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Francia



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Francia

(nome ufficiale République Française), repubblica dell'Europa occidentale, delimitata a nord dal canale della Manica, dallo stretto di Dover e dal Mare del Nord (che la separano dalla Gran Bretagna); a nord-est dal Belgio, dal Lussemburgo e dalla Germania; a est dalla Germania, dalla Svizzera e dall'Italia; a sud-est dal mar Mediterraneo; a sud dalla Sna e a ovest dall'oceano Atlantico.

La Repubblica Francese comprende i dipartimenti d'oltremare della Guayana Francese, in America meridionale, della Martinica e della Guadalupa, nelle Indie Occidentali, e di Réunion, nell'oceano Indiano; le collettività territoriali di Saint-Pierre e Miquelon e Mayotte; i territori d'oltremare di Nuova Caledonia, e della Polinesia Francese; i Territori australi e antartici francesi e le isole Wallis e Futuna. Il paese ha una superficie di 543.965 km , comprendente anche l'isola della Corsica nel Mediterraneo; la capitale è Parigi.



Territorio


Il territorio francese appartiene, geologicamente, in parte all'area mediterranea, caratterizzata da rilievi giovani, alpini, e in parte all'Europa antica, paleozoica. Esiste poi un'area di saldatura tra le due parti dove i rilievi antichi sono stati 'ringiovaniti' dall'orogenesi alpina. Fisicamente il territorio può essere suddiviso in tre regioni, rappresentate rispettivamente dai rilievi orientali e meridionali, da un altopiano centromeridionale e da una vasta regione pianeggiante o lievemente ondulata, che si estende a nord e a nord-ovest.

Una serie di massicci montuosi, tra cui una vasta sezione delle Alpi e del Giura, segnano verso sud-est i confini franco-italiano e, in parte, franco-svizzero: tra questi il Monte Bianco (4810 m), la seconda cima più elevata d'Europa. La catena del Giura, che sul confine franco-svizzero presenta un'altitudine massima di circa 1710 m, si estende ai margini delle Alpi ed è delimitata a ovest dalla valle della Saona, affluente del Rodano, e a nord dalla depressione di Belfort, che collega i bacini dei fiumi Saona e Reno; la valle di questo fiume d'origine alpina, come il Rodano, segna il confine con la Germania fino all'estremità nordorientale del paese. I rilievi che orlano la valle del Reno, formata da una fossa tettonica, corrispondono al massiccio dei Vosgi, le cui vette non superano i 1423 m.

Lungo l'intero confine con la Sna si innalzano invece i Pirenei, la cui cima più elevata è il Pic de Vignemale (3298 m). Mentre la scarsità di valichi che attraversano i Pirenei ha sempre rappresentato un ostacolo ai collegamenti tra Sna e Francia, numerosi sono, invece, i valichi e i passi alpini, tra i quali il colle del Fréjus.

L'altopiano centromeridionale, noto come Massiccio Centrale, è separato dai rilievi orientali dalla valle del Rodano; quest'area è caratterizzata da formazioni vulcaniche chiamate Puys, da altipiani calcarei profondamente erosi e, a sud, dai modesti rilievi della Cevenne, che si spengono nella pianura costiera che orla il golfo del Leone.

Nella sezione nordoccidentale del paese le valli dei fiumi Senna, Loira e Garonna attraversano una regione pianeggiante, in larga parte alluvionale, particolarmente fertile, delimitata a nord-est dalle Ardenne, rilievi d'origine paleozoica dalle tipiche forme arrotondate. Con i loro numerosi affluenti, questi fiumi costituiscono un'importante ed estesa rete idrografica che l'uomo ha unificato con i collegamenti tra la Loira e la Senna. Il Rodano, che sfocia nel mar Mediterraneo, attraversa dapprima le regioni alpine e riceve poi numerosi affluenti tra i quali la Saona, collegata attraverso una rete di canali artificiali alla Mosa e al Reno, l'Isère e la Durance. Tra i principali affluenti della Senna, la più trafficata arteria del sistema idrografico interno, si citano i fiumi Aube, Marna, Oise e Yonne, convergenti nel fiume principale nel bacino di Parigi. In Francia si estende inoltre parte del lago di Ginevra, attraversato dal confine con la Svizzera.

La linea costiera della Francia presenta pochi porti naturali. La costa settentrionale, bagnata dalla Manica e dal Mare del Nord, si articola in promontori, estuari e insenature minori che offrono scarse possibilità di ancoraggio, con la notevole eccezione del porto di Le Havre, sull'estuario della Senna. Come a Cherbourg, in questa regione molti porti sono stati creati costruendo dighe e frangiflutti. La costa atlantica ha invece un profilo irregolare nel tratto compreso tra la penisola della Bretagna e la Gironda, mentre a sud è bassa e sabbiosa. Sull'Atlantico si affacciano i porti d'estuario di Brest, Lorient e Saint-Nazaire. Lungo la costa mediterranea orientale, movimentata dal rilievo che si spinge sino al mare, si trovano i grandi centri portuali di Marsiglia, Tolone e Nizza; al centro del golfo del Leone si affaccia la regione paludosa della Camargue, formata dagli apporti deltizi del Rodano, mentre sul lato orientale dello stesso golfo si svolge il litorale roccioso, ameno e spettacolare, della Costa Azzurra.



Clima


Il clima della Francia, generalmente temperato oceanico, presenta in alcune regioni notevoli difformità: così il clima particolarmente mite delle regioni costiere mediterranee contrasta con quello rigido e ventoso delle regioni orientali. Le temperature lungo la costa atlantica sono determinate dall'azione delle correnti oceaniche e dei venti provenienti da ovest, mentre all'interno, in particolare nella regione nordorientale, inverni rigidi si alternano a estati calde, com'è tipico dei climi di tipo continentale.

La temperatura media a Parigi, il cui clima è condizionato dagli influssi atlantici, è di 3 °C a gennaio e di 18 °C a luglio; a Lione la temperatura estiva è leggermente più elevata. La media annua delle precipitazioni varia nelle diverse regioni ed è compresa tra i 2000 mm annui delle aree montuose più elevate e i circa 500 mm delle regioni mediterranee e del bacino di Parigi. Lungo la costa atlantica la media delle precipitazioni è di circa 1000 mm. Nelle regioni meridionali soffia spesso il mistral, un vento forte, veloce, incanalato dalla valle del Rodano, alimentato dalla differenza di pressione tra le aree interne e l'area mediterranea.

Flora e fauna

In Francia la flora presenta le tipiche varietà dell'Europa continentale che vanno dalle specie proprie dell'areale artico-alpino sino alle specie semitropicali dell'area mediterranea. Le foreste temperate rappresentano tuttavia l'associazione vegetale tipica del paese, di cui ricoprono circa il 27% della superficie; sono composte da latifoglie quali castagni, faggi, carpini e querce e, a quote più elevate, da conifere.

La fauna, come generalmente in tutta l'Europa occidentale, comprende pochi esemplari di grandi mammiferi, tra i quali i più comuni sono il cervo e la volpe. Nelle regioni alpine si trova il camoscio, mentre il lupo e il cinghiale sopravvivono in alcune aree boschive. Tra gli animali di piccola taglia urano il porcospino e carnivori della famiglia della donnola, mentre rettili quali vipere, lucertole e tartarughe vivono soprattutto nelle regioni meridionali. Ben rappresentata è l'avifauna, che presenta una grande varietà di specie, sia stanziali sia di passo: la Camargue ospita tra l'altro colonie protette di fenicotteri. Le specie ittiche più diffuse nelle acque marine sono il merluzzo, l'aringa, lo sgombro, la passera di mare, la sarda e il tonno.

Popolazione



La Francia ha una popolazione di 57.800.000 abitanti (1994), con una densità di circa 106 unità per km , una delle più basse d'Europa. Dopo la seconda guerra mondiale si è assistito nel paese a un incremento demografico dovuto al ritorno in patria di cittadini emigrati nelle colonie e all'affluenza di manodopera straniera. Oggi la popolazione, stanziata soprattutto nei distretti urbani, è composta anche da minoranze (8%) portoricane, algerine, marocchine, italiane e snole.






Suddivisioni amministrative e città principali


La Francia metropolitana, inclusa la Corsica, comprende ventidue regioni, a loro volta divise in novantasei dipartimenti. Le regioni sono Ile-de-France, Rhône-Alpes, Nord-Pas de Calais, Alsazia (Alsace), Aquitania (Aquitaine), Alvernia (Auvergne), Bassa Normandia (Basse-Normandie), Borgogna (Bourgogne), Bretagna (Bretagne), Centre, Chamne-Ardenne, Corsica, Franca Contea, Alta Normandia (Haute-Normandie), Languedoc-Roussillon, Limosino (Limousin), Lorena (Lorraine), Midi-Pyrénées, Paesi della Loira (Pays de la Loire), Piccardia (Picardie), Poitou-Charentes e Provence-Alpes-Côte d'Azur.

La popolazione urbana è pari al 73% di quella totale (42 milioni di abitanti) e si raccoglie per buona parte nell'area parigina (9,3 milioni di abitanti). Parigi non è solo la maggior città, ma da diversi secoli, fin dalla nascita dello stato nazionale, è il centro della rete economica, politica, culturale del paese; ciò in misura persino squilibrata, tanto che a partire dalla metà del Novecento si è perseguita una politica di sviluppo delle città regionali, assunte come 'metropoli d'equilibrio', destinate ad alleggerire il peso demografico e delle funzioni su Parigi. Oggi la Francia annovera diverse città popolose e dinamiche, con funzioni preminenti, tra cui Marsiglia (800.550 abitanti), importante centro portuale sul Mediterraneo; Lione (415.487), specializzata soprattutto nella produzione tessile; Tolosa (358.688), centro industriale e commerciale; Nizza (342.439), centro di soggiorno turistico; Strasburgo (252.338), porto sul Reno e centro industriale e commerciale; Nantes (244.995), sede di zuccherifici e cantieri navali; Bordeaux (210.336), centro portuale e di produzione vinicola; Montpellier (207.996), centro commerciale e manifatturiero.

Lingua e religione

Lingua ufficiale del paese è il francese, parlato dalla maggioranza della popolazione. Numerose sono le minoranze linguistiche quali i bretoni in Bretagna, i baschi e i catalani nella regione dei Pirenei; nel sud del paese è inoltre diffuso il provenzale, nelle Fiandre il fiammingo e in Alsazia e Lorena il tedesco.

Il cattolicesimo è professato da circa il 75% dei francesi che praticano la religione: le altre principali confessioni sono l'islamismo, il protestantesimo e l'ebraismo. Nel 1905, a causa dell'opposizione popolare contro l'influenza esercitata dalla Chiesa cattolica nella politica e nel sistema educativo pubblico del paese, fu abolito il sostentamento pubblico del clero cattolico, protestante ed ebraico. La Francia divenne uno stato laico e da allora non diede più riconoscimento ufficiale alle confessioni religiose.

