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Nilo



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Geografia fisica

La maggior parte del paese è formata da un deserto tabulare, accidentato da scarsi rilievi e da alcune profonde depressioni. La vita si concentra nella larga valle alluvionale del Nilo, che nasce 5.000 km più a sud.

Rilievo, clima, idrografia

Il rilievo è formato essenzialmente da una spessa placca di arenarie nubiane dolcemente inclinata a nord, ricoperta a poco a poco da rocce sempre più recenti, specialmente calcari. A ovest si sono formate concavità profonde, nelle quali si trovano oasi (Siwa, Bahariyya, Farafra, Dakhla, El-Kharga) e depositi salini (Al- Qattara, Wadi al-Natrun). Pure la valle del Nilo è fortemente scavata, e i suoi versanti raggiungono talvolta i 400 m d'alt.; la larghezza varia da 1 a 20 km. Inoltre movimenti verticali, appartenenti alla grande serie di fratture che si susseguono dal lago Tanganica al Mar Morto, hanno causato, a est, lo sprofondamento del Mar Rosso e il sollevamento della parte meridionale della penisola del Sinai (Gebel Katherina, 2.641 m) e dell'orlo orientale dell'Egitto (catena arabica, Gebel Shayib, 2.187 m). L'erosione, resa più intensa da tali movimenti, ha messo a nudo l'arenaria nubiana nonché rocce cristalline e vulcaniche ancor più antiche.

Il Deserto Occidentale, o Deserto Libico, meno accidentato, copre i due terzi dell'Egitto; è formato da un tavolato aridissimo, sbarrato spesso da dune: un erg difficile da superare orla il confine occidentale. Tuttavia nelle depressioni affiora l'acqua e le popolazioni sedentarie vi coltivano datteri, cereali, legumi. Nella fascia costiera settentrionale, dove d'inverno si ha qualche precipitazione, i nomadi, poco numerosi, allevano dromedari, ovini e caprini. Nel Deserto Orientale, o Deserto Arabico, e nella penisola del Sinai i massicci ricevono precipitazioni più abbondanti. Alcuni uadi, in montagna, sono quasi permanenti e le loro valli, ben delineate, raggiungono il mare o il Nilo. I tavolati calcarei sono tuttavia desolati.



Salvo qualche piccola diversità causata dall'altitudine, i deserti Libico e Arabico hanno il medesimo clima, che diviene sempre più caldo e arido man mano che si procede verso sud. La fascia settentrionale risente dell'influenza del mare: Alessandria riceve 184 mm di pioggia, soprattutto in inverno. Le precipitazioni sono però molto variabili: il massimo annuale è di 303 mm, il minimo di 23 mm. Verso l'interno l'umidità diminuisce rapidamente: Il Cairo non riceve che 42 mm di pioggia, Assuan soltanto 1 mm. l venti soffiano normalmente da nord, ma quelli che spirano da sud e da est, determinati dalla formazione di depressioni, provocano freddo pungente in inverno, e nubi di sabbia in primavera (il khamsin). La stagione migliore per il turismo è l'autunno e, nell'Alto Egitto, il periodo dicembre-febbraio.

L'insufficienza delle piogge, l'assenza di umidità nel suolo, depositi e incrostazioni saline concorrono nel ridurre la vegetazione: il Deserto Libico ne è completamente privo; la valle del Nilo, invece, grazie alla presenza del fiume, consente da millenni una coltivazione intensiva. Allungata da sud a nord per circa 1.500 km, essa dapprima si presenta stretta, fino alla prima cateratta. Poi il fiume scorre pigro, erodendo spesso la riva orientale, e il suo letto non si abbassa che di 8 cm al km. Dopo Il Cairo si stende il Delta, antico golfo via via riempito dai depositi dei rami fluviali, che attualmente sono due. La colmata non è completa, poiché sussiste un cordone di lagune salmastre (Maryut, Edku, Burullus, Manzala). Una corrente litoranea trascina le alluvioni verso Porto Said e blocca l'avanzata della terra in mare. L'evaporazione e l'infiltrazione riducono la portata del Nilo, che per 2.700 km di corso non riceve alcun affluente. Un'ulteriore riduzione è causata dall'irrigazione.

Popolazione

La quasi totalità della popolazione dell'Egitto forma un gruppo notevolmente omogeneo, in cui i caratteri fisici dominanti sono il risultato della mescolanza dell'originaria popolazione camitico- armenoide con genti semitiche (Arabi). Le minoranze etniche, numericamente poco rilevanti, sono rappresentate dai Nubiani, stanziati nella parte meridionale della valle del Nilo, le tribù arabo-berbere del Deserto Occidentale e i Beja, camiti, del Deserto Orientale. La densità media della popolazione è di oltre 50 ab. per km², ma è questo un dato assolutamente irreale, in quanto circa il 99% della popolazione vive concentrato nella valle del Nilo e nel Delta, che rappresentano all'incirca il 5% del territorio nazionale. L'effettiva densità della popolazione supera quindi generalmente i 1.000 ab. per km², oltrepassando addirittura i 30.000 nel governatorato del Cairo. Valutata a 2.500.000 ab. verso il 1800 e ancora limitata a 6.500.000 ab. alla data del primo censimento, nel 1882, la popolazione egiziana era già salita a 38.228.000 anime nel 1976. L'indice di incremento demografico annuo, rimasto tra il 13 e il 16‰ fino alla vigilia della seconda guerra mondiale a causa dell'elevata mortalità, era poi aumentato rapidamente fino a un massimo del 28‰ intorno al 1965; ridisceso al 20‰ con le ripercussioni dei conflitti con Israele, ha ripreso a salire alla fine degli anni Settanta, superando ormai il 25‰, soprattutto per effetto della diminuzione dell'indice annuo di mortalità (7,2‰), annullato da quello dell'indice di natalità (29,7‰). ½ è una rilevantissima fascia di popolazione giovane, in quanto il 39% è sotto i 15 anni. L'esplosione demografica che, nonostante la proanda del governo a favore del controllo delle nascite, non accenna a rallentare, e l'intensa urbanizzazione, alimentata in particolare dal massiccio afflusso di profughi conseguente alle guerre con Israele, hanno provocato, tra l'altro, un'acuta crisi degli alloggi, che, al momento, non sembra presentare via d'uscita. Nonostante gli sforzi compiuti, la situazione sanitaria rimane assai carente e si riflette nell'elevatissima mortalità infantile (93‰) e nella relativamente breve durata della vita media: 58 anni per gli uomini e 61,1 per le donne. Il tasso di analfabetismo è elevato (57%); tuttavia, pur essendo ancora un paese in via di sviluppo, grazie alla sua politica nel settore dell'istruzione l'Egitto è in grado, con la sua dozzina di università, di “esportare cervelli” nei paesi arabi produttori di petrolio, i quali necessitano di personale qualificato. La popolazione è in massima parte musulmana sunnita (81,8%) e la minoranza cristiana (17,8%) è costituita in prevalenza da copti, seguaci del monofisismo. Quella copta è quindi una Chiesa nazionale.

La lingua ufficiale è l'arabo, ma come lingue commerciali sono usate l'inglese e il francese, diffuse pure tra la classe borghese.

Il Nilo e la vita rurale

La presenza in mezzo alla zona desertica dell'enorme ammassamento di popolazione dell'Egitto è dovuta esclusivamente all'apporto d'acqua del Nilo (portata media, ad Assuan, di 2.500 m³/s), proveniente dalle piogge intertropicali sulle alte terre dell'Etiopia, soprattutto, e sull'altopiano dei laghi dell'Africa orientale. La piena regolare del fiume, la cui punta massima tra il 20 agosto e il 20 settembre raggiunge ad Assuan una portata media di 8.500 m³/s, ha consentito, senza dubbio fin dal IVmillennio a.C., tramite il metodo dell'inondazione guidata (flusso indirizzato verso bacini [hod] ricavati nel letto principale, dove l'acqua si accumula dietro piccole dighe e dove si semina nel fango liquido), la coltivazione di cereali d'inverno (frumento e orzo) e di foraggi (bersim o trifoglio di Alessandria, alimento principale del bestiame grosso), che rappresentano la coltura “invernale” (shitawi, pron. dial. shetui), ovvero la tradizionale base di sussistenza. A questa si aggiungono sulle terre più alte alcune colture autunnali (nili), grazie all'irrigazione praticata con l'ausilio di apparecchi elevatori, la cui gamma non ha cessato di ampliarsi e perfezionarsi per tutto il corso della storia egiziana, dal semplice secchio manovrato a mano allo shaduf(pozzo a bilanciere), al saqieh (specie di noria mossa dalla forza animale), alla pompa a motore. Nelle zone più infossate del fondo dei bacini la trivellazione di pozzi, raggiungendo la falda freatica (Nilo sotterraneo), il cui ritmo di crescita è sfasato di circa tre mesi (nel Basso Egitto) rispetto al fiume di superficie, consentiva inoltre una breve coltura primaverile. Altrove la pratica del maggese durante il periodo di magra determinava la fessurazione dell'argilla per essiccazione e assicurava così la penetrazione dell'acqua e del limo nel terreno in occasione della piena successiva, perpetuandone la fertilità. A questo sistema di utilizzazione delle acque corrispondevano grossi villaggi raggruppati sugli argini o sulle dighe, organizzati comunitariamente, che costituiscono ancor oggi la trama dell'insediamento rurale in tutto l'Alto e Medio Egitto, a monte del delta del fiume.

Ma, a partire dai primi decenni del XIX sec., sotto Mehmet Ali, lo sviluppo delle colture commerciali e di quella del cotone in particolare, in concomitanza con l'incremento demografico, ha condotto a una nuova fase, quella dell'irrigazione perenne, che ha reso così possibile anche un raccolto estivo (sefi), ottenuta dapprima con dighe traverse che facevano aumentare il livello del fiume durante il periodo di magra: quella all'inizio del Delta, eretta dopo il 1840 e ripetutamente alzata o ricostruita; quelle di Assyut, di Nag Hammadi e di Isna, nella Valle; quelle di Zifta sul ramo di Damietta, nel Delta; più tardi con dighe di ritenuta formanti laghi artificiali destinati a trattenere parte delle acque al momento della massima piena. La prima diga di Assuan (1902) aveva già un volume di 5,3 km³ e la Diga Alta (Sadd al-'Ali), entrata in funzione nel 1970, è una realizzazione colossale del volume di 130 km³, che forma un lago artificiale (lago Nasser) di 60.000 km²: essa ha consentito di aumentare di circa 200.000 ha la superficie coltivabile. Inoltre la recente apertura di un canale sotterraneo che passa sotto il canale di Suez ha reso possibile l'irrigazione della costa mediterranea del Sinai.

L'acquisito dominio sulle acque si è tradotto in uno spettacolare movimento di conquista del terreno, soprattutto in tutta la porzione centrale e settentrionale del Delta, dove ampie distese ancora selvagge un secolo fa sono state messe a coltura. E si è tradotto anche in profonde trasformazioni del regime fondiario (iscrizione al catasto, sviluppo di una proprietà fondiaria privata; nel 1950 le proprietà di più di 21 ha occupavano un terzo della superficie complessiva) e del tipo di insediamento (costituzione di un insediamento sparso, primario nel Delta, intercalare nella Valle, tra i vecchi villaggi). Ha infine apportato considerevoli mutamenti nella produzione agricola: hanno infatti preso il sopravvento le colture destinate all'esportazione, prima fra tutte quella del cotone, coltivato su 303.000 ha (314.000 t di fibra) e predominante nel Basso e nel Medio Egitto. Si tratta di un cotone a fibre lunghissime e morbide come la seta, di oltre 40 mm nelle migliori varietà (karnak), che assicura tuttora all'Egitto un primato qualitativo quasi insuperabile e ha costituito per lungo tempo oltre i due terzi delle esportazioni egiziane. Esso rappresenta, quantitativamente, circa il 2% della produzione mondiale. Altra importante coltura destinata all'esportazione è quella della canna da zucchero, predominante nell'Alto Egitto (115.000 ha e 885.000 t di zucchero). Anche la gerarchia tradizionale delle colture destinate al consumo interno è mutata: notevole progresso di quella del frumento (887.000 ha e 4.437.000 t), di cui l'Egitto è diventato un forte importatore, e progresso di quella del riso, coltura pioniera nelle terre nuove del Delta settentrionale, dove si adatta bene ai terreni con elevata salinità (572.000 ha e 4.582.000 t nel 1994); del mais, nel cuore del Delta e nel Medio Egitto (731.000 ha e 4.883.000 t). Anche la situazione dell'allevamento è migliorata rispetto al passato e l'Egitto dispone oggi di un patrimonio zootecnico di 3.070.000 bovini, 3.200.000 bufali, 3.382.000 ovini, 3.210.000 caprini, 1.650.000 asini e 133.000 cammelli; particolarmente importante è anche l'allevamento degli animali da cortile quali polli, anatre e piccioni (47.000.000 di capi).

Tuttavia la rivoluzione agricola, se da un lato ha aperto il paese al commercio internazionale, dall'altro non è stata senza ripercussioni negative. Non più messi a maggese e privati del benefico apporto del limo (trattenuto dalla Diga Alta di Assuan), i terreni hanno visto aumentare la propria salinità e diminuire la propria fertilità, per cui si è reso necessario un sempre più massiccio impiego di fertilizzanti chimici. Il succedersi ininterrotto delle colture compromette pericolosamente l'equilibrio biologico e i parassiti proliferano in modo pauroso. Inoltre l'azione del complesso sistema di sbarramento sul Nilo, e della Diga Alta di Assuan in particolare, sta esercitando un'influenza negativa sul clima del paese, più sensibile nella regione di Assuan stessa e nel Delta. Dal canto suo, la riforma agraria, che, in due tappe (1952 e 1961), ha smantellato le proprietà di oltre 42 ha, ha ridistribuito circa il 10% della terra coltivabile a 225.000 famiglie; ma queste rappresentano una frazione men che minima degli svariati milioni di contadini senza terra. D'altra parte, con l'attuale sistema di coltura, una ridistribuzione egualitaria di tutta la terra coltivabile fra tutti i contadini sarebbe ben lungi dall'assicurare loro un livello di vita decente. Inoltre sembra ormai molto difficile poter estendere ulteriormente la superficie coltivabile (pari attualmente a circa il 2,8% del territorio nazionale), che anzi viene di anno in anno erosa dall'espansione fisica delle città e dei villaggi; la situazione è stata anche aggravata nell'ultimo decennio dal mancato verificarsi della piena del Nilo per diversi anni di seguito, con una conseguente forte diminuzione della disponibilità d'acqua, che ha impedito la messa in cantiere o il completamento di svariati progetti più o meno ambiziosi. In tale situazione, l'unica soluzione possibile per l'agricoltura egiziana, di fronte all'esplosione demografica, sarebbe un orientamento generalizzato verso colture altamente pregiate, orticoltura o frutticoltura (finora poco diffuse e limitate ai dintorni delle grandi città), e la trasformazione del paese in un'immensa huerta.

La costruzione della Diga Alta di Assuan, determinando una forte diminuzione delle sostanze nutritive presenti nelle acque del Nilo, ha provocato con essa una notevole contrazione del patrimonio ittico marino e un relativo declino della pesca lungo la costa mediterranea. Tale perdita è stata però compensata dall'enorme espansione del patrimonio ittico d'acqua dolce seguita alla formazione del lago Nasser, per cui l'industria della pesca rappresenta una voce di rilievo nell'economia egiziana, con oltre 302.000 t di pescato all'anno, di cui oltre il 70% rappresentato da pesce d'acqua dolce.

Le risorse del sottosuolo e l'industria

Le risorse minerarie sono uno dei pilastri dell'economia egiziana: fosfati (Quseir e Safaga sul Mar Rosso, El- Sibaiya sull'alto Nilo), manganese (Sinai occidentale), salmarino (Alessandria e Porto Said) e, soprattutto, petrolio (costa del golfo di Suez, costa occidentale del Sinai e regione di El-Alamein), la cui produzione annua supera i 46 milioni di t e le cui riserve provate si aggirano sui 400 milioni di t, e gas naturale (8.427 milioni di m³, nel Delta e nel Deserto Occidentale). Sono in funzione due oleodotti (Suez-Il Cairo e Suez-Il Cairo-Alessandria, di 320 km) e vi sono raffinerie a Suez, Tanta, Il Cairo/Mostorod e Alessandria. Nonostante le diminuzioni di prezzo, il petrolio, con i suoi derivati, rappresenta tuttora circa il 60% delle esportazioni egiziane.

È tuttavia evidente che lo sviluppo dell'Egitto non può assolutamente prescindere dalla sua industrializzazione. Questa del resto iniziò già nel secolo scorso sotto l'impulso dell'Occidente e l'industria egiziana è oggi una delle maggiori del continente africano. Essa dispone di buone basi energetiche (47.470 milioni di kWh prodotti annualmente) costituite da diverse centrali termoelettriche e, fra quelle idroelettriche, dai grandiosi impianti della Diga Alta di Assuan. È inoltre in progetto la trasformazione della depressione di Al-Qattara in un lago artificiale destinato, tra l'altro, ad alimentare centrali elettriche. Il principale settore dell'industria egiziana, nazionalizzata per circa il 70%, è rappresentato da quello tessile, in particolare dal cotonificio (Alessandria, Il Cairo, Al-Mahalla al-Kubra, ecc.), in grado di coprire il fabbisogno nazionale e anche di esportare, ma pure dal setificio (Damietta, Il Cairo), dal lanificio e dallo iutificio; vi sono inoltre stabilimenti per la lavorazione del raion. Importanti sono anche le industrie alimentari (lo zuccherificio con i suoi sottoprodotti, soprattutto nell'Alto Egitto le industrie molitoria e conserviera, l'oleificio) e la manifattura del tabacco, che lavora unicamente materia prima d'importazione. Sono in via di sviluppo la siderurgia, (2.500.000 di t d'acciaio nel 1993) soprattutto con il grande complesso di Heluan e le costruzioni meccaniche (montaggio di autoveicoli a Heluan). A Nag Hammadi è in funzione un grosso stabilimento per la produzione di alluminio (140.000 t), che utilizza bauxite importata dall'Australia. ½ sono inoltre vari cementifici (Alessandria, Heluan, ecc.). L'industria chimica produce soprattutto fertilizzanti e, presso Alessandria, è in funzione uno stabilimento petrolchimico.

Un cenno a parte merita l'industria turistica, che, sostenuta dal mite clima invernale e da varie località balneari sulle coste del Mediterraneo e del Mar Rosso oltre che dall'eccezionale patrimonio archeologico del paese, occupa un posto di tutto rispetto nell'economia egiziana, fornendo un introito intorno ai 1000 milioni di dollari.

Le comunicazioni

L'Egitto dispone di una rete ferroviaria di 9.920 km e di una rete stradale di 47.400 km (la metà circa dei quali asfaltati); data la particolare conurazione del paese ha notevole importanza, soprattutto per il trasporto dei carichi pesanti, la navigazione interna, che dispone di oltre 3.000 km di vie d'acqua, circa la metà dei quali lungo il Nilo. Benché diminuito rispetto al passato, il traffico del canale di Suez registra intorno ai 20.000 transiti all'anno e con l'introito fornito dai pedaggi (circa 1 miliardo di dollari) dà un contributo sensibile all'economia del paese. La marina mercantile conta 392 navi (di 100 t di stazza lorda e oltre) per un totale di 1.363.000 t di stazza lorda. Porti principali sono Alessandria, Porto Said e Suez. Importanti sono anche i trasporti aerei.

Commercio con l'estero

L'Egitto esporta principalmente petrolio e suoi derivati e cotone e importa soprattutto prodotti alimentari, macchinari, materiale per i trasporti e prodotti chimici. Il suo principale cliente sono gli Stati Uniti, seguiti dall'l'Italia (15% e 10,8% delle esportazioni), seguita dalla Francia I maggiori fornitori sono sempre gli Stati Uniti (circa il 14% delle importazioni) e l'Italia (circa il 13%). La bilancia commerciale registra un forte passivo e il paese ha un pesantissimo debito estero: fattori negativi per il futuro dell'economia egiziana sono lo sfrenato incremento demografico, i continui abbassamenti del prezzo del petrolio e la progressiva contrazione (fino a un probabile quasi esaurimento in un futuro non molto lontano) delle rimesse dei lavoratori emigrati all'estero, che contribuivano in misura considerevole a diminuire il deficit. Vengono incoraggiati l'impresa privata e gli investimenti stranieri, che restano però piuttosto limitati a causa della relativa poca fiducia nella stabilità del paese. Fattori positivi sono comunque gli aiuti che l'Egitto continua a ricevere dai paesi occidentali e dal Giappone e l'aver recentemente ottenuto un aiuto finanziario anche dal Kuwait, fatto particolarmente importante in quanto segna la fine del boicottaggio imposto all'Egitto dagli altri paesi arabi dopo gli accordi di pace con Israele: l'esempio del Kuwait potrebbe inoltre, almeno così si spera, essere seguito da altri.

