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EUGENIO MONTALE, NON CHIEDERCI LA PAROLA (Ossi di seppia), SPESSO IL MALE DI VIVERE (Ossi di seppia), CIGOLA LA CARRUCOLA NEL POZZO (Ossi di seppia),

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EUGENIO MONTALE


I LIMONI (Ossi di seppia)

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall' azzurro:
piú chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell' aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest' odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed é l' odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s' abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l' anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d' intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità

Ma l' illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l' azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s' affolta
il tedio dell' inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l' anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d' oro della solarità.





In questa poesia Montale vuole raggiungere una poesia di completa trasparenza, per aderire il più possibile alla realtà.

Nell'incipit, che ricalca distaccandosene l'inizio de "La pioggia nel pineto" di D'Annunzio, prende le distanze dalla ura del poeta-vate, del poeta laureato(ovvero che porta la corona di alloro),il cui referente è per eccellenza D'Annunzio: ne critica il linguaggio troppo eloquente ("bossi ligustri o acanti"), la maniera di scrivere troppo costruita e quindi falsa.

Montale afferma la sua scelta di poesia semplice, che si muove nel mondo reale, nel mondo della quotidiana vita di periferia e di povertà; il simbolo di questa poesia umile sono gli alberi dei limoni.

In realtà la poesia di Montale più che rifiutare completamente lo stile d'annunziano, lo attraversa: Montale coglie lessico e cadenze di d'annunziana memoria contrapponendoli a un linguaggio più dimesso e discorsivo (fa cozzare l'aulico con il prosaico).

Lo scopo di Montale è svelare il mistero della natura per arrivare alla verità, all'essenza della vita.

Per perseguirlo è necessario scoprire "lo sbaglio di Natura", "l'anello spezzato" della catena che permetta all'uomo di fondersi con la realtà naturale e che gli faccia vivere una vita felice, pienamente realizzata.

Ma proprio quando la Natura sta per rivelarsi "l'illusione manca", il tentativo fallisce e l'uomo torna a percepire la sua vita come condizione di infelicità, di disarmonia , di non autenticità.




NON CHIEDERCI LA PAROLA (Ossi di seppia)


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Il poeta si rivolge direttamente al lettore, affermando di non riuscire a definire ed a esprimere esattamente il senso di disorientamento che lo affligge.

Montale prova un misto di invidia e di rimpianto nei confronti dell' "uomo che se ne va sicuro", libero dall'angoscia e dalla preoccupazione, che riesce a vivere in sintonia con se stesso e con gli altri.

Quest'uomo non si preoccupa del passato, non si guarda mai indietro (ombra); non gli importa dello "scalcinato muro" che gli impedisce di vedere la verità.

Il poeta non ha certezze da comunicare, la sua verità consiste nell'affermazione della mancanza di certezze


SPESSO IL MALE DI VIVERE (Ossi di seppia)


Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


Questa poesia è la diretta rappresentazione della condizione di infelicità e di angoscia del poeta e dell'uomo contemporaneo, del suo sentimento di disarmonia con la realtà.

Montale per descrivere tale condizione psicologica utilizza la tecnica del correlativo oggettivo, ovvero la trasposizione diretta tra sentimento interiore e oggetto.

E quindi il male di vivere, l'infelicità diventa il ruscello strozzato(che non riesce a scorrere fluidamente), la foglia che si accartoccia sotto l'arido sole, il cavallo malato che muore.

Montale afferma di non avere mai conosciuto il "prodigio" della "divina Indifferenza", il non farsi mai coinvolgere da quel senso di insoddisfazione che domina la sua vita.

Gli oggetti simbolici di questa Indifferenza sono la statua, la nuvola e il falco




CIGOLA LA CARRUCOLA NEL POZZO (Ossi di seppia)


Cigola la carrucola del pozzo,

l'acqua sale alla luce e vi si fonde.

Trema un ricordo nel ricolmo secchio,

nel puro cerchio un'immagine ride.

Accosto il volto a evanescenti labbri:

si deforma il passato, si fa vecchio,

appartiene ad un altro .


Ah che già stride

la ruota, ti ridona all'atro fondo,

visione, una distanza ci divide.


In questa poesia l'illusione di una fuga dal "male di vivere" si fonde con la memoria.