Istruzione e cultura




Nel corso della loro lunga storia, l'istruzione e la cultura francesi hanno esercitato una grande influenza a livello mondiale. I centri di istruzione francesi sono stati presi ad esempio in tutto il mondo come modelli accademici, a partire dalle antiche università medievali, in particolare l'Università di Parigi, fondata nel XII secolo, fino alle moderne università e scuole tecniche. Tra i più influenti educatori francesi si ricordano Pietro Abelardo nel XII secolo, Michel de Montaigne nel XVI secolo, François Fénelon e lo svizzero Jean-Jacques Rousseau nel XVIII secolo, Victor Cousin nel XIX secolo.

L'opera di centralizzazione dell'amministrazione scolastica, con l'attribuzione allo stato dei poteri fondamentali in materia di istruzione, fu iniziata da Napoleone tra il 1806 e il 1808. Il sistema educativo moderno si basa su alcune leggi promulgate tra il 1881 e il 1886 per volontà di Jules Ferry, ministro dell'Istruzione, che assicurarono l'istruzione pubblica gratuita e obbligatoria, interamente sotto il controllo dello stato. Tra le riforme in seguito apportate vi furono l'istituzione dell'insegnamento gratuito nelle scuole secondarie e tecniche; la separazione di Chiesa e Stato in materia di educazione nel 1905; la legislazione che previde il sovvenzionamento alle scuole private, comprese quelle di natura religiosa, nel 1951 e nel 1959; infine, nel 1959, l'estensione dell'obbligo scolastico fino ai 16 anni d'età. In risposta alle forti rivendicazioni degli studenti, nel 1968 il presidente Charles De Gaulle e il suo governo approvarono alcune riforme. Nello specifico, il nuovo sistema eliminava il controllo centralizzato, da parte del ministero dell'istruzione, dei bilanci, dei curriculum e delle assunzioni degli insegnanti, per creare unità didattiche ai diversi livelli, trasferendo alle facoltà il controllo del corpo insegnante e concedendo agli studenti un maggior potere di intervento in merito alle decisioni riguardanti la vita universitaria.





Musei e biblioteche

La maggior concentrazione di musei e biblioteche si trova, naturalmente, a Parigi. Tra questi si citano la Bibliothèque nationale, il Musée du Louvre e il Centre Georges Pompidou. Molti grandi capolavori dell'architettura francese, quali chiese, cattedrali e castelli, sono considerati monumenti nazionali. Per ulteriori informazioni sulla cultura francese vedi Letteratura francese, Arte e architettura francese, Cinema francese.

Economia

La Francia, un tempo paese prevalentemente agricolo, ha conosciuto un primo sviluppo industriale già nel XIX secolo, con la valorizzazione delle aree minerarie del Nord e della Lorena, la nascita dell'industria tessile e altre attività legate ai rapporti commerciali con i suoi vasti domini coloniali; tuttavia la sua piena affermazione come grande paese industriale moderno si è avuta dopo la seconda guerra mondiale, quando il governo varò una serie di piani di sviluppo ad ampio spettro destinati a incentivare la ripresa nazionale e ad accrescere il potere statale di direzione dell'economia.

Parte integrante dei cosiddetti piani Monnet (vedi Jean Monnet) era il principio di nazionalizzazione di alcune industrie, in particolare delle ferrovie, del trasporto aereo, delle principali banche e delle riserve di carbone. Il governo divenne inoltre un importante azionista di gruppi industriali automobilistici, dell'elettronica e dell'aeronautica, nonché il principale investitore nella valorizzazione delle riserve petrolifere e di gas naturale. Anche grazie a questi piani e programmi, la produzione nazionale francese crebbe circa del 50% tra il 1949 e il 1954, del 46% tra il 1956 e il 1964, e con un tasso medio annuo del 3,8% nel corso degli anni Settanta. Nel 1981 il nuovo governo socialista avviò un importante programma di nazionalizzazioni; l'elezione di un governo conservatore nel 1986, tuttavia, ha portato a una diminuzione del ruolo dello stato nell'economia. Nel 1992 il prodotto nazionale lordo della Francia ammontava a 12.700 miliardi di dollari, pari a un reddito pro capite di circa 22.060 dollari.

Agricoltura


Il territorio coltivabile rappresenta circa il 35% della superficie del paese e il settore agricolo, insieme alla silvicoltura e alla pesca, impiega circa il 6% della popolazione attiva. Le aziende agricole francesi, con una superficie media di circa 15 ettari, realizzano una produzione di cereali e di altre colture alimentari largamente sufficiente a soddisfare la domanda interna. La viticoltura costituisce una preziosa risorsa e, con l'Italia, la Francia detiene il primato mondiale della produzione di vino: alla fine degli anni Ottanta la produzione annua si aggirava intorno ai 7 miliardi di litri.

Le principali colture, la cui distribuzione è legata ai vari tipi di ambienti e di suoli, vedono al primo posto il frumento, di cui la Francia è uno dei maggiori produttori mondiali; comprendono poi barbabietole da zucchero, patate, mais e orzo, oltre a segale, avena, rape, carciofi, lino, canapa e tabacco. In alcune zone del paese si pratica la bachicoltura e nel sud l'olivicoltura; anche la frutticoltura è una voce fondamentale dell'economia agraria, con una vasta produzione di mele, da pasto e da sidro, pere, prugne, pesche, albicocche, ciliege, agrumi e noci. Di grande rilievo è l'allevamento di bovini e mucche da latte, che consentono un'attività casearia di primaria importanza; ma importante è anche l'allevamento di ovini, suini, capre, cavalli e volatili da cortile.

Silvicoltura e pesca

La Francia ha una dotazione forestale notevole per un paese europeo: le foreste coprono più del 27% della superficie nazionale e garantiscono la produzione di buoni quantitativi di legname impiegato nell'industria cartaria e delle costruzioni; in Corsica è fiorente la produzione di sughero.

La pesca è praticata soprattutto nelle acque dell'Atlantico dalle quali si ricavano grandi quantità di tonni e merluzzi lavorati nelle numerose industrie conserviere situate nei maggiori centri portuali. Diffusi sono inoltre gli allevamenti di ostriche e di crostacei, soprattutto lungo la costa bretone.

Industria

Il settore industriale francese assorbe circa il 30% della popolazione attiva. Un ruolo di primo piano hanno l'industria siderurgica e metallurgica, che possono contare sulla presenza di giacimenti nazionali di ferro, zinco, piombo e rame; le produzioni di ghisa, di acciaio e di alluminio pongono la Francia ai primi posti tra i paesi dell'Unione Europea. Particolare rilievo hanno l'industria cantieristica, quella meccanica degli autoveicoli e dell'aeronautica, quella delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e dei prodotti chimici.

Nel paese sono presenti notevoli giacimenti di gas naturale, mentre il petrolio, quasi per intero d'importazione, è lavorato in grandi raffinerie costiere sia sul Mediterraneo che sulla Manica. Nel settore dell'energia, un importante ruolo rivestono le centrali nucleari, cui si devono i due terzi della produzione energetica.

L'industria tessile - filati e tessuti di lana, cotone, seta e fibre sintetiche - ha una posizione mondiale di primo piano e a essa è legata una fiorente industria dell'abbigliamento. Il settore alimentare è ampiamente differenziato nelle diverse zone di produzione agricola: di rilievo per l'economia francese è la lavorazione della barbabietola da zucchero, la distillazione e la produzione di pregiate specialità gastronomiche quali il rinomato fois gras. Altri prodotti di rilievo sono profumi, tappezzerie, orologi, porcellane, vasellame e cristalli, ceramiche, mobili e numerosi altri articoli di lusso.

Flussi monetari e commercio

L'unità monetaria della Francia è il franco francese, emesso dalla Banque de France, fondata nel 1800 e nazionalizzata nel 1946. Tra i principali istituti bancari tre furono nazionalizzati nel 1945: la Banque Nationale de Paris, il Crédit Lyonnais e la Société Générale. Il mondo degli affari e della finanza assorbe circa il 10% della popolazione attiva francese.

Commercio e servizi assorbono circa il 55% della forza lavoro: la Francia è tra i primi paesi al mondo per volume di scambi commerciali, basati su un'ampia varietà di merci. Negli anni Ottanta la bilancia commerciale annua è stata sfavorevole, poiché il paese ha dovuto importare ingenti quantità di petrolio grezzo. I principali prodotti di esportazione sono veicoli, ferro e acciaio, capi di bestiame e carne macellata, petrolio raffinato, capi di abbigliamento, tessuti e vino.

Oltre la metà del commercio estero si svolge all'interno dell'Unione Europea, specialmente con Germania, Belgio, Lussemburgo e Italia; vi sono importanti scambi commerciali anche con gli Stati Uniti, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna, le ex repubbliche sovietiche e il Giappone. Importanti per il paese sono le relazioni commerciali con alcuni ex possedimenti coloniali d'oltremare, quali Algeria, Marocco, Tunisia e Costa d'Avorio.

Trasporti

Il sistema di trasporti francese è tra i più avanzati in Europa. La rete stradale, di differente gestione, si sviluppa su 960.000 km, di cui 26.000 km sono nazionali (le autostrade sono 7956 km); quella ferroviaria è lunga 32.275 km, di cui un terzo costituito di reti elettrificate. Le ferrovie francesi furono in parte nazionalizzate nel 1938 e oggi si distinguono per il treno ad alta velocità (train à grande vitesse, TGV), che garantisce rapidi collegamenti tra le città principali e Parigi.

Vi sono circa 5700 km di acque navigabili interne, mentre i trasporti via mare dispongono di una flotta mercantile tra le più efficienti del mondo. Due sono le comnie aeree di bandiera: l'Air France, che assicura una vasta rete di collegamenti internazionali, e l'Air Inter, che effettua i servizi interni. Gli aeroporti principali, Charles De Gaulle e Orly, si trovano nei pressi di Parigi.

Ordinamento dello stato

La Francia, repubblica presidenziale, deriva il suo ordinamento dalla Costituzione promulgata nell'ottobre 1958 in base alla quale la sovranità della repubblica risiede nel popolo francese, che esercita il potere politico attraverso un Parlamento rappresentativo nonché attraverso consultazioni referendarie. Il Parlamento francese si compone dell'Assemblea nazionale (577 deputati) e del Senato (321 membri). La prima è eletta a suffragio universale diretto e ciascun partito vi è rappresentato in proporzione alla quota di voti ottenuti nel suffragio popolare: i deputati ricoprono la loro carica per un mandato di cinque anni. I senatori sono eletti per nove anni a suffragio popolare indiretto, ovvero da membri di altri organi rappresentativi.



La Costituzione del 1958 istituì un nuovo organo, il Consiglio costituzionale, al quale è conferito il potere generale di garantire la regolarità delle elezioni e dei referendum e di decidere in merito alla costituzionalità delle leggi; il consiglio è composto di nove membri designati e di tutti gli ex presidenti della repubblica. In Francia il diritto di voto è conferito al conseguimento del diciottesimo anno d'età.

Potere esecutivo

Il presidente è eletto per un mandato di sette anni a suffragio universale diretto. Il presidente è capo delle forze armate e presiede il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio di difesa nazionale e il Consiglio dei ministri (Gabinetto di governo); designa inoltre il primo ministro e nomina i ministri di governo.

Il primo ministro e il Consiglio dei ministri sono responsabili unicamente di fronte all'Assemblea nazionale, nonostante il capo del governo abbia il diritto di chiedere al Senato l'approvazione di una dichiarazione programmatica. L'adozione di una mozione di censura da parte dell'Assemblea nazionale, o la mancata approvazione di una dichiarazione programmatica avanzata dal Consiglio dei ministri, obbligano il primo ministro alle dimissioni.