Storia


L'egitto faraonico


In poco più di un secolo, l'attività degli archeologi e degli editori di testi, grazie anche al perfezionamento dei metodi di indagine storica, ci ha fatto conoscere sempre più e sempre meglio la civiltà dell'Egitto faraonico. La preistoria egiziana è stata invece poco studiata fino a tempi recenti, eppure l'ultimo periodo di essa (il “predinastico”, 5000-3000 a.C. circa) è di importanza fondamentale, poiché vi prendono forma la lingua, la scrittura, la religione, le istituzioni e l'unità politica del paese. Da un punto di vista antropologico i più antichi abitanti dell'Egitto sono ritenuti dei protomediterranei: non sembra che i caratteri fisici di gran parte della popolazione egiziana siano molto mutati in seguito, nonostante l'afflusso, che del resto deve essere stato molto limitato, di popolazioni straniere sopravvenute in epoca storica (invasori palestinesi o Hyksos, greci e arabi; prigionieri negri, libici e asiatici). Si pensa che i copti e i fellah musulmani abbiano, più degli altri, conservato tali caratteri. Le tracce più antiche di attività umana sono rappresentate dalle stazioni paleolitiche delle zone desertiche e delle “terrazze” più alte della vallata. La loro localizzazione dipende dal fatto che durante il paleolitico, in corrispondenza con le glaciazioni, il clima era tale da permettere l'esistenza in luoghi oggi inabitabili, e inoltre dal fatto che il Nilo raggiungeva un livello molto superiore a quello attuale. Durante lo stesso periodo il clima gradatamente andò trasformandosi in desertico e il fiume diminuì di ampiezza, scavandosi nello stesso tempo un letto sempre più profondo. In conseguenza le popolazioni, prima sparse, sempre più si addensarono lungo il fiume, accomnandolo nel suo progressivo assestamento.

L'industria litica segue la consueta evoluzione da quella appartenente alla pebble culture, risalente a 500.000 anni fa, rinvenuta nel deserto tebano e paragonabile a quella di Olduvai, alle amigdale di tipo acheuleano e, infine, a un'industria più leggera, ottenuta con la tecnica levalloisiana, databile a 200.000 anni fa. Con il paleolitico superiore l'industria litica comprende soprattutto lame (punta peduncolata di tipo ateriano) o anche un nucleo accuratamente ritoccato definito nella facies hawariana e caratteristico dell'Egitto. La fase finale del paleolitico vede tutta una fioritura di industrie di microliti geometrici e assai vari. Molti siti dell'Alto Egitto hanno rivelato l'esistenza di accampamenti, scaglionati lungo l'arco di alcuni millenni, nei quali sembra che la raccolta dell'orzo e del frumento venisse praticata in maniera ripetitiva ogni stagione. Si tratta di una specie di “pre- rivoluzione neolitica”, la cui conoscenza consente oggi un migliore approccio del neolitico e del successivo eneolitico (o periodo “predinastico”), immediatamente precedente il periodo storico, che sono rappresentati da una serie di culture, successive o coesistenti, differenziate più o meno le une dalle altre per i manufatti e la prassi funeraria; per il neolitico: le culture di Merimde, settentrionale, e di Tasa, meridionale; per il predinastico: le culture di Badari, di Al-Amrah, di Nagada nell'Alto Egitto e di Meadi nel Basso Egitto (v. MERINDIANO TASIANO BADARIANO AMRAZIANO NAGADIANO MEADIANO ). In questi centri si può seguire lo sviluppo di tutte le tecniche che caratterizzano un'esistenza sedentaria: la ceramica, la tessitura, la lavorazione del vimine, l'allevamento, l'agricoltura, il taglio delle pietre dure, la metallurgia. L'uso dei metalli, però, non fu, in questa fase, come non sarà mai in seguito, pratica d'importanza primaria: quella faraonica può a ragione essere definita una civiltà della pietra e della terra.

Secondo gli annalisti indigeni, l'Egitto preistorico fu governato all'inizio da dinastie divine, alle quali sarebbero succedute dinastie di semidei (i “seguaci di Horo”). Nei testi religiosi sono conservati, oltre al ricordo delle credenze e dei riti arcaici, dati meglio utilizzabili per la ricostruzione dell'ambiente politico e sociale del paese durante la sua epoca più remota: il particolarismo religioso delle diverse città fa supporre che nella preistoria il paese fosse frazionato in molte unità politiche con culti diversi e che la divisione tradizionale dello Stato faraonico in una quarantina di province o “nomi” rispecchi la situazione originaria. Le insegne dei “nomi” stessi, infatti, non sarebbero che gli emblemi tribali delle comunità primitive, fedelmente conservati attraverso i millenni. Alcuni studiosi hanno sostenuto che il Basso Egitto, più evoluto, abbia colonizzato il Sud e unificato il paese già nel corso del IV millennio a.C. Se si accetta la tesi bisogna ammettere allora che l'Egitto si sia di nuovo separato in due grandi reami verso la fine dello stesso millennio, perché, quasi certamente, la situazione alla fine della preistoria era la seguente: un Basso Egitto che aveva Buto e Sais come centri, il cobra come divinità tutelare e sovrani che portavano la corona rossa, un Alto Egitto con le metropoli di Ieracompoli e Nekheb, la dea-avvoltoio e la corona bianca. Verso il 3000 a.C., Narmer, re del Sud, conquistò il Basso Egitto riunendo il paese e dando inizio al periodo storico. Secondo la tradizione egiziana, invece, e secondo Manetone di Sebennito, sacerdote e storico di epoca tolemaica al quale dobbiamo la suddivisione della lunga serie dei faraoni in trenta dinastie, l'impresa si deve attribuire a Menes. Non è peraltro da escludere che Menes e Narmer siano la stessa persona. I sovrani delle due prime dinastie (3000-2778) erano originari della regione di Thinis, nell'Alto Egitto (dinastie thinite); sono noti grazie a quanto si è finora potuto trovare ad Abido, Saqqarah, Heluan e altre località. Tombe reali e principesche testimoniano che, già in quest'epoca, l'essenziale nelle istituzioni e nelle civiltà dell'Egitto faraonico era ormai fissato stabilmente.

Alle dinastie thinite seguirono quelle menfitiche dell'Antico Regno (2778- 2350). Il primo sovrano di questo periodo, Zoser (3ª dinastia), fece di Menfi la nuova capitale. Il nome del suo primo ministro e architetto Imhotep, personaggio in seguito divinizzato, è legato ai progressi grandiosi dell'edilizia monumentale in pietra. I sovrani dell'Antico Regno si fecero costruire come tombe le piramidi di Ghizeh, Abusir, Saqqarah; i più celebri di essi, Snefru, Cheope, Chefren, Micerino appartengono alla 4ª dinastia. La 4ª e la 5ª dinastia rappresentano un periodo di grande potenza e prosperità: gli abitanti della valle del Nilo utilizzavano i giacimenti dei vicini deserti e commerciavano con la Nubia e con Biblo. Nel corso della 6ª dinastia (2350-2263 a.C.) il sistema centralizzato e burocratico della monarchia menfitica entrò in crisi: una rivoluzione sociale, provocata dall'ascesa delle classi inferiori, scoppiò nel nord, e nel sud i governatorati delle province si organizzarono come piccoli regni indipendenti. Riguardo alla 7ª e 8ª dinastia non si possono fare che ipotesi, ma pare che le due seguenti (le eracleopolitane 9ª e 10ª) abbiano ristabilito l'ordine nel Medio e Basso Egitto. Infatti è proprio al termine di un confuso periodo di guerre con Eracleopoli che i principi di Tebe (11ª dinastia) riuscirono ad avere il sopravvento e a riunificare il paese, dando inizio al Medio Regno (seconda metà 11ª-l4ª dinastia, 2100-l700 a.C. circa), caratterizzato da un sistema, a paragone di quello antico, meno accentratore e più disposto a favorire le classi medie. La 12ª dinastia, una delle più gloriose e meglio conosciute della storia egiziana, fu quella degli Amenemhet e dei Sesostri, i quali, ritornati a stabilirsi nella regione menfitica, dimostrarono grande energia nell'affrontare i nuovi problemi, sia nelle grandiose opere pubbliche sia nelle guerre di conquista. Grazie a loro l'Egitto, ben organizzato e amministrato, poté estendere il suo dominio in Nubia fino alla terza cateratta del Nilo e la sua egemonia in Oriente fino alla Siria. Due dinastie conosciute assai poco (la 13ª e la 14ª) succedettero ai grandi sovrani della 12ª: fu un periodo oscuro, di debolezza e di disordine, benché non siano note con precisione le cause di questa crisi. Il fatto nuovo fu la calata degli Hyksos (nome che pare derivi da un composto egiziano significante “capo dei paesi stranieri”), in prevalenza di razza semitica, spinti verso ovest dalla pressione degli Indoeuropei. L'invasione degli Hyksos ebbe inizio già durante la 13ª dinastia. Dapprima fu contenuta nel Delta orientale, dove verso il 1730 i nuovi venuti fondarono Avaris, la loro capitale, ma attorno al 1700 era estesa all'intero territorio egiziano (due furono le dinastie Hyksos, la 15ª e la 16ª). La sconfitta egiziana può essere attribuita non solo alla disorganizzazione dello Stato in quel momento, ma anche al fatto che gli invasori impiegavano i cavalli e i carri da guerra, che gli Egiziani non conoscevano ancora. Presto però agli Hyksos sfuggì il controllo dell'Alto Egitto, dove continuava una dinastia tebana, la 17ª, l'ultimo re della quale, Kamose, riuscì a batterli. Gli invasori furono definitivamente ricacciati in Asia dal faraone Ahmose, fratello del precedente, fondatore della 18ª dinastia tebana e del Nuovo Regno, nel XVI sec. a.C.

I primi faraoni della 18ª dinastia, Ahmose, Amenofi I e Thutmosi I (1560-l520 a.C.), si dedicarono alla riorganizzazione del paese, debilitato dalla guerra di liberazione. La monarchia egiziana, autocratica, fondata su un sistema amministrativo e fiscale più rigido di quello del primo Regno tebano, riacquistò tutta la sua potenza. Inoltre un efficiente esercito di mestiere consentì ai faraoni di lanciarsi in una grande politica di conquista a partire dal regno di Thutmosi I. Lo scopo era di prevenire invasioni come quella recente degli Hyksos, la conseguenza più importante fu forse la rapida evoluzione dei caratteri egiziani al contatto di civiltà diverse. Il Sudan, fino alla quinta cateratta, diventò una colonia, amministrata con rigore dal viceré di Kush. Thutmosi III, senz'altro il più brillante di tutti i faraoni egiziani (1504-l450 a.C.), e suo lio Amenofi II, con una serie di interventi militari, assicurarono all'Egitto il controllo della Siria per più decenni, fino alle montagne del Tauro e fino all'Eufrate. Ma durante il regno fastoso di Amenofi III (1408-l372 a.C.), meno energico dei precedenti, gli Ittiti si fecero minacciosi, consentendo alla Siria del nord di sottrarsi all'egemonia egiziana. Il tramonto della 18ª dinastia è contrassegnato, oltre che dal crescere dei pericoli esterni, da un evento singolare, di natura sia religiosa sia politica e sociale, il cosiddetto “scisma atoniano”: la lotta senza quartiere che un faraone teologo, Amenofi IV (1372-l354 a.C.), condusse contro Ammone, dio di Tebe e patrono della dinastia, e nello stesso tempo contro il clero di Ammone, che la pietà dei re conquistatori aveva smisuratamente dotato di ricchezza, potenza e prestigio. Mentre i suoi predecessori si erano limitati a contrastare abilmente l'influenza del clero tebano, Amenofi IV reagì violentemente sul piano teologico, promuovendo una religione di tendenza monoteistica e universalistica, la quale, secondo la dottrina di alcuni teologi di Eliopoli, sostituiva al culto del dio Sole il culto del Disco solare materialmente considerato quale datore di vita (Aton), sul piano politico abbandonando Tebe per una capitale nuova (Akhetaton: “orizzonte del Disco solare”), costruita sul sito dell'odierna Tell el-Amarna. Egli stesso prese un nuovo nome: Akhenaton* (“colui che è gradito al Disco solare [Aton]” o “piace ad Aton” o “il servitore di Aton”). La riforma, però, non gli sopravvisse. Approfittando del disinteresse che il sovrano eretico dimostrava per la politica estera, la Palestina si ribellò con l'aiuto degli Ittiti e sarebbe stata perduta senza l'intervento di Horemheb, capo militare sotto Tutankhamon (genero di Amenofi IV) e poi re egli stesso.

Tra i primi faraoni della 19ª dinastia, Seti I e Ramesse II (1312-l235 a.C.), provenienti come Horemheb dalla casta militare, dovettero contendere agli Ittiti il possesso della Palestina e fronteggiare aggressori provenienti dalla Libia, che minacciavano il Basso Egitto. Questi ultimi non erano più i Libici autoctoni (Tehenu per gli Egiziani), ma genti nuove, probabilmente Berberi, con i quali erano forse anche altre popolazioni, che avevano invaso la Libia dal mare e cercavano di infiltrarsi in Egitto (correnti indoeuropee si dirigevano intanto verso il Mediterraneo orientale e l'Asia). Sotto la guida di Ramesse II, il cui lunghissimo regno fu sempre ricordato con venerazione, gli Egiziani vissero i loro ultimi momenti di gloria: la battaglia di Kadesh terminò senza vincitori né vinti, tuttavia il pericolo ittita fu allontanato per sempre; anzi i due paesi stipularono un trattato di reciproca assistenza, per fronteggiare la minaccia degli Assiri. Durante il regno del lio di Ramesse II, Meneptah, i conquistatori della Libia riuscirono ad arrivare fino a Perir, non lontano da Menfi; a fatica il faraone poté arrestarli ed espellerli dal paese dopo una grande battaglia (1230 a.C.). Anche Ramesse III (1198-l166), secondo re della 20ª dinastia, fu impegnato dai Libici in due camne e da un tentativo di invasione, contemporaneamente da est e da nord, dalla terra e dal mare. Con i successori di Ramesse III, tutti di nome Ramesse, ebbe inizio un periodo di crescente disorganizzazione interna e di sempre minor influenza egiziana nella politica internazionale. Segni della decadenza, i complotti, i saccheggi di tombe, la corruzione amministrativa, il prestigio dei mercenari barbari, lo strapotere del clero tebano di Ammone. Alla morte di Ramesse XI, ultimo re della 20ª dinastia, l'Egitto era praticamente diviso in due: al nord Smendes, di Tanis, diede principio (1100 circa) alla 21ª dinastia, mentre nella Tebaide Herihor, un capo militare, ne inaugurò una parallela, di fatto indipendente, di grandi sacerdoti di Ammone. Ebbe inizio così un periodo di confuse vicende, durato circa quattro secoli, durante il quale l'Egitto fu in balia delle ambizioni dei grandi sacerdoti e dei militari di origine libica, da tempo assimilati e divenuti parte preponderante dell'esercito egiziano. Uno di questi, Sheshonq, di origine eracleopolitana o bubastita, fondò la 22ª dinastia (950-730 a.C.), residente a Tanis, ristabilendo per breve tempo l'ordine e perfino il prestigio dell'Egitto in Asia, conquistando Gerusalemme e saccheggiandone il Tempio (930 a.C.). La 23ª dinastia, di origine bubastita o tanita e residente a Bubasti (817 circa - 730 a.C.), fu in parte contemporanea alla precedente e sua concorrente nel Basso e Medio Egitto, mentre la regione tebana dipendeva dal clero di Ammone. Il frazionamento del paese progredì: verso la metà dell'VIII sec. a.C. una ventina di principi, di cui quattro portavano il titolo di faraone, si dividevano il territorio. Nel Sudan, resosi indipendente dalla fine del XII sec. a.C., si era costituito il forte regno di Kush, con centro a Napata; Pipiattoankhy, che aveva assunto il potere nel 751, approfittando dell'anarchia egiziana si annesse l'Alto Egitto e tentò di fare altrettanto nel nord. Ma i sovrani saiti Tefnakht e Bakenrenef (il Bokchoris della tradizione greca) riuscirono a conservare il Delta: da soli costituiscono la 24ª dinastia (730-715 a.C.). Nel 715 Sabacone, successo a Pipiattoankhy, mise fine alla monarchia saitica riunendo Sudan ed Egitto in un solo impero. I sovrani di questa 25ª dinastia (“etiopica”, 715-656 a.C.), insediando loro familiari nella carica di “adoratrice di Ammone” (sposa del dio) a Tebe, governarono pacificamente l'Alto Egitto, ma nel Delta trovarono ben presto concorrenti nei re saiti della 26ª dinastia (663- 525 a.C.) e in altri principi locali. Alla fine ebbero la peggio nella guerra contro i re assiri della dinastia sargonide, Asarhaddon e Assurbanipal, i quali per tre volte riuscirono a conquistare l'Egitto scongendo i faraoni etiopici Taharqa e Tanutamon, fra il 671 e il 664. Le guarnigioni assire non rimasero tuttavia per lungo tempo in terra egiziana. Psammetico I, re di Sais, riuscì a cacciare gli Asiatici e a ricostituire l'unità del paese eliminando i principati del Basso Egitto e togliendo il sud al regno di Kush. In realtà l'ordine interno e la potenza militare dell'Egitto saitico dipendevano solo dal fatto che i quadri e le truppe scelte dell'esercito erano greci, che la flotta egiziana era stata riorganizzata sul modello greco e che l'economia del paese era in gran parte fondata sull'attività dei coloni greci. Solo così l'opera di restaurazione iniziata dai re etiopici poté essere portata a termine. Il lio di Psammetico, Nechao, volle riprendere l'antica politica di espansione in Asia. Qui la situazione era mutata: le potenze egemoniche erano in quel momento l'Impero persiano e quello babilonese, troppo forti per l'Egitto. Nechao riuscì a ricostituire l'impero di Thutmosi III, arrivando fino all'Eufrate, ma a Karkemish (605 a.C.) fu duramente sconfitto da Nabucodonosor, e i suoi successori cercarono invano di salvare la Palestina dai Babilonesi. Psammetico II riuscì a evitare una nuova invasione del regno di Kush, con una brillante spedizione nel Sudan, oltre la terza e forse fino alla quinta cateratta. Ma Amasi (570-526) non riuscì ad arrestare i progressi dei Persiani, e suo lio Psammetico III fu vinto a Pelusio nel 525 a.C. da Cambise. L'Egitto diventò così una satrapia, senz'altro la più ricca, dell'Impero persiano e gli Achemenidi seppero accortamente organizzarne lo sfruttamento economico (27ª dinastia, 525-404 a.C.). I Persiani, nonostante la politica conciliante di Dario I, furono sempre impopolari in Egitto; gli indigeni subivano con impazienza sia le loro misure fiscali sia il loro disprezzo verso le credenze del luogo. Nel 404 Amirteo di Sais (28ª dinastia) liberò nuovamente il paese dagli occupanti. Le dinastie 29ª e 30ª, la prima mendesiana, la seconda sebennitica, furono le ultime indigene e riuscirono, dal 398 al 341, a impedire il ritorno dei Persiani, ma non definitivamente: Artaserse III nel 343 riconquistò l'Egitto scongendo Nectanebo II, ultimo re dell'Egitto indipendente, e ristabilendo per la seconda volta il dominio persiano. Pochi anni dopo, nel 332 a.C., Alessandro, battuto Dario III a Isso, entrò a sua volta nella valle del Nilo: ha termine con il suo arrivo il periodo faraonico della storia egiziana e inizia quello ellenistico.

L'egitto tolemaico (332-30 a.C.)


