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ANTONIO GRAMSCI - "Lettere dal carcere", LA VITA, "LETTERE DAL CARCERE"

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ANTONIO GRAMSCI - "Lettere dal carcere"



LA VITA


Antonio Gramsci nasce il 22 gennaio del 1891 ad Ales, in provincia di Cagliari, da Francesco Gramsci e Giuseppina Marcias. Tre anni dopo la sua famiglia si trasferisce a Sòrgono (Nuoro) dove il piccolo Antonio frequenta un asilo di suore. Una caduta gli provoca una malattia cronica deformante che causa l'incurvamento della spina dorsale, le cure mediche risultano inutili. Nel 1897 il padre viene incarcerato per irregolarità amministrative. Questi fatti lo segneranno per tutta la vita.



Nel 1902, conseguita la licenza elementare, deve affiancare il lavoro allo studio per aiutare la famiglia, in gravi difficoltà economiche. Nel 1908 si trasferisce a Cagliari per seguire il liceo. In questo periodo vive in casa del fratello Gennaro, segretario della sezione locale del Partito socialista. Questa è la stagione in cui a Cagliari cominciano i primi movimenti sociali, fatto che influisce profondamente sulla sua ideologia. Il giovane Gramsci legge moltissimo e si distingue per i suoi vivi interessi culturali, in particolare è affascinato da Croce e da Salvemini.

Nel 1911 si trasferisce a Torino, avendo vinto una borsa di studio per la Facoltà di Lettere e Filosofia. Il capoluogo piemontese in quel periodo è in pieno boom economico e industriale. La Fiat e la Lancia con i loro stabilimenti hanno chiamato dal Sud più di sessantamila immigrati in cerca di lavoro. Sono i tempi delle lotte di fabbrica e delle prime organizzazioni sindacali, i tempi in cui gli operai siedono ai tavoli con i rappresentanti dei padroni per trattare le loro condizioni. In questo fase della sua vita, studiando i processi produttivi nelle fabbriche, si impegna per far acquisire alla classe lavoratrice «la coscienza e l'orgoglio di produttori».

Negli anni successivi Gramsci si avvicina alla sezione socialista del capoluogo sabaudo e collabora attivamente con il «Grido del popolo», foglio comunista di Torino. Nel 1915 comincerà la sua collaborazione con l'«Avanti!» organo ufficiale del Partito socialista italiano. Questo è anche l'anno in cui l'Italia entra in guerra a fianco dell'intesa e Lenin invita i comunisti a trasformare «la guerra imperialista in guerra civile».

Nel 1917 scoppia la rivoluzione che, in ottobre, porterà al potere il Partito bolscevico in Russia. Intanto prosegue l'affermazione di Gramsci tra le fila del ramo piemontese del Partito socialista, tanto che diventa segretario della sezione esecutiva e comincia a dirigere il «Grido del popolo». Oltre a ciò si occupa per intero della stesura di «La città futura», una rivista a numero unico pensata per educare i giovani socialisti. Questa situazione continua fino al 1918 quando le pubblicazioni del foglio cessano e nasce la redazione piemontese dell'«Avanti!», a cui Gramsci prende subito parte.

Nel 1919 è tra i fondatori dell'«Ordine nuovo», settimanale che si schiera per l'adesione del Psi all'Internazionale comunista. Intanto in Italia comincia quello che poi verrà chiamato il "biennio rosso". Gli operai danno sfogo al loro malcontento occupando le fabbriche in cui lavorano. In questo periodo di disordini, dalle ine del giornale, Gramsci si batte per l'affermazione dei consigli di fabbrica, sostiene che questi debbano essere eletti da tutti i lavoratori, affinché gli operai assumano la funzione dirigente che spetta loro. Questa iniziativa viene plaudita anche da Piero Gobetti e dai suoi neo-liberalisti, non viene invece vista di buon occhio dai massimalisti del Psi.

