coordinamento è appunto all'ordine del giorno, anche per la recente riorganizzazione del regioni. La riforma del 1999 ha avviato, oltre ad una ristrutturazione dei ministeri, anche la creazione a livello territoriale di momenti di coordinamento orizzontale tra le amministrazioni locali e le amministrazioni decentrate dello Stato, basati sulla ura di raccordo del prefetto.

Lo Stato dispone di organi ausiliari, disciplinati dagli art 99 e 100:

Consiglio di Stato, che per tradizione era il grande organo consultivo del sovrano, con due rami, quello consultivo e quello giurisdizionale. Quello consultivo si occupa di dare pareri facoltativi, obbligatori (se la legge prevede che si debba sentire il consiglio di stato) o vincolanti (tipicamente nel caso di acquisto o riacquisto della cittadinanza). Per quanto riguarda la funzione giurisdizionale il C.d.S. è l'organo di appello dei TAR (unico, con sede a Roma). ½ è un collegamento fra le due funzioni: infatti il C.d.S. può dare dei pareri allo Stato, indicando cos la via che sarà seguita nel caso di controversie.

Corte dei Conti: esercita un controllo preventivo su tutti gli atti con conseguenze finanziarie. Ha inoltre funzioni giurisdizionali nel caso di controversie con lo Stato (es. pensioni) per l'uso del denaro pubblico, ed interviene. E' stata decentrata a livello regionale.

Per quanto riguarda l'attività della P.A. si distingue tra atto (ura tipicamente continentale) e procedimento (UK), definito come una manifestazione di volontà o conoscenza della P.A. che produce effetti giuridici in capo ad un soggetto; deve per forza essere composto di un oggetto, un soggetto, una causa (la ragione ultima che permette al diritto di agire), una forma, una volontà. La forma è ovviamente importante, ed è richiesta la forma scritta per rendere facile il controllo. Importante notare che si può impugnare l'elencazione dei motivi (anche se le caratteristiche sono comuni al contratto, il diritto privato non prende in considerazione i motivi, a meno che non siano illeciti o conosciuti). Gli atti possono essere discrezionali, o vincolati. In base alle motivazioni espresse si valuta quindi anche l'uso della discrezionalità. Le fonti del diritto amministrativo: la Cost., le leggi, la giurisprudenza.

L'attività amministrativa è prevalentemente discrezionale: si pongono per legge soltanto i fini. L'alternativa sarebbe un'attività vincolata, nel qual caso il controllo sarebbe più facile; il controllo dell'attività gestionale richiede infatti strumenti più sofisticati, che sono stati stabiliti nel tempo e con la pratica:

a) eccesso di potere: un atto magari formalmente corretto è stato adottato per fini diversi da quelli della legge. Può essere tale per straripamento (nel caso di abuso grave) o per una più sottile ragione : si concede una licenza edilizia su un terreno non edificabile per ragioni proprie. Trattandosi di una invenzione della giurisprudenza, solo in seguito codificata, è stata classificata in molti sottogruppi: "erronea valutazione dei presupposti di fatto"; "carenza di motivazioni".

Inizialmente la motivazione non era una necessità per gli atti amministrativi. Lo è diventata con la legge 241/90, nella quale si disciplina il procedimento. "Il procedimento è l'insieme dei passaggi che portano all'emanazione dell'atto" se può essere svolto senza nessuna formalità, il controllo soltanto sulla base del risultato finale è piuttosto difficile. Per questo la legge ne stabilisce le fasi: 1) fase di inizio, in cui è necessario stabilire chi sia legittimato a cominciare; 2) fase istruttoria, in cui ciascuna parte porta perizi e rilevamenti; 3) fase di emanazione. La legge legittima inoltre certi soggetti a partecipare se interessati (stabilisce cioè dei diritti di partecipazione) e certi soggetti a prendere visione degli atti del procedimento (diritti di accesso). Inoltre: in tutti gli atti deve essere indicato il responsabile del provvedimento e la durata.

Tutta la prima concezione dell'atto amministrativo ricalcava la concezione del contratto. Ora non più. Sii pone il problema di come far valere l'illegittimità degli atti amministrativi. Sono possibili due strade: la giurisdizione ordinaria o quella amministrativa (negli altri paesi i giudici controllano tutti gli atti). La differenza riguarda la situazione giuridica violata: se si tratta di un diritto soggettivo, non posto dallo stato, ma proprio, al quale di solito si associa una attività amministrativa vincolata, ci sono certi rimedi; se si tratta di un interesse legittimo (posizioni del cittadino che il confronto con il potere statale rende di svantaggio), associato all'attività discrezionale i rimedi sono altri.