Conquistato da Alessandro Magno, l'Egitto entrò a far parte del suo Impero e, poco dopo la sua morte, divenne un regno indipendente sotto la dinastia macedone dei Lagidi, nell'ambito del mondo ellenistico. Per la conoscenza di questo periodo sono molto utili i numerosi papiri in greco e in demotico, scoperti dagli archeologi, che però, mentre forniscono ampiamente dati di carattere amministrativo, sociale ed economico, sono scarsi di notizie relative agli avvenimenti politici e storici. Impadronitosi dell'Egitto senza colpo ferire e accolto favorevolmente dalla popolazione, insofferente del dominio persiano, Alessandro se ne cattivò ancor più le simpatie con il rispetto mostrato verso gli dei e la religione del paese, cosicché, quando si recò al tempio di Ammone (identificato dai Greci con Zeus) nell'oasi di Siwa, venne proclamato dai sacerdoti lio del dio. Nell'inverno del 332-331 a.C., prima di lasciare l'Egitto, egli fondò, tra il lago Mareotide e il mare, la città di Alessandria, costruita su progetto dell'architetto Dinocrate. Fino alla sua morte (323) l'Egitto fu amministrato da Cleomene di Naucrati; in seguito, nella divisione dell'Impero fra i diadochi, fu assegnato come satrapia a Tolomeo di Lago (Tolomeo I Sotere), perché lo governasse in nome di Filippo Arrideo e Alessandro Ego, rispettivamente fratello e lio del Macedone. Con l'accordo di Triparadiso (321) Tolomeo venne confermato satrapo d'Egitto (con la Libia e la Cirenaica) e nel 305 a.C. assunse il titolo di re, dando così origine alla dinastia dei Lagidi, che regnò fino al 30 a.C. Tutti i successori portarono anch'essi il nome di Tolomeo, accomnato dal soprannome onorifico, col quale erano venerati nel culto ufficiale, che veniva loro tributato come legittimi successori dei faraoni. Tale culto dalla popolazione di origine greca fu accettato, all'inizio, solo per i sovrani defunti e, col tempo, esteso anche a quelli in vita. Sempre nell'ambito della tradizione egiziana i Tolomei accolsero l'uso dei matrimoni tra fratello e sorella, spesso anche per interessi dinastici. Alla morte di Tolomeo I Sotere (283 a.C.), il lio Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.) ereditò un dominio che comprendeva, oltre all'Egitto, la Libia, la Cirenaica, la Celesiria, Cipro, e che esercitava una forte influenza sulle isole Cicladi. Durante il suo lungo regno fu impegnato in numerose guerre: dapprima contro Maga di Cirene, proclamatosi indipendente con l'appoggio di Antioco I Sotere, e, contemporaneamente, contro lo stesso Antioco (prima guerra siriaca), al quale tolse quasi tutta la costa meridionale dell'Asia Minore, perduta poi in gran parte durante la seconda guerra siriaca contro Antioco II Teo, Antigono Gonata e Rodi. Sotto il regno del Filadelfo, che protesse le scienze e le lettere ma soprattutto curò l'amministrazione finanziaria, e del lio Tolomeo III Evergete (246- 221 a.C.) l'Egitto raggiunse il culmine della prosperità e dello splendore. L'Evergete, sposata Berenice II lia di Maga, riacquistò la Cirenaica e durante la terza guerra siriaca riuscì a impadronirsi del regno seleucide, ma fu costretto a rientrare in Egitto da una rivolta della popolazione indigena. Conclusa la pace intorno al 240 a.C., si dedicò a opere di pace, curando in particolare il restauro e la costruzione di templi dedicati a divinità sia egizie sia greche. Gli succedette il lio Tolomeo IV Filopatore (221-204/203 a.C.), sotto il quale iniziò la decadenza. Corrotto e sensuale, egli rimase succubo di pessimi consiglieri, quali Sosibio, che lo spinsero all'uccisione della madre Berenice e del fratello Maga. L'indebolimento della monarchia favorì l'insorgere di disordini e di ribellioni. In particolare, la vittoria di Rafia (217) sulla Siria, di cui furono artefici le truppe egiziane, impiegate allora per la prima volta al posto di quelle greche, risvegliò il nazionalismo indigeno, di fronte al quale il Filopatore si mostrò eccessivamente debole. Sotto il regno del lio Tolomeo V Epifane (210-l81 a.C.), salito al trono a cinque anni, l'Egitto perse la Celesiria, mentre all'interno continuò a essere turbato dai contrasti tra i Greci e gli indigeni che acquistavano sempre maggiore importanza. ln questo periodo anche i Romani rivolsero il loro interesse all'Egitto, col pretesto di proteggerlo da Antioco III il Grande. Il regno del successore, Tolomeo VI Filometore (181-l45 a.C.), salito anch'egli al trono bambino, fu complicato e funestato, oltre che dalla guerra con la Siria (durante la quale Antioco IV occupò Menfi), anche da lotte civili e dinastiche, cui non furono estranei i Romani, e che continuarono anche dopo la morte del Filometore fino alla salita al trono di Tolomeo XIII Aulete (80-51 a.C.), mentre l'influenza di Roma, alla quale Tolomeo IX Apione aveva lasciato in eredità Cirene (96 a.C.), si faceva intanto sempre più forte. Alla morte dell'Aulete salirono al trono i li Cleopatra VII e Tolomeo XIV, che, mal sopportando l'autorità della sorella e moglie, la costrinse ad allontanarsi. Nel 48 a.C. fece uccidere Pompeo, rifugiatosi in Egitto dopo Farsalo, nella speranza di ingraziarsi Cesare, che lo costrinse invece a dividere di nuovo il potere con la sorella. Ma Tolomeo, ribellatosi, provocò la guerra nella quale perse la vita; Cleopatra, rimasta padrona del regno, per volere di Cesare dovette sposare e associare al trono il fratello Tolomeo XV, che ben presto avvelenò rimanendo sola al potere. Dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.), ottenne da Antonio il titolo di re per il lio avuto da Cesare, Cesarione (Tolomeo XVI), e per i tre li avuti da lui stesso, e inoltre l'annessione all'Egitto della Fenicia, della Celesiria, di Cipro, di una parte della Cilicia, della Siria e dell'Arabia Nabatea; tali concessioni provocarono però la reazione di Roma, che le dichiarò guerra. Rifugiatasi ad Alessandria in seguito alla sconfitta di Azio, si uccise poco dopo Antonio per non cadere nelle mani di Ottaviano. Con la morte di Cleopatra e di Cesarione, fatto uccidere dal vincitore, finivano così la dinastia dei Lagidi e l'indipendenza dell'Egitto, che divenne provincia romana (30 a.C.).

La dominazione tolemaica fu di tipo coloniale: gli indigeni erano esclusi da tutte le cariche importanti, che erano riservate a stranieri, distinti in base alla nazionalità in specie di caste e che godevano di privilegi diversi a seconda dei servigi resi. I Greci occupavano il primo posto come amministratori, tecnici e soldati; venivano poi gli Ebrei, apprezzati per le loro doti militari, infine i Cari e i Misi, che fornivano anch'essi truppe mercenarie. La legge favoriva queste divisioni proibendo i matrimoni misti, cosicché i Greci rimasero sempre una minoranza e in definitiva non si amalgamarono con l'elemento indigeno. Le inevitabili rivalità fra i vari gruppi etnici furono all'origine dei disordini che ben presto turbarono l'Egitto e si accrebbero via via che la dinastia si indeboliva. In particolare Alessandria fu spesso agitata dalle lotte tra gli Ebrei e i Greci e tra questi e gli indigeni, ellenizzati o no. I Tolomei furono sovrani assoluti, che accentrarono ancor più il potere, aumentando di conseguenza la burocrazia. Fu conservata la distinzione tradizionale tra Alto e Basso Egitto: il paese (chora) venne diviso in “nomi”, che avevano a capo uno stratego, rappresentante del re, e uno scriba, rappresentante del dieceta; i nomi erano suddivisi a loro volta in toparchie (toparchíai), con a capo un toparco (tóparchos), e queste in villaggi (komai), con a capo un comarco (komarchos). Le tre città di Naucrati (antica colonia ionica), di Alessandria e di Tolemaide (fondata da Tolomeo I) conservarono le istituzioni della polis greca, senza che l'autorità regia ne venisse menomata. Mira costante del governo fu di organizzare l'agricoltura e l'industria in modo tale da aumentare la produzione e quindi le esportazioni. Il re, come il faraone, era il solo proprietario del suolo, che concedeva in usufrutto: ai templi, per provvedere al loro mantenimento e alle spese del culto, e ai funzionari e ai soldati, come compenso dei loro servigi. La terra regia veniva quindi suddivisa in piccoli lotti, che erano affittati agli indigeni e coltivati secondo gli ordini del re. Ogni anno il dieceta stabiliva per ogni nomo l'estensione del terreno destinato alle singole colture. I funzionari procedevano quindi all'assegnazione dei lotti agli affittuari, anticipavano loro le semenze e stabilivano la data del raccolto, che veniva depositato in un granaio pubblico. Da esso veniva prelevato il quantitativo dovuto per le sementi prestate e per il amento delle imposte e dell'affitto, che veniva ammassato nel granaio reale di Alessandria. Il contadino conservava quel poco che rimaneva, se pure rimaneva, a meno che non si trattasse di prodotti soggetti a monopolio (come i semi oleosi) che erano incamerati tutti dallo Stato. I contadini continuarono a essere oberati da imposte in natura e da prestazioni forzose di manodopera (specie per la costruzione e il mantenimento delle opere di irrigazione), a essere minacciati da requisizioni e vincolati alla loro residenza, che non potevano lasciare senza uno speciale permesso. A queste imposizioni reagivano spesso con l'anachoresis (“ritirata”) rifugiandosi nei templi o nelle paludi o ai confini del deserto, e finendo per costituire bande armate di ribelli. Era richiesta, fra l'altro, una tassa per portare al pascolo il gregge; nessun albero poteva essere abbattuto senza l'autorizzazione del re, e un'altra tassa era necessaria per esercitare taluni mestieri. Infine, tutte le operazioni finanziarie erano monopolio della banca di Stato e delle sue succursali, che riscuotevano le imposte. Attraverso Alessandria, l'Egitto esportava grano, orzo, papiro, vetrerie, tele di lino e oggetti d'arte; importava legname e metalli; nel Isec. a.C. cominciò a importare la seta e le spezie dall'India attraverso i Sabei. Tuttavia, la gloria maggiore dei Tolomei fu forse quella di aver dato grande incremento alla cultura del tempo, proteggendo le scienze e le lettere. A essi infatti risalgono, oltre alla costruzione del Faro di Alessandria e di numerosi templi e alla riattivazione del canale dal Nilo al Mar Rosso, la fondazione del Museo di Alessandria, con un giardino zoologico, un orto botanico e l'immensa biblioteca, al quale affluivano scienziati e letterati da ogni parte. La scienza antica raggiunse allora il suo apogeo (Apollonio di Perge, Archimede, Eratostene, Euclide, Erone e Teofrasto); eruditi e poeti come Apollonio Rodio, Arato, Callimaco ed Eronda crearono forme nuove di critica e di poesia. Ma nel complesso si trattò di un fenomeno culturale limitato al ceto ellenico e ai pochi ellenizzati e al quale rimasero estranei gli indigeni, che conservarono con impegno ancor maggiore le proprie tradizioni. Queste anzi ebbero a poco a poco il sopravvento sulla tradizione greca, grazie anche al favore della stessa dinastia lagide. Il dominio dei Tolomei fu ed è oggetto di disparati giudizi: resta però incontestabile che, se pur non arrecò alla popolazione sensibili miglioramenti, ebbe il merito di restituire all'Egitto l'indipendenza e di farne per circa tre secoli uno dei maggiori Stati ellenistici.



L'egitto romano (30 a.C.-395 d.C.)

Dopo la sconfitta e la morte di Cleopatra a opera di Ottaviano, l'Egitto venne a far parte dei domini di Roma. La perdita dell'indipendenza, la sua stessa posizione geografica e la particolare organizzazione, che lo isolava dal resto dell'Impero, fecero sì che le vicende storiche dell'Egitto si riducessero quasi totalmente ad avvenimenti di ordine interno. Già sotto il primo prefetto, Cornelio Gallo, i Romani dovettero affrontare due rivolte degli indigeni e, sotto il successore, Petronio, respingere un attacco della regina etiope Candace, penetrata nella Tebaide. Ma i disordini maggiori furono causati dalla rivalità tra i Greci e gli Ebrei di Alessandria. Questi ultimi ormai parlavano greco, ma erano rimasti fedeli alle loro tradizioni (attraverso la Bibbia dei Settanta) e il caso di Filone († 45 d.C.), che tentò un'interpretazione platonizzante della Bibbia, fu un tentativo isolato. La loro preponderanza finì con l'ingelosire i Greci: già sotto Caligola e poi sotto Claudio scoppiarono violenti disordini, che si ripeterono in forma ancor più grave dopo la distruzione di Gerusalemme. Nel 115 un'altra violenta insurrezione degli Ebrei durò parecchi mesi prima di essere domata. Settimio Severo, per assicurare la riscossione delle imposte, istituì nelle città il regime delle curie e concesse un senato ad Alessandria. Verso il 250 le zone di frontiera furono invase dai Blemmi e dagli Etiopi, che tagliarono le comunicazioni dal Nilo al Mar Rosso. Poco tempo dopo il prefetto Emiliano fu proclamato imperatore dalle legioni, ma venne sconfitto e ucciso da Gallieno. Della situazione quanto mai incerta approfittò Zenobia, regina di Palmira, che occupò l'Egitto per tre anni prima di esserne cacciata dall'imperatore Aureliano. Agli inizi del suo regno Diocleziano dovette affrontare la rivolta di L. Domizio Domiziano, fattosi proclamare imperatore ad Alessandria, che venne assediata e distrutta dalle truppe fedeli a Diocleziano. ln seguito alla riorganizzazione dell'Impero l'Egitto fu diviso da Diocleziano in tre province (Iovia, Herculia, Thebais) e compreso nella diocesi d'Oriente, dalla quale fu separato da Teodosio (395), che ne fece una diocesi a sé.

Per la sua grande importanza economica e strategica l'Egitto ebbe, nell'organizzazione dell'Impero, un ordinamento particolare, che lo poneva sotto il diretto controllo dell'imperatore. Questi vi era rappresentato dal praefectus Alexandriae et Aegypti, che godeva di onori quasi regali ed era affiancato dallo iuridicus per gli affari giudiziari e dall'idiologus per quelli finanziari. Alessandria conservò la propria costituzione e anche le altre città di origine greca godettero di una certa autonomia. Oltre alla Tebaide vennero create anche altre due epistrategie, con funzioni però puramente civili. Per il resto non vi furono cambiamenti: la lingua ufficiale rimase il greco, e il latino fu limitato ai rapporti con le legioni; anche la moneta ufficiale rimase la dramma. All'inizio le legioni di stanza in Egitto erano tre a causa della turbolenza della popolazione, specie ad Alessandria e nella Tebaide, poi furono ridotte a due da Tiberio e infine a una da Adriano. Al comando di tali legioni vi era, contrariamente al solito, un prefetto e non un legato di rango senatorio. Per evitare qualunque interferenza, Augusto aveva infatti proibito, salvo casi eccezionali, l'ingresso in Egitto ai senatori, che potevano tuttavia avervi possedimenti. Venne mantenuta la divisione della popolazione in gruppi etnici con prerogative diverse. In particolare, gli Egiziani vennero considerati come dediticii, e quindi esclusi dalla possibilità di ottenere, salvo eccezioni, la cittadinanza romana, che non ebbero neppure quando la Constitutio antoniniana (212) la estese a quasi tutto l'Impero. Anche il culto imperiale veniva celebrato solo dalle singole città.

L'organizzazione economica ricalcava quella tolemaica, che a sua volta si rifaceva a quella faraonica. Augusto si limitò a reprimere gli abusi sorti col progressivo indebolirsi della dinastia lagide, e pare, tra l'altro, che avesse requisito o almeno ridotto la terra concessa ai templi e il contributo dello Stato alle spese del culto. I grandi latifondi formatisi illegalmente nella terra regia vennero confiscati e spesso assegnati a persone di fiducia dell'imperatore. Nonostante gli indubbi benefici della pace, non pare tuttavia che i Romani, che restaurarono senza posa il sistema di irrigazione e promossero le opere di bonifica, ottenessero dall'Egitto più dei Tolomei: il grano egiziano soddisfaceva ai bisogni dell'annona per quattro mesi all'anno, ma anche in Egitto le cattive annate e le carestie non erano infrequenti. In conclusione, il cambiamento di dominio non provocò grandi mutamenti: i papiri greci e demotici di questo periodo (ancor più numerosi che in età tolemaica), gli ostraka, i regolamenti (come lo Gnomone dell'idiologo, mostrano come le condizioni di vita degli abitanti non fossero in sostanza cambiate. I contadini, vessati dagli esattori, ricorsero ancora all'anachoresis e s'inurbarono sempre più. Maggior fortuna ebbe il commercio, favorito dalla pace e dall'unità che l'Impero garantiva. Con la scoperta fatta da Ippalo della regolarità dei monsoni, la navigazione verso l'India divenne più facile e quindi più intenso il commercio, soprattutto per l'importazione della seta, delle perle e delle spezie, che, attraverso Alessandria, venivano distribuite in tutto l'Impero. Ma durante il III sec. d.C. tali scambi commerciali subirono un contraccolpo e si fecero sempre più rari per la scarsità di moneta pregiata.

L'egitto bizantino (395-642)

L'Egitto fece parte dell'Impero d'Oriente fino alla conquista araba. A partire da Teodosio I (379-395) il prefetto d'Egitto, chiamato “prefetto augustale”, governò il paese con poteri molto ampi; ogni provincia venne affidata a un duca, il cui compito era essenzialmente quello di riscuotere l'imposta e di vigilare sull'annona, essendo l'Egitto fonte di rifornimenti per Costantinopoli. La grande proprietà, nonostante gli sforzi degli imperatori, si sviluppò a vantaggio dei funzionari di grado elevato (come attestano anche i papiri della famiglia Apione che, fra l'altro, era esente da imposte per le terre di sua proprietà, e disponeva di soldati e di prigioni propri). Nello stesso tempo, l'Egitto assumeva un'importanza nuova nella politica esterna dell'Impero. Partiti dal suo territorio, alcuni missionari evangelizzarono il regno etiopico d'Aksum e il paese degli Himyariti (Yemen). Bisanzio contò, ma inutilmente, su questi due popoli per liberarsi dal controllo che i Sassanidi esercitavano sulla rotta delle Indie; ben presto, però, l'importanza di Alessandria declinò a vantaggio dei porti siriani, dove affluivano le carovane dall'Estremo Oriente.

Pur continuando a sfruttare il paese, il basileus fu ben lontano dall'esercitarvi piena e completa sovranità: nell'Egitto il cristianesimo era così profondamente penetrato (come tutte le religioni, del resto) che l'influenza del vescovo di Alessandria, chiamato dai suoi avversari “nuovo faraone”, finì col prevalere su quella bizantina. Riconosciuto patriarca dopo il concilio di Costantinopoli (381) egli poté, in virtù del titolo che lo poneva al di sopra degli altri vescovi d'Oriente, nominare, in più occasioni, i vescovi della stessa capitale. Di norma nominava i vescovi d'Egitto (un centinaio), poteva contare su un clero numeroso e docile; si appoggiava alle bande fanatiche dei monaci del deserto, allora comandate dall'abate del Convento bianco, Scenute. Assai ricco, distribuiva il danaro con oculatezza, e i funzionari imperiali erano a lui devoti, mentre le questioni puramente teologiche rimanevano piuttosto di competenza dei presbiteri. Ma soprattutto egli sollecitò a proprio vantaggio lo spirito nazionale degli Egiziani, molto ostili ai Greci che continuavano a sfruttarli. In pratica signore dell'Egitto, meditò di sostituirsi al suo rivale di Bisanzio fidando anche sull'appoggio del vescovo di Roma. Fu il patriarca di Alessandria, Teofilo (385-412), a provocare la caduta di Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli (403). E fu il successore di Teofilo, Cirillo (412-444), a far condannare come eretico Nestorio, patriarca di Costantinopoli (v. NESTORIANESIMO ): si era allora in piena polemica cristologica e trinitaria.

Il patriarca Dioscoro (444- 451) fu meno fortunato: sostenne le teorie dell'archimandrita Eutiche (v. EUTICHIANESIMO ), che furono all'origine del monofisismo (natura unica del Cristo), e al concilio di Efeso (449) fece deporre Flaviano, patriarca di Costantinopoli, che aveva condannato Eutiche. Ma proprio questo concilio, definito il “latrocinio di Efeso”, in cui i monaci egiziani intimidirono i vescovi colà riuniti, attirò l'attenzione di papa Leone I, che cominciava a temere le pretese di Alessandria. Al concilio di Calcedonia (451) Dioscoro fu deposto. L'Egitto, rifiutando questa nuova decisione e rimanendo monofisita, continuò la propria opposizione all'Impero. A Bisanzio si tentò più volte la riconciliazione con i monofisiti, anche allontanandosi dalle formulazioni dottrinali proclamate a Calcedonia, ma l'Egitto restò ben saldo sulle sue posizioni monofisite e insieme di autonomia politica, e poiché il governo bizantino giudicava indispensabile l'unità della fede, nei secc. V e VI le persecuzioni furono numerose: nel 457 Alessandria insorse, massacrando il patriarca calcedoniano; l'usurpatore monofisita Timoteo Eluro seppe trarre profitto dalle lotte politiche e dinastiche che si svolgevano a Costantinopoli dove in seguito poté sempre contare su un partito della conciliazione guidato secondo le circostanze da un pretendente al trono, o da qualche imperatore, ansiosi di ottenere l'appoggio dell'Egitto. Così, nonostante l'imperatore Leone I nel 460 deponesse Timoteo esiliandolo, a partire dallo stesso anno si ebbero due serie di patriarchi; il patriarca melchita* in quanto sostenitore delle tesi calcedonesi fu sempre oggetto dell'ostilità popolare; mentre il patriarca monofisita godeva dell'appoggio della maggioranza degli indigeni. Ma nel VI sec. i monofisiti stessi divisi in sette si ribellarono al loro patriarca per il suo lealismo verso Bisanzio. Nello stesso secolo (540) sotto Giustiniano ci fu un altro tentativo di ricondurre l'Egitto all'ortodossia.

Questo periodo così agitato, d'altra parte, fu quello di maggiore affermazione per la letteratura copta.

Nel VII sec. l'imperatore Eraclio (610-641), che riconquistò le province orientali cadute sotto i Sassanidi (i quali avevano occupato l'Egitto fra il 617 e il 629), si impegnò a restaurare l'unità della fede. Con i suoi editti, che tra l'altro imposero il battesimo agli ebrei, e soprattutto con la celebre Ectesi*egli tentò un'ulteriore conciliazione tra cattolici e monofisiti, ottenendo solo che si rafforzasse la nuova dottrina del monotelismo*, e suscitando soprattutto in Egitto reazioni violente. I rapporti fra Greci e potere imperiale, da una parte, ed Egiziani, dall'altra, erano dunque molto tesi quando gli Arabi invasero il paese.