Il poeta cerca di far affiorare nella mente un ricordo, evento miracoloso che attende per giungere alla comprensione della verità della vita.

Ma anche il recupero memoriale fallisce,il ricordo svanisce e la felicità, intesa come fusione con la natura, nuovamente si allontana.

Correlativo oggettivo della mente del poeta e del ricordo sono rispettivamente la carrucola nel pozzo e l'acqua che porta in superficie.





LA CASA DEI DOGANIERI (Le occasioni)


Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.

Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.


In questa seconda raccolta di poesie Montale sviluppa ulteriormente il tema del male di vivere e dell'evento miracoloso rivelatore di felicità, ma il paesaggio perde la predominanza che aveva negli Ossi di seppia: qui predominante è il tema del tempo e le relazioni con i propri simili.

Importante è infatti anche il tema dell'amore, amore dedicato ad una ura di donna che può mostrargli il varco, ma che è assente, lontana, irraggiungibile.

Protagonista femminile della "Casa dei doganieri"  è Arletta: il poeta descrive la lontananza tra lui e la donna in quanto solo lui ricorda il luogo, la casa dei doganieri appunto, dove erano stati insieme.

Lei è cambiata, non è più quella della sera condivisa e la sensazione del poeta è di smarrimento.

Solo lui è rimasto legato al ricordo (solo il poeta tiene il capo del filo che si raggomitola).

Il tempo scorre inevitabilmente e li allontana.

Nell'orizzonte si accende una luce, che accende nel poeta la speranza di dare un senso all'esistenza. Ma il varco della salvezza e della felicità non è lì, perché la donna non ha ricordo di quella casa.

Il poeta ripiomba nel senso di smarrimento e di fallimento interiore.




Eugenio Montale

Montale è una delle massime voci della poesia mondiale di questo secolo, insignito del premio Nobel nel 1975. La sua lunghissima carriera di poeta, scrittore, critico letterario e giornalista è da anni oggetto di attenti studi che hanno prodotto una sterminata bibliografia; ciò perchè egli ha saputo dare un'originalissima interpretazione alle inquietudini dell'uomo contemporaneo, ispirandosi ai maestri del Simbolismo e del Decantendismo, ma forse ancor più a Leopardi, e rendendo al contempo estremamente attuali le loro innovazioni. Allo stesso tempo, la sua influenza sui poeti italiani successivi è stata immensa e capillare. Nato a Genova nel 1896, dove compie gli studi classici, trascorre infanzia e giovinezza tra la città natale e lo splendido paese di Monterosso, nelle Cinque Terre. Dopo la prima guerra mondiale inizia a frequentare i circoli culturali liguri e torinesi, attirando l'attenzione di noti intellettuali. Nel 1927 si trasferisce a Firenze, prima collaboratore di Bemporad e in seguito direttore del Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux, posto da cui viene allontanto nel '38 per antifascismo. Mentre la sua fama di poeta cresce, si dedica anche a traduzioni di poesie e testi teatrali, in prevalenza inglesi. Dopo la guerra si iscrive al Partito d'Azione e inizia un'intensa collaborazione con varie testate giornalistiche, tra cui il Corriere della Sera, per conto del quale compie molti viaggi e si occupa di critica musicale. Montale ha ormai raggiunto fama internazionale, come attestano le numerose traduzioni di sue poesie in svariate lingue; nel 1967 viene nominato senatore a vita e nel 1975 ottiene il Nobel per la letteratura. Muore a Milano nel 1981. La prima raccolta, intitolata Ossi di Seppia, esce nel 1925. Essa dà già la misura delle possibilità del giovane poeta e mostra la sua distanza da altri grandi poeti italiani, come Ungaretti, di poco più vecchi di lui. Tema centrale delle poesie di Ossi di seppia (titolo quanto mai allusivo di cose diverse: gli ossi di seppia come gusci vuoti, morti, che il mare riporta a riva; come nuvole di inchiostro che le seppie emettono per difendersi; come oggetti da incastrare nelle voliere perchè gli uccelli vi affilino il becco) è il male di vivere, la coscienza della sconfitta dell'uomo irrimediabilmente prigioniero di un mondo di cui gli sfuggono le premesse e le conseguenze.