Il max che si possa ottenere per via amministrativa è l'annullamento dell'atto, ma, poiché solo il giudice amministrativo può annullare un atto amministrativo, questo non è possibile ottenerlo dal giudice ordinario, che può invece stabilire il risarcimento dei danni. Spesso non si tratta di scegliere la forma di tutela che garantisce un maggior vantaggio. Si tratta invece di distinguere tra un diritto soggettivo e un interesse legittimo. Una direttiva CEE sulle gare d'appalto ha stabilito che chi ne è escluso ingiustamente può ottenere il risarcimento dei danni, quindi in Italia sta saltando la distinzione tra le due forme di tutela. prima era impossibile, o almeno lungo e macchinoso ottenere ambedue, infatti bisognava iniziare e finire tutti i vari gradi di un processo amministrativo e di uno civile. esisteva tuttavia il Consiglio di ottemperanza, davanti al consiglio di Stato, a cui ci si rivolgeva per costringere la P.A. ad annullare l'atto dichiarato nullo. In questa sede era possibile anche un nuovo giudizio di merito. Su alcune materie, strettamente elencate, il TAR a competenza esclusiva, poiché la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi è sfumata.































GLI ENTI PUBBLICI TERRITORIALI (12/18/19 MAGGIO)


La regione può essere definita come un ente pubblico territoriale dotato di autonomia (concetto riconosciuto nella Costituzione); una organizzazione (sistema coordinato di uomini e mezzi creato con una norma giuridica per la tutela di un interesse pubblico) giuridica (fissata in costituzione) e territoriale (che tutela cioè gli interessi della popolazione stanziata in un determinato territorio).

Ci sono differenze tra i concetti di "autonomia" e "decentramento". L'autonomia riconosciuta alle regioni è definita politico-amministrativa, e corrisponde alla capacità della regione di soddisfare gli interessi della comunità di cui la regione è ente esponenziale (organizzazione pubblica che rappresenta politicamente la popolazione geograficamente stanziata su un territorio), esprimendo magari un proprio indirizzo politico, anche se diverso da quello statale [per esempio la coalizione di centro sinistra ora al governo può voler estendere l'assistenza sanitaria al maggior numero di persone possibili, la regione Lombardia, retta da una coalizione di centro destra, può non essere d'accordo e comportarsi di conseguenza]. Al contrario una prefettura non gode di autonomia: pur essendo un ente territoriale non può sviluppare un indirizzo politico, non deve discostarsi dalla linea del ministero degli interni, di cui è organo periferico.

L'autonomia regionale ha un fondamento super primario, nella costituzione, mentre province e comuni lo trovano nella legge generale dello Stato (che li disciplina ottemperando all'art. 128 Cost.), per questo province e comuni non possono sollevare conflitti di attribuzione dei poteri [questo è infatti possibile solo ad organi che: abbiano poteri diversi; che esprimano in modo definitivo la volontà dell'organo; che possano vantare la legittimazione costituzionale delle attribuzioni lese].

Parlando di autonomia, non si deve confondere:

Autonomia statutaria. Si fa riferimento alla legge costituzionale 22 novembre 1999, n.1. Lo Statuto è un testo normativo di base su cui poggi l'autonomia regionale. esistono 2 tipi di regioni a seconda dello statuto (art.116). Poiché nella costituzione ci si occupa solo delle competenze delle regioni a statuto ordinario, gli statuti speciali hanno il compito di disciplinare le competenze delle regioni a statuto speciale. Gli statuti ordinari, prima della riforma del 1999 erano disciplinati dal vecchi articolo 123, in cui si diceva che dovevano avere per oggetto l'organizzazione interna e la disciplina di vari istituti. facendo questo era vincolato al rispetto della costituzione e delle leggi ordinarie. Dal punto di vista dell'emanazione, invece, era necessaria una deliberazione a maggioranza assoluta del consiglio regionale, e poi una approvazione con legge del Parlamento. Questa disciplina aveva fatto sorgere dubbi sulla natura giuridica dello statuto: se fosse una legge statale l'approvazione parlamentare potrebbe anche introdurre modifiche per perfezionare lo statuto; se fosse un atto regionale, e quindi l'approvazione parlamentare svolgesse solo una funzione di controllo, il parlamento non potrebbe modificarlo unilateralmente. Prevale quest'ultima ipotesi e si dice che nel sistema delle fonti lo statuto è una fonte primaria. Il nuovo art. 123 stabilisce che ogni statuto ordinario determini i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento; una importante novità di contenuto riguarda la forma di governo regionale, cioè la disciplina dei rapporti tra gli organi, di cui prima la costituzione dava una disciplina sommaria, all'interno della quale era lasciata poca discrezionalità alla regione, ora è stata disposta una disciplina che governa e prime elezioni, e che poi verrà modificata dagli statuti. Dal punto di vista formale lo Statuto deve ora essere approvato con legge deliberata dal consiglio regionale, con due diverse delibere, a distanza non inferiore a 2 mesi, e per la seconda è richiesta la maggioranza assoluta. Questa legge non è sottoposta al visto del commissario del governo, ma entro 30 gg dalla pubblicazione lo Stato può sollevare la questione di costituzionalità. Inoltre entro 3 mesi un certo numero di soggetti (elettori o consiglieri regionali) possono chiedere un referendum regionale sullo statuto. La novità è quindi l'autonomia dal parlamento, che poggia sulle disposizioni costituzionali. E' dunque una fonte primaria che non dipende dalla legge. nel caso di conflitti di attribuzione la Corte giudica lo statuto e non la legge di approvazione del parlamento, ora. Prima lo statuto non poteva giungere alla corte ne in via incidentale ne in via principale, ma solo in ipotesi piuttosto difficili. Gli statuti si possono modificare con lo stesso procedimento di promulgazione. Una forma di controllo politico è esercitata dalla popolazione: un cinquantesimo della popolazione o un quinto di membri del consiglio regionale possono chiedere un referendum. Nel caso una nuova legge costituzionale contraddica lo statuto, questo cade in incostituzionalità sopravvenuta. L'abrogazione tacita di una norma statutaria può essere dichiarata da qualunque giudice.

Autonomia organizzativa. La Costituzione cita tre organi:

1) Il consiglio regionale: è composto da un numero variabile di consiglieri a seconda della regione, è eletto a suffragio universale diretto dagli elettori della camera dei deputati. Prima per le regioni ordinarie era stabilito con legge statale, a sistema proporzionale per 4/5 e maggioritario per 1/5, ora è disciplinato da leggi regionali che si devono conformare ai principi statali. E' titolare del potere regolamentare e legislativo è la differenza ora sta nel fatto che il presidente, che prima li promulgava tutti e due, ora promulga le leggi ed emana i regolamenti, il cui contenuto è determinato, in analogia con il livello statale dalla giunta.]; elegge i delegati che partecipano alla elezione del PdR; può proporre disegni di leggi su materie che riguardano la regione

2) La giunta regionale: è l'esecutivo a questo livello, è nominata dal presidente, prima era eletta dal consiglio; prima aveva una forma assembleare, oggi quasi parlamentare

3) Il Presidente, eletto dal consiglio prima, ora dagli elettori (anche se la costituzione riconosce la possibilità di stabilire altrimenti) a indirizzo politico alla regione.

Autonomia amministrativa: è la cura concreta degli interessi pubblici realizzata attraverso l'esercizio di poter amministrativi, che consiste nell'adozione di atti e provvedimenti amministrativi. Ci sono diversi modelli di autonomia amministrativa regionale previsti dalla Costituzione:

1) Propria, retta dal principio del parallelismo, secondo l'art. 118 primo comma: per definire l'ambito di competenza regionale sono elencate le competenze: il resto è dello Stato (negli Stati federali è il consiglio). L'autonomia amministrativa significa per il criterio del parallelismo che ove le regioni hanno autonomia legislativa hanno anche autonomia amministrativa

2) Delega Stato regioni, disciplinato dall'art 118 bis, quando non opera il 117. Se in certe materie si ravvisa un interesse esclusivamente locale allora leggi statali possono attribuire quelle funzioni alle regioni.

3) Delega regioni-enti locali: art 118 ter. Sono le regioni a delegare, si tratta di una subdelega con delega regionale.

4) Avvalimento: 118 ter, la regione usa gli uffici degli enti territoriali.