L'egitto musulmano fino a Mehmet Ali (642 - 1805)


La conquista e l'occupazione araba

L'esercito bizantino d'Egitto, forte di 30.000 uomini, era composto quasi interamente da indigeni di scarso valore militare. Il patriarca monofisita Ciro, sul quale Eraclio aveva contato per ricondurre gli stessi monofisiti alla dipendenza politica verso Bisanzio, aveva ricevuto dal basileus i poteri di prefetto augustale, ma la sua intransigenza verso gli indigeni fu tale da creargli solo impopolarità. Cosicché se in Egitto gli Arabi non furono chiamati, neppure trovarono seri ostacoli alla loro occupazione, a partire dal 639. Nel 640, sotto il califfato di ‘Umar, il generale arabo ‘Amr ibn al-‘As invase il paese; nel 642 Alessandria modulò. Il califfo fece erigere la città fortificata di Fustat (Cairo Vecchia), presso Babilonia d'Egitto, e iniziò la costruzione della moschea che porta il suo nome. Restaurò il canale fra il Nilo e il Mar Rosso e i tributi dell'Egitto confluirono nell'erario di Medina.

Inizialmente poco numerosi, gli Arabi rimasero raggruppati in presidi, che si mantenevano col prodotto delle terre di proprietà statale. In seguito, però, quando l'attrattiva della vita mercenaria e l'appello alla colonizzazione lanciato dai governatori (‘amil) fecero affluire in Egitto nuove tribù arabe, il distacco dalla popolazione indigena divenne meno netto. Apposite modulazioni riconobbero ai cristiani il diritto di conservare le loro chiese e la loro organizzazione locale, a condizione che assero speciali tributi: il kharag, imposta fondiaria che sanciva la superiorità dei conquistatori musulmani, e la gizya (capitazione).

Nel 651 la serie dei patriarchi melchiti subì un'interruzione, che si protrasse fino al 742. La loro confessione si trovò in forte minoranza; ma anche i monofisiti diminuirono rapidamente di numero, tanto che verso il 750 essi rappresentavano appena un quarto della popolazione. Per spiegare la rapidità e l'ampiezza della conversione all'Islam, bisogna considerare che l'episcopato monofisita, ricostituitosi assai velocemente dopo le persecuzioni, era piuttosto mediocre e che molti cristiani si convertivano per sfuggire alle imposte speciali, mentre altri, per la stessa ragione, si rifugiavano nei monasteri essendo i monaci esenti dalla capitazione. Il governo prese allora rigorose misure di controllo e i falsi monaci si convertirono anch'essi alla nuova fede.

Gli Arabi, d'altra parte, ebbero la saggezza di conservare le istituzioni amministrative dei Bizantini, scegliendo fra i Copti i funzionari subalterni. Sembra che, rispetto al periodo bizantino, il commercio estero abbia goduto di una maggiore libertà. I traffici con l'India si rianimarono, ma il Golfo Persico rimase sempre più importante del Mar Rosso.

Per due secoli la sorte dell'Egitto rimase strettamente legata a quella del mondo arabo. Ommayyade dal 658, il paese non fu mai toccato dalle eresie dell'Islam. Rivolte periodiche esplosero fra gli Arabi e i Copti a causa della politica fiscale degli Abbasidi, che sfruttarono la valle del Nilo nell'esclusivo interesse delle capitali irachene.

I Tulunidi (886 - 905 )

Nell'868 Ahmad ibn Tulun fu inviato in Egitto come luogotenente dal califfo abbaside Al-Mu‘tazz (866-869); nell'870 occupò la Siria fino a Damasco, l'anno dopo ottenne la gestione finanziaria dell'Egitto, concentrando tutto il potere nelle sue mani. Giocando sulla rivalità del califfo Al-Mu‘tamid (870-892) contro il fratello Al-Muwaffaq (Al-Muwaffik), Ahmad poté mantenere la sua posizione di governatore in pratica indipendente e avviare con Bagdad negoziati, troncati dalla sua morte (884). Suo lio (884-896) arrivò così a stipulare, dopo altre guerre, un accordo trentennale per cui il califfato riconosceva ai Tulunidi le loro conquiste (886, anno di inizio per l'Egitto del regime di autonomia). Ma per quanto il fasto della corte tulunide non fosse inferiore a quella abbaside, le truppe mal ate non resistettero alle invasioni dei carmati, e l'ultimo Tulunide fu detronizzato nel 905 dal califfo Al-Muktafi (902-908) che rioccupò l'Egitto.

Gli Ikhshididi (935 - 969 )

Altro tentativo di dare all'Egitto un governo autonomo fu quello compiuto da Muhammad, che prese il soprannome reale (di origine iraniana) d'Ikhshid dopo aver ricevuto da Bagdad i pieni poteri per combattere la proanda degli eretici sciiti (partigiani del califfato fatimide). Il dominio degli Ikhshididi fu però assai breve.

I califfi sciiti (969 - 1171)

Signori del Maghreb dal 909, i Fatimidi avevano puntato da tempo il loro sguardo sull'Egitto. Approfittando della morte del negro Kafur, baluardo della dinastia ikhshidide (967), il loro esercito occupò nel 969 l'Egitto e la Siria (della quale fu completata la conquista nel 988) e fondò nei pressi di Fustat la città di Al-Qahira (“la Vittoriosa”) [Cairo Nuova]. Nel 973 il califfo fatimide Al-Mu‘izz trasferì la propria residenza in Egitto. A questi succedette poi il nipote Abu ‘Ali al Hakim (996-l021), che con fanatismo si diede a perseguitare i seguaci delle altre fedi, ebrei e cristiani compresi. Presto scoppiarono disordini, dovuti alle rivalità fra contingenti mamelucchi, berberi, turchi e negri. La dinastia, che nel 1045 perdette il Maghreb, subì l'attacco in Siria dei Selgiuchidi che conquistarono Damasco (1075) e in Palestina dei crociati, che occuparono, nel 1099, Gerusalemme, conquistata l'anno prima dai Fatimidi, ma venne salvata dall'energia dei capi militari; questi però (come capitò nel 1058 quando mercenari turchi dei Fatimidi s'impadronirono di Bagdad e del califfo) finirono per eleggere essi stessi il califfo. La debolezza del potere politico, d'altra parte, non impedì all'Egitto di conoscere grande prosperità nell'epoca fatimide. Il paese non venne più sfruttato a esclusivo vantaggio di capitali lontane: il Mar Rosso e Alessandria ripresero il primo posto sulla rotta tra il Mediterraneo e l'Estremo Oriente e i mercanti di Venezia e d'Amalfi, che assicuravano i collegamenti marittimi col Maghreb, affluivano ad Alessandria, mentre carovane congiungevano l'Egitto con l'Africa del Nord, il Sudan e l'Etiopia. L'artigianato, nelle mani dei Copti, continuò a produrre oggetti di valore: avori, rami e bronzi, vetri, piastrelle di maiolica smaltata. Il Cairo si arricchì di monumenti pregevoli, come il palazzo del califfo (Qasr al-Kabir) e la moschea Al-Azhar. Nel 1163 scoppiarono nuovamente dei torbidi e nel 1164 in nome di Nur al- Din, atabek turco di Damasco, il suo generale Shirkuh, e il nipote di questo, Saladino (Salah al-Din), occuparono l'Egitto. Costretti a ritirarsi da Amalrico I re di Gerusalemme, riuscirono ad affermarsi nel 1168 e Saladino divenne visir nel 1169; alla morte del fatimide Al-‘Adid (1160-l171), egli impose la sovranità del califfo di Bagdad facendone pronunciare il nome nella preghiera del venerdì.

Gli Ayyubidi (1171 - 1250 )

lio dell'emiro curdo ‘Ayyub ibn Shadi, il Saladino fondò una dinastia reale formalmente sottomessa al califfato di Bagdad. Egli procedette anche all'annessione della Siria (1174) e dello Yemen, e nel 1187, sconfitti i crociati a Hattin, vibrò un colpo decisivo al regno di Gerusalemme. Dopo la sua morte, però, lo Stato si suddivise, mentre i crociati continuarono a tentare sbarchi nel Delta. Nel giugno 1249 il re di Francia Luigi IX sbarcò a Damietta (Dimyat) che conquistò, ma, battuto e preso prigioniero ad Al-Mansura (febbraio 1250), dovette troncare l'impresa (1254). L'ultimo ayyubide fu ucciso nel maggio 1250, e il potere passò al capo mamelucco Aybak, capostipite della dinastia dei Bahriti.

Le dinastie mamelucche (1250 - 1517 )

L'oligarchia di tipo feudale-militare instaurata dai Mamelucchi garantì all'Egitto compattezza e prosperità, grazie ai commerci con l'Europa, i cui proventi fornivano i mezzi per mantenere un efficiente esercito di schiavi e mercenari. Così l'Egitto fu il solo paese del mondo arabo che riuscisse a sfuggire alle devastazioni mongole. In questo periodo Alessandria detenne il monopolio del trasporto delle spezie verso l'Europa cristiana; Veneziani e Genovesi, che si disputavano questo mercato, non esitavano, nonostante i divieti della Chiesa, a consegnare agli Egiziani legname, ferro, armi e schiavi. Le imposte prelevate all'uscita dal porto di Alessandria alimentarono il lusso della corte del Cairo e assicurarono alla capitale splendidi monumenti, come la moschea funeraria di Qalawun (XIIIsec.), la moschea università del sultano Hasan (XIV sec.) e la moschea di Qa'it bey (XV sec.). Dal 1254 al 1382 il potere fu nelle mani dei Mamelucchi Bahriti, cioè di una dinastia turca. Qutuz (1259-l260) salvò l'Egitto scongendo i Mongoli ad ‘Ayn Gialut, in Palestina (1260). Baybars I (1260- 1277), che uccise Qutuz, accolse come califfo un abbaside sfuggito al massacro della famiglia (1258) e si fece nominare da questi sultano; conquistò inoltre la maggior parte delle città del regno di Gerusalemme, come Arsuf (1265), Safad (1266) e Antiochia (1268), il cui commercio era in concorrenza con quello di Alessandria. Uno dei suoi successori, Qalawun (1279-l290), completò la distruzione dello Stato dei crociati, facilitando ad Ashraf Salah al-Din Khalil (1290-l293) la presa di Acri (1291). Poi i Mamelucchi distrussero anche il regno cristiano della Piccola Armenia (1375), nel cui porto di Laiazzo affluivano i prodotti dell'Estremo Oriente.

Nel 1382 il potere passò ai Mamelucchi Burgiti, che erano Circassi. La nuova dinastia fu resa poco stabile da una serie di colpi di Stato. La situazione economica peggiorò e i Burgiti dovettero coniare monete di rame in seguito alla ssa dell'oro attirato dall'Occidente. L'Egitto si salvò dalle armate di Tamerlano (Timur) giunte fino in Siria (1400), ma la guerra fu tanto onerosa che il sultano Barsbay (1422- 1438) per rinsanguare le finanze tentò, senza riuscirvi, di creare un monopolio statale del commercio estero. A partire dal 1503 i Portoghesi, insediatisi nelle Indie, bloccarono i convogli di spezie destinati all'Egitto; poi, nel 1508, Francisco de Almeida distrusse a Diu la flotta mamelucca.

Da molto tempo, intanto, gli Ottomani miravano alla conquista del paese. Nel 1516 il sultano Selim attaccò i Mamelucchi e, avvantaggiato dal possesso dell'artiglieria, li sconfisse ad Aleppo (1516) e al Cairo (1517). L'ultimo sovrano Tuman II (1516-l517) fu impiccato e Selim, che dall'ultimo degli Abbasidi residente alla corte mamelucca si sarebbe fatto cedere il titolo di califfo, si proclamò califfo, cioè protettore dei credenti.

L'Egitto turco dal 1517 al 1805

La provincia venne affidata a un pascià, che rimaneva in carica per un anno. Grazie a un inasprimento delle imposte, questi inviava a Costantinopoli 600.000 piastre all'anno e un certo numero di contingenti militari. Era coadiuvato da ventiquattro prefetti, i bey, che organizzavano la loro guardia personale mediante l'acquisto di schiavi (Mamelucchi). Quando una carica di bey era vacante, il bey più potente proponeva uno dei suoi Mamelucchi. Per sorvegliare le frontiere e respingere i Beduini, il pascià disponeva di sette reggimenti comandati da agha. Questi erano eletti per un anno dai soldati, e alla scadenza della carica entravano a far parte del consiglio degli agha anziani, che amministrava l'esercito. Bey e agha godevano della rendita di villaggi, loro assegnati, in ciascuno dei quali disponevano di un possedimento personale, coltivato a mezzo del lavoro obbligatorio, e in cui riscuotevano le imposte sulle altre terre: di queste imposte essi inviavano al pascià una parte, trattenendo il resto. Il potere dei pascià declinò gradatamente di fronte all'insubordinazione delle milizie. ‘Ali bey (1757-l773) cacciò il pascià turco (1766) e si rese indipendente dal sultano (1768), che con molta fatica riuscì in seguito a ristabilire la sua autorità nominale. L'incuria turca provocò inoltre grave danno all'economia, tanto che il commercio delle spezie finì per esaurirsi.

Nel XVIII sec. l'Egitto divenne oggetto delle mire francesi e russe, ma l'Inghilterra rimase vigile. I Francesi (soprattutto Marsigliesi), che beneficiavano delle modulazioni, furono i soli a commerciare ad Alessandria. Da parte loro, gli Inglesi, che nel 1775 avevano ottenuto l'accesso al Mar Rosso, chiesero il diritto di passaggio sul territorio egiziano per raggiungere le Indie.

Nel 1798 contro il territorio egiziano fu organizzata una spedizione militare francese, motivata da ragioni di ordine politico, militare ed economico. In pratica essa ebbe fecondi risultati soprattutto in campo scientifico. Il gruppo di studiosi francesi che era al seguito di Bonaparte iniziò l'esplorazione e l'inventario delle ricchezze storiche, artistiche, archeologiche del paese, inaugurando così — sotto molti aspetti — un'era nuova per la storia dell'Egitto.

L'egitto moderno (a partire dal 1805)


La dinastia di Mehmet Ali ( 1805 - 1952 )

Dopo la partenza delle truppe francesi il sultano, nonostante l'appoggio inglese, non riuscì a ristabilire il suo dominio sull'Egitto; il paese passò sotto Mehmet Ali (Muhammad ‘Ali), comandante delle truppe turche albanesi inviate in Egitto a combattere contro Bonaparte, che costrinse Costantinopoli a riconoscerlo come pascià (1805). Il 1° maggio 1811 sterminò i Mamelucchi facendo uccidere 470 bey; si sbarazzò inoltre degli Albanesi turbolenti mandandoli alla conquista del Sudan, e procedette a una nuova organizzazione dell'esercito e di una flotta; per l'esercito reclutò i soldati tra i fellah e li fece addestrare dal colonnello francese Février; si impegnò poi in un'opera di europeizzazione dell'Egitto. Ordinò varie spedizioni comandate dal lio adottivo Ibrahim pascià nell'Alto Egitto, conquistando finalmente (nel 1821) la regione che ebbe da allora il nome di Sudan, vi fondò come capitale la città di Khartum e l'annesse all'Egitto. Mehmet si adoperò inoltre per incrementare la ricchezza dell'Egitto: instaurò anche un nuovo catasto facendo ascrivere a ogni capofamiglia un lotto di terreno a titolo vitalizio; riservò per sé 400.000 ettari, e distribuì vasti appezzamenti ai sindaci dei villaggi e agli appaltatori delle imposte; utilizzò i servizi gratuiti dei fellah per vasti lavori di irrigazione; impose ai contadini la coltura del cotone e della canna da zucchero per l'esportazione, riservandosene il monopolio. Si sforzò anche di cattivarsi il favore degli Europei, specialmente dei Francesi, tra i quali aveva scelto molti dei suoi collaboratori; incoraggiò anche la “scienza nuova”, quale era allora l'egittologia, favorendo in ogni modo gli studiosi (v. CHAMPOLLION MARIETTE ). Negli anni 1823-l829 intervenne con successo in Grecia in favore del sultano e richiese come ricompensa la Siria, ricca del legname necessario per la costruzione della sua flotta; e poiché il sultano non volle acconsentire, l'attaccò e lo vinse (1832). Ma alla Gran Bretagna non erano gradite le gesta vittoriose di Mehmet che si dimostrava francofilo e aveva interdetto agli Inglesi l'istmo di Suez: suscitò quindi contro di lui altre potenze e nel 1840 egli fu costretto ad abbandonare la Siria e ad accontentarsi, per concessione di Costantinopoli, della trasmissione ereditaria del titolo e dei poteri di pascià (o pascialik) dell'Egitto. Suo nipote ‘Abbpiattoas (‘Abbpiattoas psottoHilmpiattoi I), che regnò dal 1848 al 1854, succedendo al breve principato di Ibrpiattoahpiattoim pascià (agosto-novembre 1848), volle disfarsi dei consiglieri del nonno, sospese i lavori in corso per lo sbarramento del Delta, e — per odio verso i consoli occidentali — si avvicinò al sultano di Costantinopoli; fu però strangolato e gli succedette l'ultimo lio di Mehmet Ali, cioè Sa‘piattoid (1854-l863). Questi subì, al contrario, l'influsso straniero; appunto in questo periodo numerosi ordini religiosi francesi aprirono scuole in Egitto, e furono sviluppati gli scavi archeologici. Sa‘piattoid riformò anche il regime fondiario: soppresse il principio della proprietà dello Stato, abolì ufficialmente il lavoro coatto, permise ai fellah di vendere liberamente sia i loro lotti di terra sia i prodotti agricoli, riservando allo Stato il diritto di riprendere i lotti di coloro che non avessero ato le imposte; le grandi donazioni fatte da Mehmet Ali avevano tuttavia permesso la costituzione di vaste proprietà, mentre i lotti dei contadini si erano fatti sempre più esigui. Poco alla volta l'Egitto riprese inoltre la sua funzione di intermediario tra l'Europa e l'Estremo Oriente: dal 1859 una ferrovia iniziò il collegamento tra Alessandria, Il Cairo e la città di Suez, mentre già dal 1856 Sa‘piattoid aveva conferito a F. de Lesseps la concessione per i lavori del futuro canale di Suez. Questi si svolsero dal 1859 al 1869; e nonostante le molteplici difficoltà create dagli Inglesi, preoccupati dalla presenza francese in un'arteria così vitale per il loro Impero, il 17 novembre 1869 il canale venne solennemente inaugurato. Sempre più acuto appariva intanto un altro problema interno, l'eccessivo incremento demografico del paese: mentre verso il 1800 vi erano circa due milioni e mezzo di abitanti, alla fine del secolo se ne contavano dieci. Nel 1863 a Sa‘piattoid succedette il lio di Ibrpiattoahpiattoim, cioè Ismpiattoa‘piattoil pascià; nel 1866- 1867, egli ricevette dalla Sublime Porta il titolo di chedivè (sovrano) con il diritto di trasmissione ereditaria; e dopo che ebbe condotto varie imprese nel Sudan, gli venne concessa anche l'indipendenza amministrativa e giudiziaria, il diritto di trattare direttamente con potenze straniere e di battere moneta in nome del sultano al quale doveva are un tributo di 133.635 borse all'anno.

Ismpiattoa‘piattoil riformò il procedimento giudiziario, e sviluppò la rete ferroviaria; ma a causa della sua prodigalità fu costretto a sospendere il amento dei debiti assunti con l'estero e fu obbligato nel 1876 ad accettare l'istituzione di un organismo di controllo (commissione internazionale per il debito pubblico egiziano) composto da due agenti, uno inglese e l'altro francese. Da quell'anno iniziò il condominio anglo-francese sull'Egitto. Ismpiattoa‘piattoil fu deposto e sostituito dal lio Tawfpiattoiq (1879- 1892). L'occupazione straniera suscitò il movimento nazionalista del colonnello ‘Arabpiattoi sorto nel 1881, e destinato a ottenere presto grande seguito; nel giugno del 1882 una rivolta popolare nazionalista, guidata da militari e degenerata in un massacro di Turchi, Circassi e cristiani in genere provocò l'intervento della Gran Bretagna, mentre la Francia preferiva mantenersi estranea alle questioni interne dell'Egitto. Il 10 luglio la flotta francese che si trovava ad Alessandria prese il largo, e l'11 l'ammiraglio inglese Seymour aprì il fuoco sui forti della città; il 13 settembre il colonnello ‘Arabpiattoi era vinto a Tell al Kebpiattoir: da questa data, nonostante le proteste francesi e turche, la Gran Bretagna, senza alcun titolo giuridico, impose un alto commissario inglese quale assistente del chedivè e assunse la sorveglianza dell'amministrazione pubblica e dell'esercito, sotto la guida dell'abile lord Cromer.

Nel 1892, alla morte del chedivè Tawfpiattoiq, il potere passò nelle mani del lio, ‘Abbpiattoas psottoHilmpiattoi II. Già sotto Ismpiattoa‘piattoil, l'esercito egiziano aveva completato la conquista del Sudan orientale, e il chedivè, cedendo alle ingiunzioni delle potenze europee, aveva interdetto in questi territori la tratta degli schiavi. Più tardi però il Sudan insorse e cadde nelle mani dei Dervisci (1881-l885); il generale inglese Kitchener, che aveva riorganizzato l'esercito egiziano, diresse tre spedizioni contro il Sudan e lo riconquistò (1898); e in questo stesso anno la Francia firmò una convenzione con la quale riconobbe i diritti dell'Egitto su tutto il bacino del Nilo. Nel 1900, dopo aver riportato la pace nel paese, la Gran Bretagna ne intraprese il riassetto finanziario, diede inizio alla costruzione della diga di Assuan (1902) e condusse a termine quella di Asypiattout (1892-l902) raddoppiando la superficie coltivabile. Nel 1904 ebbe luogo la firma di una convenzione franco-inglese con la quale la Francia rinunciava all'imposizione di un termine all'occupazione inglese dell'Egitto.

