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Strutture organizzative e meccanismi di coordinamento - Il problema della complessità

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Strutture organizzative

e meccanismi di coordinamento

 



Sommario: Il problema della complessità. - 1.2 L'organizzazione come macchina: la struttura funzionale. - 1.3 L'organizzazione come organismo: l'organizzazione per progetto e l'organizzazione a matrice. - 1.4 I meccanismi di coordinamento: i collegamenti trasversali. - 1.5 I team.





Il problema della complessità.


Per la teoria dei sistemi, per complessità, si intende il grado di varianza esprimibile da un fenomeno[1].

Tale varianza si manifesta su due dimensioni:

sincronica che è costituita dalla varietà, cioè dal numero dei casi con cui si presentano determinati fenomeni;

diacronica che è costituita dalla variabilità, legata alle numerose modalità evolutive con cui si può presentare un fenomeno.


Il nostro sistema economico è caratterizzato da una elevata complessità cioè dal crescere dei fenomeni di varietà e variabilità. Ciò rende difficile la previsione dell'ambiente stesso[2].

Si pensi all'evoluzione delle variabili ambientali come la domanda, la tecnologia e così via; tale situazione può dirsi semplice se si presenta con una o poche varianti prevedibili e complessa se invece si presenta con una grande complessità e variabilità di circostanze.


Tra le cause principali della complessità troviamo in particolare la globalizzazione che risulta da due forze che sono fra loro correlate[3]:

l'innovazione tecnologica, con particolare riferimento allo sviluppo della tecnologia dell'informazione (grazie in particolare alla tecnologia del microprocessore[4]) ed al conseguente declino dei costi di trasporto e di comunicazione che ha generato un'economia senza confini ma con nuovi vincoli e nuove opportunità per le imprese;

la liberalizzazione degli scambi che amplia l'efficienza ed aumenta la concorrenza tra le imprese; infatti, si assiste all'apertura di mercati di grandi dimensioni come, ad esempio, è avvenuto negli ultimi anni per l'India e per la Cina.


La complessità ambientale impone alle imprese di adottare:

strutture organizzative sempre più flessibili; infatti, si affermano nuovi modelli organizzativi in cui si assiste ad un cambiamento di ruolo delle funzioni aziendali, non più fini a se stesse, ma al servizio sia di processi di creazione del valore attivati da altre funzioni sia di quelli destinati ai clienti esterni all'impresa. Da qui l'importanza di spostare l'attenzione dalle funzioni ai processi.

strategie di collaborazione, vista la crescente consapevolezza dell'impossibilità, per le singole imprese, di sviluppare all'interno tutte le risorse, capacità e competenze, sempre più numerose e differenti, che risultano necessarie per competere con successo. In tal modo la competizione è sempre più spesso inquadrabile tra network piuttosto che tra singole imprese[5];

nuovi modelli organizzativi per le imprese internazionali, non più ad una dimensione, ma multidimensionali come il modello dell'impresa transazionale elaborato da Bartlett e Ghoshal[6] (in cui si ottiene un vero e proprio network globale), o il modello dell'impresa eterarchica della scuola svedese .


Applicando il concetto di complessità ad una struttura organizzativa ci si riferisce al numero delle varianti (differenziazione, specializzazione) che la struttura contiene al suo interno in un certo momento e al grado di cambiamento che queste varianti possono esprimere nel tempo[8]. Ad esempio:

una piccola impresa in cui la struttura organizzativa è centrata sull'imprenditore persona è una struttura semplice, in quanto contiene una limitata varietà (poca specializzazione dei compiti e dei uomini, poca differenziazione data l'elevata interscambialità);

una grande impresa è invece una struttura complessa perché ha notevolmente sviluppato al suo interno una differenziazione funzionale delle competenze (uomini) e delle responsabilità (compiti); differenziazione che deve inoltre essere variata nel tempo quando intervengono nuovi problemi per i quali la precedente specializzazione funzionale si mostra inadeguata.

Quindi è possibile avere al tempo "t" una pluralità di forme di organizzazione (varietà) che possono nascere come funzionale per poi trasformarsi in un organizzazione per progetto (variabilità) e così via.


ricerca continua di vantaggi di costo attraverso l'incremento del volume di produzione; . economie di scale e di impresa. ANNI 50-60 CORPORATION MULTINAZIONALE: . grandissima dimensione; . standardizzazione dei prodotti; . economie di scala e di esperienza; . controllo da parte del manager; . organizzazione multinazionale con notevole autonomia delle singole filiali nazionali nei confronti della casa madre. E' questo degli anni 50-60 un modello caratterizzato da una maggiore complessità rispetto a quello fordista. Se fino agli anni 60 si è avuta una crescente complessità dell'ambiente, dagli anni 70'(crisi economica) si è avuta una grande complessità. L'esplosione della complessità si ha negli anni 70' quando non si ha più il benessere diffuso che aveva caratterizzato gli anni precedenti. Si assiste ad una grande crisi a livello internazionale, non si ha più prevedibilità degli eventi, si ha una restrizione della domanda e le imprese devono passare da un orientamento alla produzione ad un orientamento al mercato prima e al marketing dopo. ANNI 70-80-90 . non esiste un unico modello di impresa; . l'impresa semi-artigianale coesiste con la grande multinazionale; . l'impresa diretta dall'imprenditore compete con la grande corporation diretta dal manager. " v:shapes="_x0000_s1031">

Secondo Gareth Morgan[9] il concetto di complessità non riguarda direttamente il mondo della realtà ma fa piuttosto riferimento al mondo delle idee cioè, al modo secondo cui ci si pone nell'interpretazione del mondo.

Secondo questo nuovo approccio la complessità non risiede nella varietà e variabilità nei modi di produrre e di consumare, ma invece nella varietà e variabilità dei nostri modi di concepire il mondo. Per questo motivo è interessante il discorso delle metafore portato avanti da Gareth Morgan che ha ricostruito l'intera storia del pensiero organizzativo dai tempi di Taylor fino alle più recenti forme organizzative. Utilizzando non una, ma più metafore aiuta a capire l'organizzazione attraverso l'osservazione della realtà, l'identificazione dei problemi, la formulazione di diagnosi e l'adozione di determinate soluzioni.