Potere legislativo

Il Parlamento francese è composto da due camere, ma il potere legislativo supremo è conferito all'Assemblea nazionale. Il Senato è un organo consultivo che ha diritto di esaminare e di esprimere pareri in merito alla legislazione e alle direttive politiche emanate dall'Assemblea nazionale e di ritardare, ma non di impedire, l'approvazione delle leggi. In caso di disaccordo tra le due camere in merito a un progetto di legge, la decisione finale è demandata all'Assemblea nazionale, la quale può accettare il parere espresso dal Senato o anche, dopo un determinato periodo di tempo, riadottare la propria originaria decisione.

Il Consiglio economico e sociale, composto di rappresentanti dei diversi gruppi di lavoratori e di datori di lavoro e di organizzazioni professionali e culturali, esercita una funzione consultiva in materia economica nei confronti dell'Assemblea nazionale e del Consiglio dei ministri. La Costituzione del 1958 limita l'attività dell'Assemblea nazionale a due sessioni annuali, stabilisce che per l'adozione di un voto di censura contro il governo sia necessaria una maggioranza assoluta e proibisce ai promotori di una mozione di censura che non venga adottata di presentare una mozione analoga nel corso della stessa sessione. L'adozione di un emendamento costituzionale richiede l'approvazione di entrambe le camere del Parlamento e di un successivo referendum popolare, o la semplice approvazione da parte dei tre quinti del Parlamento.

Partiti politici


La scena politica francese si è spesso caratterizzata per la presenza di numerosi gruppi politici, molti dei quali divisi da questioni politiche o teoriche solo secondarie. Le leggi elettorali introdotte sotto la Quinta Repubblica, tuttavia, hanno spinto verso la fusione o la coalizione tra partiti politici indipendenti. Quattro gruppi principali - due organizzazioni di centro-destra e due partiti di sinistra - hanno dominato la politica francese negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Il Rassemblement pour la République (Raggruppamento per la Repubblica), o RPR, fondato nel 1976 dall'ex primo ministro Jacques Chirac, si richiamava alle idee dell'ex presidente Charles De Gaulle. L'Unione per la democrazia francese (UDF), una coalizione formatasi intorno al Partito repubblicano, era fortemente legata all'ex presidente Valéry Giscard d'Estaing. A sinistra si trovavano il Partito socialista, guidato dal presidente francese François Mitterrand, e il Partito comunista francese, guidato da Georges Marchais.

Nelle elezioni parlamentari del 1993 i socialisti sono stati battuti da una coalizione tra RPR e UDF, che ha ottenuto più dell'80% dei seggi all'Assemblea nazionale. Considerata la determinazione di Mitterrand a rimanere in carica fino alle elezioni presidenziali del 1995, iniziò per la Francia un periodo di 'coabitazione' conclusosi con l'elezione di Jacques Chirac.

Sistema giudiziario

In Francia l'amministrazione della giustizia compete per le cause civili e penali di minor gravità a tribunali locali chiamati Tribunali di istanza e Tribunali di grande istanza. Per i crimini punibili con la carcerazione fino a cinque anni e per le cause civili più importanti sono competenti i tribunali correzionali. La Corte d'appello riceve i ricorsi da questi tribunali di grado inferiore. I processi per le cause penali di maggiore importanza sono celebrati di fronte alle Corti d'assise. Il ricorso contro le sentenze emesse dalle Corti d'assise e dalle Corti d'appello è possibile di fronte alla Corte di cassazione che ha il potere di annullare le sentenze e di istituire nuovi processi.

Storia

Le più antiche culture di cui si abbiano tracce risalgono al Paleolitico: ne danno testimonianza i numerosi e importanti ritrovamenti di pitture murali rupestri (le più famose si trovano a Lascaux nella valle della Dordogna). Pochi sono i resti risalenti al Mesolitico (8000-4000 a.C.), mentre al Neolitico (4000-2000 a.C.) risalgono i menhir della Bretagna e i dolmen della valle della Loira e dello Chamne.

Culture più evolute emersero durante l'età del Bronzo e l'età del Ferro: prima dell'800 a.C. le tecniche di impiego del ferro furono introdotte dalla civiltà di Hallstatt, originaria della regione alpina e diffusasi su gran parte del territorio francese; a quest'epoca i celti, o galli, divennero il gruppo dominante.

Il contatto con le culture del Mediterraneo avvenne all'inizio del VII secolo a.C. con la fondazione di una colonia greca a Marsiglia. Nel V secolo a.C. la civiltà di La Tène si irradiò dalla Gallia orientale nel resto del mondo celtico.

La Gallia romana



Nel 121 a.C. i romani stabilirono un protettorato sull'antica colonia greca di Massalia (Marsiglia) e fondarono la nuova colonia di Narbo Martius (odierna Narbonne), centro della fiorente provincia della Gallia Narbonensis.

Giulio Cesare conquistò il resto della Gallia tra il 58 e il 51 a.C. Le terre di nuova conquista vennero chiamate Gallia Belgica, Gallia Lugdunensis e Aquitania. Il centro più importante era Lugdunum (l'odierna Lione).

Per i romani, il principale problema nella regione era rappresentato dalla minaccia di incursioni di tribù germaniche lungo il confine nordorientale; i primi due secoli della dominazione romana furono tuttavia generalmente pacifici e prosperi. Nel III secolo d.C., con l'inizio del declino dell'impero romano, la Gallia cominciò a subire una serie di contraccolpi, dovuti soprattutto alle condizioni di instabilità politica ed economica e alla crescente pressione delle tribù germaniche lungo il confine.

Nel corso del IV secolo piccoli gruppi di germani si stanziarono nella Gallia con il consenso delle autorità romane. Nel 406 il movimento migratorio divenne una vera e propria invasione: vandali, svevi e alani attraversarono rapidamente la Gallia, giungendo in Sna. Nel 412 i visigoti dall'Italia penetrarono liberamente nella Gallia meridionale e intorno al 440 i burgundi si insediarono nella Gallia orientale. A nord-ovest gruppi celtici originari della Britannia, che avevano subito l'invasione di tribù germaniche, si rifugiarono nella regione della Bretagna, che da loro prese il nome. Nel 451 il tentativo di invasione degli unni di Attila fu respinto nella battaglia dei Campi Catalaunici.

La nascita della Francia


Negli ultimi due decenni del V secolo, la Gallia fu conquistata da un'altra tribù germanica, i franchi salii: il loro re Clodoveo, sposato a una principessa burgunda, si convertì al cristianesimo nel 496, consolidando così il suo potere sul territorio.

Merovingi e Carolingi

La dinastia fondata da Clodoveo, i Merovingi, regnò fino al 751. Secondo il costume dei franchi tutti i possedimenti regi, compreso il titolo reale, venivano divisi tra i li del sovrano. In conseguenza di ciò, la Francia merovingia del VI e VII secolo fu afflitta da re deboli (i 're fannulloni'), da una costante mancanza di unità e dalla guerra civile: solo nel 613, sotto Clotario II, e in seguito con il lio Dagoberto I, il regno visse un periodo di relativa unificazione.

Intanto il potere si era concentrato nelle mani dei maestri di palazzo, funzionari regi che si occupavano delle proprietà reali. In particolare Pipino di Heristal si impose sui suoi rivali, estendendo la propria autorità sui regni franchi della Neustria e della Borgogna, nell'ovest e nel sud. Dopo che suo lio, Carlo Martello, ebbe riunito un esercito e bloccata l'invasione araba a Poitiers (732), nel 751 il lio e successore di questi, Pipino il Breve, depose l'ultimo sovrano merovingio e fu incoronato re dei franchi.

La nuova dinastia dei Carolingi (dal nome del suo membro più famoso, Carlo Magno), venne rafforzata dall'alleanza stretta da Pipino con il papato: papa Stefano II acconsentì alla conquista carolingia del trono nel 754; a sua volta, nei due anni seguenti, Pipino condusse varie camne in Italia per difendere gli interessi del papa contro i longobardi. Alla sua morte nel 768, il lio Carlo (il futuro Carlo Magno) divise il potere col fratello Carlomanno, che morì tre anni dopo. Carlo Magno restò unico sovrano dei franchi per oltre quattro decenni, fino alla sua morte nell'814.



Carlo Magno e i suoi successori


Nei primi anni del suo regno, Carlo Magno fu impegnato in camne militari su vari fronti: in Italia, dove conquistò il regno dei longobardi; in Sna contro musulmani e baschi; contro i bavari e gli avari a est e, per trent'anni, contro i sassoni in Germania.

Nell'800, egli fu incoronato a Roma da papa Leone III imperatore dei romani; istituì un vasto sistema amministrativo per il governo dell'impero, diviso in quasi 250 contee, e diede inizio a un programma di riforme in campo culturale e religioso.

Alla morte di Carlo Magno aspre lotte si scatenarono tra i suoi li Ludovico I il Pio, cui era stata destinata l'Aquitania, Pipino, cui spettava l'Italia, e Carlo, erede della Germania. Morto Carlo prematuramente, Ludovico il Pio suddivise i suoi territori fra i tre li: Lotario I, Pipino e Ludovico II il Germanico. Un quarto lio, Carlo (Carlo II), avuto dalla seconda moglie, rivendicava a sua volta parte dell'eredità paterna.

Il trattato di Verdun (843) stabilì una temporanea suddivisione dell'impero, che sancì alla fine la separazione del regno dei franchi occidentali, o Francia (della quale Carlo il Calvo fu il primo re), dal regno dei franchi orientali o Germania (che restò a Ludovico il Germanico).

Delle divisioni interne della Francia approfittarono i vichinghi per compiere incursioni e razzie; nel 911 un grande esercito di normanni, guidato da Rollone, ottenne da re Carlo III il Semplice quel territorio nella bassa valle della Senna che divenne noto come ducato di Normandia. Nel frattempo il potere effettivo era passato dai re carolingi ai loro signori feudali.

La dinastia capetingia



Alla morte di Luigi V, l'ultimo re carolingio (967-987), la nobiltà si rivolse a Ugo Capeto (lio di Ugo il Grande, conte di Parigi), che si assicurò consenso distribuendo terre ai suoi elettori. Nonostante i nobili francesi non avessero intenzione di avallare la fondazione di una dinastia dei Capetingi, Ugo, con il sostegno della Chiesa, riuscì ad affermare la sua autorità e a far incoronare coreggente suo lio Roberto II: i Capetingi si assicurarono la successione alla corona per discendenza maschile per oltre tre secoli (987-l328).

I primi sovrani capetingi rimasero sottomessi ai principi feudali: su di loro riuscì a imporsi, alla fine dell'XI secolo, Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia e vassallo del re Filippo I. Toccò al successore di Filippo, Luigi VI, consolidare definitivamente il potere nell'Ile-de-France, la regione al cui centro si trova Parigi, reprimendo sistematicamente l'opposizione feudale. Nel 1137 egli combinò il matrimonio tra il lio, il futuro Luigi VII, ed Eleonora, erede al ducato di Aquitania, assumendo così il controllo di vasti territori tra la Loira e i Pirenei. L'unione si rivelò però priva di eredi maschi: alcuni anni dopo il papa concesse l'annullamento del matrimonio e successivamente Eleonora sposò Enrico tageneto, conte d'Angiò e duca di Normandia, che nel 1154 divenne re d'Inghilterra col nome di Enrico II. In tal modo l'Aquitania passò dalla corona francese a quella inglese e i domini di Enrico in terra francese (il regno angioino) superarono notevolmente per estensione quelli di Luigi VII.