E' l'angoscia, dunque, che spinge Montale a scrivere. L'angoscia e la coscienza dell'inutilità di ogni battaglia; ciò che, d'altra parte, non gli fa assumere un atteggiamento pietistico e rassegnato. La certezza della sconfitta non presuppone l'abbandono della speranza, che anzi sopravvive e si fa più evidente nel versi dedicati al mare, laddove questo è visto come termine positivo, come autentica lezione di vita. Se non è possibile trovare una risposta all'inutilità del vivere, allora è necessario conservare almeno l'aspirazione a che questo possa un giorno avvenire. Che può offrire all'uomo, allora, la poesia? Qualche storta sillaba e secca come un ramo, dice Montale. Non certo risposte, tantomeno certezze. Tutt'al più la coscienza di ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. La poesia ha valore in quanto documento di un male di vivere dalle proporzioni cosmiche. Da queste premesse scaturiscono le scelte e le intuizioni tecniche del poeta; il quale, rifuggendo ovviamente da uno stile alto e aulico, abbandona allo stesso modo l'ermetismo di Ungaretti, fatto di versi spezzati e parole accostate per il loro valore analogico. Il linguaggio di Montale mira a una 'naturalistica precisione', fa uso di tecnicismi o anche termini dialettali; il tono è discorsivo, e lascia spazio a descrizioni paesaggistiche che colgono l'ambiente ligure nella sua asprezza. Con ciò egli intende trovare una rappresentazione simbolica al dato oggettivo, ossia riuscire a evocare un'emozione attraverso la precisa descrizione di fatti e oggetti del mondo reale (come, ad esempio, nei famosi versi di Meriggiare pallido e assorto: E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia). 'L'accordo con la ruota della negazione' (Fortini), la coscienza del nulla che è l'uomo - nella sua dimensione esistenziale prima che storica - di fronte a un mondo di fatti e cose incomprensibili: sono queste le costanti, introdotte come abbiamo visto con Ossi di seppia, della poesia montaliana; che si ritrovano anche nella seconda raccolta, Le occasioni, pubblicata nel 1939. Già dal titolo questa nuova fatica permette di intuire le novità introdotte da Montale: le occasioni sono le situazioni contingenti dalle quali scatta la memoria di persone, incontri, eventi della vita passata. Dalla contemplazione dell'aspro paesaggio ligure, dunque, si passa al recupero di un vissuto personale tramite il quale le poesie si popolano di ricordi di viaggi o di volti talvolta immaginari. Ciò, tuttavia, non sposta di molto il pessimismo del poeta. Egli si sente il prodotto, l'effetto di una serie di occasioni assolutamente incontrollabili e caotiche, alle quali non è possibile dare nessuna spiegazione. L'irruzione del ricordo nella poesia provoca uno spostamento del linguaggio e dello stile in senso più ermetico; il rifiuto di ogni abbandono sentimentale e lirico, tanto più presente in quanto il poeta attinge ora alla propria storia personale, lo porta infatti 'nel chiuso cerchio di un'esperienza tutta individuale . quasi volutamente, aristocraticamente ermetica' (Manacorda). La memoria, pur sollecitata, viene tenuta sotto controllo e ridotta a 'niente più che un pretesto per tendere a metafisiche significazioni' (Guglielmino). Durante gli anni della seconda guerra mondiale Montale compone i versi raccolti ne La bufera, che secondo Fortini sono tra i più difficili (in virtù di un recupero di Mallarmé e dei simbolisti francesi). L'eco del conflitto, qui, arriva a malapena; sembra che gli orrori e le morti non possano incidere in nulla su un pessimismo esistenziale già portato alle sue estreme conseguenze. Ciò non ha mancato di deludere quanti si attendevano dal poeta un impegno civile decisamente più vistoso, dato che durante la dittatura la sua poesia era stata considerata da molti una via di scampo ai trionfalistici e retorici strombazzamenti del regime. Ma Montale non abbandona il suo cammino solitario e si arrocca anzi su posizioni, se possibile, ancora più negative nelle quali fanno però capolino accenni nuovi; soprattutto l'ironia, probabilmente legata alla sua età. Col distacco di un vecchio, infatti, Montale può ora cedere il passo ai toni sarcastici con cui stigmatizza la moderna società, imbevuta di falsi miti e chiacchiere inutili. La sua lezione morale, dunque, resta sino alla fine lucida e coerente: da un mondo di ombre e parvenze, immaginiamo, il poeta si accomiata senza rimpianto.









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