La metafora implica un modo di pensare e un modo di concepire che stanno alla base del modo secondo cui si comprende in maniera più generale il mondo.

L'uso della metafora può aiutare a penetrare nel modo con cui si "legge" il mondo e quindi l'organizzazione che è alla base della complessità che caratterizza i moderni sistemi economici.

Nel seguito della trattazione di questo modulo si utilizzà il discorso delle metafore per una migliore comprensione dell'evoluzione delle strutture organizzative.

L'organizzazione come macchina: la struttura funzionale ).


La metafora della macchina è una di quelle maggiormente utilizzate per rappresentare la nostra cultura.

Il presupposto della concezione meccanicistica è legato al fatto che quando si parla di organizzazione generalmente si ha in mente una serie stabile di relazioni ordinate tra componenti, date in modo da costituire un insieme ben definito: anche se in maniera non esplicita si pensa, dunque, ad un insieme di relazioni meccaniche.


Le principali potenzialità della metafora meccanicistica sono da riportare alla presenza delle seguenti condizioni (cioè quelle condizioni che permettono l'utilizzo delle macchine):

chiarezza dei compiti da svolgere;

ambiente stabile e statico;

produzione standardizzata di massa;

centralità della decisione;

docilità delle componenti umane della macchina (cioè gli ingranaggi della macchina sono degli uomini che a furia di fare la stessa cosa imparano, tendono a fare sempre la stessa cosa, come abbiamo visto si favorisce l'apprendimento).


I principali limiti della metafora meccanicistica sono:

sviluppo di forme organizzative caratterizzate da una notevole resistenza laddove risulti necessario adattarsi ad una ambiente mutevole;

nascita di una burocrazia ottusa e priva di senso della realtà;

crescita di effetti non previsti e non desiderabili come nel caso in cui gli interessi di coloro che lavorano nell'organizzazione abbiano il sopravvento sugli obiettivi per cui l'organizzazione è stata originariamente progettata (di fronte ad un effetto non desiderabile una struttura rigida ha una minore capacità di risposta);

effetti disumanizzanti sui dipendenti, specialmente su quelli collocati ai livelli più bassi della gerarchia organizzativa.


La visione meccanicistica dell'organizzazione è stata alla base delle prime teorie che hanno caratterizzato il mondo industriale.

disposizioni ed i doveri di obbedienza devono essere pianificati correttamente; bisogna garantire un opportuno equilibrio tra autorità e responsabilità (questo è un principio enunciato tra i principi della teoria organizzativa classica ed è valido anche oggi in pieno postformismo, in effetti le metafore sono degli occhiali con cui si vedono le cose e che contengono dei principi di cui alcuni sono perfettamente validi come questo che stiamo esaminando). Non ha senso dare delle responsabilità senza accomnarle da un appropriato livello di autorità (nella visione meccanicistica questo binomio tra autorità e responsabilità deve andare sempre di pari passo e la garanzia che vadano sempre di pari passo risiede proprio in un approccio rigorosamente meccanicistico; probabilmente andando avanti con organizzazioni più aperte, con organizzazione più leggere si consente di individuare delle strade che attenuino questa relazione che pur sempre ha una portata valida ancora oggi). " v:shapes="_x0000_s1033">
In particolare possiamo identificare una serie di principi che hanno caratterizzato l'organizzazione agli albori della produzione industriale e che costituiscono i principi fondamentali della teoria organizzativa classica:


Sono principi in parte ancora oggi presenti in quanto teorie consolidate in un determinato periodo storico, che vanno in crisi in un secondo momento, lasciano sempre un segno, un eredità che continua a vivere nelle organizzazioni successive; a tal proposito è interessante il concetto di routine come memoria di un'organizzazione, che mantiene nel tempo alcuni processi, alcuni meccanismi, alcune logiche di interazione al di là degli individui.


L'applicazione dei suddetti principi porta ad una organizzazione di tipo funzionale (.1). Questa consiste nella ripartizione delle funzioni, ciascuna delle quali vengono assegnate ad un responsabile di linea, queste funzioni, a livello gerarchico superiore, sono coordinate da una direzione generale, ciascuna delle funzioni primarie si ripartisce in altre sottofunzioni assegnate ad altri responsabili.



. 1 - Esempio di organigramma di un'impresa manifatturiera che si ispira ai principi della teoria classica dell'organizzazione di tipo funzionale.


L'organigramma (.1) offre una macrorappresentazione di un organizzazione individuandone le principali strutture funzionali.

Ogni reparto funzionale ha la sua organizzazione gerarchica come mostrato dalla ura 2 che rappresenta un reparto di produzione in dettaglio.

Si noti la catena del comando che scende dal vertice verso la base dell'organizzazione. Ogni punto della base può raggiungere il vertice solo attraverso un unico percorso, in omaggio al principio che ogni subordinato può avere un solo superiore. La linea in grassetto evidenzia questo fatto.


. 2 - Struttura dettagliata di un reparto di produzione.


Si notino (. 2) i diversi "ambiti di controllo" applicati. Il responsabile della produzione ha un ambito di controllo pari a 3, il capo impianto n.2 ha un ambito di controllo pari a 6 e così via. Si notino i reparti di staff (ad esempio Finanza, Personale, R & S) non hanno alcuna autorità su i reparti di line quale il reparto di produzione.


Principali vantaggi della struttura funzionale:

favorisce il raggiungimento di obiettivi di efficienza, tramite competenza specialistica;

favorisce lo sviluppo della formazione specialistica.

favorisce il controllo specializzato;

consente il controllo dei costi a livello di singole funzioni:

consente la gestione rapida delle eccezioni operative tramite il ricorso alla linea gerarchica chiaramente definita e conosciuta.