Gramsci intanto si avvicina all'ala di sinistra del Partito socialista, guidata da Bordiga. Al 17° congresso nazionale del Psi, tenutosi il 25 Gennaio del 1921 a Livorno, il neonato Partito comunista d'Italia si scinde dal gruppo socialista. Gramsci viene quindi delegato alla direzione dell'«Ordine nuovo» che diventa il quotidiano di informazione del Pcd'I. La divisione interna alla sinistra è però grave, poiché avviene nel momento di maggiore pericolosità del movimento fascista. Nelle elezioni che seguiranno infatti i partiti di ispirazione socialista perdono voti, in favore del Movimento dei fasci, a cui si è rivolta la borghesia spaventata dalla politica violenta dei massimalisti.

Dal maggio del 1922 Gramsci comincia a viaggiare. Prima va a Mosca, dove la situazione si è stabilizzata dopo anni di guerra civile, come delegato del Partito comunista d'Italia nell'esecutivo dell'Internazionale. Qui potrà studiare da vicino la politica di Lenin e gli effetti della dittatura del proletariato. Oltre a questo in Russia si innamora di Giulia Schudt, che diventerà sua moglie e la madre dei suoi due li. Intanto, in Italia, le squadre fasciste guidate da Benito Mussolini portano a termine la Marcia su Roma. L'anno successivo Gramsci sostiene le tesi dell'Internazionale contro quelle del segretario Bordiga, e, in novembre, viene invitato a Vienna per coordinare il lavoro del Pcd'I con quello degli altri partiti comunisti europei.

Il 1924 è un anno cruciale nella sua vita. In febbraio, secondo le sue indicazioni, viene fondato il quotidiano «l'Unità». Lui intanto entra nell'esecutivo del Pcd'I e diventa segretario generale. In Aprile viene eletto deputato per la circoscrizione del Veneto e torna in Italia. Le stesse elezioni sono però vinte in larga misura dai fascisti. Giacomo Matteotti, che aveva denunciato evidenti casi di brogli e intimidazioni perpetrati dal movimento fascista ai danni dei votanti, viene ucciso. Ciò provoca una violenta reazione parlamentare, alla quale Gramsci prende attivamente parte. Le forze di opposizione al fascismo, guidate da Giovanni Amendola, abbandonano il parlamento. Il Pcd'I propone un'azione diretta e l'appello alle masse, ma la sua mozione viene bocciata. Il re però riconferma la fiducia a Mussolini e al fascismo, e la protesta fallisce.

Al terzo congresso del Partito comunista d'Italia, tenutosi a Lione nel Gennaio del 1926, Gramsci presenta le tesi politiche stese insieme a Togliatti. Queste vengono approvate con il novanta percento delle preferenze. Dopo alcuni mesi però i suoi rapporti con l'Internazionale comunista cominciano a deteriorarsi, a causa di una lettera che scrive al Partito bolscevico in cui sottolinea la sua preoccupazione per le divisioni interne. Pur dando torto all'opposizione si discosta anche dai metodi della maggioranza guidata da Stalin. Togliatti si rifiuta di inoltrare ufficialmente la carta, e da ciò scaturisce una polemica accesa.

È nel novembre dello stesso anno che, in seguito alle leggi speciali emendate dal parlamento fascista contro le opposizioni, Gramsci viene arrestato e condotto a Regina Cœli. Condannato a cinque anni di confino sull'isola di Ustica, vi passerà solo sei settimane. Ciò nonostante riesce a organizzare sull'isola siciliana una scuola per i rifugiati politici, in cui gli studenti vengono divisi secondo il loro livello di preparazione. Trasferito a San Vittore, comincia a preparare un ampio studio sugli intellettuali italiani. Come scrive nelle lettere indirizzate alla sua vecchia scuola di Ustica, si vuole concentrare soprattutto sul teatro pirandelliano.

Alla fine di maggio del 1928 viene condannato a vent'anni quattro mesi e cinque giorni di reclusione. Nel luglio del 1929 viene trasferito nella colonia penale di Turi, nei pressi di Bari, per motivi di salute. Qui divide la cella con altri cinque detenuti politici.