Problema: dal punto di vista strettamente materiale, sia nel caso della delega che nel caso dell'avvalimento chi compie l'atto è sempre l'ente locale. Sono diversi invece gli enti responsabili degli effetti giuridici: nel casi della delega è l'ente locale, nel caso dell'avvalimento è la regione.

Per quanto riguarda la funzione amministrativa lo Stato svolge nei confronti della regione una funzione di indirizzo e coordinamento. Gli organi regionali delle regioni ordinarie iniziano a funzionare soltanto negli anni '70, perché prima mancava una legge statale di elezione regionale. Chi esercitava tutte le funzioni di cui al 117 era lo Stato che, per evitare di cederle del tutto una volta eletti gli organi, ricorse alla funzione di indirizzo e di controllo. Tuttavia ha abusato di questo potere fissando puntualmente non solo i criteri generali, ma anche i dettagli più insignificanti. La Corte ha smesso di sostenere questa pratica con alcune pronunce del 1998. Ovviamente lo stato ha mantenuto una funzione di controllo per quanto riguarda il secondo tipo di autonomia, poiché questa è complementare all'idea di delega. Nel caso una regione non svolga una funzione che le è attribuita per delega, lo Stato può esercitare il potere di sostituzione: diffida cioè la regione entro un termine perentorio, e se questa non provvede interviene lo Stato al suo posto. Il rimedio della sostituzione può essere applicato anche nel caso di autonomia amministrativa propria nel caso in cui l'inadempienza della regione impedisca allo stato di tenere fede a obblighi internazionali. In questo caso infatti solo lo stato ne sarebbe responsabile, visto che è l'unica ad avere personalità giuridica internazionale.

L'art. 125 disciplina il controllo di legittimità dello stato sugli atti amministrativi regionali. Ci sono due tipi di controllo: di legittimità (in cui i parametri sono fissati in una norma giuridica. il rimedio per l'atto illegittimo è l'annullamento) e di merito (i parametri sono criteri di opportunità e di efficacia, il rimedio è il riesame). Il controllo di merito è previsto dalla costituzione ma può essere eliminato con legge ordinaria. Attualmente il controllo preventivo di legittimità si può applicare (L 127/97) ai regolamenti (che sono atti solo formalmente amministrativi), esclusi quelli interni del consiglio regionale, e agli atti costituenti adempimento degli obblighi derivati dall'appartenenza dell'Italia alla UE.

Con la riforma Bassanini si parla di federalismo amministrativo a costituzione invariata (legge delega 59/97), poiché ribalta il criterio di riparto delle competenze. Lo può fare? L'art. 117 è una fonte superprimaria, si può allora fissare un criterio diverso? Sì, purché la sostanza, cioè il riparto delle competenze, sia lo stesso. La 59/97 introduce il principio di sussidiarietà (sia in accezione verticale: tra istituzioni pubbliche che orizzontale: lo stato lascia ai privati certi compiti), che però fa sorgere un problema: chi decide quando deve intervenire la fonte superiore? La risposta è nel criterio di leale collaborazione (scambio di informazioni e pareri): oggi per esempio l'intesa è necessaria per la funzione statale di indirizzo e coordinamento, che prima era soltanto unilaterale. Nuovi decreti legislativi hanno istituito i cosiddetti enti funzionali (università) che non sono ne territoriali ne politici.

Autonomia finanziaria: è disciplinata dall'art 119, ed è possibile solo nei limiti delle leggi statali. Le fonti di entrate per la regione sono: Tributi propri (la regione può stabilire solo la quota, l'imposta è stabilita dallo stato) + quote erariali (distribuite secondo un criterio di perequazione) + entrate dal demanio. Ogni regione dovrebbe essere messa in grado di reperire le proprie risorse e di deciderne la distribuzione (federalismo fiscale).