Principali svantaggi della struttura funzionale:

tendenza alla burocratizzazione;

verticalizzazione della struttura, non si sviluppano competenze manageriali ma funzionali;

resistenza allo sviluppo attraverso la diversificazione dei prodotti di mercato.

eccessivo orientamento all'efficienza;

vincolo all'innovazione.

ripercussioni negative sulla qualità della vita dei dipendenti (il problema del morale dei dipendenti non aveva un significato economico cioè le imprese avendo un potere contrattuale maggiore potevano imporre strutture organizzative che non tenevano conto del morale dei dipendenti);

capacità di reazione ad mutamenti della domanda dei consumatori bassa (agli albori dell'industrializzazione le forme organizzative non potevano essere che di questo tipo, visto che eravamo in una società in cui vi erano dei consumi di massa tendenzialmente omogenei, non vi era un elevato livello di benessere, la domanda era una domanda di massa, quindi non vi erano problemi di innovazione di prodotto).


All'interno della struttura funzionale ogni funzione cerca di ottimizzare i propri risultati accrescendo il rischio di non conseguire un risultato ottimo complessivo.

Questo conflitto tra gli obiettivi delle funzioni[11] distoglie il management, impegnato a gestire i conflitti, da i problemi strategici che sollecitano la soddisfazione della clientela e il confronto con la concorrenza, che richiedano sforzi congiunti.

Tali problemi si moltiplicano con l'accrescersi della complessità ambientale. Nello stesso tempo tale struttura, per la sua semplicità, è diffusa nelle aziende poco diversificate per tecnologia, prodotti e mercati, che operano in ambienti stabili sotto il profilo strategico ed operativo[12].


Il principale teorizzatore di questo modo di produzione era Taylor[13] un ex-caporeparto il quale, sulla linea di produzione, aveva svolto uno studio dei tempi e dei metodi. L'organizzazione 'taylorista' del lavoro, basata sullo studio dei tempi e dei metodi, si fonda su 5 punti salienti:

far slittare la responsabilità relativa all'organizzazione del lavoro; i dirigenti dovrebbero essere gli unici a preoccuparsi della pianificazione e della progettazione del lavoro lasciando agli operai la sola realizzazione pratica (cioè, ad esempio, se un operaio si trova di fronte ad un imprevisto, non ha la responsabilità dell'imprevisto e non ha neanche l'autorità per intervenire per affrontare l'imprevisto, dovrà dirlo al suo capo e così via fino a giungere al capo della struttura gerarchica che presa la decisione la comunica e così poi il comando discende lungo la linea gerarchica);

usare metodi scientifici per individuare il modo più efficiente di fare il lavoro; la mansione dell'operaio deve essere progettata di conseguenza, specificando dettagliatamente come il lavoro deve venir fatto (il metodo scientifico è il metodo che studia quali sono i tempi per effettuare ogni movimento in modo tale che ogni operazione avvenga nel minor tempo

selezionare la persona più adatta per espletare la mansione così progettata

addestrare l'operaio a fare il lavoro in maniera efficiente

tenere sotto controllo la produttività dell'operaio per assicurarsi che vengano rispettate predeterminate e che vengano ottenuti i risultati adeguati.


La sostanza della meccanizzazione consiste nel ridurre procedure complesse ad un insieme di movimenti separati , che possono essere riprodotti separatamente (considerando il metodo più efficiente e i tempi migliori)..

I metodi scientifici tayloristici hanno moltiplicato la produzione e hanno permesso una rapida sostituzione degli artigiani con lavoratori non qualificati, però hanno comportato una separazione tra la mano e il cervello, per questo è stato ampiamente criticato ma, nello stesso tempo, utilizzato.


Alla base dell'organizzazione intesa come una macchina, anche nelle sue versioni moderne, vi è l'assunzione che le organizzazioni possono o, quanto meno dovrebbero, essere dei sistemi razionali che funzionano nella maniera più efficiente possibile.



L'organizzazione come organismo:

l'organizzazione per processi )


Una volta esaminata la metafora meccanicistica si prenderà in considerazione un'altra chiave di lettura per interpretare le organizzazioni.

La metafora dell'organismo consiste nel concepire le organizzazioni come dei sistemi viventi collocati in un più vasto ambiente dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.

Al concetto di organizzazione "migliore", legato all'organizzazione di tipo funzionale di matrice meccanicistica si sostituisce quello di organizzazione "più adeguata".

Un punto fondamentale è che la metafora organicistica implica il passaggio dalla logica del sistema chiuso, tipico della macchina, a quello di sistema aperto, tipico degli esseri viventi.

La macchina è un sistema che non vive delle caratteristiche del proprio ambiente esterno, la macchina è un'entità che vive del proprio funzionamento, invece un organismo vive della varietà e della variabilità che caratterizza l'ambiente esterno.

Il lavoratore non viene più considerato come un ingranaggio, una rotella di una più ampia macchina, ma come organo di un essere vivente che vive all'interno della specie. Il lavoratore, dunque, deve essere "sano" e deve vedere soddisfatti i propri bisogni, per far vivere l'organismo che


rappresenta l'organizzazione.


In questa ottica, i bisogni dell'individuo devono essere presi in considerazione da chi progetta un'organizzazione. In tale contesto assumono importanza le teorie motivazionali, una delle quali è proposta da Abraham Maslow[15] che osservò come ogni tipologia di bisogno può corrispondere un insieme di strumenti di intervento per motivare i dipendenti (. 3).



I concetti alla base dell'idea di organizzazione come organismo sono tratti dalla teoria generale dei sistemi (Ludwing von Bertalanffy[17], studioso di biologia, ha sviluppato tali principi come strumento per collegare varie discipline scientifiche).


I principi enunciati hanno le seguenti implicazioni in termini organizzativi:

una notevole importanza all'analisi dell'immediato microambiente (dell'ambiente che interessa l'attività dell'organizzazione) e all'analisi del macroambiente

importanza delle relazioni tra gli stakeholders (. 4): soggetti che vivono all'interno o intorno all'organizzazione che hanno una forma d'interesse nei confronti dell'organizzazione e che hanno il potere di far valere questi interessi[19].

importanza dell'equilibrio tra i diversi sottosistemi interrelati che compongono l'organizzazione; qui è possibile utilizzare i principi della varietà necessaria, della differenziazione e dell'integrazione che sono stati analizzati precedentemente.