La dinastia dei Capetingi conobbe miglior fortuna sotto il successore di Luigi VII, Filippo II Augusto. Grazie al suo primo matrimonio, egli ottenne i territori settentrionali dell'Artois, del Valois, del Vermandois e del Vexin, una piccola ma importante area attraversata dalla Senna, al confine tra la Normandia e l'Ile-de-France.

La possibilità di muoversi contro il regno angioino gli si presentò quando Giovanni Senzaterra, re d'Inghilterra, sposò una principessa già promessa a un altro vassallo di Filippo. Filippo convocò Giovanni alla sua corte tre volte e, poiché questi non si presentò, dichiarò alienati i suoi feudi. Nel 1204 egli intraprese la conquista militare della Normandia e dell'Angiò, conclusa dieci anni dopo con la sconfitta degli eserciti alleati di Inghilterra e Sacro romano impero nella battaglia di Bouvines (1214).

L'occasione di intervenire al sud fu fornita invece dagli albigesi, una setta religiosa eretica particolarmente attiva in Provenza e in Linguadoca. Contro questi papa Innocenzo III promosse una crociata nel 1209, promettendo ai crociati le terre che avrebbero sottratto agli eretici. La camna militare fu condotta con successo dal lio di Filippo Augusto, Luigi VIII: i possedimenti reali si estesero così fino a comprendere i territori costieri del mar Mediterraneo.

Morto Luigi VIII nella crociata, salì al trono il dodicenne Luigi IX che subito si trovò a fronteggiare la ribellione della nobiltà locale. Il sovrano si garantì tuttavia la fedeltà delle province conquistate, estendendo e migliorando l'amministrazione del regno e inviando ispettori nelle province, in funzione di controllo nei confronti dei funzionari regi.

A Luigi IX, morto di peste a Tunisi durante una crociata, succedette Filippo III.

Filippo IV il Bello, ultimo grande re capetingio, rafforzò notevolmente i poteri della monarchia. Vescovi, baroni e città furono costretti alla collaborazione con il sovrano, in materia sia di giustizia sia di finanze. Filippo si assicurò l'annessione della Franca Contea, di Lione e di parti della Lorena, ma non riuscì a imporre il suo controllo sulle Fiandre: quest'ultimo intervento fu inoltre tanto oneroso da indurlo a tentare di imporre tributi al clero, entrando così in contrasto con papa Bonifacio VIII: la disputa, che verteva sostanzialmente sul principio di sovranità, si aggravò fino a sfociare nell'oltraggio di Anagni, dove il papa venne imprigionato dai francesi. Nel 1305, alla morte di Bonifacio, grazie all'influenza di Filippo fu eletto un papa francese, Clemente V, che trasferì la sede papale da Roma ad Avignone nel 1309 (vedi Cattività avignonese).

La grande necessità di denaro spinse Filippo all'espulsione degli ebrei dal regno e alla confisca dei loro beni; per la stessa ragione egli perseguitò e sciolse l'ordine dei templari. Tra il 1314 e il 1328, si succedettero al trono tre li di Filippo IV (Luigi X, Filippo V e Carlo IV), nessuno dei quali lasciò un erede maschio.

Il regno dei Valois



Alla morte di Carlo IV, la corona passò (in virtù della legge salica) al nipote di Filippo IV, Filippo di Valois, che regnò col titolo di Filippo VI dal 1328 al 1350. Il sovrano inglese Edoardo II aveva sposato una lia di Filippo IV: il lio ed erede Edoardo III nel 1337 avanzò quindi pretese sul trono francese in qualità di nipote di Filippo il Bello, dando inizio alla guerra dei Cent'anni (1337-l453).

Contemporaneamente allo svolgersi della prima fase della guerra, favorevole agli inglesi (battaglia di Crécy, 1346, e presa di Calais), nel 1348 un'epidemia di peste bubbonica investì la Francia, uccidendo nel giro di due anni un terzo della popolazione e riendo periodicamente sino al 1398. Queste calamità generarono una crisi che si manifestò in una diffusa ossessione di morte e nel proliferare di movimenti religiosi fanatici ed eretici. Lo smembramento della società comportò sanguinose ribellioni di contadini, ridotti alla fame dall'aumento dei prezzi e dalle vessazioni della nobiltà: tra le sollevazioni la più famosa e vasta fu la jacquerie del 1358.

Oltre alla disastrosa situazione interna, i costi della guerra continuavano a lievitare: in tale situazione sempre più potere acquisirono gli Stati Generali, un'assemblea composta da rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo Stato. La Francia non conobbe miglior fortuna durante il regno, durato 42 anni, di Carlo VI. Il tracollo si ebbe quando nel 1415 il re inglese Enrico V invase la Francia e annientò l'esercito francese ad Azincourt, assicurandosi il controllo della maggior parte del territorio francese a nord della Loira.

Alla riscossa francese sotto Carlo VII diede inizio la carismatica Giovanna d'Arco che guidò la liberazione di Orléans dall'assedio inglese: attraverso varie sconfitte, nei vent'anni successivi gli inglesi dovettero cedere tutti i loro territori sul continente, fatta eccezione per Calais.

Luigi XI rafforzò l'autorità regia a un livello senza precedenti, istituendo un esercito permanente e assicurandosi il potere di imporre una tassa (la taille) senza il consenso dei destinatari. Gli succedette il lio Carlo VIII, il cui matrimonio con la duchessa di Bretagna fece sì che quest'ultima provincia, rimasta indipendente, fosse unita ai domini francesi.

Il Rinascimento e la Riforma

Prima della fine del XV secolo la Francia emerse dalle divisioni del passato feudale come una monarchia nazionale, il cui dominio si estendeva sui territori compresi tra i Pirenei e il canale della Manica. La società francese era ancora dominata dall'aristocrazia terriera, ma la terra non era più la sola forma di ricchezza. Nei cinquant'anni seguenti, il prestigio sociale e il potere economico della nobiltà vennero erosi dallo sviluppo della borghesia.

Carlo VIII e i successori Luigi XII e Francesco I approfittarono della crescente forza economica della nazione e della situazione di stabilità interna per condurre spedizioni militari in Italia con l'obiettivo di far valere le proprie pretese sul regno di Napoli e sul ducato di Milano. Le guerre italiane (che si inserirono nel quadro del più ampio conflitto tra la Francia e la dinastia degli Asburgo di Sna e Austria) si conclusero con il trattato di Cateau-Cambrésis del 1559, negoziato da Enrico II, successore di Francesco I: la Francia rinunciò a ogni pretesa sull'Italia, ma ottenne i vescovadi di Metz, Toul e Verdun, situati in posizioni strategiche.

Sotto Francesco I, il potere e il prestigio della Corona crebbero notevolmente. Egli si impose come unico depositario della legge della monarchia sugli Stati Generali; il concordato di Bologna (1516), negoziato con papa Leone X, garantì al sovrano francese il potere di nominare persone di sua scelta alle cariche vescovili e agli altri benefici ecclesiastici. Fu anche un intelligente e generoso mecenate, ed è al suo sostegno che in gran parte si dovette il fiorire del Rinascimento francese.

L'ultima parte del secolo fu un periodo particolarmente difficile per la Francia. La Riforma protestante, che aveva avuto in un primo tempo scarso seguito nel paese, fece proseliti tra la nobiltà e nelle classi inferiori. Enrico II, ritenendo il calvinismo una minaccia per l'autorità regia, tentò di reprimerlo, avviando una lunga e sanguinosa serie di guerre di religione in cui si inserivano parimenti questioni di conflitti dinastici e politici.



Alla morte di Enrico II, nel 1559, salì al trono per soli due anni il lio malato Francesco II, quindi il fratello tredicenne, Carlo IX. La regina madre Caterina de' Medici fu la reggente del potere effettivo in nome dei li, rimanendo una ura influente anche sotto il regno del terzo lio Enrico III. Caterina mantenne una posizione ambigua nei confronti degli ugonotti francesi, incoraggiando più volte le opposte fazioni al compromesso, ma al contempo dando il suo assenso al tristemente famoso massacro della notte di San Bartolomeo a Parigi, nell'agosto del 1572.

Nel 1589, alla morte di Enrico III, ucciso da un frate domenicano, Enrico di Borbone, re di Navarra, discendente di Luigi IX e capo della fazione degli ugonotti, divenne il legittimo erede al trono.

Enrico di Navarra assunse il titolo di Enrico IV di Francia, ma la sua legittimità fu riconosciuta dalla Lega cattolica e dall'alleato snolo di questa, pretendente al trono francese, solo nel 1593, quando egli si convertì pubblicamente al cattolicesimo. L'anno seguente venne incoronato nella Cattedrale di Chartres: la dinastia dei Borbone saliva così al trono di Francia.

La Francia sotto i primi Borbone


Nel 1598, liberato il territorio francese dagli ultimi eserciti snoli, Enrico tentò di restaurare la pace interna emanando l'editto di Nantes, che garantiva a tutti i sudditi libertà di coscienza religiosa. Seguì per la Francia un periodo di ripresa dalla devastazione causata dalle guerre di religione: l'economia tornò a prosperare e l'autorità regia venne saldamente riaffermata.

Nel 1610 re Enrico venne assassinato a sua volta da un fanatico cattolico e gli succedette il lio di nove anni, Luigi XIII. Per i primi quindici anni del suo regno il paese fu abbandonato alla debole reggenza della regina madre, Maria de' Medici, o all'incerta guida del giovane sovrano.

Nel 1624 Luigi nominò primo ministro Armand du Plessis, il cardinale Richelieu, che fu il vero detentore del potere in Francia nei diciotto anni che seguirono. Suoi obiettivi primari furono il consolidamento della monarchia mediante la distruzione del potere della nobiltà rivale e l'indebolimento degli Asburgo. Egli divise il paese in 30 nuovi distretti amministrativi a capo dei quali nominò degli intendenti, scelti tra funzionari fedeli appartenenti al ceto medio, ai quali vennero attribuiti enormi poteri giudiziari, finanziari e di polizia. Fondò la marina francese (forte di una flotta mediterranea e di una atlantica) e promosse lo sviluppo di una flotta mercantile; concesse inoltre uno statuto ufficiale a comnie di commercio estero e sostenne l'espansione coloniale in Canada, Africa e nelle Indie Occidentali.

Nel contempo l'inflazione, le crescenti imposte e, dopo il 1635, la devastazione seguita all'invasione di eserciti stranieri, ridussero nuovamente in miseria gran parte della popolazione rurale e le rivolte contadine scoppiate tra il 1625 e il 1639 vennero spietatamente represse.

Quando nel 1635 si profilò il rischio che l'imperatore del Sacro romano impero riunisse l'intera Germania sotto il suo dominio, Richelieu fece intervenire la Francia nella guerra dei Trent'anni, alleandosi con la Sa e i Paesi Bassi, entrambi paesi protestanti. Dalla pace di Vestfalia del 1648, che riconosceva la sovranità di tutti gli stati appartenenti all'impero a scapito degli Asburgo, la Francia emerse come grande vincitrice della guerra e maggior potenza continentale.