La presenza degli Inglesi ebbe l'effetto di consolidare l'opposizione nazionalistica nata dal predominio economico straniero (235.000 stranieri possedevano circa la metà della fortuna dell'Egitto) e dalla presenza nel paese di un ingente numero di funzionari inglesi e francesi. Dopo varie sommosse popolari, lord Kitchener fu nominato alto commissario con i più ampi poteri. Così, per un quarto di secolo, l'Egitto fu obbligato a seguire la politica britannica. Durante la guerra italo-turca per la Tripolitania, che pure era, ufficialmente, una provincia turca, l'Egitto restò neutrale; e nel 1914 si schierò subito a fianco degli Alleati, diventando una grande base inglese: il generale inglese Maxwell, che comandava la difesa del canale, proclamò la legge marziale. La Turchia, invece, nel novembre dello stesso anno, entrò in guerra a fianco della Germania e dell'Impero austro-ungarico e, per bocca del sultano di Costantinopoli, dichiarò la guerra santa. Il governo di Londra rispose il 17 dicembre 1914 deponendo ‘Abbpiattoas psottoHilmpiattoi II, che sostituì con lo zio, il principe psottoHusayn Kampiattoal (1914-l917), proclamandolo sultano, dichiarando decaduta la sovranità ottomana sull'Egitto, e ponendo il paese sotto il protettorato britannico. Al sultano psottoHusayn Kampiattoal succedette, nel 1917, il fratello principe Fuad.

Dopo la dichiarazione del protettorato britannico, il movimento nazionalista si fece sempre più forte ed esteso. L'avvocato Sa‘d Zaghlpiattoul organizzò il partito del Wafd*, e costituì un comitato nazionale che aspirava a presentarsi alla conferenza della Pace di Parigi per rivendicare l'indipendenza dell'Egitto; ma l'Inghilterra rifiutò ai delegati il permesso di recarsi in Europa e confinò Zaghlpiattoul nell'isola di Malta (marzo 1919). Gravi dimostrazioni antinglesi scoppiate subito dopo in tutto il Delta e in specie nelle città del Cairo e di psottoTanpsottotpiattoa, e alimentate da un movimento nazionalista veramente popolare, in quanto condiviso da tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro fede religiosa, dissuasero l'alto commissario, lord Allenby, da una repressione con la forza e lo indussero ad adottare una politica conciliatrice. Egli liberò Sa‘d Zaghlpiattoul e gli concesse di guidare una delegazione egiziana alla conferenza della Pace di Parigi, ove tuttavia la Gran Bretagna non gli concesse di esporre le sue ragioni. Persistendo e allargandosi su scala nazionale il movimento nazionalista, lo stesso lord Allenby suggerì la soluzione che fu poi adottata dal governo: Lloyd George, nel febbraio del 1922, proclamò la fine del protettorato inglese; il sultano Fuad venne riconosciuto re costituzionale ed ereditario dell'Egitto e del Sudan. Il governo britannico aveva posto come condizione, alla concessione della fine del protettorato, quella di mantenere nelle sue mani le vie di comunicazione, compreso, naturalmente, il canale di Suez, nonché tutto il sistema difensivo dell'Egitto, la protezione degli interessi europei e il Sudan. Praticamente, quindi, persisteva l'occupazione militare del paese. Nel 1923 il re Fuad promulgò una costituzione parlamentare, e alla fine dell'anno le consultazioni elettorali diedero la grande maggioranza al partito nazionalista dell'avvocato Sa‘d Zaghlpiattoul; il risultato venne confermato nelle elezioni del 1926. Due anni dopo fu firmato un accordo in base al quale la presenza delle guarnigioni britanniche era prevista ancora per soli dieci anni, mentre per il Sudan rimaneva lo statu quo: il movimento nazionalista si rifiutò di accettare il trattato; il re decise allora di sciogliere il parlamento e di instaurare un regime assoluto, che durò tre anni. Nel 1928 morì Zaghlpiattoul e gli succedette Napsottohpsottohpiattoas pascià, mentre il Wafd seguitava ad avere dalla sua parte la maggioranza della popolazione, ma veniva escluso dalla vita politica poiché il re e l'alto commissario persistevano nel sostenere governi dittatoriali. Munifico si mostrò, invece, il sovrano verso tutti i movimenti culturali e da lui furono creati alcuni dei più grandi istituti culturali dell'Egitto. Nell'aprile del 1936 Fuad morì e gli succedette il lio Faruk. Con un trattato del 26 agosto 1936 la Gran Bretagna concedeva intanto totale indipendenza all'Egitto; nella conferenza di Montreux (1937) vennero abolite anche le quattro condizioni sulla cessazione del protettorato inglese, e si concordò soltanto la permanenza di tribunali misti angloegiziani.

Anche il re Faruk (1936-l952) proseguì la lotta contro il Wafd, la cui popolarità parve allora declinare di fronte a un nuovo movimento di tendenza fascista fondato da Apsottohmad psottoHusayn (le “camicie verdi”), e destinato a rafforzarsi allo scoppio delle ostilità. Durante la seconda guerra mondiale (1939-l945) l'Egitto fu nuovamente una base essenziale per l'esercito inglese: re Faruk, davanti alle esigenze inglesi, si dimostrò accondiscendente. Il paese, peraltro, pur minacciato dall'avanzata di Rommel verso Alessandria (estate 1942), non fu mai coinvolto direttamente nel conflitto. Nel 1945, alla testa delle nazioni arabe, l'Egitto partecipò alla creazione della Lega araba. Intanto, con sempre maggiore insistenza, si domandava l'evacuazione della zona del canale di Suez e la restituzione del Sudan; davanti ai temporeggiamenti inglesi, l'opinione pubblica divenne sempre più accesa, alimentata anche da una grande crisi sociale dovuta alla sovrappopolazione rurale e alla costituzione di un proletariato urbano. Il 9 agosto 1946 il re issò la bandiera egiziana sulla cittadella del Cairo, restituita dagli Inglesi; e dal 1947 in poi le truppe britanniche evacuarono progressivamente il territorio egiziano.



La guerra contro Israele (maggio 1948 - febbraio 1949) gettò lo scompiglio nei paesi arabi e in particolare nell'Egitto che, sebbene sconfitto, si rifiutò di riconoscere il fatto compiuto, accontentandosi di un armistizio (Rodi, 24 febbraio 1949): la minaccia israeliana restò così uno degli elementi della politica egiziana. Nel 1950 il re Faruk nominò primo ministro il capo del Wafd, Napsottohpsottohpiattoas pascià, che aveva più volte in precedenza ricoperto la stessa carica, il quale denunciò subito il trattato del 1936 e fece proclamare Faruk “re dell'Egitto e del Sudan”; intanto, attizzata dai “fratelli musulmani” che raggruppavano circa 500.000 membri reclutati specialmente nell'ambiente rurale, l'agitazione nazionalista si acuì sempre più fino a sfociare, il 21 gennaio 1952, nelle sommosse xenofobe scoppiate al Cairo.

La repubblica

Il 26 luglio 1952 ebbe luogo un improvviso colpo di Stato dei militari: il generale Neghib (Nagib), eroe della guerra di Palestina, si pose a capo di un gruppo di ufficiali rivoluzionari che costrinsero re Faruk ad abdicare, ritenendolo responsabile della corruzione amministrativa e della disfatta umiliante nella guerra contro Israele. Il potere regio fu assunto da un gruppo di ufficiali che soppressero i partiti politici; il 18 giugno del 1953 venne proclamata la repubblica; il 9 settembre fu annunciata la legge agraria per fissare il limite massimo di proprietà terriera a cento ettari, e inoltre la legge dell'uguaglianza di diritti tra Egiziani e stranieri, tra musulmani, cristiani ed ebrei. Intanto, nel novembre del 1954 il primo presidente della nuova repubblica si dimise e la presidenza fu assunta dal tenente colonnello (bikbashi) Gamal Abd el Nasser (Al-Nasir). Il 1º gennaio 1956 il Sudan diventò indipendente e nello stesso periodo furono riprese le conversazioni per l'evacuazione inglese dal canale di Suez; il 18 giugno 1956 l'ultimo soldato inglese lasciò il suolo egiziano.

La situazione economica restò critica, nonostante l'annunzio di draconiane riforme: in questo primo periodo ebbe inizio l'intensa proanda sulla minaccia israeliana e sulla necessità dell'unità araba; l'Egitto, e in particolare il nuovo presidente, Nasser, manifestava l'aspirazione alla guida del mondo arabo, esteso dall'Atlantico al Golfo Persico. Osteggiato dalla Francia e dall'Inghilterra, visto con un certo sospetto anche dagli Stati Uniti, nella necessità di trovare armamenti per l'esercito e finanziamenti per l'enorme diga progettata ad Assuan, Nasser ricorse all'URSS, che gli promise gli aiuti e l'assistenza di cui abbisognava. Egli annunciò allora la nazionalizzazione del canale di Suez (26 luglio 1956). La reazione franco-britannica si fece attendere sino a quando, esasperata dai raids dei fedayin (“volontari della morte”) egiziani, Israele ebbe attaccato l'Egitto nel deserto del Sinai (29 ottobre), cogliendo rapide vittorie; dopo un ultimatum (30 ottobre), il giorno seguente Francia e Inghilterra, a loro volta, iniziarono operazioni militari contro l'Egitto: dopo un intenso bombardamento aereo delle principali basi effettuarono lanci di paracadutisti occupando Porto Said e altre località. Furono anche operati sbarchi dal mare. Ma l'ONU, forte dell'intesa tra gli USA e l'URSS, ordinò subito il “cessate il fuoco” (2 e 4 novembre 1956). Nasser ottenne la rapida evacuazione del territorio egiziano e, come era logico attendersi, non rispettò più i beni e le istituzioni franco-inglesi, iniziando la nazionalizzazione anche delle istituzioni scolastiche.

All'inizio delle ostilità, l'Europa fu colpita gravemente nei suoi rifornimenti di carburante che, dal Medio Oriente, facevano capo al canale di Suez (rimasto ostruito per qualche tempo), poiché le stazioni di pomgio delle pipe-lines che portavano il petrolio arabo verso il Mediterraneo erano state sabotate in territorio siriano. Se il canale divenne poi transitabile prima di quanto era stato previsto, fu merito soprattutto dei tecnici italiani. L'Italia, infatti, progettò in questo periodo di impiegare capitali in Egitto per sostituirsi alla Francia e all'Inghilterra soprattutto per ciò che riguardava le imprese petrolifere: ma i risultati non furono pari alle speranze, e numerosi Italiani che da tempo vivevano in Egitto, dove si erano costruiti fortune talvolta considerevoli, subirono anch'essi la sorte degli altri Europei e finirono per lasciare il paese.

Se per un certo tempo parve preferire l'aiuto sovietico, Nasser non smise per questo di perseguitare i comunisti egiziani. Dopo la conferenza di Bandung (1955) e soprattutto dopo la camna del 1956, egli aspirò alla guida del “terzo mondo non impegnato”. I successi in un primo tempo riportati accrebbero il suo prestigio nel mondo arabo. Nel febbraio 1958 riuscì a fondere la Siria e l'Egitto nella Repubblica Araba Unita (RAU), cui sembrò dovesse aggiungersi presto lo Yemen. Ma nel luglio 1958 l'Iraq, in seguito al colpo di Stato militare del generale Kassem, che proclamò la repubblica, si avvicinò ai Sovietici più di quanto non avesse fatto l'Egitto. Approfittando della rivalità fra Bagdad e Il Cairo, la Giordania e l'Arabia Saudita conservarono la loro indipendenza, mentre la Siria stessa, nel settembre 1961, si distaccò dalla RAU e, pur mantenendo vari vincoli con l'Egitto di Nasser, entrò anch'essa nell'orbita sovietica. Nasser s'impegnò anche, per ragioni di prestigio, in una costosa guerra nello Yemen, per sostenervi la repubblica proclamata dopo la deposizione dell'imam, e finì per destare sospetti fra i vari capi delle nazioni arabe (soprattutto quelle del Maghreb) che mal tolleravano i suoi atteggiamenti tendenti al primato sull'Islam.

Fondamentale, peraltro, rimaneva per l'Egitto la questione di Israele, Stato mai riconosciuto da Nasser: agitando il pericolo rappresentato da Israele, Nasser riuscì temporaneamente (maggio 1967) a costituire un fronte unico arabo, che, mettendo da parte antichi odi e risentimenti, proclamò la necessità di distruggere Israele. Bloccata la navigazione nello stretto di Tiran, chiave del golfo di ‘Aqaba e dell'unico porto israeliano (Eilat) sul Mar Rosso, l'atteggiamento intransigente di ambo le parti indusse le truppe dell'ONU, acquartierate nella zona di frontiera per far rispettare l'armistizio, a sgomberare. Il pericolo di essere soffocato da tutti i lati spinse Israele a reagire e, in una camna di tre giorni (giugno 1967), le forze egiziane del Sinai vennero completamente sconfitte, mentre l'aviazione era stata distrutta a terra fin dalle prime ore del conflitto. Gli alleati di Nasser subirono la stessa sorte e gli Israeliani si accamparono sulle sponde del canale di Suez, nuovamente chiuso alla navigazione. L'intervento dell'ONU pose, ancora una volta, termine al conflitto, mentre Nasser, dopo aver dato le dimissioni (subito rientrate), provvedeva a parare diplomaticamente, con l'aiuto sovietico, l'inopinato insuccesso militare.

La sconfitta subita nella guerra con Israele del 1967 dall'Egitto, costretto ad abbandonare tutto il Sinai e Gaza agli Israeliani e indebolito militarmente ed economicamente, ebbe gravi riflessi politici interni. Tuttavia Nasser si mantenne al potere, grazie al grande favore popolare di cui godeva e assumendosi le responsabilità politiche dell'insuccesso, ma addossando quelle del disastro militare ai capi dell'esercito, soprattutto al comandante in capo delle forze armate e vicepresidente della RAU, Amer, fino allora considerato il suo delfino. Accusato di complotto contro Nasser, Amer si tolse la vita. Alcuni alti ufficiali dell'aviazione furono processati e condannati e le loro pene successivamente inasprite in seguito alle pressioni popolari. Per tutto il 1968 si ebbero nel paese manifestazioni per una trasformazione del regime e si levarono richieste di soppressione del partito, l'Unione socialista araba. Nasser formò nel marzo un nuovo governo con diversi civili e sottopose a referendum un programma di riforme concernente il rinnovamento delle strutture del partito (tutte le cariche furono rese elettive), la redazione di una nuova costituzione, il rinnovo dell'Assemblea nazionale e misure sociali. Alcune concessioni fatte alla borghesia accomnate a misure in favore degli operai e dei contadini determinarono una certa tranquillità sociale, mentre anche la situazione economica migliorò alla fine del 1969. L'esercito fu riorganizzato, i suoi quadri dirigenti completamente rinnovati. L'URSS fornì ingenti aiuti per ricostituire l'apparato militare. In particolare furono rafforzate le difese del canale di Suez, che divennero superiori a quelle israeliane. La flotta sovietica ebbe la disponibilità delle basi di Alessandria e Porto Said. All'esterno intanto Nasser si muoveva con prudenza. Riallacciò le relazioni con l'Arabia Saudita e ritirò il contingente egiziano dallo Yemen. Iniziava fra Egitto e Israele una lunga guerra di logoramento, fatta di innumerevoli scontri di artiglieria fra le opposte sponde del canale e di raids aerei sui rispettivi territori.

Nasser non respingeva la prospettiva di un accordo, ma lo subordinava al ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati. Nel luglio 1970 accettò il “piano Rogers*” che determinò una tregua e l'apertura di un negoziato indiretto fra RAU, Giordania e Israele, con la mediazione dell'inviato dell'ONU Gunnar Jarring, che non sortì tuttavia alcun esito per il rifiuto di Israele di sgomberare i territori occupati. Nasser morì per un attacco cardiaco il 28 settembre 1970. Il suo successore, Anwar al-Sadat, vicino a Nasser fin dai tempi della rivoluzione e vicepresidente dal 1969, seppe mantenere l'equilibrio del paese nella fase di passaggio dei poteri e consolidare gradualmente, all'interno, la propria posizione che appariva all'inizio debole, insidiata da potenti ministri fedeli a Nasser. Già nel maggio 1971 Sadat riuscì ad aver ragione della violenta opposizione, sorta da parte della sinistra nasseriana. Numerosi esponenti della vecchia guardia di Nasser, tra i quali lo stesso vicepresidente 'Ali Sabri e sei ministri, furono destituiti e incriminati. Seguì una vasta epurazione nelle file del partito. Gli accusati (in totale 91) furono condannati a pene severe. Sadat formò un nuovo governo composto da giovani tecnocrati e presieduto, come il primo, da Mahmud Fawzi. Il 10 settembre 1971 fu approvata per referendum la creazione della federazione delle repubbliche arabe fra Egitto, Libia e Siria. L'Egitto assunse il nome di Repubblica Araba d'Egitto (RAU). Una nuova costituzione entrò in vigore l'11 settembre. I rapporti con l'URSS, malgrado la firma di un trattato di amicizia e cooperazione (maggio 1971), si deteriorarono sempre più. Nei confronti di Israele, Sadat adottò un atteggiamento conciliante. Accettò nel 1971 di rinnovare il “cessate il fuoco” sul canale ogni tre mesi, invitò poi al Cairo il segretario di Stato americano Rogers e propose la riapertura del canale di Suez. Ma in seguito proclamò più volte la necessità di riprendere il conflitto diretto per liberare i territori occupati. Nel marzo 1973 Sadat assunse anche la guida del governo e la carica di governatore militare. Il 6 ottobre dello stesso anno l'Egitto riaprì le ostilità contro Israele. La “guerra del kippur” (6- 22 ottobre) si risolse in un successo politico, se non militare, dell'Egitto (v. ISRAELIANO-ABABE [guerre]). Dopo la tregua imposta dall'ONU e firmata al km 101 della strada Il Cairo-Suez, in virtù dell'opera di mediazione della diplomazia americana ebbero esito soddisfacente (gennaio 1974) gli accordi diretti israeliano-egiziani nel quadro della conferenza di Ginevra per il Medio Oriente.

Il prestigio di Sadat si accrebbe notevolmente in seguito a tali avvenimenti sia all'estero che nel paese. Tuttavia la sua politica di amicizia con gli Stati Uniti e il dissidio con il leader libico Gheddafi impedirono l'affermazione di una leadership egiziana nel mondo arabo. Preso atto della crisi del panarabismo, Sadat mirò con la sua politica a privilegiare la ricerca di una soluzione dei problemi interni dell'Egitto. Nel 1974 fu varato un programma economico che aveva lo scopo di riavvicinare il paese all'Occidente e incoraggiare gli investimenti stranieri. La corruzione, il timore di improvvisi cambiamenti di linea politica e la mancanza di infrastrutture scoraggiavano però gli investimenti stranieri, mentre l'inflazione colpiva il potere d'acquisto dei salari, provocando l'esplosione di violente dimostrazioni popolari, come quelle del gennaio 1977. Sadat, che nel 1976 aveva abolito il partito unico e favorito il formarsi di un'opposizione docile al potere, represse duramente l'attività delle forze apertamente ostili al suo regime. Con il referendum del maggio 1978 vennero approvate le restrizioni che colpivano soprattutto la sinistra e il partito del Nuovo Wafd. Il viaggio di Sadat in Israele (novembre 1977) e la firma degli accordi di Camp David (settembre 1978) accrebbero il prestigio di Sadat in Occidente, ma l'opposizione nel paese coinvolse anche il governo. Il ministro della difesa Mohammed 'Abd Ghani al-Gamassi e il capo di stato maggiore Mohammed 'Ali Fahmi, che disapprovarono la politica di Sadat, vennero allontanati dalle cariche. La firma del trattato di pace con Israele a Washington (marzo 1979) fu seguita in aprile da un referendum, che assicurò al regime il consenso dell'elettorato. Nelle elezioni del giugno successivo il partito democratico nazionale ottenne 302 dei 392 seggi del parlamento. Nel maggio 1980, avendo il primo ministro Mustafa Khalil rassegnato le dimissioni, Sadat assunse anche la carica di primo ministro, ampliando con un emendamento costituzionale i suoi poteri. Raggiungeva nel frattempo un livello preoccupante il conflitto tra i gruppi integralisti islamici e la comunità copta, fatta oggetto di continui atti di violenza, specie nell'Alto Egitto. Sadat intraprese una politica di ricomposizione dei conflitti religioso-politici, riuscendo a ottenere il sostegno della comunità copta quando intraprese la politica di pace con Israele.

In politica estera sempre più stretti divennero i rapporti tra Egitto e Stati Uniti a seguito dell'intervento diplomatico statunitense per porre termine alla situazione di conflitto tra Egitto e Israele.

Nel mondo arabo la politica di Sadat incontrò un'opposizione dura e il Consiglio della Lega araba, riunitosi a Bagdad subito dopo la firma del trattato di pace tra Egitto e Israele, prese drastici provvedimenti per isolare l'Egitto, acuendo così la dipendenza economico-militare del paese dagli aiuti statunitensi. Grave fu in particolare la tensione con la Libia, che fece più volte temere lo scoppio di una guerra. A are le conseguenze di tale stato di tensione furono specialmente i lavoratori egiziani che prestavano la loro opera in Libia, dalla quale furono espulsi.