Queste prospettive hanno permesso agli studiosi di staccarsi dalle concezioni burocratiche e di concepire organizzazioni sempre più rispondenti alla complessità ambientale.


La metafora organicistica si basa quindi sull'assunto che ogni organizzazione è diversa dalle altre in quanto definisce se stessa in base ad una serie di contingenze ambientali di tipo strutturale.

Nel caso della metafora organicistica le contingenze, cioè il fatto che un elemento può esistere o non esistere, diventano di tipo strutturale e quindi diventano degli elementi istituzionali nella vita dell'organizzazione.


Il concetto di contingenze di tipo strutturale ha dato vita ad un filone di ricerche tra gli anni '50 e'60 da cui si è generata una visione sistemico-istituzionale delle organizzazioni. In questo filone di ricerche si inseriscono quelle di due ricercatori inglesi, Tom Burns e G. M. Stalker[20].

Burns e Stalker ritengono che è possibile collocare il modello maccanicistico e il modello organicistico come due poli estremi di un continuum, piuttosto che come due "modelli alternativi".

Secondo questi ricercatori per poter affrontare ambienti caratterizzati da instabilità crescente sono necessarie delle forme organizzative sempre più flessibili[21].

La validità di tale modello è stata confermata da tutta una serie di altre ricerche (come quelle effettuate ad es. da Joan Woodward[22]) che hanno lavorato su 3 variabili fondamentali, cioè sui rapporti:

impresa-ambiente;

impresa-tecnologia;

impresa-dimensione.

Tali lavori concordano sul fatto che la possibilità di realizzare un'organizzazione vincente dipende dalla capacità di raggiungere un equilibrio tra la strategia, la struttura, la tecnologia, i bisogni dei dipendenti e l'ambiente esterno.


I concetti esposti precedentemente sono lontani dall'indicare quale specie di organizzazione abbia successo nei diversi ambienti. Comunque, tra gli anni '60 e'80, sono state effettuate centinaia di ricerche empiriche per individuare quali caratteristiche organizzative siano vincenti in relazione ai diversi tipi di compiti e di condizioni ambientali.

Si prenda, ad esempio, in considerazione il lavoro di Henry Mintzberg della McGill University nel quale la combinazione dei fattori situazionali con l'insieme delle variabili organizzative può essere sistematizzata nell'identificazione di cinque conurazioni o specie di organizzazioni.

Gli elementi che compongono una conurazione (. 4 e 5) sono cinque

Il vertice strategico: deve assicurare che l'azienda assolva alla missione in modo efficace e che risponda ai bisogni di coloro che controllano o che hanno un potere sull'azienda stessa (proprietari, enti governativi, sindacato, ecc.).

La linea intermedia: detiene il potere formale e collega il vertice strategico con il nucleo operativo.

Il nucleo operativo: comprende le persone che svolgono l'attività direttamente legata all'ottenimento dei prodotti.

La tecnostruttura: qui vi sono i cosiddetti analisti e il relativo personale di supporto che contribuiscono all'attività organizzativa influenzando il lavoro degli altri rendendolo più efficace.

Lo staff di supporto: forniscono un supporto "esterno" al flusso di lavoro operativo.




E' importante sottolineare che il concetto di conurazione non va confuso con il concetto di forme organizzative; il primo è la combinazione dei fattori situazionali con l'insieme delle variabili organizzative, mentre il secondo riguarda i concetti di organizzazione funzionale, organizzazione divisionale, ecc..

Mintzberg propone un modello e immagina che l'universo delle tipologie organizzative possa rientrare in questo tipo di rappresentazione.

Le cinque conurazioni proposte dal Mintzberg sono:

struttura semplice;

burocrazia meccanica;

burocrazia professionale;

soluzione divisionale;

adhocrazia.




La metafora organicistica può spiegare l'organizzazione per processi in cui si superano i tradizionali modelli funzionali e divisionali per adottare delle strutture molto più elastiche capaci di adattarsi ad ambienti complessi e dinamici. In tale ambito occorre fare riferimento a due fondamentali forme organizzative:

organizzazione per progetto;

organizzazione a matrice;

organizzazione process driven.


Nella prima si creano gruppi di lavoro coordinati da un capo, da un direttore, che portano avanti un progetto e con una durata temporanea. Nella seconda si crea una matrice in cui un soggetto è sottoposto a due responsabili: il direttore funzionale e quello divisionale[24]. Nella terza si realizza un'organizzazione per processi .



Organizzazione per progetto.


Come si è accennato precedentemente in questo tipo di organizzazione vengono formati dei team sotto la guida di un capo per realizzare il progetto utilizzando le differenti funzioni aziendali.


I principali vantaggi sono:

flessibilità nell'attribuzione dei compiti grazie alla presenza di un capo progetto;

possibilità di valorizzare le capacità individuali al di là degli schemi meccanici;

possibilità di valorizzare una risorsa fondamentale di un'organizzazione che è la leadership di successo.


I svantaggi sono:

ambiguità e difficoltà del ruolo che il capo progetto è chiamato a svolgere, infatti egli non ha una posizione gerarchica superiore rispetto alle differenti funzioni aziendali, ma può esprimere rispetto alle persone con cui lavora una capacità di leadership, basato sulle capacità d'influenza e non sulla gerarchia;

necessità di svolgere un ruolo basato sull'influenza e non sul comando;

necessità che il ruolo sia coperto da persone competenti.






Organizzazione a matrice.


In questo tipo di organizzazione vengono create due dimensioni:

quella orizzontale, legata al tipo di processo, prodotto, cliente servito, canale distributivo, zona di vendita, e così via[26];


quella verticale, legata alla dipendenza gerarchica del responsabile della funzione.

All'interno di questa struttura tutta l'attività dell'azienda è realizzata dall'incrocio tra le linee d'influenza. Ogni direttore (nei punti d'intersezione) riceverà istruzioni su due differenti livelli (dipendenza da due superiori), che sono da una parte l'organizzazione di tipo funzionale e dall'altra la divisione, generalmente, per prodotto (. 6).