Il regno di Luigi XIV




Richelieu morì nel 1642 e Luigi XIII l'anno seguente, lasciando il trono al lio di cinque anni, Luigi XIV. Il protetto e successore di Richelieu, il cardinale Giulio Mazzarino, continuò la politica del suo predecessore concludendo vittoriosamente la guerra con gli Asburgo e scongendo all'interno il primo sforzo coordinato di nobili e borghesi di rovesciare la concentrazione di potere nelle mani del re operata da Richelieu.

Dal 1648 al 1653 il paese fu sconvolto da due moti rivoluzionari, la Fronda parlamentare e quella dei principi; in seguito scoppiò una rivolta di nobili ribelli nel sud e, prima che la ribellione venisse sedata, altre zone della Francia furono nuovamente sconvolte dalla guerra civile.

Dopo la morte del cardinale Mazzarino (1661), per i 54 anni che seguirono Luigi XIV governò la Francia senza intermediari, divenendo il modello del monarca assoluto per diritto divino (vedi Assolutismo). Egli istituì vari consigli che lo assistevano e ne attuavano le disposizioni, composti da uomini capaci e dipendenti dal sovrano; mise a tacere le pretese di un diritto di veto sui decreti regi avanzate dai parlamenti; la nobiltà, che rappresentava un potenziale pericolo, fu legata alla corte attraverso il conferimento di incarichi prestigiosi, ma di puro valore formale. La ricca borghesia trovò soddisfazione dal punto di vista politico nel mantenimento dell'ordine interno assicurato dallo stato, nel sostegno attivo al commercio e all'industria in patria e nelle colonie (grazie soprattutto al ministro delle Finanze Jean-Baptiste Colbert, massimo esponente del mercantilismo dell'epoca), e nelle opportunità di arricchirsi attraverso le spese dello stato.

Il potere di nominare i vescovi assicurò a Luigi XIV un saldo controllo sulla gerarchia ecclesiastica. Il sovrano regnava in qualità di rappresentante di Dio in terra, ottenendo da un clero compiacente la giustificazione teologica del suo diritto divino: l'unica voce dissidente, quella dei giansenisti, venne duramente combattuta dal re.

Nel 1685, con la revoca dell'editto di Nantes, il sovrano causò un serio danno all'economia nazionale; l'esodo di migliaia di protestanti, tra cui artigiani, intellettuali e ufficiali dell'esercito, rappresentò infatti una grave perdita per il paese. Sul versante della politica estera, Luigi impegnò il paese in quattro costose guerre, tutte intese a contenere e ridurre la potenza degli Asburgo, e a rafforzare la difesa della Francia estendendone i confini. Nel 1667, in virtù del suo matrimonio con Maria Teresa, lia di Filippo IV di Sna, rivendicò il dominio sui Paesi Bassi snoli, che riuscì a ottenere solo parzialmente (vedi Guerra di devoluzione).

Nel 1672, spinto da considerazioni di ordine strategico ed economico, attaccò l'Olanda, che tuttavia resistette per sei anni, concedendo alla fine solo la Franca Contea al confine orientale e una dozzina di città fortificate nel sud dei Paesi Bassi (vedi Pace di Nimega, 1678).

La politica espansionistica del sovrano fu in seguito avallata dalla formula delle cosiddette dipendenze: egli annetté Strasburgo e altre città e feudi dell'Alsazia e del Lussemburgo. Una coalizione di potenze europee, la lega di Augusta (vedi Grande Alleanza), mosse guerra alla Francia, con il sostegno di Inghilterra, principati tedeschi e ducato di Savoia. Luigi XIV, sconfitto, dovette accettare la pace di Rijswijk.

Tre anni dopo la conclusione della guerra, altri conflitti dinastici si profilarono all'orizzonte: Carlo II, re di Sna, già malato e senza eredi diretti, un mese prima di morire designò suo successore il nipote di Luigi XIV, Filippo d'Angiò, il futuro Filippo V. Gli altri stati europei, temendo le conseguenze di un'ulteriore espansione del potere dei Borbone, si allearono per scongiurare tale possibilità. La guerra di successione snola che seguì durò tredici anni e si concluse con la conferma del dominio di Filippo V sulla Sna e sulle sue colonie. Il 1° settembre 1715, dopo 73 anni di regno, Luigi XIV, il 're Sole', moriva a Versailles, lasciando come unico erede il nipote di cinque anni.



La Francia nel XVIII secolo

Luigi XV e il nipote, Luigi XVI, non ebbero le capacità necessarie ad adattare le istituzioni del paese alle mutate condizioni del XVIII secolo. La Francia fu in quest'epoca la più ricca e potente nazione del continente e il suo gusto e stile nell'architettura e nelle arti vennero imitati in tutto l'Occidente. Le idee politiche e sociali dei pensatori francesi ebbero grande influenza sugli altri paesi d'Europa e in America, e il francese si diffuse ovunque come lingua delle classi colte (vedi Illuminismo).

Il secolo rappresentò un'epoca di straordinaria crescita economica: la popolazione salì da 21 milioni di abitanti nel 1700 a 28 milioni nel 1790, il reddito prodotto dall'agricoltura aumentò del 60%. La Francia era la principale potenza manifatturiera del mondo, possedeva il miglior sistema stradale d'Europa e una fiorente marina mercantile. Il reddito dei ceti più bassi, tuttavia, riusciva a malapena a tenere il passo con l'inflazione; la maggior parte dei contadini continuava a condurre un'esistenza miserabile, su cui gravava il fardello delle tasse. Da queste erano invece esentate le terre della nobiltà e del clero (circa il 35% dei terreni coltivati), così che lo stato stesso era di fatto escluso dalla nuova prosperità. Vari ministri che si succedettero a partire dagli anni Cinquanta del secolo tentarono di istituire un sistema fiscale equilibrato, ma la nobiltà di toga, che aveva ottenuto i propri titoli acquistandoli dalla Corona, guidò nei parlamenti l'opposizione alle iniziative del re, rivendicando il diritto di approvare i decreti regi al fine di difendere le libertà pubbliche contro il dispotismo del sovrano; in realtà essa difendeva i propri privilegi e auspicava il ritorno a un governo dell'aristocrazia.

Tra gli intellettuali, l'opposizione alla monarchia fu invece guidata dai philosophes, sostenitori dell'esistenza di diritti naturali (vita, libertà, proprietà e autogoverno) e dell'idea che gli stati esistessero per garantire tali diritti: tali tesi erano assecondate soprattutto dalla borghesia che stava crescendo in numero, ricchezza e ambizione, e che aspirava a partecipare al governo della cosa pubblica.

I problemi finanziari dello stato si aggravarono dopo il 1740 con la ripresa di pesanti conflitti (la guerra di successione austriaca e la guerra dei Sette anni), al termine dei quali la Francia perse la quasi totalità del suo vasto impero coloniale in America, in Africa e in India. Nel 1778 la Francia intervenne contro la Gran Bretagna nella guerra d'indipendenza americana, sperando di riconquistare le colonie perdute. Questa speranza fu tuttavia delusa e la partecipazione alla guerra accrebbe il già oneroso debito nazionale.

Il giovane e indeciso Luigi XVI si trovò ad affrontare una crisi finanziaria sempre più grave. Dopo che tutti i programmi di riforma adottati dai suoi ministri vennero bloccati dai parlamenti e da un'improvvisata assemblea di notabili, nel maggio del 1788 il re esautorò gli organi di opposizione. Ebbe inizio un lungo braccio di ferro che si concluse con l'assenso del sovrano a convocare gli Stati Generali, l'antico organo rappresentativo che non si riuniva dal 1615. La seduta di apertura fu fissata per il mese di maggio 1789: la Rivoluzione francese era alle porte.


La rivoluzione del 1789


Il 5 maggio 1789 i deputati eletti agli Stati Generali si riunirono a Versailles; il 17 giugno i membri del Terzo Stato si autoproclamarono Assemblea nazionale costituente e invitarono gli altri stati a non separarsi prima di aver dato alla Francia una costituzione.

Quando, nel mese di luglio, il governo tentò di sciogliere l'assemblea con la forza, il popolo di Parigi insorse e occupò la Bastiglia: il re fu costretto ad accettare l'Assemblea nazionale che, allarmata dal diffondersi nelle camne di una rivolta di contadini, abolì tutti i diritti e i privilegi feudali, la nobiltà ereditaria e i titoli.

L'Assemblea nazionale, i cui lavori durarono dal 1789 al 1791, provvide a riorganizzare la centralizzata struttura istituzionale della Francia con una nuova amministrazione provinciale e un nuovo sistema giudiziario, che rimisero il potere nelle mani di funzionari e giudici eletti localmente. La Costituzione adottata nel 1791 istituì un governo parlamentare con un sovrano ereditario e un'assemblea eletta per via indiretta da quei cittadini che potevano are le tasse, ma la monarchia costituzionale durò solo un anno, osteggiata dai repubblicani determinati a istituire una repubblica. Sullo sfondo delle sconfitte riportate nella guerra contro l'Austria e la Prussia iniziata nell'aprile del 1792, il 10 agosto 1792 un'insurrezione popolare portò all'elezione di una nuova assemblea costituente, la Convenzione nazionale, che nel settembre del 1792 proclamò la Prima repubblica francese.

In una situazione di estrema instabilità, aggravata da una insurrezione realista in Vandea che portò a una vera e propria guerra civile, e dal conflitto con la vasta coalizione di stati europei promossa dall'Inghilterra contro la Francia rivoluzionaria (vedi Guerre napoleoniche), la Convenzione lasciò che il potere esecutivo si concentrasse nelle mani del Comitato di salute pubblica di sua emanazione, il quale, dominato dai radicali giacobini guidati da Robespierre, inaugurò un regime di terrore verso i nemici veri o presunti. Il re venne processato e giustiziato nel gennaio del 1793 e migliaia di nobili, ecclesiastici e cittadini comuni ne condivisero la sorte.

Il Comitato stabilì il controllo dei prezzi, ordinò requisizioni e razionamenti e decretò la coscrizione obbligatoria; vennero inoltre organizzati e armati i nuovi eserciti di cittadini che in breve tempo rovesciarono le sorti della guerra. Riportata sotto controllo la ribellione interna, la Convenzione adottò una nuova Costituzione che affidava il potere esecutivo a un Direttorio di cinque persone, cui toccò il compito di governare la Francia per quattro difficili anni, minacciato a destra dai realisti desiderosi di restaurare la monarchia e a sinistra dai continui scontri che miravano a imporre la democrazia. A sbloccare la situazione intervenne il colpo di stato del giovane generale Napoleone Bonaparte: nel novembre del 1799 questi rovesciò il Direttorio e il mese seguente istituì il Consolato.

