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Il pensiero leopardiano (quale emerge dalla lettura degli "Idilli")

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(quale emerge dalla lettura degli "Idilli")


Leopardi, grande poeta lirico dell'800, ovvero che attraverso le sue poesie esprime sentimenti, emozioni e stati d'animo, è conosciuto da tutti come il poeta dell'infelicità e del pessimismo. Egli non si deve considerare solo un poeta, ma soprattutto un grande pensatore, infatti egli ha elaborato una sua personale concezione della vita e del destino umano.

Le sue tesi non sono rimaste inalterate dall'inizio della sua vita alla fine, però, infatti, anche analizzando soltanto tre sue poesie, si può constatare che egli varia di opinione da momento a momento.



Ne "L'infinito" Leopardi è ancora un po'ottimista, perché secondo lui la natura rende tutti felici, ma la ragione ci rovina. Infatti la siepe che gli ostacola lo sguardo (la natura) non gli da fastidio, anzi, gli da l'occasione di lasciarsi trasportare via dalla fantasia, ma soprattutto dall'infinito.

In "A Silvia" egli ha già cambiato idea sulla natura e la descrive come "matrigna" perché inganna i suoi li e delude le ansie di felicità. La Natura, infatti, ha portato via a Silvia il dono della vita. Egli sente che il suo destino è un po' come quello di Silvia: come lei ha vissuto l'adolescenza facendo e nutrendo speranze di felicità; come lei è stato ingannato dalla vita che ha deluso tutte le sue aspettative.

Ne "Il sabato del villaggio" il pessimismo si fa più acuto e addirittura Leopardi dice che la felicità non esiste. Egli è d'accordo con l'opinione di Seneca, secondo la quale la felicità non esiste e la felicità consiste solamente nell'attesa della felicità. Il Sabato, infatti è la metafora dell'attesa.




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