I principali vantaggi dell'organizzazione a matrice sono:

Flessibilità ed interfunzionalità.

Autonomia e professionalità.

Orientamento più al coordinamento e alla cooperazione che al controllo. Infatti l'organizzazione matriciale è uno dei meccanismi di collegamento laterale che permette ai membri delle diverse unità funzionali di unire le loro capacità e competenze per affrontare insieme i problemi.

Adattabilità dell'organizzazione nei suoi rapporti con l'ambiente.

Decentramento dell'autorità e del controllo permettendo a chi si trova nei livelli gerarchici intermedi ed inferiori di poter offrire i propri contributi, cosa altrimenti impossibile.


Gli svantaggi legati a questo tipo di organizzazione sono:

Conflitti nelle posizioni d'intersezione (ciò comporta difficoltà nel motivare). Tali difficoltà crescono nei casi in cui le task force sono imposte ad un modello fortemente funzionale in quanto i singoli vengono considerati come rappresentanti delle rispettive unità funzionali e ne risulta che difficilmente si sentano impegnati nel raggiungere gli obiettivi delle task force. In questi casi risulta utile predisporre un sistema di incentivi correlati agli obiettivi della task force e non solamente a quelli delle singole funzioni aziendali.

Difficoltà nello stabilire le responsabilità.

Instabilità delle strutture. A tal proposito si ricorda che se le interdipendenze, le unità e le persone che operano in una struttura a matrice sono più o meno stabili avremo una struttura permanente (ad es. quando ad un responsabile di area geografica si affianca un responsabile di prodotto da cui dipende un unico responsabile regionale di prodotto), mentre se si modificano frequentemente avremo una struttura temporanea (si ha quando gli output cambiano spesso come in imprese spaziali, laboratori di ricerca e società di consulenza, in cui i capi progetto operano assieme ai responsabili funzionali con pari potere)[27].

Sovraccarichi decisionali e di coordinamento del vertice soprattutto quando vi è un equilibrio perfetto di potere fra i diversi manager che in assenza di cooperazione ricorrano per la soluzione dei conflitti al vertice. Eppure se vi fosse un forte spostamento del potere in una delle direzioni (orizzontale o verticale) si perderebbero i benefici della struttura a matrice. Ciò mette in risalto uno degli elementi fondamentali della struttura a matrice che è la cooperazione ed una cultura aziendale orientata in tale direzione.

Rinuncia alla sicurezza ed alla stabilità del principio dell'unità di comando da parte del personale e necessità di capacità interpersonali elevate con una forte tolleranza per l'ambiguità.

Costi di struttura e comunicazione elevati. Infatti richiede un numero maggiore di manager e molto tempo dedicato a riunioni e discussioni.




Organizzazione process driven )


In risposta agli inconvenienti generati dalla struttura a matrice (sufficientemente delineati sopra) si è pervenuti ad un nuovo tipo di organizzazione: la struttura process driven.

Tale tipo di struttura è caratterizzata dal fatto che la dimensione rilevante è quella orizzontale per evitare che i processi non subiscano interferenze dalle linee verticali (funzionali) e questo al fine di una migliore soddisfazione del cliente finale.


L'applicazione di tale struttura organizzativa richiede l'individuazione e la riprogettazione (reengineering dei processi) dei principali processi di business in modo da soddisfare sia le attese dei cliente interno del processo sia di quello finale.


Nell'organizzazione process driven vi sono 3 principali ure professionali:

business owner: responsabile della missione aziendale e dei process owner;

process owner: responsabili della gestione della dimensione orizzontale;

process supporter: responsabili dell'efficienza interna dell'intera struttura.

Si possono distinguere all'interno di tale struttura 2 tipi di processi:

A.   processi orizzontali (market driven): orientati ad obiettivi di mercato e caratterizzati al loro interno da una struttura flessibile a team;

B.    processi verticali (internal driven): non dispongono di alcuna autorità gerarchica o funzionale nei confronti dei processi orizzontali.






. 8 - Un esempio del modello process driven nel settore assicu-

rativo















FONTE: Cercola R. - Coletti M., L'impresa che assicura il cliente, Milano: ETASLIBRI, 1995,pg.58


L'organizzazione process driven permette: flessibilità della struttura organizzativa in un ambiente sempre più competitivo e dinamico, orientamento al cliente (considerato come fattore di successo), fungibilità dei membri del gruppo visto che le elevate competenze maturate da ogni membro del team.

In termini sociali l'organizzazione process driven comporta certamente un miglior rendimento del lavoro rendendolo ricco di significati, ma nello stesso tempo comporta riduzione del personale.


I meccanismi di coordinamento :

i collegamenti trasversali.


Nella scelta della struttura organizzativa più congeniale bisogna tenere conto di meccanismi di coordinamento adeguati, ottenendo in tal modo non solo la divisione del lavoro ma soprattutto il relativo coordinamento. Infatti i meccanismi di coordinamento vengono considerati come la colla che tiene unita l'organizzazione.


Secondo Henry Mintzberg[29] si possono distinguere principalmente cinque meccanismi di coordinamento (. 7):

adattamento reciproco;

supervisione diretta;

standardizzazione dei processi di lavoro;

standardizzazione degli output;

standardizzazione delle capacità dei lavoratori.




L'adattamento reciproco.

Il coordinamento viene attuato grazie al processo di comunicazione informale ed il controllo del lavoro rimane nelle mani di coloro che lo eseguono.

E' utilizzato sia in aziende semplici (es. laboratorio artigianale con poche persone), sia in aziende più complesse (es. aziende innovative nel settore aerospaziale) dove il successo dipende dall'abilità degli specialisti di adattarsi l'uno all'altro e quando le attività non possono essere standardizzate.

Il coordinamento reciproco in aziende più complesse aiuta l'organizzazione ad essere flessibile di fronte a obiettivi, valori e priorità contrastanti, permette di incorporare l'instabilità nell'organizzazione stessa dell'azienda e una maggiore diffusione del potere in modo più uniforme nell'organizzazione; ma nello stesso tempo richiede molti manager ed esperti in tutta l'organizzazione con elevato livello di formazione.