Autonomia legislativa: è la capacità di adottare atti amministrativi che nel sistema delle fonti equivalgano alle leggi statali. Nel far questo la regione incontra limiti speciali e limiti generali (che possono essere di legittimità o di merito). I limiti generali riguardano tutti i 3 tipi di potestà legislativa regionale. Quelli di legittimità prevedono che una legge debba rispettare il criterio gerarchico, il criterio territoriale (non in senso rigoroso), il criterio per materia (specificato dalle regioni nel dettaglio, in caso di conflitti decide la Corte). I limiti generali di merito si hanno quanto l'attività legislativa di una regione minaccia l'interesse nazionale o delle altre regioni [cosa è l'interesse pubblico? lo stato di aspirazioni o tensione ideale verso un bene considerato dall'aspersione politica della comunità indispensabile per rispondere ai propri bisogni] Non c'è mai stata una questione di merito con il parlamento, si è sempre mascherato con il criterio territoriale o di materia e definito come questione di legittimità (processo di giurisdizionalizzazione, spostare le competenze dei tre poteri). Ci sono branche dell'ordinamento in cui sono vietate differenziazioni a livello regionale: il diritto penale, processuale, privato. I limiti speciali sono diversi a seconda dei tre tipi di potestà regionale:

a) Piena o esclusiva o primaria. E' presente solo negli statuti speciali nelle materie indicate. Incontra i seguenti limiti: 1) principi generali dell'ordinamento giuridico (per esempio il giusto procedimento amministrativo, il divieto di retroattività, che però dagli anni '80 è considerato derogabile entro certi limiti, la legge regionale è stata infatti assimilata a quella statale in questo senso, anche se le sue leggi retroattive subiscono un controllo più ferreo sulla ragionevolezza e sulla certezza del diritto, sulle sentenze passate in giudicato, sui rapporti esauriti, sui diritti questi). 2) Norme fondamentali delle grandi riforme economico-sociali che sono norme primarie. 3) Obblighi internazionali.

b) ripartita o concorrente spetta a tutte le regioni, in quelle speciali nell'ambito definito dagli statuti, in quelle ordinarie per le materie del 117. Incontra come limiti: 1) tutti quelli della a. 2) Principi fondamentali stabiliti da leggi statali "cornice". esse non sono direttamente applicabili tranne quando pongono divieti. Le leggi regionali le sviluppano. Problema: ma se non c'è la legge cornice? deve rispettare i principi desumibili dalla legislazione vigente. Problema: se la legge cornice viene modificata dopo che le leggi regionali l'hanno recepita? Spetta decidere di eventuali difformità alla corte costituzionale, perché c'è un conflitto per norma interposta (legge cornice) tra una norma primaria (legge regionale) e la costituzione (art 117). Si tratta di un caso di incompatibilità sopravvenuta (e ne decide la corte) [ma lo stato potrebbe chiedere in controllo di costituzionalità su una legge regionale, solo in via preventiva, non dopo che è entrata in vigore] o di abrogazione (e ne decide ogni giudice). E' stata preferita questa seconda soluzione, si lascia alla regione un termine di 90 gg entro cui aggiornarsi, se non lo fa, per non creare una lacuna. Per ovviare a questo problema le leggi cornice contengono una disciplina di massima (norme cedevoli) che restano in vigore sinché la regione non provvede.

c) Integrativa o attuativa: (117 bis o statuti speciali). Non vale per le materie di cui al 117 primo comma (perché per quelle vale la ripartita o concorrente); non spetta sempre alle regioni (a differenza della b).

Il procedimento di formazione della legge regionale: le fasi di iniziativa e delibera somigliano molto a quelle del Parlamento, ma le commissioni regionali sono soltanto redigenti. Non avviene subito la promulgazione perché le leggi deliberate dal consiglio devono essere vistate dal commissario del governo (che può passarle in visione al governo). Se c'è l'Ok possono essere promulgate, pubblicate sul bollettino ufficiale della regione ed entrano in vigore. Nel caso il commissario non le visti vale il silenzio assenso dopo 30 gg, nel caso il governo si opponga la si rimanda al consiglio. Se questo la riapprova a maggioranza assoluta, il governo ha 15 gg per sollevare la questione di legittimità davanti alla corte. L'intervento del governo è preventivo rispetto all'efficacia, il controllo regionale invece è successivo. Inoltre la regione può impugnare soltanto leggi statali che invadano la sua autonomia e la sua competenza.

Per quanto riguarda la dimensione internazionale dell'autonomia regionale, anche le regioni quando esercitano la potestà legislativa ripartita o concorrente possono dare attuazione ai regolamenti UE. Prima potevano svolgere soltanto attività di promozione (economica, culturale) sui propri ambiti di competenza, anche se il governo avrebbe potuto rifiutare l'intesa. Poi si sono affermate le attività di mero rilievo internazionale (gemellaggi, visite) previo assenso del governo (l'assenso si differenzia dall'intesa perché può essere anche tacito).

