Il Consolato e l'impero


Napoleone divenne ben presto capo assoluto dello stato e del paese. La nuova Costituzione, da lui delineata, assegnava tutti i poteri essenziali alla carica che egli rivestiva, quella di Primo Console. Forte delle vittorie militari in Italia e in Germania meridionale, che costrinsero alla resa prima l'Austria (pace di Lunéville, 1801) e poi la Gran Bretagna (pace di Amiens, 1802), Bonaparte cercò di pacificare la Francia, di sanare le ferite della Rivoluzione, di riconciliare i vecchi nemici, di creare e consolidare le istituzioni di un governo stabile e di chiudere il lungo conflitto con la Chiesa negoziando con papa Pio VII il Concordato del 1801. Il codice napoleonico, che stabiliva la struttura giuridico-amministrativa dello stato, esercitò una influenza decisiva sull'evoluzione di tutta l'Europa continentale, divenendo un modello da imitare.

Nel 1804 Napoleone proclamò l'impero francese e si autoincoronò imperatore. Nel 1805 riprese la guerra e, scongendo l'Austria, la Prussia e la Russia, impose il suo dominio su quasi tutta l'Europa; la sola a resistere, dopo avere sconfitto la flotta francese a Trafalgar, fu la Gran Bretagna. Il tentativo di farla modulare con il blocco continentale condusse Napoleone a intraprendere azioni che si sarebbero rivelate fatali all'impero: la guerra in Sna e l'invasione della Russia.

Dopo la disfatta dell'esercito francese in Russia nel 1812, gli stati europei opposero una nuova coalizione (la sesta): nel giro di due anni e dopo ripetute sconfitte, Napoleone fu costretto ad abdicare (aprile 1814). A maggio il conte di Provenza, fratello di re Luigi XVI, tornò a Parigi col titolo di Luigi XVIII, ma ben presto il suo regime sollevò grande risentimento popolare in Francia, mentre le potenze vincitrici si trovarono in contrasto nel tentativo di ridisegnare la carta dell'Europa. Sfruttando questi sviluppi, nel marzo del 1815 Napoleone rientrò in Francia dal suo esilio nell'isola d'Elba e col sostegno dell'esercito si reinsediò al comando dell'impero. I regnanti europei riunirono i loro eserciti e il 18 giugno 1815, a Waterloo, sconfissero definitivamente l'esercito imperiale. Napoleone si arrese agli inglesi e fu deportato nell'isola di Sant'Elena, nell'Atlantico meridionale, dove morì nel 1821. Il re ritornò a Parigi e la monarchia borbonica venne nuovamente restaurata. Vedi anche Guerre napoleoniche.

La monarchia costituzionale

Luigi XVIII concesse una carta costituzionale (1814) che istituiva una monarchia parlamentare e riaffermava le riforme sociali contenute nei codici napoleonici. Il regime era rappresentativo, ma non democratico, essendo il diritto di voto limitato a meno di 100.000 grandi possidenti.

Il paese aveva accettato il ritorno di Napoleone senza entusiasmo e, dopo la sua sconfitta a Waterloo, accettò Luigi XVIII senza proteste. Con la seconda Restaurazione si scatenò un'ondata di vendette sanguinarie contro bonapartisti e repubblicani. Le prime elezioni parlamentari del 1815 sancirono la vittoria di una maggioranza reazionaria ultrarealista alla Camera, che il re sciolse nel giro di un anno dietro pressione delle potenze alleate timorose di nuove insurrezioni. In una nuova consultazione gli elettori si espressero in favore dei realisti moderati. L'occupazione straniera terminò nel 1818 e la Francia fu riammessa nel concerto delle grandi potenze. Agli anni di governo dei moderati fece seguito, dopo l'assassinio dell'erede al trono nel 1820, un regime ultrarealista, rafforzato dall'ascesa al trono del fratello di Luigi XVIII, Carlo X, nel 1824.


La monarchia di Luglio

Problemi economici portarono alle elezioni generali che nel 1827 sancirono la vittoria di una maggioranza liberale. Nell'agosto del 1829 Carlo nominò un Gabinetto ultrarealista inviso ai deputati liberali e alla stampa. Quando la maggioranza della Camera dei deputati, nel marzo del 1830, chiese la sostituzione del Gabinetto, il re sciolse la Camera e indisse nuove elezioni: di fronte al loro risultato, che confermava la maggioranza, il 26 luglio 1830 il re emanò una serie di ordinanze con cui venivano indette nuove elezioni, si riduceva il numero degli elettori e la libertà di stampa subiva forti restrizioni. Giornalisti e deputati liberali denunciarono una violazione della Costituzione e i lavoratori parigini si schierarono al loro fianco: dopo tre giorni di scontri e disordini, il re fu costretto ad abdicare (vedi Rivoluzione di luglio). I deputati proclamarono re Luigi Filippo, duca di Orléans, capostipite del ramo più giovane della famiglia dei Borboni. La Costituzione subì una revisione in senso più liberale, eliminando il potere regio di emanare ordinanze ed estendendo leggermente il diritto di voto.

La monarchia di Luglio, il regime di Luigi Filippo, fu dominata dai proprietari terrieri e da pochi ricchi banchieri e uomini d'affari. I primi cinque anni furono scossi da rivolte e insurrezioni di repubblicani delusi e lavoratori urbani impoveriti, ma entro il 1835 il regime si consolidò. La crescita della produzione industriale accelerò dopo il 1840, favorita anche dalla costruzione di una rete ferroviaria nazionale: in pochi decenni la Francia, da paese agrario, si trasformò in una nazione industriale. Nei cinque anni che seguirono il 1846 la popolazione rurale diminuì per la prima volta nel secolo, mentre crebbero le migrazioni verso le città.

La rivoluzione del 1848

Luigi Filippo e i suoi ministri si opposero alle richieste di una riforma radicale delle istituzioni politiche nazionali per adattarle all'evoluzione dell'economia e della società; in particolare ciò che si invocava era soprattutto un forte allargamento del diritto di voto. L'inflessibilità del governo e una grave crisi economica nel 1846 e nel 1847 minarono il consenso al regime. Nel febbraio del 1848 il tentativo del governo di impedire una dimostrazione dei repubblicani diede origine a una serie di scontri che sfociarono in una rivoluzione. Luigi Filippo abdicò il 24 febbraio, e un gruppo di capi repubblicani formò un governo provvisorio, proclamando la Seconda repubblica francese.

La Seconda repubblica e il Secondo impero

Nei primi quattro mesi della Seconda repubblica i repubblicani moderati, che miravano unicamente a un cambiamento politico, e i repubblicani radicali, che volevano anche le riforme sociali, si contesero il controllo del paese. In aprile le elezioni favorirono una maggioranza di moderati e conservatori all'Assemblea costituente, le cui misure contro i radicali scatenarono una nuova insurrezione in giugno, con altri tre giorni di scontri sanguinosi a Parigi: ciò creò nella borghesia un timore del radicalismo operaio che avrebbe condizionato la politica francese per il quarto di secolo seguente.

La Costituzione adottata nel novembre del 1848 istituì una repubblica presidenziale con un'unica assemblea legislativa, con elezione a suffragio universale maschile sia del presidente sia dell'assemblea. Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell'ex imperatore, divenne presidente con un grande consenso elettorale. La forza crescente dei repubblicani radicali, che avevano ottenuto un terzo dei seggi, allarmò la piccola e grande borghesia. Luigi Napoleone, ponendosi come il difensore della nazione dal pericolo della rivoluzione radicale, concentrò il potere nelle sue mani con un colpo di stato il 2 dicembre 1851 e diede alla Francia una nuova Costituzione. Un anno dopo restaurò l'impero e assunse il titolo di Napoleone III (il lio di Napoleone I, Napoleone II, non aveva mai regnato).

Fino al 1860 Napoleone III governò la Francia come un sovrano assoluto, ma in seguito cominciò a trasferire il potere agli organi rappresentativi così che, nel 1870, il paese tornò a essere una monarchia parlamentare con un Gabinetto responsabile.

Sotto il Secondo impero riprese lo sviluppo economico del paese, favorito dall'istituzione di nuove banche e di un sistema di credito nazionale, da accordi commerciali con la Gran Bretagna e con altri paesi che rivitalizzarono l'industria, e da un vasto programma di opere pubbliche. Il volto di Parigi fu trasformato con la realizzazione di ampi boulevards attraverso i quartieri centrali, la creazione di grandi parchi e la costruzione di edifici pubblici.

Diversamente, in politica estera, gli unici successi del sovrano furono la vittoria contro la Russia nella guerra di Crimea e la convocazione della conferenza di pace di Parigi. Nel 1859 l'appoggio al Piemonte nella seconda guerra d'indipendenza italiana contro l'Austria rese possibile l'unificazione dell'Italia e valse alla Francia Nizza e la Savoia, ma al prezzo di un nuovo e più potente vicino lungo il confine sudorientale. Tra il 1862 e il 1866, il tentativo di fondare un impero in Messico sotto protettorato francese, sostenuto da una forza di spedizione di 30.000 uomini, si concluse in un disastro (vedi Massimiliano d'Asburgo). La vittoria decisiva della Prussia sull'Austria nel 1866 (vedi Guerra austro-prussiana) rovesciò l'equilibrio dei poteri europei a tutto svantaggio della Francia che non ottenne alcun compenso a fronte dell'espansione territoriale e della crescita del potere prussiano.

La guerra franco-prussiana

Nel luglio del 1870 il primo ministro prussiano Otto von Bismarck (appoggiando un Hohenzollern al trono di Sna) fece in modo di provocare una dichiarazione di guerra da parte della Francia, scongendo in breve tempo l'esercito di Napoleone a Sedan (vedi Guerra franco-prussiana). Quando la notizia giunse a Parigi il 4 settembre, gruppi di cittadini proclamarono la repubblica sotto un governo di difesa nazionale per continuare la guerra. Nel gennaio del 1871, quando Parigi ebbe quasi esaurito le scorte alimentari e la sconfitta militare sembrava ormai irreparabile, il governo francese modulò. Bismarck concesse un armistizio di tre settimane per l'elezione di un'Assemblea nazionale con il potere di concludere la pace. Questa approvò un accordo con cui la Francia era tenuta a cedere alla Germania l'Alsazia e un terzo della Lorena, a are un'indennità di 5 miliardi di franchi e a sottomettersi all'occupazione militare fino al completo amento.



La Terza repubblica

L'esito disastroso della guerra e il timore di una restaurazione monarchica scatenarono una reazione popolare contro il governo. Nel marzo del 1871 scoppiò una rivolta di repubblicani radicali che istituirono un governo municipale indipendente socialista e rivoluzionario, la Comune di Parigi. Due mesi dopo truppe inviate dal governo riconquistarono la città in una settimana di scontri sanguinosi, la cui eredità avrebbe avvelenato la politica francese per un'intera generazione.

La maggioranza realista all'Assemblea mirava a restaurare la monarchia, ma non riuscì a risolvere i dissidi sorti al suo interno tra i pretendenti al trono dei Borboni e degli Orléans; nel 1875 i repubblicani ottennero i voti sufficienti per far approvare una Costituzione repubblicana. Nei trent'anni seguenti la Francia dovette affrontare minacce ricorrenti contro la repubblica, quali il tentativo di colpo di stato di monarchici, bonapartisti e nazionalisti che si erano raccolti intorno al generale Georges Boulanger.