Solo recentemente sono stati sviluppati quei meccanismi atti a favorire i rapporti fra le persone. I principali meccanismi di collegamento sono:

Le posizioni di collegamento: per aggirare i canali verticali viene creato formalmente un canale di collegamento in cui vengono fatte fluire informazioni direttamente (come ad esempio tra il manager delle vendite e il manager della produzione, ecc.).

Le task forces: gruppi costituiti con un particolare compito e che viene successivamente sciolto.

I comitati: gruppi che si riuniscono regolarmente per discutere problemi di interesse comune (es. comitato di direzione).

I manager integratori: quando è necessario un maggiore coordinamento si può istituire una posizione di collegamento con autorità formale che investe solo alcuni aspetti dei processi decisionali dei dipartimenti coinvolti (es.: product manager che è responsabile per la produzione ed il marketing di un prodotto esistente; project o programm manager interviene nella messa a punto di un nuovo prodotto o stabilimento)

I team


La supervisione diretta.

Il coordinamento è realizzato attraverso una persona che assume la responsabilità ed il controllo del lavoro di altri.

Questo meccanismo è utilizzato quando l'organizzazione passa lo stadio più semplice ingrandendosi e di conseguenza quando l'adattamento reciproco non è più sufficiente.

La supervisione diretta rende il processo decisionale più flessibile e consente, grazie all'accentramento di potere che ne consegue, una risposta rapida. Ma nello stesso tempo l'ampiezza del controllo tende ad essere elevata soprattutto per il direttore generale che vedendosi impegnato quasi esclusivamente a risolvere i conflitti che si creano nell'organizzazione , viene distolto da quelle attività che rendono competitiva l'impresa sul mercato (come ad es. la formulazione della strategia su basi analitiche anziché intuitive, il rapporto con gli stakeholder, l'innovazione, ecc.).

Per sopperire a tali inconvenienti è necessario definire le dimensioni del gruppo che può essere guidato da un unico dirigente , mediante la considerazione dei fattori che influenzano l'ampiezza del gruppo direttivo .



Tab. 1 - Fattori che influenzano l'ampiezza del controllo direttivo.

Condizioni che limitano

l'ampiezza del controllo direttivo

Condizioni che estendono

l'ampiezza del controllo direttivo

poca o nessuna formazione del personale

formazione completa dei personale

delega di autorità inadeguata o non chiara

chiara delega per lo svolgimento dei compiti ben definiti

piani poco chiari relative ad attività non ripetitive

piani ben definiti relative ad attività non ripetitive

obiettivi e standard non controllabili

obiettivi verificabili utilizzati come standard

cambiamenti repentini nelle condizioni del contesto interno ed esterno

lenti cambiamenti nelle condizioni del contesto interno ed esterno

utilizzo di tecniche di comunicazione poco efficaci e con istruzioni vaghe

utilizzo di tecniche appropriate di comunicazione

interazione carente tra superiore e subordinato

interazione efficace tra superiore e subordinato

riunioni di lavoro non produttive

riunioni di lavoro produttive

elevato numero di responsabilità speciali a livelli bassi e medi dell'organizzazione

elevato numero di responsabilità speciali a livelli alti dell'organizzazione

dirigenti poco competitivi e mal addestrati

dirigenti competenti e ben addestrati

compiti complessi da eseguire

compiti semplici da eseguire

riluttanza dei subordinati ad assumersi responsabilità e rischi insiti nel ruolo rivestito

propensione dei subordinati ad assumersi responsabilità e rischi conformi ai ruoli rivestiti

subordinati non ancora formati

subordinati maturi

FONTE: Sciarelli, Economia e gestione dell'impresa, CEDAM, 1997, pg. 243




La standardizzazione dei processi di lavoro.

Il coordinamento viene effettuato attraverso la specificazione o programmazione dei contenuti del lavoro (descrizioni delle mansioni, proliferazione delle regole).

E' utilizzato quando le attività sembrano semplici e ripetitive (es. la catena di montaggio).

La standardizzazione dei processi di lavoro è utile quando l'ambiente risulta perfettamente stabile in quanto le sue procedure standard risolvono problemi di carattere routinario, mentre presenta l'inconveniente che quando l'ambiente cambia non è capace di affrontare problemi nuovi non di routine, i quali vengono rinviati al vertice costringendolo ad assumere decisioni in modo rapido.

Uno strumento utilizzato è la progettazione della formalizzazione del comportamento in cui si indicano come vengono realizzate azioni e decisioni.


4. La standardizzazione degli output.

Il coordinamento è stabilito preventivamente specificando i risultati del lavoro (output) e attraverso il controllo delle performance.

E' utilizzata quando l'attività è più complessa lasciando libero il lavoratore nella scelta del processo per raggiungere il risultato stabilito.

Con il controllo delle performance si vuole regolare i risultati complessivi riferiti ad un determinato periodo di tempo di una determinata unità organizzativa. Attraverso il controllo delle performance si dà autonomia alle varie unità organizzative, si motiva i diversi responsabili (es. direzione per obiettivi), si valutano le performance per intraprendere in caso di necessità le azioni correttive. Nello stesso tempo essa non è priva di inconvenienti come l'interesse dei responsabili a tenere bassi gli obiettivi da raggiungere distorcendo, nel caso, le informazioni di ritorno; un altro inconveniente è rappresentato dal periodo di tempo di riferimento, infatti se troppo breve non si dà libertà di azione ai manager inducendolo a rivolgersi al breve termine sacrificando obiettivi più profittevoli ma conseguibili solo nel lungo termine.

Per gli inconvenienti evidenziati si deve dedurre che il controllo delle performance può essere adottato utilmente soprattutto nelle strutture fondate sul mercato per realizzare una regolazione soltanto molto generale degli output.


La standardizzazione delle capacità dei lavoratori.

Il coordinamento è effettuato specificando il tipo di formazione richiesto per eseguire il lavoro.