LA MAGISTRATURA (25 MAGGIO)


Il potere giudiziario si distingue dagli altri poteri per l'indipendenza. Il giudice ordinario ha differenze anche con il giudice amministrativo, perché esso giudica rappresentando un organo che è parte in causa nel processo. negli ultimi anni però queste ure sono andate avvicinandosi, poiché l'amministrazione applica la legge in modo garantista, seguendo il processo (= procedimento) in funzione di garanzia del cittadino. Si differenzia anche perché l'atto tipico, la sentenza, fa stato tra le parti, definisce cioè i rapporti in modo tendenzialmente stabile. Si tratta cioè di ricercare un equilibrio definitivo più che una giustizia (certezza del diritto). Una sentenza passata in giudicato è salvo casi eccezionali definitiva.

La magistratura è un organo diffuso, senza vertice, ciascun giudice è titolare in toto della funzione giurisdizionale, tanto che ciascun giudice può sollevare davanti alla corte la questione di attribuzione (può farlo solo l'organo autorizzato ad esprimersi in via definitiva). Ci sono comunque organi "apicali": il CSM (Vertice organizzativo) e la corte di cassazione (vertice funzionale). Non c'è nessuna differenza tre un giudice della corte di cassazione e un pretore: art. 11. Tutti i giudici sono uguali, sono tutti giudici ordinari. Non c'è una legge organica sullo status dei magistrati (alcune leggi risalgono al periodo prefascista). I giudici si possono dividere in base ai gradi di giurisdizione, anche se questa divisione, che pure è una garanzia per il cittadino, non ha riscontro in costituzione:

1 Pretore e tribunale (ci sono differenze di competenze) sono i giudici che devono conoscere il fatto

2 Corte d'appello ancora giudici di fatto

3 Corte di cassazione giudicano l'operato degli altri giudici, a garanzia dell'uniformità sul territorio dell'applicazione della legge

L'unicità della giurisdizione non è rispettata in pieno, anche se per costituzione non potrebbero esserci giudici speciali, ci sono sempre i giudici amministrativi, quelli militari, tributari, delle acque. Per giustificare queste giurisdizioni speciali esse sono state rese indipendenti come la magistratura ordinaria, tanto che anche al vertice delle giurisdizioni speciali ci sono organi di autogoverno. Il CSM ha una struttura che cerca di mediare tra le esigenze di indipendenza e quelle di coordinazione con gli altri poteri, per questo è a composizione mista, con una presidenza sui generis: 20 dei 30 magistrati sono eletti con sistema proporzionale da tutti i magistrati (questo ha favorito il formarsi di correnti); 10 sono eletti dal parlamento in seduta comune.

Per entrare a far parte della magistrature ci vuole un concorso del CSM, che presiede anche alla carriera, in parte, perché per evitare pressioni ai giudici essi avanzano di carriera solo per anzianità; per la stessa ragione i trasferimenti possono avvenire solo su richiesto, o in casi speciali, ma sempre con delibera del CSM. Il potere disciplinare, per la dispersione della legislazione è difficile da identificare. Un giudice può essere giudicato in base alle circolari, ma c'è un'apposita commissione disciplinare davanti a cui si svolge un processo. L'esito può essere sottoposto al CSM nel complesso. Alcune funzioni residue possono essere esercitate dal ministro di Grazia e giustizia: può prendere provvedimenti disciplinare e nominare giudici imparanti. E' capitato che ci fossero opinioni differenti del ministro e del CSM, ma la corte costituzionale ha sempre insistito per l'accordo, rifiutandosi di stabilire una gerarchia.

Altre norme garantiscono l'indipendenza interna: si può fare ricorso contro gli atti del CSM. In che modo dipende dalla sua natura e dalla natura dei suoi atti. Il CSM è citato dalla costituzione, è "elettivo", ha una funzione di potere, ma poiché è presieduto dal PdR i suoi atti hanno la forma del dPdR e sostanzialmente sono atti amministratici, quindi si impugnano avanti al TAR del Lazio

Quella del Pubblico Ministero è una ura speciale poiché ha l'obbligo di esercitare l'azione penale, quindi non svolge funzioni di giudice (è un organo dello stato che si assume l'incarico di garantire l'ordine pubblico) però gode di tutte le garanzie dei giudici e lo è a tutti gli effetti, tanto che è sufficiente una richiesta per passare alla funzione giudicante (non nello stesso Processo)




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