Nel 1929 ottiene il permesso di scrivere in cella e inizia la stesura dei Quaderni dal carcere. Intanto comincia a sostenere posizioni lontane da quelle dell'Internazionale, inimicandosi i detenuti comunisti.

Il 1931 è l'anno in cui le condizioni di Gramsci cominciano a peggiorare in maniera precipitosa e inarrestabile. Inizialmente viene trasferito in una cella individuale dove si dedica allo studio e al mantenimento dei contatti con parenti e amici. Ad agosto sarà vittima di una grave emorragia.

Due anni dopo, per un ulteriore aggravarsi delle sue condizioni, viene trasferito nell'infermeria di Regina Cœli, e poi da qui in una clinica. Intanto falliscono i tentativi diplomatici fatti da Mosca per ottenere la sua liberazione. La vita in carcere è ulteriormente amareggiata dal deteriorarsi dei rapporti con il Pcd'I. Per questo motivo si trova totalmente isolato. Scrive in questo periodo: «Io sono stato abituato dalla vita isolata, che ho vissuto fino dalla fanciullezza, a nascondere i miei stati d'animo dietro una maschera di durezza o dietro un sorriso ironico».

Nel 1934 ottiene la libertà condizionata per motivi di salute. Quando però consegue la scarcerazione definitiva, nel 1937, le sue condizioni fisiche sono troppo compromesse.

Morirà in un letto d'ospedale il 27 aprile dello stesso anno. Le sue ceneri sono conservate al Cimitero degli Inglesi, a Roma.

Alla sua morte Gramsci ci lascia innumerevoli scritti, di argomento sia politico che culturale. Questi vengono considerati con grande attenzione dagli intellettuali italiani appartenenti ad ogni corrente. I brani considerati più importanti sono quelli prodotti durante la prigionia. L'opera Quaderni dal carcere è una raccolta delle ine scritte dal 1929 al 1935, pubblicate postume con i titoli: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note su Machiavelli, la politica e lo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale. Accanto a questi troviamo un'altra raccolta, quella delle Lettere dal carcere. Anche il fitto epistolario viene pubblicato postumo. Nelle sue lettere ad amici e parenti possiamo comprendere la parte più privata del pensiero gramsciano, la sua lotta contro l'abbandono del carcere e il suo desiderio di stare vicino alla famiglia. Oltre a queste due raccolte troviamo una miriade di altri suoi scritti, alcune lettere, diversi articoli di giornale e un'intera rivista chiamata «La città futura», che sono stati minuziosamente raccolti e ripubblicati in volumi dopo la caduta del fascismo.





"LETTERE DAL CARCERE"