E' utilizzata quando le attività sono molto complesse in cui il lavoratore avendo appreso dei modelli di comportamento nella formazione passata agisce in modo autonomo controllando e coordinando, allo stesso tempo, il lavoro (es. il chirurgo che nella sala operatoria non deve preoccuparsi di coordinarsi con i colleghi che sanno già cosa ci si aspetta da loro).

La standardizzazione delle capacità è un meccanismo di coordinamento che conferisce ai propri membri un'ampia autonomia, consentendo ai professionisti di perfezionare le proprie capacità; ma nello stesso tempo esso è piuttosto blando in quanto è incapace di far fronte a molte necessità che sorgono nell'organizzazione. Infatti nella maggior parte dei casi tali professionisti desiderano lavorare da soli senza integrarsi fra di loro, tutto ciò a scapito dei clienti. A ciò si deve aggiungere che non esiste alcun controllo del lavoro se si esclude quello esercitato dalla professione stessa e non è possibile intervenire per correggere quelle deficienze che i professionisti non decidono di considerare come i problemi di coordinamento, di discrezionalità e di innovazione.

Uno strumento che può essere utile per realizzare tale meccanismo di coordinamento è la pianificazione dell'azione che specifica non solo gli output ma anche i mezzi utili per realizzarli.






Tab. 2 - Schema riepilogativo.

Meccanismi di coordinamento

Conurazione organizzativa interessata


Adattamento reciproco


Adhocrazia


Supervisione diretta


Struttura semplice


Standard. processi di lavoro


Burocrazia meccanica


Standard. degli output


Soluzione divisionale


Standard. capacità dei lavoratori



Burocrazia professionale



La maggior parte delle organizzazioni combina tutti e cinque i meccanismi di coordinamento, in quanto ogni organizzazione non può fare affidamento su una sola di essi, vista anche la forte interconnessione tra organizzazione formale ed informale.











I Team.


Tra i meccanismi di collegamento cui le imprese degli anni '90 hanno maggiormente ricorso è possibile individuare i team.


"Le sfide strategiche e gli assetti organizzativi delle imprese attuali accentuano l'esigenza di lavorare in gruppi collegati a programmi di miglioramento continuo, di qualità totale, di reingegnerizzazione di processi . " ([31]).

" . occorre trovare e istituire un nuovo soggetto organizzativo di tipo collettivo, il Team, che diviene il luogo principale delle nuove esperienze organizzative per processi, la nuova unità elementare delle organizzazioni contemporanee"([32]).

" . i modelli fondati sul lavoro in team risultano molto efficaci, perché accrescono flessibilità, snellezza, responsabilizzazione e comunicazione."([33]).

"Il teamwork introduce logiche così diverse dal passato da richiedere un adattamento anche nei sistemi retributivi e di incentivazione."([34]).

L'importanza dei team entra in misura sempre maggiore nella sfera consapevole della cultura imprenditoriale ed organizzativa d'impresa.

Una delle migliori definizioni di team è la seguente: "un piccolo gruppo di persone interdipendenti, che condivide la responsabilità per un risultato certo, che sono consapevoli della loro interdipendenza, della responsabilità condivisa e che vivono in una più grande organizzazione" .

Da tale definizione discende che il team è un piccolo gruppo di persone, generalmente massimo di 25 persone, tra queste persone c'è un rapporto di interdipendenza reciproca, il che vuol dire che il lavoro di ciascuno è dipendente da quello degli un altri.

Nel team la responsabilità dei risultati viene condivisa in quanto l'interdipendenza porta alla consapevolezza di uno scopo comune[36]. E' proprio questa consapevolezza che fa funzionare i team, il fatto di sapere quanto sia importante per gli altri il lavoro di ciascuno e viceversa, perché crea un collante potentissimo, consentendo un ottimo rapporto di collaborazione; infatti c'è la consapevolezza che il lavoro svolto è inserito in un contesto più grande e che esso viene visto come un apporto significativo all'organizzazione.

In particolare interessa, in questa sede, quei gruppi di lavoro che hanno compiti complessi (la cui soluzione può richiedere mesi o addirittura anni), che sono inseriti in ambienti in rapida trasformazione, che lavorano sulle idee e che durano nel tempo. In questi team deve sussistere la capacità di rinnovarsi, di cambiare potenzialmente personale, cioè di cambiare con il mutamento delle esigenze (tab. 2).

Di conseguenza non si presterà molta attenzione a quei gruppi di lavoro che hanno un orizzonte temporale breve (giorni, settimane), che svolgono compiti altamente ripetitivi e procedure ben definite, che lavorano in un contesto in cui il cambiamento è lento e che di riflesso non gli vengono sottoposti problemi di una certa complessità (tab. 2).

Tab. 3 - Quando introdurre i team.

QUANDO NON INTRODURLI

QUANDO INTRODURLI

Assenza o bassa interdipendenza

Alta interdipendenza

Assenza o bassa responsabilità condivisa

Responsabilità condivisa

Alta routine dei compiti

Compiti complessi

Basso tasso di cambiamenti ambientali

Rapidi mutamenti ambientali

Lavoro basato sulle procedure

Lavoro basato sulle competenze e sulle idee

Compiti di breve periodo

Medio - lungo periodo


Bisogna precisare che talvolta si parla di "gruppi" come sinonimo di "team", anche se i due termini andrebbero distinti con maggior rigore. Barett[37] lo fa, com'è riassunto in tab. 3. In un gruppo di management tradizionale ciascuno aggiunge il proprio contributo a quello degli altri, mentre in un team ha luogo una sinergia, per cui il risultato supera la somma dei contributi individuali, talvolta anche di molto.


Tab. 4 - Gruppi e team, nel management

Aspetto

Gruppi di management

Team di management

Numero dei membri

Qualunque

Limitato

Ruolo del responsabile

Capo gerarchico

Leader

Obiettivo

Non dichiarato

Dichiarato e ben definito

Criteri d'orientamento

Le norme

L'obiettivo

Struttura

Amorfa

Ben articolata

Modo d'operare

Conformista

Creativo

Organizzazione

Convergente

Divergente


Ulteriori differenze sono indicate in un lavoro eseguito da Riccardo Varvelli e da Maria Ludovica Lombardi27 che possiamo riassumere in tabella 4.