Sadat concesse l'uso delle basi militari egiziane agli statunitensi per gli interventi negli Stati arabi e islamici e si impegnò direttamente a sostegno del governo filoccidentale dello Zaire per respingere l'invasione dello Shaba, della Somalia nel conflitto dell'Ogaden contro l'Etiopia, del regime di Nimeiri in Sudan e delle forze di Hissene Habré nel Ciad contro i filolibici.

Il 6 ottobre 1981 Sadat fu però vittima di un attentato operato dai Fratelli musulmani. Assunse allora il potere il vicepresidente Hosni Mubarak, che decretò lo stato d'emergenza fino al 1983, successivamente prorogato, attuò una dura repressione nei confronti dell'integralismo islamico e soffocò il tentativo di colpo di Stato ad Asyut. Contemporaneamente, però, aprì il dialogo con l'opposizione ed emarginò dalla scena politica i sostenitori di Sadat. In politica estera, pur mantenendo stretti i rapporti con gli Stati Uniti, allargò il dialogo ai paesi europei, riallacciò buoni rapporti con l'Unione Sovietica e cercò di liberare l'Egitto dall'isolamento nel mondo arabo. L'atteggiamento intransigente, tenuto dal governo egiziano in occasione dell'invasione israeliana del Libano (1982), permise il riavvicinamento con i paesi arabi moderati e con la stessa OLP. Alle elezioni del maggio 1984 il PND di Mubarak, dal quale erano stati allontanati gli esponenti di maggior rilievo del periodo sadatiano, conquistò 391 dei 448 seggi dell'Assemblea del popolo. All'opposizione si affermò il Nuovo Wafd (47 seggi). Nel novembre 1985 Mubarak, completando l'opera di desadatizzazione, sostituì al vertice del governo Kamal Hasan 'Ali, uno degli esponenti dell'era sadatiana e protagonista degli accordi di Camp David, con l'economista 'Ali Lutfi, che spesso si era scontrato con Sadat. Nel febbraio 1986 una rivolta tra le reclute della polizia e delle brigate speciali al Cairo e ad Asyut venne repressa nel sangue e nell'aprile successivo il governo prorogò ulteriormente lo stato d'emergenza proclamato in occasione dell'assassinio di Sadat. La gravità della situazione economica portò in novembre a un nuovo rimpasto del governo, alla guida del quale venne chiamato Atef Sidki. Nel febbraio 1987 venne sciolta anticipatamente l'Assemblea del popolo e nelle elezioni successive (in aprile) il PND di Mubarak ottenne 346 seggi, mentre tra le forze dell'opposizione si affermavano le liste del partito del lavoro e dei liberal-socialisti che, sostenute dai fondamentalisti islamici, ottennero 60 seggi. Nell'ottobre successivo Mubarak venne confermato alla presidenza della repubblica.

Ai buoni risultati conseguiti dal successore di Sadat in politica estera, coronati dall'accordo con Peres per la convocazione di una conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente (febbraio 1987), poi fallita per l'opposizione del primo ministro israeliano Shamir, hanno fatto riscontro i fallimenti in politica interna.

Permane infatti grave la situazione economica e la dura repressione non ha piegato l'opposizione dell'integralismo islamico.

L'Egitto è membro dell'ONU, dell'OUA e della Lega araba.

Storia militare

Il primo esercito egiziano di cui si ha notizia risale al 3000 a.C. dopo la fusione delle due monarchie del Nord e del Sud sotto la 1ª dinastia di Menes. La solidità e l'efficienza della sua organizzazione permisero la costituzione dell'Impero egiziano, che durò venti secoli. Questo esercito fu sciolto dai Persiani. Più tardi Greci, Romani, Bizantini e Turchi, che occuparono il paese, si limitarono a difendere la conquista con truppe proprie.

L'esercito egiziano rinacque solo dopo la spedizione di Bonaparte in Egitto (1798-l801) in cui andò distrutta la potenza dei Mamelucchi e dei giannizzeri, e mise il paese in contatto con la civiltà occidentale. Nel 1808 Mehmet Ali, con l'ausilio di istruttori francesi, dotò il paese di un esercito moderno di tipo europeo. Nel 1882, dopo la sommossa militare di ‘Arab i pascià, l'esercito (circa 20.000 uomini) fu posto sotto il controllo della Gran Bretagna con un generale britannico per comandante in capo, designato con l'attributo di sidar . Da quella data fu presente nel paese un corpo d'occupazione britannico, che ebbe inizialmente 11.000 uomini e all'epoca del suo ritiro (1955- 1956) 84.000 uomini.

Con la rivoluzione del 1952, l'esercito acquisì una posizione preminente e di privilegio nella vita della nazione; però, malgrado gli sforzi di Nasser diretti a potenziarne l'efficienza e attuarne una spiccata modernizzazione, l'esercito subì clamorose sconfitte (v. ISRAELIANO-ARABE, guerre). L'URSS contribuì alla riorganizzazione delle forze armate egiziane con un consistente invio di armi e materiali e con la presenza, stimata di 15.000 uomini, di consiglieri e istruttori militari e di numeroso personale tecnico; inoltre vennero schierate in territorio egiziano unità sovietiche, in particolare quelle incaricate della difesa aerea mediante missili. Nel luglio 1972, Sadat chiese all'URSS di ritirare i consiglieri e pose tutte le basi militari sotto il controllo egiziano; l'URSS ritirò il proprio personale e continuò a fornire aiuto militare in appoggio al notevole sforzo finanziario nazionale.

Nel 1972 l'Egitto stanziò per le forze armate 1.510 milioni di dollari, pari al 22% del prodotto nazionale lordo. In quell'epoca l'esercito, con una forza di 285.000 uomini, si articolava in 3 divisioni corazzate, 3 di fanteria meccanizzata e 5 di fanteria; armamenti ed equigiamenti erano tutti sovietici; la dotazione di carri armati comprendeva 10 carri T-62, 1.500 carri T- 54/55, 400 carri T-34, 100 carri leggeri PT-76 e 50 carri pesanti del periodo bellico; la fanteria meccanizzata muoveva tutta su veicoli blindati da combattimento; l'artiglieria era inquadrata in 16 brigate con 1.500 cannoni e obici, campali e semoventi. L'aviazione disponeva di 25.000 uomini, di 320 caccia-bombardieri, 220 caccia intercettori, 28 bombardieri e 180 elicotteri. La marina disponeva di 15.000 uomini, di 12 sommergibili e di 5 unità navali minori.

Dopo la “guerra del Kippur” (1973) e i successivi negoziati israeliano- egiziani, l'Egitto cambiò radicalmente la sua politica militare iniziando con la rottura, nel marzo 1976, del trattato di amicizia e cooperazione con l'URSS. Da allora, gli Stati Uniti divennero il principale fornitore di armamenti; l'afflusso dei materiali iniziò nel 1978 con l'acquisto di 50 aerei da caccia e proseguì nel 1979 con un credito di 1.500 milioni di dollari; poi un protocollo di cooperazione consentì all'Egitto di costruire, su licenza, elicotteri, munizioni, veicoli da combattimento, navi lanciamissili, apparati elettronici. Inoltre le forze armate beneficiarono delle infrastrutture militari del Sinai cedute da Israele, valutate all'epoca 12 miliardi di dollari.

Dal 1979 le forze armate sono state impegnate in un piano decennale di modernizzazione, un programma finanziato da Francia, Arabia Saudita, USA e Gran Bretagna, che consente all'Egitto di fabbricare la quasi totalità degli armamenti e degli equigiamenti necessari o, quantomeno, di attuarne il montaggio. L' aiuto militare americano per l’anno fiscale 1995 è stato di 1,3 milioni di dollari oltre a 815 milioni di dollari di assistenza economica. Gli uomini alle armi raggiungono attualmente il totale di 420.000 (252.000 di leva) a cui si aggiungono 300.000 uomini delle forze paramilitari: guardia nazionale, forze di sicurezza, corpo di frontiera, guardia costiera. L’esercito conta 300.000 uomini (con 4 divisioni corazzate, 7 meccanizzate, 1 fanteria e 24 brigate indipendenti oltre a 9 gruppi di commandos). I mezzi comprendono circa 3.000 carri armati, tra cui 524 modernissimi M-lA1, oltre 5.100 tra veicoli blindati e corazzati, 270 semoventi, 1.640 tra cannoni e mortai, 380 lanciarazzi. La marina dispone di 16.000 uomini con 7 unità maggiori, 4 sommergibili, 54 motovedette, 26 unità anfibie, 18 dragamine, 37 elicotteri. Esistono batterie di difesa costiera dotate di missili e cannoni. L’aviazione ha 25.000 uomini, con 527 aerei da combattimento, 250 elicotteri e 30 tra ricognitori e aerei radar. Il comando difesa aerea dispone di 80.000 uomini, 2.000 pezzi di artiglieria e 824 missili.

Costituzione

In base alla costituzione dell'11 settembre 1971, più volte modificata, l'Egitto è una repubblica di tipo presidenziale. Il presidente della repubblica viene eletto a suffragio universale, dura in carica sei anni e la sua candidatura viene proposta dall'Assemblea nazionale. Questa, composta da 454 deputati, dei quali 10 di nomina presidenziale e gli altri elettivi, detiene il potere legislativo ed esercita il controllo sul governo; resta in carica cinque anni.


Religione


Nell'Egitto preistorico la religione aveva essenzialmente carattere locale: ciascuno venerava innanzitutto la divinità del proprio villaggio e in secondo luogo quella del gruppo etnico. Tale caratteristica si riscontra anche in seguito: infatti ogni nomo aveva come “insegne” simboli di divinità che rappresentavano animali, piante e oggetti. Per esempio Anubi era il dio a testa di sciacallo (o di cane), Mut la dea-avvoltoio. Il significato della divinizzazione di oggetti inanimati ci sfugge, e si discute se essa sia o no di origine feticistica. Con l'unificazione del paese fu introdotto il culto delle divinità cosmiche. La prima concezione cosmogonica fu quella di una triade divina, composta da Geb (la Terra), da Nut (il Cielo) e da Ra (il Sole); Nut, madre del Sole, lo accoglieva ogni sera per il riposo notturno e lo rinviava nel mondo ogni mattina. I sacerdoti di Eliopoli allargarono questo sistema semplice e popolare aggiungendovi nuove divinità; crearono così l'Enneade, composta di un demiurgo e di quattro coppie divine: Atum, assimilato per sincretismo a Ra, dio Sole uscito dal caos liquido, aveva generato dal suo stesso essere Shu, dio dell'aria, e Tefnut, sua sposa; questi due a loro volta generarono Geb e Nut, genitori di Osiride e di Iside, di Set e di Nefti. Ma il tentativo dei teologi di Eliopoli di imporre al paese questo sistema, e con esso la propria autorità, suscitò reazioni in altri ambienti sacerdotali. Il clero di Ermopoli escogitò una Ogdoade, mentre a Menfi, sede dei faraoni delle prime dinastie, si attribuiva il primo posto della gerarchia divina al dio della città, Ptah, e la funzione di creatore ad Atum. Sotto la dinastia tebana il dio della capitale, Ammone, quasi sconosciuto prima di allora, assunse un'importanza sempre maggiore fino a essere assimilato al Sole come Amon-Ra; i suoi sacerdoti, che le donazioni elargite al tempio avevano smisuratamente arricchito, costituirono ben presto una minaccia per il potere faraonico, tanto che, per sottrarsi alla loro influenza, Amenofi IV (Akhenaton) instaurò il culto di Aton, divinizzazione del disco solare, e dichiarò nemico il dio tebano. La riforma però non sopravvisse al suo promotore, né mai avvenne che innovazioni come questa, di ispirazione politica, riuscissero a soppiantare le divinità locali; anzi, il culto di alcune di queste, alle quali era attribuita una funzione particolare, col tempo si diffuse in tutto l'Egitto: così il culto di Anubi, dio della mummificazione, di Thoth, dio della scrittura, della dea-vacca Hathor, nume tutelare della gioia e dell'amore, di Ptah, patrono degli artisti e degli artigiani. Infine, accanto alla speculazione teologica, fiorirono in Egitto diversi cicli di leggende popolari, per la maggior parte di origine remota (ad es., già contenuti nei Testi delle Piramidi), dei quali gli dei erano protagonisti. In essi si narra di Ra, esposto agli assalti notturni di avversari mostruosi, e di Osiride, assassinato e poi resuscitato grazie alla mummificazione.

Per tutti gli Egiziani Osiride fu il dio dei morti, la dimora dei quali era il “campo dei Giunchi”. Gli Egiziani credevano in un'esistenza soprannaturale del defunto, simile a quella degli dei e fondata su tre princìpi: l'Akh, che era il simbolo della forza divina, il Ba, rafurato come un uccello e paragonabile alla nostra “anima”, il quale dava la facoltà al morto di “uscire alla luce del giorno”, e il Ka, somma delle qualità divine che danno la vita eterna. Era opinione comune che l'esistenza del defunto nell'aldilà fosse simile a quella terrena, perciò si cercava di renderlo fisicamente incorruttibile per mezzo della mummificazione, che faceva di lui un nuovo Osiride; si mettevano nella tomba statuette che avrebbero preso il suo posto nei lavori più faticosi. Infine ci si preoccupava che le offerte, necessarie al suo sostentamento, non gli venissero mai a mancare, sia presentandogliele concretamente sia ricorrendo a formule e a rafurazioni magicamente efficaci. Il Libro dei Morti, guida dell'aldilà, indicava al defunto come seguire il Sole nel suo corso diurno (“uscita alla luce del giorno”) e, durante la notte, nei percorsi avernali della Duat. Ma l'ingresso nel “campo dei Giunchi” era consentito solo dopo un giudizio, che il defunto attendeva con ansia: davanti al tribunale di Osiride e dei suoi quarantadue giudici egli doveva dimostrarsi innocente delle colpe contestategli, mentre Thoth, assistito da Horo e da Anubi, ne pesava il cuore per saggiare la veridicità delle sue dichiarazioni (v. PSICOSTASIA ). Il complesso rituale del culto divino, specialmente nei grandi templi (Karnak, Abido, ecc.), era scrupolosamente osservato in tutti i suoi particolari. Gli Egiziani erano convinti che gli dei avessero stabilito un'armonia universale, la Maat (il corso degli astri, il susseguirsi dei giorni e delle stagioni), e che gli atti del culto fossero indispensabili per mantenerne l'integrità. Il dio, ordinatore del mondo, doveva ricevere nel suo santuario ogni giorno le offerte che i sacerdoti, delegati del sovrano nei singoli templi, regolarmente gli presentavano.

La grande quantità delle offerte, soprattutto in generi alimentari, il numero dei sacerdoti necessari al buon andamento del culto, le donazioni dei re (per es. al tempio di Ammone) e dei privati, spiegano l'importanza assunta nell'economia egiziana dal clero, padrone specialmente di tenute terriere e di opifici di tessitura. Socialmente, l'autorità dei sacerdoti era altissima grazie al prestigio che conferivano loro le frequenti cerimonie, durante le quali la statua del dio era portata in mezzo al popolo per rendere giustizia e dare oracoli, al fatto di essere depositari di testi sacri e alla loro attività di astronomi, di geometri, interpreti di sogni, di maghi e di medici-sacerdoti.

Situazione odierna

Circa il 93% degli Egiziani appartiene alla religione musulmana prevalentemente del ramo sunnita. Ma la più antica Chiesa egiziana è quella copta che afferma di discendere da quella fondata nel I sec. da san Marco durante una sua missione evangelizzatrice: essa si è eretta in Chiesa indipendente del ceppo monofisita sin dal V sec. I suoi membri costituiscono la più nutrita minoranza religiosa: la Chiesa copta ha grandemente contribuito alla vita culturale egiziana. Altre minoranze cristiane comprendono cattolici, greco-ortodossi, protestanti.

Letteratura

Caratteri generali

Una gran parte degli scritti degli Egiziani non può essere definita “letteratura” nel senso moderno del termine. Opere di primaria importanza come i Testi delle Piramidi (Antico Regno), i Testi dei Sarcofagi (Medio Regno), il Libro dei Morti (Nuovo Regno), più che libri sacri, sono strumenti di magia, praticamente utili ai defunti nel viaggio ultraterreno. La letteratura propriamente detta, inoltre, ha un carattere del tutto particolare a confronto di quelle classiche. A parte le scene sacre dialogate, recitate all'interno o nel vestibolo del tempio dai sacerdoti, non sappiamo ancora se in Egitto sia davvero esistita un'arte scenica. Del tutto inesistente è la speculazione filosofica, a meno di non considerare tale la bellissima ode del Disperato, che si domanda se la vita valga la pena di essere vissuta, o il Canto dell'artista, che esorta l'uomo a godersi la vita. La storia, infine, è un altro dei generi che gli Egizi non hanno coltivato, anche se hanno lasciato agli storici moderni quanto era indispensabile a una ricostruzione sufficientemente precisa degli avvenimenti. Così Thutmosi III si preoccupò di affidare alla pietra il ricordo delle sue camne (Annali); altri faraoni hanno narrato le circostanze dell'avvento di nuove dinastie (come la 18ª e la 20ª) o le peripezie di una battaglia (come quella di Kadesh). Alcuni avvenimenti storici, inoltre, possono essere dedotti dai romanzi (Sinuhe), dalle autobiografie (quelle di Uni, Ahmose, Petosiri e altri), dalle opere di carattere didattico (Insegnamenti). Ma anche i documenti amministrativi, come quelli del visir Rekhmira, i decreti, come quello di Copto, le lettere, i testamenti, sono fonti preziose di informazione per lo storico moderno.

Ovviamente la mancanza di un teatro, di una filosofia, di una storia come generi a sé stanti non deve indurre a ritenere lacunosa la cultura egiziana, considerate le differenze profonde che la distinguono dalle culture classiche e anche da quelle coeve della Mesopotamia.

Le opere letterarie

Tre sono i generi letterari che gli Egiziani hanno prediletto. Prima di tutto la letteratura didattica o sapienziale: massime, insegnamenti, consigli, precetti morali. I due più antichi testi di questo genere, che risalgono all'Antico Regno e sono conservati nel papiro Prisse, sono gli Insegnamenti per Kaghemni e le Massime di Ptahhotep, che suggeriscono la condotta da tenere con i superiori e le regole del galateo. Più recenti (Medio Regno) sono le Istruzioni di Khety, lio di Duauf, una satira sociale che denigra tutti i mestieri tranne quello dello scriba. A volte “saggi” come Petosiri dal profondo della tomba offrivano ai viventi i frutti della loro esperienza (IVsec. a.C.). Un secondo genere letterario ha sempre appassionato gli Egiziani: i racconti. Non si tratta sempre di narrazioni fantastiche; alcuni, modificandoli più o meno, raccontano fatti realmente accaduti: nella Storia di Sinuhe, il protagonista, contemporaneo di Amenemhet I, è costretto a vivere esule in Siria, nelle Disavventure di Unamun il racconto non è molto diverso dal rapporto che questo personaggio redasse al ritorno da una missione nel Libano, sotto la 21ª dinastia. Racconti come La lite fra Apopi e Seqenenra o La presa di Giaffa non sono che semplici aneddoti. Altri ancora, come le Avventure di Horo e Set, mettono in scena divinità che non sempre si comportano in maniera edificante; altri espongono in modo pittoresco un problema morale, come Verità e Menzogna: la lotta del bene e del male termina col trionfo del bene. La prima parte del celebre racconto dei Due fratelli narra la storia di un adulterio, ma nella seconda il meraviglioso predomina, come nei Racconti del papiro Westcar e nel Principe predestinato. Il capolavoro di questa serie è però Il naufrago, composizione di una grande semplicità nella quale si raccontano le avventure di un egiziano che, andando per mare alle miniere del Sinai, fa naufragio ed è gettato dalle onde su un'isola incantata il cui signore è un serpente.

Alcune delle opere citate, come l'ode del Disperato, sono veri e propri poemi, nei quali sono applicati i procedimenti tecnici della poesia comuni agli Egiziani e agli Ebrei. Tuttavia i temi preferiti dagli autori di composizioni poetiche sono la divinità, il sovrano, l'amore. I più belli tra gli inni religiosi sono quelli che Amenofi IV compose in onore del “dio unico”, Aton; ma anche le divinità tradizionali, Osiride, Amon-Ra, Hapi (l'Inondazione) ebbero in ogni tempo la loro parte di lodi. Al faraone erano diretti numerosi elogi, purtroppo non esenti da convenzionalismi: i più caratteristici si trovano nelle strofe del papiro di Kahun dedicate a Sesostri III e nell'inno ad Amenemhet III, che il suo fedele Sehetepibra assimila a numerose divinità.



Infine, la poesia amorosa è rappresentata da Canti d'amore, raccolti durante il Nuovo Regno (papiro Harris 500), di cui sono qualità principali la freschezza, l'ingenuità, la grazia. L'amante e l'amata esprimono il loro ardore, le loro gioie e le loro ansie in monologhi pieni di speranza o di angoscia. La natura si fa complice della loro schermaglia amorosa: i giardini, gli alberi, il prato, il fiume ne formano il piacevole ornamento: tutto contribuisce a rendere vivaci questi poemetti, dei quali però sarebbe eccessivo paragonare il tono alle espressioni possenti e appassionate del Cantico dei Cantici.