Le lettere di Gramsci sono "lettere dal carcere" , cioè scritte da un uomo libero nel suo interiore, e non lettere "da carcerato". In una di queste scrive alla madre: "finchè si vuol vivere, finchè si sente il gusto della vita e si vuole raggiungere ancora qualche scopo, si resiste a tutti gli acciacchi e a tutte le malattie". In un'altra lettera alla sorella Teresina ritiene il suo "incarceramento" un episodio di lotta politica che si combatte e combatterà sempre, e come in guerra si può cadere prigionieri del nemico, lo stesso evento deve essere messo in preventivo quando si è impegnati a lottare politicamente. Se il fascismo ha fatto suo il vecchio adagio per cui il miglior nemico è un nemico morto, Gramsci vuole restare ad ogni costo un nemico vivo anche in carcere. Legge, studia, prende appunti, discute con gli altri prigionieri antifascisti. Riesce a mantenere, per vie rischiose, qualche contatto con i dirigenti comunisti in esilio; riesce a far uscire dal carcere fascista quei "quaderni" che rappresentano il momento più maturo del suo pensiero, la fase più approfondita della sua riflessione sulle precedenti esperienze di lotta rivoluzionaria. Nelle lettere ai familiari insiste perché ai li Delio e Giuliano e alla nipotina Edmea non si nasconda che lui è in prigione e il fratello (padre di Edmea) è all'estero "perché le molte Edmea di questo mondo dovrebbero avere una fanciullezza migliore della loro".In carcere Gramsci vive il dramma politico del combattente ma anche il dramma lacerante degli affetti familiari. Fin dai primi anni di prigionia vive l'angoscia del progressivo sfuocarsi dell'immagine dei familiari. Cerca di immaginarsi la crescita e di seguire lo sviluppo intellettuale del primogenito Delio e di rappresentarsi in qualche modo le fattezze e la personalità di Giuliano, che il carcere gli ha impedito di conoscere. Cerca di mantenere con la moglie Giulia un rapporto che, nonostante distanze e censura, non sia "convenzionale" né "burocratico". Purtroppo questo tentativo è destinato a fallire per la grave malattia della moglie che a lungo gli viene tenuta nascosta. Si acuisce quel senso di incertezza e i lunghi silenzi si accentuano ulteriormente alla morte della madre (avvenuta nel 1932 ma di cui egli viene a sapere soltanto 2 anni dopo). A questo si aggiungono poi, a partire dal 1933, l'aggravarsi della malattia e l'inizio del crollo fisico. Ma Gramsci non vuole lasciarsi trascinare dagli eventi, non vuole "sparire come un sasso nell'oceano" e di "lasciarsi trascinare dalla corrente come un cane morto". E' l'ultimo disperato sforzo di volontà grazie al legame concreto con la famiglia, con il mondo. Soprattutto il pensiero dei li lo tiene legato alla vita. Cerca, con amara tenacia, attraverso gli scambi epistolari che si susseguono, di afferrare le loro attitudini, i loro gusti, la loro mentalità, il loro sviluppo psicologico. Cerca di convincere la moglie, che purtroppo non può assecondarlo, di discutere dei sistemi educativi, dell'educazione dei li. Annota riflessioni sulla crisi dell'istituto familiare che si verifica quando le generazioni più anziane rinunciano all'educazione dei giovani, lasciando che l'opera educativa sia svolta interamente e soltanto dallo Stato. Continua a scrivere ai li, si informa delle loro piccole cose, si interessa delle loro letture. Non esita a rimproverarli e a correggerli se si esprimono in maniera non appropriata o commettono errori di ortografia. Li esorta allo studio, in particolare a quello della storia, perché la storia "riguarda gli uomini viventi, tutti gli uomini del mondo, in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi".

L'educazione è un altro punto fondamentale per la ricostruzione di una società composta dalle alleanze di classe. L'analisi si allarga e si approfondisce nel lavoro dei Quaderni con lo studio della funzione degli intellettuali nella storia d'Italia. E' una ricerca complessa e originale, perché la nozione di 'intellettuale,' nella sua funzione di coagulo della formazione di ogni blocco storico, è allargata oltre i limiti tradizionali, in una visione che estende il concetto stesso di Stato inteso non più solo come 'società politica,' organo di coercizione giuridica, ma come intreccio di società politica e 'società civile,' dove l'egemonia di un gruppo sociale si esercita attraverso le organizzazioni cosiddette private come Chiesa, sindacati, scuole e altri strumenti di direzione culturale.

Questo impianto teorico, che ha al centro il concetto di 'egemonia,' porta anche a una nuova interpretazione della caduta dei Comuni medievali e della loro incapacità di superare la fase economico-corporativa dello stato, per il carattere cosmopolita degli intellettuali italiani e per l'assenza in essi di una funzione popolare-nazionale. Nello stato moderno invece l'esercizio dell'egemonia consente alle classi dominanti di ottenere il consenso delle classi subalterne, sia con l'energia delle rivoluzioni di tipo giacobino sia attraverso diverse forme di 'rivoluzione passiva': con questo termine viene indicato un processo di rivoluzione-restaurazione o di 'rivoluzione senza rivoluzione,' come quello illustrato nella storia italiana del Risorgimento dove i moderati riescono a esercitare la loro egemonia sul Partito d'Azione.








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