Ma ancor più grave fu la crisi che si profilò nei tardi anni Novanta, quando il paese si divise in seguito alla condanna di un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus, dichiarato colpevole di spionaggio per la Germania. I sostenitori di Dreyfus, in maggior parte repubblicani, affermavano che era stata commessa un'ingiustizia, mentre secondo i suoi oppositori la difesa dell'ufficiale screditava l'esercito e metteva in pericolo la sicurezza nazionale. Intorno a questi ultimi si raccolsero le forze anti-repubblicane: monarchici, nazionalisti, antisemiti e cattolici oltranzisti. I deputati repubblicani si unirono nel 1899 per formare il governo di difesa repubblicana che assolse Dreyfus, destituendo o destinando ad altre cariche gli ufficiali dell'esercito coinvolti, e che nel 1901 riprese l'attacco contro l'ingerenza clericale, che doveva sfociare nella legge sulla separazione tra Chiesa e Stato del 1905 (vedi Affare Dreyfus).

I quattro decenni che seguirono il 1871 furono anni di crescita economica e di prosperità per la borghesia e i contadini, mentre la classe operaia versava in condizioni di grande ristrettezza economica. Le associazioni di lavoratori furono legalizzate nel 1884 ed emerse un movimento operaio, il sindacalismo rivoluzionario, sviluppatosi dalle teorie di Georges Sorel, che rifiutava l'azione politica in favore dell'azione diretta, attraverso scioperi e sabotaggi, per rovesciare la repubblica e il capitalismo.

Nei decenni che seguirono la guerra franco-prussiana, la sicurezza nazionale rappresentò una preoccupazione costante. La Germania unita superava per industria pesante e popolazione la Francia, ormai isolata sul piano diplomatico. Seguendo l'esempio di Bismarck, il governo francese intraprese l'espansione coloniale, fondando un nuovo impero in Africa e in Asia, secondo solo all'impero britannico. Un raffreddamento nelle relazioni russo-tedesche portò nel 1893 alla conclusione di un'alleanza difensiva tra Francia e Russia (Duplice Intesa), in funzione antitedesca e antiaustriaca. Dieci anni dopo il timore della Germania spinse la Francia e la Gran Bretagna a dirimere le reciproche controversie coloniali e ad avviare consultazioni per operazioni militari e navali congiunte in Europa (Entente cordiale, 1904). Nel 1907 Francia, Russia e Gran Bretagna si unirono nella Triplice Intesa per contrastare la Triplice Alleanza di Germania, Austria-Ungheria e Italia.

Lo scoppio della guerra nel 1914 fu anticipato da crisi ricorrenti nel 1905, 1908, 1911 e 1913. L'assassinio dell'erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando per mano di nazionalisti serbi nel luglio del 1914 fu il pretesto che fece precipitare gli eventi. Nonostante non avesse interessi diretti nei Balcani, la Francia appoggiò l'alleato russo, spinta da considerazioni di sicurezza nazionale. La Germania, in appoggio all'Austria-Ungheria sua alleata, dichiarò guerra alla Russia il 1° agosto e, di fronte al rifiuto francese di rimanere neutrale, due giorni dopo dichiarò guerra anche alla Francia.

La prima guerra mondiale

Quando la Francia entrò in guerra nell'agosto del 1914 il popolo francese si unì nella difesa del paese, mettendo da parte gli aspri conflitti sociali e politici dei decenni precedenti. Le armate tedesche avanzarono fino a pochi chilometri da Parigi prima di essere respinte nella battaglia della Marna, all'inizio di settembre.

Nei quattro anni che seguirono, le operazioni militari sul fronte occidentale, essenzialmente tentativi di sfondare le linee di trincea nemiche e riprendere una guerra di movimento, ebbero un impressionante costo in vite umane. Alla fine del 1914 la Francia contava 300.000 morti e oltre 600.000 tra feriti, prigionieri o dispersi. Dopo l'esito disastroso dell'offensiva della primavera del 1917, tra le divisioni francesi si diffuse la diserzione, mentre nel paese crescevano i disagi prodotti dalla guerra, gli scioperi e le richieste di una negoziazione della pace. Il generale Henri-Philippe Pétain e un nuovo Gabinetto guidato da Georges Clemenceau riuscirono a mettere a tacere il disfattismo e a continuare la guerra.

Nel luglio del 1918 gli Alleati sferrarono un'offensiva che costrinse il governo tedesco a chiedere la pace. L'11 novembre 1918 la Repubblica tedesca, appena proclamata, negoziò l'armistizio e il 28 giugno 1919 firmò il trattato di Versailles, con il quale la Francia riottenne l'Alsazia e la Lorena. L'esercito tedesco fu ridotto a 100.000 uomini, una striscia di territorio ampia 50 km sulla riva orientale del Reno fu smilitarizzata e la Germania acconsentì a are onerose riparazioni di guerra alla Francia. Questa uscì dalla guerra come la grande vincitrice continentale, ma a un prezzo impressionante: circa 1.400.000 uomini, un quarto di tutti i francesi tra i 18 e i 30 anni, vi persero la vita, e le regioni nordorientali ne uscirono devastate (vedi Prima guerra mondiale).

Il periodo tra le due guerre

Il più urgente problema interno dopo la guerra fu la stabilizzazione del franco, che nel 1926 venne fissato a un quinto del suo valore prebellico. La svalutazione colpì particolarmente la borghesia, che era stata il grande sostegno della repubblica e che dipendeva dai propri risparmi. A una breve parentesi di prosperità e tranquillità, garantita da un governo di Unione nazionale con a capo Raymond Poincaré, mise poi fine la Grande Depressione che, iniziata in Francia nel 1932, rappresentò una nuova calamità per la nazione, insieme alla ripresa dell'aggressività tedesca dopo il 1933.

Nel 1934 la minaccia interna ed esterna del fascismo spinse i partiti radical-socialista, socialista e comunista a unirsi nel Fronte popolare per difendere la repubblica e spingere per l'introduzione di una fin troppo attesa legislazione sociale. Ottenuta la maggioranza alla Camera dei deputati nel 1936, il governo del Fronte popolare guidato da Léon Blum sciolse le organizzazioni fasciste e riuscì a far approvare leggi che istituivano le ferie ate, la settimana lavorativa di 40 ore e la contrattazione collettiva obbligatoria, ma non riuscì nemmeno a terminare la realizzazione del proprio programma prima di sciogliersi nel 1938 tra dispute di partito e la crescente minaccia della guerra.

Negli anni Venti e Trenta quella della sicurezza nazionale rimase una preoccupazione costante e primaria per il paese. Poiché Gran Bretagna e Stati Uniti non garantivano effettivo supporto militare, la Francia in un primo tempo si alleò con il Belgio e con gli stati europei orientali in funzione antitedesca. Quando Adolf Hitler, salito al potere nel 1933, iniziò il riarmo della Germania e il sistema di alleanze orientali si disintegrò, l'Inghilterra tornò a essere per la Francia il solo alleato affidabile. Quando, nel settembre del 1939, la Germania attaccò la Polonia, Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania, ma, essendo prive di un esercito e di un'aviazione adeguati, non riuscirono a evitare la rapida sconfitta polacca.

La seconda guerra mondiale e la Quarta repubblica



Il 10 maggio 1940 le forze tedesche invasero l'Olanda, il Belgio e la Francia, dirigendosi verso la costa della Manica. Il 9 giugno sferrarono un'offensiva attraverso il fiume Somme spingendosi a sud e il 14 giugno entrarono a Parigi; il 17 giugno il nuovo governo, formato dall'anziano maresciallo Pétain, trattò l'armistizio con la Germania, in base al quale circa i due terzi del territorio francese subivano l'occupazione militare tedesca. Alla Francia veniva concesso di istituire un governo nella zona non occupata. Il 10 luglio 1940, il Senato e la Camera dei deputati si riunirono a Vichy e approvarono la concessione di pieni poteri a Pétain per governare il paese e redigere una nuova Costituzione. Il governo di Vichy rappresentava quelle forze conservatrici che nei decenni precedenti si erano opposte alla repubblica e che ora sostenevano una politica di collaborazionismo con la Germania.

Le forze che resistevano all'invasione tedesca si riunirono invece intorno al generale Charles De Gaulle che, riparato a Londra dove fondò il Comitato francese di liberazione nazionale, fece appello a tutte le truppe francesi affinché proseguissero la guerra a fianco della Gran Bretagna e riuscì a costituire una propria forza armata e un governo ombra in Inghilterra. I movimenti della Resistenza in Francia, con i quali prese contatto, lo accettarono come leader di un movimento unitario di opposizione a Vichy e ai nazisti. Nel 1943 egli trasferì il suo quartier generale ad Algeri.

Quando gli Alleati sbarcarono in Normandia nel giugno del 1944, i contatti furono gestiti da ufficiali dell'organizzazione di De Gaulle ad Algeri e da capi locali della Resistenza. Il 25 agosto gli americani liberavano Parigi e De Gaulle entrava nella città dove costituì un governo provvisorio sotto il suo stretto controllo. Egli presiedette il governo per i mesi seguenti, ma si dimise nel gennaio del 1946, in seguito ai contrasti con l'Assemblea costituente appena eletta, dovuti alla sua concezione di un esecutivo forte.

Le principali realizzazioni della Quarta repubblica, la cui Costituzione entrò in vigore alla fine del 1946, furono indirizzate a riforme di tipo sociale e di sviluppo economico. Nel 1946 fu istituito un sistema di sicurezza sociale generale che assicurava cure mediche, pensioni di invalidità e di vecchiaia e indennità di disoccupazione a tutti i cittadini. L'agricoltura venne rivoluzionata dalla fusione delle proprietà terriere e dall'adozione di macchinari e metodi moderni. Un piano nazionale per la modernizzazione dell'industria, sostenuto dal Piano Marshall, produsse un fortissimo sviluppo industriale: l'indice della produzione industriale raddoppiò nel decennio tra il 1948 e il 1958. Nel 1957 la Francia formò con altri cinque paesi dell'Europa occidentale la Comunità economica europea.

La Quarta repubblica - che si caratterizzò anche per una forte instabilità politica - crollò in seguito allo sviluppo delle lotte nazionaliste nelle colonie francesi. Dopo una costosa guerra durata nove anni, la Francia fu costretta ad abbandonare l'Indocina nel 1954. In Algeria, i nazionalisti nel 1954 diedero inizio a una lotta per l'indipendenza nazionale, brutalmente contrastata dalle truppe di occupazione, che spaccò l'opinione pubblica francese (vedi Guerra d'Algeria). Nel maggio del 1958 ufficiali dell'esercito e civili europei, temendo che il governo di Parigi si stesse preparando a negoziare con i ribelli, insorsero e presero il controllo di Algeri, appoggiati dal comando dell'esercito: sull'esempio algerino, il colpo di stato militare sembrava imminente anche in Francia. In questa situazione critica il generale De Gaulle rientrò sulla scena politica come un salvatore. A giugno l'Assemblea nazionale gli concedette pieni poteri per governare il paese per sei mesi e preparare una nuova Costituzione.

La Quinta repubblica

Nel settembre del 1958 l'esito del referendum popolare con cui fu approvata la nuova Costituzione della Quinta repubblica si tradusse in un generale e unanime voto di fiducia a favore di De Gaulle. La Costituzione conferiva il potere esecutivo a un presidente eletto con suffragio indiretto, che nominava i ministri e aveva il potere di sciogliere il Parlamento e di governare per decreto in caso di emergenza. Il potere dell'Assemblea nazionale di rovesciare il governo veniva fortemente ristretto. Nel 1962 un emendamento proposto da De Gaulle istituì l'elezione popolare diretta del presidente, il cui potere crebbe ulteriormente.