Le opere drammatiche

Si è molto discusso se gli antichi Egiziani abbiano o no conosciuto l'arte drammatica. Gli egittologi del secolo scorso erano di parere negativo, ma già nel 1900 Georges Benedite ammetteva la possibile esistenza di un teatro egiziano. Nel 1928 Kurt Sethe, nell'opera Testi drammatici per rappresentazioni misteriche nell'antico Egitto pubblicò e interpretò come drammatici due testi di origine antichissima (ne faceva persino risalire uno alla 1ª dinastia), nei quali identificava libretti di sacre rappresentazioni sulla fondazione di Menfi e sulla leggenda di Osiride. Secondo l'egittologo tedesco, i testi sarebbero stati recitativi declamati da un corista, interrotti volta a volta dagli “attori” che impersonavano le divinità. Il Sethe paragonava queste opere ai drammi liturgici che, nelle letterature occidentali, sono stati alla base dei misteri. Nel 1929 Etienne Drioton suggerì, in un articolo della Revue d'égyptologie, di identificare come drammatico un testo conservato in una raccolta magica incisa sulla base di una statua risalente alla 30ª dinastia. Il Drioton si fondava sullo stile, diverso da quello di semplice narrazione, con sequenze dialogate, ciascuna introdotta dal nome del personaggio e seguita da una breve didascalia scenica. Soggetto della rappresentazione erano le disavventure di Horo bambino, punto da uno scorpione nelle paludi di Khemmis, dove la madre Iside l'aveva nascosto dopo che il padre Osiride era stato assassinato. Applicando il medesimo criterio stilistico, l'egittologo francese ha identificato i frammenti più o meno importanti di undici altri drammi, di antichità variante dalla fine dell'Antico Regno all'età tolemaica. Da ultimo, nel 1942, gli egittologi inglesi Blackman e Fairman, nel Journal of Egyptian Archaeology, hanno inteso come drammatico un testo mitologico relativo all'assassinio di Seth compiuto da Horo, inciso, con bassorilievi illustrativi, su un muro del tempio tolemaico di Edfu; esso sarebbe il libretto della grande rappresentazione data nel Tempio ogni anno, nell'anniversario della vittoria del dio.

Per la letteratura dell'Egitto moderno v. ARABO (LETTERATURA)

Arte

Fin dai tempi più remoti gli Egiziani hanno dato prova di essere un popolo dotato di grandi qualità anche dal punto di vista artistico. Le loro opere sanno esprimere eloquentemente il senso dell'eternità che incuteva loro il grandioso spettacolo dell'ambiente naturale, la serenità e l'armonia delle loro concezioni religiose, la consapevolezza di vivere in un paese le cui sorti erano assicurate da istituzioni venerande e incrollabili. Tuttavia lo scopo immediato dell'artista non era di carattere estetico; egli si proponeva piuttosto di produrre opere materialmente imperiture, capaci di assicurare una vita eterna al destinatario. Doveva rispettare perciò scrupolosamente quanto era prescritto affinché le opere potessero divenire strumenti rituali ed essere animate di vita propria.


Archeologia

Gli scavi condotti in Egitto dopo la scoperta dello Champollion hanno grandemente accresciuto la nostra conoscenza del paese e della sua storia. Essi sono sempre stati monopolio del governo egiziano, e solo in forza di autorizzazioni concesse da Mehmet Ali, gli agenti consolari accreditati in Egitto all'inizio del XIXsec. (Drovetti, Salt, Mimaut, Anastasi e altri) cominciarono a riunire le collezioni che furono più tardi acquistate dai grandi musei egittologici d'Europa, costituendone il nucleo. Purtroppo gli operai assoldati da questi ricercatori lavoravano quasi sempre senza metodo, preoccupandosi più di procurarsi pezzi interessanti che di riportare alla luce complessi monumentali; il Mariette fu il primo a dare un esempio di scavi condotti sistematicamente, con metodo, entro certi limiti, veramente scientifico. Fra le scoperte che dobbiamo al suo ingegno e a un'attività durata quasi ininterrottamente per un trentennio, le più importanti sono quella del Serapeo (1851), con gli ipogei degli Api o tori sacri dell'antica Menfi (da questi scavi provengono, fra l'altro, il famoso Scriba, e i gioielli del principe Khaemuast, ora al Museo del Louvre), e quella delle rovine di Tanis (1860) da cui sono venute alla luce belle statue di sovrani. Direttore del Servizio delle antichità dell'Egitto, Mariette, fino alla sua morte (1881), condusse camne di scavo in tutto il paese, riportando alla luce i templi di Abido, Denderah, Karnak, Deir el- Bahari, ecc.; gli succedette Gaston Maspéro, il quale, direttore una prima volta dal 1881 al 1886, si dedicò soprattutto alle piramidi iscritte di Saqqarah (5ª e 6ª dinastia) e riuscì a individuare nel 1881 a Deir el-Bahari un ripostiglio nel quale erano state nascoste le mummie di tredici faraoni e di trenta fra principi e principesse reali. Inoltre, nel 1882, promosse la creazione di una società inglese di ricerche archeologiche: l'Egypt Exploration Fund (dal 1920 Egypt Exploration Society), la quale insieme con l'Archaeological Survey of Egypt e l'Egyptian Research Account and British School of Archaeology in Egypt (società le cui prime pubblicazioni risalgono rispettivamente al 1893 e 1895) non ha cessato di eseguire scavi in Egitto. Alla fine del XIX sec. furono fatte scoperte importanti come quelle di Jacques de Morgan a Dahshur nel 1894-l895 (piramidi dei re della 12ª dinastia), di Grébaut a Deir el-Bahari nel 1891 (sarcofagi dei grandi sacerdoti di Ammone) e di Loret nella Valle dei Re, nel 1898 (tombe di Thutmosi III e di Amenofi II). Fra i più fruttuosi sono anche da annoverare gli scavi eseguiti, fra il 1895 e il 1903, da Amélineau e Petrie, a Umm al-Gaab, nella parte più occidentale della necropoli di Abido, che portarono alla luce le mastabe dei faraoni delle prime due dinastie thinite e quelle di alcuni re anteriori a Menes.

Di solito questi antichissimi signori della valle del Nilo sono indicati con il solo nome che prendevano salendo al trono, detto “nome di Horo” o, meno esattamente, “dello stendardo”, nome che è scritto con uno o due segni e non è di lettura sempre certa; ad es. Narmer, Aha, Ger, Den, ecc. Nel caso di alcuni sovrani, tuttavia, accanto al nome di Horo è indicato anche il nome di Nebty o “delle due Signore”, il quale si trova, sia pure trasformato, nella lista della Tavola di Abido o in quella di Manetone. In questo modo di tre re della 1ª dinastia manetoniana (Miebis, Usaphais, Semempses) si è potuto dimostrare l'esistenza per via archeologica. Contemporaneamente agli scavi di Amélineau e di Petrie, le scoperte fatte da J. de Morgan a Nagada, da Quibell a Kom al-Ahmar, da Garstang a Beit Khallaf, da Barsanti e Maspéro a Saqqarah e a Zawiyet al-Aryan, fornivano preziose notizie sulla cultura delle epoche primitive, che ci appare già molto evoluta. La costituzione civile e politica non differiva da quella dell'età menfitica, la scrittura, sia pure tracciata ancora un po' rozzamente, era già fissata nei suoi caratteri essenziali, quasi tutte le divinità dell'epoca classica, nazionali o locali, erano nominate o rafurate.

L'uso dei metalli era molto diffuso, ma gli utensili di pietra esistevano ancora e il taglio della selce, come quello dei vasi di pietra dura (alabastro, granito, diorite, serpentina), era eseguito con somma maestria. Nel complesso utensili e suppellettili presentavano già le forme che si ritrovano più tardi; lo stesso si può dire dell'abbigliamento; i gioielli erano di una straordinaria ricchezza. Armi in uso erano mazze di vario tipo, lance, archi e frecce, pugnali. Per quel che riguarda l'Antico Regno i risultati più importanti sono stati ottenuti nella necropoli di Saqqarah, esplorata da Quibell dal 1905 e, dopo il 1921, da Firth e Lauer (complesso funerario della piramide a gradini di Zoser), a Ghizeh da Baraize con lo sterro della Grande Sfinge (1925-l926), ad Abusir da Borchardt e dalla Deutsche Orient-Gesellschaft con l'esplorazione dei monumenti funerari dei re della 5ª dinastia (1902- 1908). Per il periodo del Medio Regno, le scoperte più importanti sono quelle relative al tempio faraonico dei re Mentuhotep III e IV (11ª dinastia), scavato a Deir el-Bahari, in prossimità del grande tempio di Hatscepsut, da Naville tra il 1905 e il 1907, e successivamente da Winlock; e quelle relative al tempio eretto da Amenemhet III (12ª dinastia) a Djat, nel Fayyum, scavato dall'italiano A. Vogliano nel 1937. Infine gli scavi di Bisson de la Roque nelle fondamenta dei templi tolemaici di Medamud e di Tod hanno rivelato nuovi nomi di faraoni della 13ª dinastia e illuminato di una luce particolare la storia di questo periodo. Se l'epoca della dominazione Hyksos rimane ancora una delle più oscure, la storia del Nuovo Regno tebano è oggi sufficientemente conosciuta nelle grandi linee come nei particolari in seguito agli scavi sistematici eseguiti a El-Amarna, Abido, Karnak, Deir el-Medinah e nella Valle dei Re, dove lord Carnarvon e sectiuner fecero nel 1922 la clamorosa scoperta della tomba di Tutankhamon.

Dalla favissa, individuata a Karnak da Legrain, furono estratte, tra il 1902 e il 1909, circa 800 statue di pietra e 17.000 bronzi: la scoperta non solo ha fruttato pezzi importantissimi per la storia della scultura egiziana, ma ha anche reso possibile la ricostruzione della cronaca di Tebe per il periodo che va dalla caduta della 20ª dinastia alla conquista persiana: in particolare le serie dei grandi sacerdoti da Sheshonq all'invasione etiopica e quella delle “adoratrici di Ammone” si sono arricchite di nuovi personaggi.

Agli scavi di Montet a Tanis (1929-l946) dobbiamo numerosi monumenti del tempo di Ramesse II e il ritrovamento della tomba di Psusenne e di altri quattro principi delle dinastie 21ª e 22ª, ricche di oggetti preziosi. Molto utili, infine, si sono rivelati, per la conoscenza dell'Egitto cristiano, gli scavi eseguiti nel convento copto di Bauit e nella città di San Mena. (V. NUBIA

Architettura

in ogni epoca gli Egiziani hanno saputo, anche se con diverse impostazioni stilistiche, inserire armonicamente le linee sobrie e maestose della loro architettura in quelle del paesaggio. Al principio dell'epoca menfitica, di contro alle costruzioni di mattoni e di legno dell'epoca precedente, si afferma un'architettura che usa la volta, ma anche una tecnica della pietra ormai matura, con materiali di piccole dimensioni, messi in opera in modo impeccabile, e grande varietà di colonne (recinto funerario del re Zoser a Saqqarah, 3ª dinastia). L'architettura elegante degli edifici in calcare di quest'epoca può essere paragonata a quella fiorita nell'Ellade duemila anni più tardi; ma ne ignoriamo la fase evolutiva e la vediamo sire senza lasciare tracce agli inizi della 4ª dinastia. A questo punto gli architetti si rivolgono all'uso dei materiali di proporzioni enormi, alla ricerca del colossale, agli ardimenti senza limiti; la copertura piatta diventa la regola e mette fuori uso la piccola volta di mattoni. L'effetto del colossale (tempio della Sfinge, piramidi della necropoli di Ghizeh) viene raggiunto sia col calcolo sapiente delle proporzioni sia con l'uso di blocchi smisurati (calcare, granito, basalto), monoliti senza iscrizioni né rilievi. Ma solo gli edifici destinati ad accogliere le divinità e i defunti sono di pietra; le abitazioni degli uomini, palazzi e case, che hanno sempre carattere di provvisorietà, continuano a essere costruiti con materiali deperibili.

La tomba dei re, dall'Antico Regno alla fine del Medio Regno, è la piramide, e sappiamo che Imhotep, architetto di Zoser a Saqqarah, all'inizio della 3ª dinastia, fu il primo a elevare una “scala verso il cielo”. Questa piramide, detta “a gradini”, a base rettangolare, era ottenuta sovrapponendo a una prima mastaba iniziale cinque altre, pure rettangolari e di dimensioni decrescenti. Cappelle consacrate a culti diversi erano sistemate in un recinto che imitava le fortezze primitive con pareti esterne a sporgenze e rientranze (motivo in seguito riprodotto per più di tre millenni con funzione ornamentale e apotropaica). Dopo un saggio di piramide tronca e uno di piramide romboidale, all'inizio della 4ª dinastia compaiono le piramidi regolari, le più famose delle quali sono quelle di Ghizeh. La piramide era destinata a proteggere il sarcofago del sovrano defunto, collocato nell'interno, in un apposito locale; essa, tuttavia, era solo un elemento di un vasto complesso monumentale funerario che serviva ai riti della mummificazione, alle cerimonie dei funerali e al culto del re divinizzato: in sintesi, l'insieme comprendeva un tempio inferiore, a valle della piramide, un tempio superiore, che comunicava direttamente col sepolcro del faraone, e una lunga via lastricata che li collegava, lungo la quale salivano le processioni. Le piramidi del Medio Regno sono di dimensioni più modeste: un nucleo di mattoni di terra cruda rivestito di lastre di pietra. Nelle epoche successive la forma piramidale, se pure applicata in modi diversi, non fu mai abbandonata completamente: per le tombe sotterranee (dette dai Greci sýringes) dei sovrani del Nuovo Regno fu scelto un grande uadi della catena libica (Valle dei Re), sulla riva sinistra del Nilo (Tebe), sovrastato da una cima a forma di una grandiosa piramide naturale, mentre i signori e gli artigiani, ricollegandosi alla cappella funeraria del re Mentuhotep, a Deir el-Bahari, che è sormontata da una piramide di pietra, coronavano le loro piccole cappelle con un pyramidion di calcare perpetuante l'antico simbolo dell'ascesa al cielo. I pilastri egiziani sono quadrangolari, a volte sormontati dalla testa della dea Hathor (pilastri hathorici), a volte ornati dalla ura (addossata a una delle facce) del faraone, nell'atteggiamento e con gli attributi del dio dei morti Osiride (pilastri osiriaci). Anche le colonne sono di vario tipo: il loro ornato riproduce forme vegetali della flora egiziana (colonna lotiforme, a capitello aperto o chiuso; colonna palmiforme o dattiliforme; colonna papiriforme), oltre al tipo protodorico e hathorico. Tanta varietà è naturalmente dovuta alla diversa destinazione, liturgicamente ben precisa, di ciascuno dei tipi.

Il tempio egizio, rimasto immutato per più di tremila anni nei suoi elementi essenziali (una certa diversità presenta la dimora del dio rispetto a quella del regnante defunto), può essere di tipo classico o “solare”. Di quest'ultimo, ideato probabilmente nella più remota antichità a Eliopoli, rimangono ancora i resti ad Abusir (5ª dinastia); quivi oggetto essenziale del culto era un enorme obelisco non monolitico, sorretto da un'immensa piattaforma quadrangolare contenente una scala. Davanti, quasi al centro di una grande corte all'aperto, si trovava una tavola di offerta, che era a quattro elementi, come quattro erano le facce dell'obelisco (i quattro punti cardinali). All'intorno, molto spazio era occupato da una serie di sale e di magazzini coperti da un tetto a terrazza. Anche i templi solari amarniani (v. AMARNA [Tell el-]) della 18ª dinastia, pur avendo una pianta più complessa, sono all'aperto; sembra che in essi l'oggetto del culto non avesse più alcuna materiale rappresentazione. I più fastosi templi di tipo classico rimasti risalgono al Nuovo Regno: nella regione tinita quello di Abido; presso Tebe, quelli di Karnak-Luxor, Deir el-Bahari, Gurnah, il Ramesseo, Medinet-Habu; in Nubia quelli di Derr, Gerf Hussein (semirupestre) e Abu Simbel (ipogeo). Sono di epoca greco-romana quelli tebani di Denderah, Karnak, Edfu, Isna, Kom Ombo, File e quelli nubiani di Kalabsha, Dendur, Dakke. Questi templi sono costruiti come vere fortezze, con il chiaro intento di impedire allo sguardo profano di violare il sacrario del dio. Il grande muro di cinta, di mattoni, è interrotto da monumentali porte di pietra, alle quali spesso si accede da un dromos (viale fiancheggiato da sfingi) e che si aprono su un cortile. Oltre al tempio vero e proprio, il cortile contiene anche le altre costruzioni necessarie al culto: il lago sacro, l'alloggio dell'animale divino, le dimore dei sacerdoti, magazzini, granai, locali di amministrazione, scuola, ecc. La facciata del tempio è costituita dall'alto pilone: esso inquadra la porta, attraverso la quale si penetra nel cortile interno del tempio, spesso contornato da un portico. Un secondo pilone, inserito nella costruzione e più piccolo, conduce, attraverso un vestibolo, nella sala ipostila, adorna, come dice il nome stesso, di numerose colonne sorreggenti un tetto-terrazza. La navata centrale è più alta di quelle laterali; la differenza di livello tra i soffitti è utilizzata per illuminare l'interno di una luce attenuata che penetra attraverso lastre di pietra a feritoie, sistemate nelle pareti che collegano i soffitti stessi (la sala ipostila del tempio di Karnak misura 103 × 50 m e ha 134 colonne). Altri vestiboli, dietro questa sala, conducono al santuario, che comprende la sala della Barca (l'imbarcazione sulla quale prendeva posto la statua del dio durante le processioni) e, sul fondo, il naos, monolite destinato a racchiudere l'immagine del dio, venerata dal gran sacerdote in rappresentanza del faraone. Spesso cappelle secondarie contengono le statue dei paredri del dio. La decorazione parietale è in stretta connessione con gli scopi cui era destinato ciascun ambiente: sui muri del cortile, che era la sola parte del tempio destinata al pubblico non qualificato, sono di solito rafurate le gesta terrene del faraone; nella sala ipostila, invece, la rappresentazione del sovrano e delle divinità che avevano il compito di accoglierlo e di proteggerlo è intesa a significare la funzione primaria della casa del dio: dare al sovrano la possibilità di essere ammesso nell'intimità della Enneade divina e di porsi come intermediario tra il suo popolo e il mondo ultraterreno. Le sale del santuario, infine, sono adorne di bassorilievi che illustrano le varie fasi del rituale del culto quotidiano rivolto alla statua divina custodita nel naos. A volte, camere sotterranee custodivano il tesoro del tempio. In età tolemaica e romana non sussistono che rafurazioni di contenuto religioso, con un corredo sempre più ampio di testi esplicativi; quelle di carattere annalistico sono quasi sse. Tra le altre novità della stessa epoca sono da ricordare la sa di numerose camere e corridoi, ricavati nello spessore delle muraglie, disposti di preferenza attorno al santuario, e quella del mammisi o “sala delle nascite”, piccolo edificio situato davanti al pilone, nel quale le dee madri dovevano ritirarsi durante il periodo del parto.

Scultura

Le sculture egiziane che si trovano in gran numero nei musei di tutto il mondo, in particolare nel Museo delle antichità del Cairo, provengono tutte da templi e da cappelle funerarie, salvo i capolavori dell'epoca amarniana, trovati quasi tutti nei laboratori degli artisti di Tell el-Amarna, abbandonati quando l'eresia ebbe termine.