Tab. 5 - Squadra o gruppo ?


squadra

gruppo




Valore dominante

Vincere

Partecipare




Scelta degli obiettivi

Al limite

Possibili




Rapporti di intesa

Stima

Simpatia




Atteggiamento tra i membri

Aggressivo

Solidaristico




Ruolo del capo

Trascinatore

Leader

Coordinatore

Manager




Rispoli M., L'impresa industriale, Bologna: Il Mulino, 1989, pg. 13 a 61.

Sciarelli Sergio, Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg. 33 e ss.

Sicca L., La gestione strategica dell'impresa, Padova: CEDAM, 1998, pg.43 e ss, 569 e ss.

Normann R.- Ramirez R., Le strategie interattive d'impresa, ETASLIBRI, 1995, pg. 13 e ss.

Sicca L., La gestione strategica dell'impresa, Padova: CEDAM, 1998, cap. 6

Ghoshal S., Bartlett C. A. (1990), The multinational corporation as an interorganizational network, Academy of Management Review, 4

Si consigliano approfondimenti in:

Sicca L., La gestione strategica dell'impresa, Padova: CEDAM, 1998, pg. 642 e ss

Butera F., Nuove strutture flessibili per governare i processi, L'impresa, 7/1993.

Rispoli M., L'impresa industriale, Bologna : Il Mulino, 1989, pg. 13 a 61.

Morgan G., "Images" Le metafore dell'organizzazione, Milano: FrancoAngeli,1990

Morgan G., "Images" Le metafore dell'organizzazione, Milano: FrancoAngeli,1990, cap.2

Si ricordi il tradizionale conflitto di obiettivi che si verifica soventemente tra la funzione di produzione e la funzione vendita, in cui rispettivamente l'obiettivo di massimizzare la produzione (che viene conseguito solitamente rinunciando a servire segmenti marginali della domanda) si scontra con l'obiettivo espresso in termini di capacità di rispondere ad una molteciplità di domande diverse. Si veda Sicca L., La gestione strategica dell'impresa, Padova: CEDAM, 1998, pg. 45 e ss.

Sciarelli S., Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg. 228 e ss.

Taylor F.W., Principles of Scientific Management, New York: Harper & Row, 1911

Morgan G., "Images" Le metafore dell'organizzazione, Milano: FrancoAngeli,1990, cap.3.

Sicca L., La gestione strategica dell'impresa, Padova: CEDAM, 1998, pg. e ss.

Sulle critiche alla teoria di Maslow e sulle altre teorie motivazionali (Herzemberg, ecc.) si veda Sciarelli S., Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg. 283 e ss.

Von Bertalanffy L., General System Theory: Foundations Development, Applications, New York: Braziller, 1968

Sull'analisi dell'ambiente esterno si veda Sicca L., La gestione strategica dell'impresa, CEDAM, 1998, pg. 345e ss.

Sciarelli S., Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg.100 e ss; L. Sicca, La gestione strategica dell'impresa, Padova: CEDAM, 1998, pg. 365 e ss.

Burns T. - Stalker G. M., The Management of Innovation, London: Tovistok, 1961

Morgan G., "Images" Le metafore dell'organizzazione, Milano: FrancoAngeli,1990, pg 61 e ss.

Woodward J., Industrial Organization: Theory and Practice, London: Oxford University, 1965

Mintzberg H., La progettaz. dell'organizzazione aziendale, Bologna: Il Mulino, 1996

Sciarelli S., Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg. 237 e ss.

Cercola R. - Coletti M., L'impresa che assicura il cliente, Milano: ETASLIBRI, 1995

"Soprattutto nelle grandi imprese, i vari modelli di specializzazione delle responsabilità operativa si trovano tutti presenti, in quanto ciascuna funzione o sub-funzione può richiedere un'articolazione di tipo reticolare. Si prenda ad esempio il caso della funzione vendita, se l'impresa tratta famiglie diverse di prodotti (ad esempio fotocopiatrici e computer), è necessario suddividere la gestione in rapporto a queste. Ma se la vendita di ciascun prodotto si rivolge a strati diversi di acquirenti (ad esempio liberi professionisti, aziende, enti pubblici, ecc.), è anche opportuno ripartire le responsabilità in relazione ai vari segmenti di mercato da curare. Se la vendita deve svolgersi in zone diverse per livello economico e sociale, è conveniente suddividere le funzioni per aree più o meno omogenee." Sciarelli S., Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg. 240 e 241.

Mintzberg H., La progettazione dell'organizzazione aziendale, Bologna: Il Mulino, 1996, pg 151 e ss.

Cercola R. - Coletti M., L'impresa che assicura il cliente, Milano: ETASLIBRI, 1995,pg. 56 e ss.

Mintzberg H., La progettazione dell'organizzazione aziendale, Bologna: Il Mulino, 1996, cap. 1 e 4.

Sciarelli S., Economia e gestione dell'impresa, Padova: CEDAM, 1997, pg. 242-243.


Spadarotto L., Gruppi di lavoro e nuove forme organizzative, Sviluppo & Organizzazione n. 169 Settembre/Ottobre 1998.

Fabbro M., I team permanenti, Sviluppo & Organizzazione n. 160 Marzo/Aprile 1997.

Ulrich H. D. - Stefano Aversa, Il team è la ricetta per migliorare lo sviluppo, L'IMPRESA 6/1995.

Pasi P. (intervista a Federico Butera), Dalla gerarchia ai team: così cambia il potere in azienda, L'IMPRESA 4/1994

Brandley M. - Pelamati J., I team nelle organizzazioni, RAISAT, 1992, lez. 1

Kharbanda O. - Stallworthy E., Il lavoro in team, Milano: francoangeli, 1992, pg. 116 e ss.

Barett F. D., Teamwork -how to expand its power and puch, Bisiness Quarterly, Winter 1987, pg.24-31.

Varvelli R. - Lombardi M. L., Il gruppo per partecipare, la squadra per vincere, L'IMPRESA 6/1996.




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