Il problema più urgente che De Gaulle si trovò ad affrontare fu la questione algerina, impossibile da risolvere militarmente. Nel 1960 egli aprì i negoziati di pace con i ribelli algerini, che perseguì - nonostante nuove rivolte di ufficiali dell'esercito, il suo tentato assassinio e la violenza terroristica - fino a giungere agli accordi di Evian e alla proclamazione dell'indipendenza dell'Algeria.

La ferma volontà di De Gaulle di accrescere il prestigio internazionale della Francia e di riaffermarne l'indipendenza in politica estera lo condusse nel 1959 a ordinare la chiusura delle basi missilistiche statunitensi in Francia e a ritirare la flotta del Mediterraneo (e in seguito tutte le forze francesi) dal comando dell'Organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord (NATO). Per ridurre la dipendenza dalla protezione nucleare americana sviluppò una forza nucleare francese. Posto fine al secolare contrasto con la Germania, si riavvicinò poi all'URSS, riprese le relazioni diplomatiche con i paesi arabi e riconobbe la Cina popolare (1964).

Dal punto di vista economico gli anni della sua presidenza furono un'epoca d'oro per la Francia. Tra il 1959 e il 1970 l'indice della produzione industriale raddoppiò quasi e il prodotto nazionale lordo crebbe a una media del 5,8% annuo tra il 1960 e il 1975, un tasso superato solo da quello del Giappone. Il potere d'acquisto continuò a salire e il popolo francese raggiunse un benessere senza precedenti.

Tuttavia, verso la metà degli anni Sessanta, si manifestarono segni di un malessere acuto. La spinta inflazionistica crebbe e tornò la disoccupazione, soprattutto tra i laureati, il cui numero era fortemente aumentato in seguito alla democratizzazione dell'istruzione superiore degli anni Cinquanta. Nel maggio del 1968 scoppiò la rivolta; lo sciopero iniziato dagli studenti di Parigi (vedi Movimento studentesco), che per protesta contro la brutalità della polizia avevano occupato gli edifici dell'università, fu imitato da studenti e lavoratori in tutto il paese, ed entro la terza settimana di maggio il paese fu paralizzato da uno sciopero generale. De Gaulle sciolse l'Assemblea nazionale e indisse nuove elezioni, che diedero al suo partito una maggioranza assoluta. Nella primavera del 1969, in seguito all'esito negativo di un referendum in merito a due riforme costituzionali, De Gaulle diede le dimissioni, si ritirò definitivamente dalla vita politica e morì l'anno seguente.

L'amministrazione Pompidou

A De Gaulle succedette Georges Pompidou, primo ministro dal 1962 al 1968. In politica estera egli proseguì la politica gollista di indipendenza dalle due superpotenze, pur essendo più conciliante del suo predecessore. Abbandonò infatti l'opposizione all'ingresso della Gran Bretagna nella Comunità Europea (oggi Unione Europea), e coinvolse maggiormente l'Assemblea nazionale nella formulazione delle politiche.

Nel 1973 l'economia francese fu duramente colpita dalla crisi petrolifera mondiale: i risultati furono un improvviso rallentamento nella produzione industriale, la crescita della disoccupazione e dell'inflazione


La presidenza di Giscard d'Estaing

Pompidou morì nell'aprile del 1974. Alle elezioni per il nuovo presidente parteciparono una dozzina di candidati. Per contrastare il candidato socialista François Mitterrand, sostenuto anche dal Partito comunista, che al primo turno aveva ottenuto la maggioranza relativa dei suffragi, i partiti di centro e di destra si raccolsero intorno al candidato repubblicano indipendente, Valéry Giscard d'Estaing, che al secondo turno fu eletto presidente con una maggioranza molto ristretta.

Il suo intento di formare un governo di ampia coalizione di centro non riuscì e l'acuirsi della recessione impedì l'adozione di nuovi programmi di politica sociale. Nel 1975 l'indice della produzione industriale diminuì per la prima volta dal 1945 e il numero dei disoccupati aumentò notevolmente rispetto al 1974.

Nell'agosto del 1976 Giscard nominò un nuovo primo ministro, Raymond Barre, un economista non legato ad alcun partito, per affrontare la crisi economica. Questi intraprese una brusca liberalizzazione dell'economia, ponendo fine a tre secoli di dirigismo statale. Il controllo dei prezzi venne gradualmente eliminato. Nell'assegnazione del sostegno finanziario alle imprese fu introdotto un criterio di efficienza e di competitività, per incentivare la modernizzazione. Per far fronte al problema energetico fu avviata la costruzione di centrali nucleari, ma il continuo rincaro del prezzo del petrolio finì per sconvolgere le previsioni di Barre. Gli investimenti privati non crebbero, il commercio estero non subì incrementi e i livelli di inflazione e di disoccupazione rimasero elevati.


La presidenza Mitterrand


Nel 1981, dopo la vittoria dei socialisti alle elezioni, François Mitterrand succedette a Giscard alla presidenza e Pierre Mauroy divenne primo ministro. Con una netta virata rispetto alla linea politica dei suoi predecessori, il governo Mitterrand procedette alla nazionalizzazione di importanti banche e delle industrie principali, aumentò le tasse, estese la previdenza sociale, incrementò il numero degli impieghi pubblici, abolì la pena capitale e mise fine all'amministrazione centralizzata basata sulle prefetture istituita da Napoleone.

Nel 1982 e 1983 il rallentamento economico e la scarsa efficienza delle imprese statali condussero il governo a prendere misure di austerità. Nel luglio del 1984 Mitterrand operò un rimpasto del suo Gabinetto al quale i comunisti, che avevano fino ad allora presieduto quattro dicasteri, rifiutarono di partecipare. Nel 1986, in seguito alla vittoria di stretta misura riportata dai partiti di destra alle elezioni per l'Assemblea nazionale, Mitterrand nominò un nuovo primo ministro, il gollista Jacques Chirac, tra i fondatori del moderato Raggruppamento per la Repubblica (RPR) e sindaco di Parigi. Per la prima volta dal 1958 convivevano alla guida del paese due forze di fronti opposti.

Il secondo mandato di Mitterrand

Alle elezioni presidenziali del 1988 Chirac fu battuto da Mitterrand, che nominò primo ministro un socialista, Michel Rocard, che disponeva di una maggioranza relativa.

Nel 1990-91 le forze militari francesi parteciparono alla coalizione che intervenne nella guerra del Golfo contro l'Iraq. Nel maggio del 1991, dopo le dimissioni di Rocard, Mitterrand nominò primo ministro la socialista Edith Cresson, prima donna a ricoprire tale carica in Francia, la quale fu tuttavia sostituita da Pierre Bérégovoy nell'aprile del 1992. Alle elezioni parlamentari dell'anno seguente, il Partito socialista perse la maggioranza in seno alla nuova Assemblea. L'Unione per la Francia, una coalizione dell'RPR di Chirac, dell'Unione per la democrazia francese (UDF, guidata dall'ex presidente Valéry Giscard d'Estaing) e di altri partiti conservatori minori, ottenne 484 seggi contro i 54 dei socialisti; le consultazioni videro anche l'affermarsi del Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen, un movimento di estrema destra. Il presidente Mitterrand nominò primo ministro Edouard Balladur, membro dell'RPR.

A maggio, una verifica commissionata dal governo rivelò che la situazione economica del paese era ben più seria di quanto si fosse creduto in precedenza, e si cominciò a temere che l'elevato deficit di bilancio avrebbe minacciato la partecipazione francese nella Comunità Europea, proprio quando era stato a fatica approvato il trattato di Maastricht che rafforzava l'integrazione politica e monetaria europea. Balladur cercò di fronteggiare la grave situazione introducendo un programma di privatizzazioni e di riforme strutturali, ma con scarso esito anche per l'ostruzionismo delle forze di opposizione. Balladur e la sua coalizione riuscirono a vincere ancora una volta le elezioni legislative del marzo 1994; in maggio veniva ufficialmente inaugurato il tunnel sotto la Manica.




La presidenza Chirac


Dopo i due tentativi falliti nel 1981 e nel 1988, Jacques Chirac vinse le elezioni del maggio 1995 prevalendo su Balladur, proveniente dal suo stesso partito e sostenuto dalla coalizione al governo, e scongendo il socialista Lionel Jospin, candidato della sinistra dopo la rinuncia di Jacques Delors. Primo ministro fu nominato Alain Juppé.

La ripresa in giugno, a meno di due mesi dal cinquantesimo anniversario di Hiroshima, degli esperimenti nucleari a Mururoa, nella Polinesia Francese, attirò sul nuovo governo una forte protesta, sia interna che internazionale. Contrariamente al programma di riforme sociali e al proposito di voler 'sanare la frattura sociale' annunciati nella camna elettorale, Chirac, nell'obiettivo di ridurre il debito pubblico, annunciava misure di riassetto economico e di riduzione della spesa pubblica che incontrarono una ferma opposizione dei partiti di sinistra e dei sindacati e in novembre il paese venne investito da un'ondata di scioperi contro le misure di tagli al sistema sociale, decise dal governo Juppé. Contemporaneamente la Francia veniva colpita da una serie di attentati di matrice islamica, chiara estensione dei drammatici conflitti algerini.

Nell'estate del 1996 il governo francese fu contestato da un'altra ondata di protesta, stavolta contro le leggi sull'immigrazione e la nazionalità adottate nel 1993, che avevano determinato delle situazioni di discriminazione nei confronti di immigrati residenti anche da molti anni nel paese. Il movimento dei sans papiers ('senza documenti', espressione che definiva la condizione degli immigrati che in virtù delle nuove leggi perdevano l'opportunità di acquisire la cittadinanza francese o di rinnovare il permesso di soggiornare e lavorare in Francia) ottenne una larga solidarietà nella Francia, paese di tradizionale accoglienza. Nell'aprile 1997, con una decisione sorprendente data l'amplissima maggioranza di cui godeva il governo nel parlamento, Chirac sciolse anticipatamente le camere, confidando in una conferma ai partiti governativi da parte dell'elettorato. Il risultato delle urne fu invece nettamente sfavorevole per i partiti del centro, che persero la maggioranza a favore del Partito socialista guidato da Lionel Jospin; questi formò un nuovo governo, inaugurando un nuovo periodo di 'coabitazione' alla guida del paese.

Sviluppi recenti

Nell'aprile del 1998, l'evento rilevante della vita politica francese è stata la decisione di vari candidati dell'UDF e del RPR di accordarsi con l'estrema destra di Le Pen in occasione delle elezioni regionali, allo scopo di evitare un'estesa affermazione della sinistra. Grazie al patto, cinque regioni sono state conquistate dai partiti centristi; la decisione di accettare i voti della destra xenofoba e razzista del Fronte Nazionale ha però provocato una violenta polemica all'interno della coalizione centrista e un suo ulteriore sfaldamento, che si aggiunge alle divisioni seguite alla sconfitta elettorale nelle politiche del 1997.







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