Benché si rilevino, più che in qualsiasi altra arte, uniformità e continuità di stile, dovute al forte influsso dei laboratori della corte e dei templi, si può riconoscere l'esistenza di scuole differenti e soprattutto di grandi periodi artistici, legati alle vicende della monarchia faraonica. Il realismo maestoso e possente dell'Antico Regno ha prodotto statue (come il Chefren, lo Sheikh elbeled [Shaykh al-Balad], il Ti del Cairo, il busto di Ankhaef [Boston], lo Scriba rannicchiato e il gruppo ligneo del Louvre) che possono essere annoverate fra i capolavori dell'arte di tutti i tempi. Nel Medio Regno, all'epoca della 12ª dinastia, la compostezza geometrica del realismo antico appare movimentata da una ricerca plastica di vigore quasi brutale, da effetti di intensa, tragica umanità: esempi illustri di questa tendenza sono i ritratti di Sesostri III (Louvre e British Museum) e di Amenemhet III (British Museum e Cairo, monumenti “pseudo-hyksos”). Tuttavia, in molti casi questo realismo tende a stilizzarsi, idealizzandosi (come l'Amenemhet III di Hawara) e preannunciando lo stile classico del secondo periodo tebano. Di quest'ultimo sono caratteristiche, come nelle epoche antiche, la grandiosità e la forza, temperate però da una grazia e da una delicatezza singolari. Per molto tempo l'ingentilirsi delle espressioni e delle forme è stato attribuito all'evoluzione naturale di un'arte che col tempo diveniva sempre meno rozza, mentre perdeva la sua forza d'ispirazione originale. È necessario aggiungere che dopo le guerre di liberazione gli studi di corte furono rimessi in piena attività solo sotto impulso della prima grande sovrana della storia, la regina Hatscepsut, il cui tipo fisico influenzò l'arte rinascente del periodo tebano. Questa è la ragione della strana dolcezza che pervade i lineamenti del grande conquistatore Thutmosi III, in atto di calpestare i Nove Archi (Museo del Cairo). Un'espressione di perfetta soavità è raggiunta sotto il regno di Amenofi III; i ritratti del sovrano, della sua sposa e dei grandi signori sono chiara testimonianza dell'estrema raffinatezza di una civiltà giunta ormai al suo apogeo. Durante l'esperienza amarniana il faraone eretico Amenofi IV-Akhenaton cercò di staccarsi da una tradizione irrigiditasi in forme prive di vigore e incapace di rinnovarsi. Per una ventina d'anni i suoi artisti, nella ritrovata coscienza delle loro possibilità, tornarono ad attingere alle fonti vive nell'ispirazione. Il superamento di inveterate consuetudini espressive non fu, naturalmente, completo; eppure l'originalità stilistica dei manufatti amarniani è di tale evidenza da imporsi anche all'osservatore superficiale. Un realismo di nuova lega, insistito, polemico, a volte parossistico, mira a rendere il senso di una vita fattasi più intensa e lo studio introspettivo dei caratteri individuali. Risultati della ricerca sono un clima di costante tensione, un atteggiarsi febbrile di linee e di forme, un'espressione patetica, spesso tormentata, in tutti i volti ritratti (il busto di Akhenaton al Louvre, la Nefertiti di Berlino e soprattutto quella del Cairo). Per l'età ramesside possono essere indicati capolavori come le statue di Seti I e di Ramesse II (Musei del Cairo e di Torino). Durante la 20ª dinastia la statuaria si limita a ripetere forme note. La 25ª dinastia etiopica ha invece lasciato opere di grande valore (il Taharqa e il Montuemhet del Cairo), che anticipano il rinnovamento artistico della 26ª dinastia saitica. C'è chi ha definito quest'ultimo periodo un “rinascimento”: in realtà, i modelli dell'Antico Regno, ai quali sembrano rifarsi gli scultori, che li copiano senza affrontarne uno studio in profondità, restano ispiratori ineguagliati. L'arte di epoca saitica è graziosa e arida, di una crescente irrealtà; una sua caratteristica è il leggero sorriso che congela le fisionomie in un'espressione distaccata e tuttavia attraente. In un altro gruppo di opere, di più crudo realismo, i particolari del volto, resi con la massima fedeltà, la bruttezza e la vecchiaia riprodotte senza attenuazioni, il lavoro di rifinitura spinto all'estremo ingenerano nello spettatore, per diversa via, la stessa impressione di freddezza. La rafurazione degli animali, tagliati nelle materie più dure, produce capolavori di tecnica (l'Anubi di Copenaghen e la Toeri del Cairo). In questo periodo la statuaria in bronzo — che già in epoche precedenti aveva realizzato opere assai belle, come il Pepi I del Cairo e la sfinge di Thutmosi III, conservata al Louvre — raggiunge il suo acme con i leoni di Haib-Ra del Cairo, la regina Karomama e i bronzi Posno del Louvre, la dama Takushit di Atene. Sotto i Tolomei, la confluenza delle civiltà egiziana e greca dà origine a un'arte composita. Ben presto però l'influsso greco si fa preponderante, specialmente per quel che riguarda lo studio anatomico, determinando un rigonfiamento di forme sempre più accentuato e sgradevole. La tradizione egiziana sopravvive nella resa dei costumi e degli atteggiamenti. Nel III sec. d.C. la scultura egiziana può considerarsi morta.

Pittura, disegno e bassorilievo

Per lo più, la pittura egiziana serve a dar risalto all'architettura e alla scultura, ai bassorilievi e agli oggetti di uso quotidiano. Impiegata sulle superfici delle pareti o dei mobili, ci ha lasciato capolavori di composizione, di tecnica e d'armonia, dalle famose oche di Medum (Antico Regno, Museo del Cairo) agli uccelli e ai lottatori di Beni Hasan (Medio Regno), fino alle scene delle cappelle tebane (Nuovo Regno). Fin dall'Antico Regno gli Egiziani usavano il bianco, il nero, l'ocra rossa e l'ocra gialla, il blu e il verde (per lo più ossidi di rame). I colori erano, nella maggior parte dei casi, stesi in modo uniforme: le sfumature venivano usate solo per rafurare il mantello degli animali o, in età amarniana e sotto il regno di Ramesse II (tomba di Nefertari), per certi particolari del corpo umano. Gli Egiziani erano disegnatori assai abili nel cogliere l'aspetto caratteristico di un oggetto, che rendevano con una linea molto sicura; ma, per ragioni religiose, non vollero mai liberarsi da un certo numero di convenzioni, nate prima dell'età faraonica. Ogni cosa era rafurata in funzione di quello che ci si aspettava dall'immagine: bisognava prima di tutto che questa, allo scopo di perpetuarle, evocasse le forme nel modo più completo possibile, che rafurasse le varie parti dell'oggetto sul piano che ne consentisse la ricostruzione migliore, non prospetticamente. In breve, il rilievo o il disegno, dato il loro carattere narrativo e dinamico, al contrario della statuaria che è naturalmente statica, debbono essere considerati come una scrittura ingrandita, non come un'evocazione decorativa. Di conseguenza, l'artista obbedisce a convenzioni che gli impongono di rappresentare l'uomo visto di profilo, con l'occhio e le spalle di fronte, il bacino di tre quarti e le gambe di profilo. Le scene si susseguono in registri, dei quali il più vicino al suolo è considerato il più vicino allo spettatore. A partire da Tell el-Amarna si afferma il tipo della grande composizione (scene di guerra e di caccia sul cofano di Tutankhamon e, in seguito, grandi rafurazioni storiche della battaglia di Kadesh, sotto Ramesse II). I bassorilievi sono molto leggeri (sovente di pochi millimetri di spessore). Per proteggere meglio certe rafurazioni sui muri esterni, l'artista egiziano usa anche il rilievo incavato. Le mura dei templi venivano completamente rivestite di stucco e dipinte come le statue. Le colonne, le lastre di rivestimento, i muri erano spesso ricoperti di placche d'oro; lo stesso procedimento si usava per le statue, in cui gli occhi, bordati di rame, potevano essere inseriti (conchiglia e quarzo). L'illuminazione ha sempre avuto grande importanza, ed è certo che gli artisti, scolpendo e pulendo un'opera, studiavano attentamente l'angolo dal quale la loro creazione doveva essere esaminata. Gli strumenti di culto, gli oggetti funerari, i gioielli, i mobili, gli utensili quotidiani erano tutti decorati di rafurazioni che spesso si definiscono “bucoliche” e che, quasi sempre, sono costituite in prevalenza da animali: esisteva sicuramente un vero e proprio “bestiario”, dal quale gli artigiani sistematicamente attingevano da millenni immagini simboliche e apotropaiche. Le scene che adornano le cappelle delle tombe riproducono la vita di tutti i giorni e rendono così note le occupazioni quotidiane degli Egiziani; nello stesso tempo possono celare, sotto un'apparenza piacevole o addirittura insignificante, il senso di certi riti segreti, di certe preoccupazioni post mortem ben definite: così, per es., la caccia del signore all'ippopotamo simboleggia la distruzione del demone e la pesca al pesce rosso significa la resurrezione dei morti.

Arti decorative

Nelle arti decorative si ritrovano le caratteristiche essenziali dello stile egiziano. Gli oggetti sono sempre egregiamente adatti alle loro funzioni; la semplicità della linea, la purezza della forma mettono in evidenza la qualità della materia. È solo dal Nuovo Regno in poi che la decorazione si arricchisce fino alla pesantezza. Il generale benessere, risultato delle conquiste dei faraoni della 18ª dinastia, e, inoltre, il contatto con le fastose civiltà del Vicino Oriente spiegano un gusto per il lusso e l'ornamento ignoto alle epoche precedenti. La Bassa Epoca continua, accentuandole, le caratteristiche dell'arte decorativa del Nuovo Regno.

I mobili

Dell'Antico Regno ci sono rimasti pochi mobili, ma le rafurazioni delle tombe ne danno un'immagine abbastanza precisa. Così i letti con i piedi a zampe di animale, gli sgabelli, le sedie a schienale basso o alto, i seggiolini pieghevoli, le sedie a portantina, i cofani sono di un'eleganza raffinata e mostrano che l'arte della falegnameria aveva raggiunto grande perfezione tecnica (come si può vedere nel mobilio della regina Hetepheres I). La sobrietà di linee di questi oggetti, in cui il legno porta a volte incrostazioni auree, è di un effetto stupefacente. I poggiatesta usati per sorreggere la nuca durante il sonno sono di legno, di alabastro, d'avorio, d'oro, d'argento, d'ambra. Il mobilio del Medio Regno non è diverso da quello del Regno Antico. Nel Nuovo Regno, i mobili ricalcano le forme tradizionali delle epoche precedenti, ma la decorazione si fa più sontuosa. Spesso i montanti dei mobili sono in forma di leone, di dio Bes o di dea Toeri; gli schienali delle sedie, i pannelli dei cofani sono decorati da scene. Il mobilio trovato nella tomba dei genitori della sposa di Amenofi III e quello, particolarmente lussuoso, della tomba di Tutankhamon sono, nonostante la decorazione sovraccarica, estremamente eleganti.

La ceramica e il vetro

Accanto alla terracotta fine, con o senza decorazione, la terracotta smaltata è considerata una delle produzioni più originali dell'arte egiziana: composta di un nucleo di terra silicea ricoperta di uno smalto vetrificabile, serviva alla fabbricazione di perle, pendenti, anelli, amuleti, urine di ogni genere, mattonelle monocrome o decorate e soprattutto coppe e vasi. Nel Medio Regno si trovano coppe di terracotta smaltata blu, adorne di uccelli e piante palustri tracciati in nero. Fra le altre produzioni, si possono citare pregevoli urine di ippopotami blu con i fianchi decorati di piante acquatiche. I vasi del Nuovo Regno presentano colori e forme più variati, che imitano il calice del loto o la melagrana. A quest'epoca compaiono vasi di vetro non soffiato, fatti di asticciole di colore diverso, saldate insieme; tale tecnica si perfeziona nei periodi successivi, mentre i vasi di vetro soffiato compaiono in Egitto solo in epoca romana.

Oltre ai vasi di terracotta, smaltata e no, la pietra fu spesso usata, a partire dalla fine dell'era predinastica, per la fabbricazione di vasi ornamentali, lavorati a mano; essi erano ottenuti da pietre durissime, sienite, diorite, serpentina o basalto e non erano decorati; la purezza della linea, la perfezione della tecnica, la qualità della materia ne costituiscono la bellezza. Dall'inizio dell'Antico Regno la lavorazione delle pietre dure fu progressivamente abbandonata e si preferì usare l'alabastro, materiale semitrasparente e più facile da lavorare.

I gioielli

L'oreficeria, le cui origini risalgono alla preistoria, raggiunse uno sviluppo notevole solo nell'Antico Regno. Molto diffusi erano grandi collane di perle o di elementi uguali riuniti, braccialetti, diademi femminili a nastro: il materiale usato era nella maggior parte dei casi la terracotta smaltata, ma talvolta anche l'oro o le pietre semipreziose. I gioielli scoperti nella tomba della regina Hetepheres sono sicuramente i più belli dell'Antico Regno. Fra i gioielli del Medio Regno vanno ricordati i pettorali regi, ottenuti da una placca d'oro traforata, di struttura estremamente sobria; gli elementi decorativi simbolici che li ornano sono incrostati di pietre colorate. I gioielli scoperti a Dahshur, specialmente i diademi della principessa Chnumit, sono capolavori di eleganza e di delicatezza. Del Nuovo Regno ci restano numerosi esemplari, senza dire dei gioielli regi, del cui splendore il tesoro di Tutankhamon è chiaro esempio. La ricchezza della decorazione caratterizza i prodotti di questa età. Oltre ai pettorali regi di forma tradizionale, si trovano grandi bracciali di ispirazione asiatica, adorni di motivi incrostati, orecchini a pendente e anelli, fra i quali il più famoso, quello di Ramesse II, è ornato della rafurazione a tutto tondo dei cavalli del faraone. La filigrana, il granulato, il cesellato erano largamente usati nella gioielleria del tempo. I gioielli del Nuovo Regno, nonostante abbiano perduto la nobiltà di stile che caratterizzava le opere degli orefici del Medio Regno, sono sempre pezzi eccellenti per la sontuosità, la magnificenza dei colori, la raffinatezza della decorazione. In epoca più tarda, la decorazione dei gioielli si arricchisce ancor più, a volte fino alla pesantezza. In età tolemaica, sotto l'influsso dell'arte greca, il gioiello egiziano perde a poco a poco la sua originalità.

Gli oggetti da cosmesi

Un posto a parte va riservato agli accessori da cosmesi del Nuovo Regno: astucci per kohol, scatole per unguenti, specchi, cucchiai da belletto. Questi ultimi hanno a volte la forma di una nuotatrice che, a braccia allungate, spinge davanti a sé un raccoglitore, oppure un'anatra con le ali mobili; a volte invece soltanto il manico è decorato, con foglie e fiori di loto. I manici degli specchi, in forma di stelo di papiro nelle età antiche, nel Nuovo Regno sono spesso costituiti da una ura di giovanetta in piedi che stringe al petto un uccello o un gattino. I pettini, i vasi per kohol adorni di ure di animali e le spille sono altri esempi della raffinatezza di questa civiltà. (Per gli altri periodi dell'arte egiziana, v. ISLAMICA [arte] e PALEOCRISTIANA [arte].)

Costume

Perfettamente adattati al clima caldo e secco della valle del Nilo, gli abiti portati dagli antichi Egiziani sono leggeri, e non coprono generalmente tutto il corpo. Il perizoma, corto, trattenuto da una cintura, quando è portato da divinità o da faraoni si adorna di pieghe verticali e di un lembo sovrapposto pieghettato orizzontalmente. Una gonna di lunghezza media, di lino molto inamidato, pieghettata parzialmente o interamente, copre il perizoma e si annoda, come questo, sul ventre; i ricaschi del nodo sono sistemati in modo da costituire una specie di grembiule avente quasi la stessa lunghezza della gonna. Nel Nuovo Regno fu molto diffusa una camicia a maniche lunghe o corte, spesso pieghettata, e scollata a giro collo. I mantelli erano fatti con un grande rettangolo di stoffa leggera finemente pieghettata; avvolti intorno al corpo, passavano sotto un braccio e si annodavano sul petto. Sotto il mantello le Egiziane portavano una tunica la cui forma più antica e più semplice è stata conservata nell'abito classico delle divinità femminili: costituita da un unico pezzo di stoffa, la tunica era aderente e lunga dal seno alla caviglia, sostenuta da una o due bretelle. Ai vestiti si aggiungevano gli ornamenti: reticelle di perle colorate, lunghe cinture pieghettate, gioielli (collane, braccialetti, armille, anelli, orecchini, ecc.). Tra gli accessori: sandali di papiro, parrucca e, eccezionalmente, guanti; infine, trattandosi di re, di regine o di divinità, la corona.

Musica

Le prime testimonianze risalgono ai tempi preistorici. Sotto l'Antico Regno, la vita musicale era già in piena evoluzione. Il primo musicista di cui sia giunta traccia fu Khufu Ankh (morto verso il 2560 a.C.), flautista e ispettore della musica reale. Erano già praticati a quei tempi l'assolo vocale con accomnamento strumentale, i canti e le danze funebri. Gli strumenti usati erano i sistri (specificamente nazionali), i clarinetti, le trombe, i flauti, le arpe e piccole piastre che venivano percosse tra loro. Durante il Medio Regno apparvero i tamburi, le lire e le nacchere, e dall'8ª dinastia in poi furono introdotti strumenti di origine straniera (oboi, arpe, liuti); il primo liuto che la storia ricordi fu trovato nella tomba di un musicista di nome Harmosis, le prime trombe d'oro e d'argento nella tomba di Tutankhamon. In quest'epoca si notano un progressivo restringimento degli intervalli che compongono le scale, l'esistenza del canto antifonale e responsoriale, e una specie di rondò strumentale e vocale. Subentrò poi in epoca più tarda (1085-332 a.C.) una crescente influenza della musica straniera; apparvero quindi nuovi strumenti: campanelli, cimbali, crotali, flauto di Pan, flauto traverso e l'organo idraulico. La musica dell'epoca faraonica è sopravvissuta nella liturgia copta e nei canti folcloristici. Nonostante l'influsso greco, iranico, arabo, turco e occidentale, l'arte musicale egiziana, trasmessa attraverso i millenni grazie alle immutate tradizioni del paese e ai suoi monumenti, costituisce la testimonianza storica più importante sulla musica orientale dell'antichità.

Scienze


Scienze dell'Egitto faraonico

Non si può parlare di una “scienza” dell'Egitto antico nel senso rigoroso del termine; anche nelle matematiche e nell'astronomia l'empirismo fu la regola e l'utilità immediata sempre evidente. Non era sentito il bisogno di risolvere casi analoghi con uno stesso metodo, di arrivare a dimostrazioni quando era sufficiente che un risultato si ripetesse per essere vero, di formulare leggi generali. L'astronomia, modesta a paragone di quella mesopotamica, serviva soprattutto a misurare il tempo. In epoca molto antica, dai sacerdoti-astronomi dei templi fu osservato che, alla latitudine di Menfi, la stella Sothis (Sirio), all'inizio della crescita del Nilo, sorgeva poco prima del Sole. Essi associarono arbitrariamente questi due fenomeni e la “levata eliaca” di Sothis al 1º thot (circa 19 luglio) segnò l'inizio dell'anno, fatto di 365 giorni (360+5 eomeni), che ritardava di un giorno ogni quattro anni sull'anno solare di 365 giorni e 1/4 (anno vago). Dopo un periodo di 1.461 anni o “periodo sotiaco”, durante il quale lo sfasamento delle stagioni ufficiali rispetto a quelle reali era sempre maggiore (c'erano due feste di capodanno), la coincidenza dell'anno vago con quello solare si riproduceva. Gli studiosi non sono d'accordo nello stabilire la data dell'istituzione di questo calendario: certamente esso esisteva all'inizio dell'Antico Regno. Fu Cesare a fissare l'anno vago intercalando un giorno ogni quattro anni. Ciascuno dei dodici mesi era, convenzionalmente, di 30 giorni e perciò indipendente dalle fasi lunari. Il giorno e la notte erano divisi ciascuno in dodici parti uguali, la cui lunghezza variava secondo le stagioni. Per determinare le ore si faceva uso, di giorno, del polos o di un semplice gnomone; di notte si ricorreva alla clessidra oppure all'osservazione delle stelle: si impiegava in quest'ultimo caso un visore (merkhet), praticato nella nervatura di una foglia di palma. Oltre che a misurare il tempo, le osservazioni astronomiche servivano a determinare i punti cardinali secondo i quali dovevano essere disposti gli edifici religiosi; non servirono all'astrologia se non in epoca tarda e per influenza orientale.

Anche nella matematica gli Egiziani furono inferiori ai Mesopotamici (il manoscritto più importante è il papiro Rhind del XVII sec. a.C.). Si faceva uso del sistema decimale; erano conosciute le quattro operazioni; i calcoli con le frazioni, che avevano sempre numeratore 1, erano invece piuttosto macchinosi.

Nel campo della geometria, anch'essa eminentemente empirica e derivata dalle necessità della pratica catastale, gli Egiziani sono riusciti a calcolare l'area del rettangolo, del triangolo rettangolo e isoscele. Il problema dell'area del cerchio era stato risolto con grande approssimazione, raffrontando il cerchio a un quadrato avente per lato gli 8/9 del suo diametro ( = 3,1605 circa). Era stato valutato infine esattamente il volume di un tronco di piramide a base rettangolare (papiro di Mosca). È lecito chiedersi d'altra parte se questa geometria sommaria e intuitiva sia stata la sola conosciuta dagli architetti costruttori delle piramidi o sia invece esistita anche una geometria esoterica, più matura, segreto patrimonio della classe sacerdotale. La scienza in cui gli Egiziani veramente primeggiarono tra tutti i popoli dell'antichità fu la medicina. I più importanti manoscritti di contenuto medico sono il papiro Smith e il papiro Ebers, entrambi del Nuovo Regno (i testi però risalgono all'Antico Regno); il primo è un trattato di chirurgia, dal quale apprendiamo che gli Egiziani, tra l'altro, praticavano la riduzione delle fratture, che sapevano distinguere dalle distorsioni, avevano intuito i rapporti delle fratture craniche con l'emiplegia, conoscevano le circonvoluzioni e le pulsazioni del cervello, riconoscevano i casi di tetano. Il secondo, scientificamente inferiore allo Smith, riguarda le malattie interne. Misura 20 m e contiene 877 prescrizioni relative a 250 sindromi, un intero libro sui tumori e gli ascessi e due trattati sui vasi e sul cuore, descritto nella sua posizione e nei disturbi funzionali (il cuore era considerato il centro dell'organismo, punto d'arrivo e di partenza di tutti i vasi). Ma accanto alla scienza (i progressi nell'anatomia possono essere stati favoriti dalla pratica dell'imbalsamazione) stavano le pratiche magiche. Questo fatto si spiega con la credenza che la malattia fosse sempre effetto di un agente esterno: nel caso di malattie interne, non restava che ipotizzare influenze occulte le quali dovevano essere neutralizzate prima di ricorrere ai medicamenti. Gli Egiziani furono infine chimici valentissimi; le sostanze di uso terapeutico hanno spesso un carattere magico solo in apparenza (ad es. le muffe per curare le piaghe infette); e bisogna anche tener conto che certe denominazioni di medicamenti, apparentemente bizzarre, non devono essere tradotte alla lettera e possono indicare comuni sostanze di uso corrente.







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