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Johann Joachim Winckelmann

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Johann Joachim Winckelmann   


Nato in Prussia, nel 1717, morì a Trieste nel 1768. Di umili origini, seguì studi filo­sofici e letterari nelle Università di Halle e di Jena ed approfondì in seguito lo studio della let­teratura e dell'arte classica. Nel 1755 pubblicò i Pensieri sull'imitazione delle opere greche nel­la pittura e nella scultura, opera con la quale fissò i canoni dell'arte neoclassica.


II viaggio a Roma Grazie alla protezione del nunzio apostolico a Dresda, nel 1755 poté recarsi a Roma per studiare direttamente quei capolavori dell'arte classica di cui era en­tusiasta e in cui vedeva realizzato il suo ideale di una bellezza assoluta ed eterna, intesa come nitidezza armonica di forme e serena compostezza che supera il tumulto delle passioni. A Roma strinse amicizia con il pittore boemo Anton Raphaél Mengs, che condivi­deva il suo amore per l'arte classica e che seguì le sue teorie nella pratica pittorica. Fu al ser­vizio del cardinale Albani, mecenate e collezionista d'arte antica, e poté così studiare le grandi collezioni d'arte romane. Tra il 1757 e il 1758 visitò Ercolano e Pompei, di cui era iniziata da pochi anni la riscoperta archeologica per ordine del re Carlo III di Borbone, e si spinse fino a Paestum, dei cui monumenti sottolineò per primo l'importanza.


La storia dell'arte nell'antichità Nel 1763 pubblicò la Storia dell'arte nell'antichità, opera permeata dal pregiudizio secondo il quale ogni movimento artistico, alla stregua di un essere vivente, nasce, raggiunge il culmine e muore. Nel 1764 fu nominato sovrintendente alle antichità di Roma. Di ritorno da un viaggio in Germania e in Austria (dove era stato ricevuto con grandi onori dall'imperatrice Maria Teresa), fu pugnalato in una locanda di Trieste dall'amante Arcangeli. Fu il massimo teorico del gusto neoclassico. Le sue teorie e le sue interpretazioni dell'arte classica ebbero vasta risonanza e grande influenza sulla cultura europea tra il Settecento e l'Ottocento.



Per primo teorizzo il senso del bello paragonandolo al mare: la superficie marina è piatta e liscia ma al di sotto di essa ribollono i flutti; allo stesso modo sotto la calma grandezza e nobile semplicità del bello si animano le passioni. Il bello è dunque dominio delle passioni ed emblema di questa concezione è la statua di Apollo del Belvedere di Leocrate rappresentato dopo aver ucciso il mostro Pitone, che infestava la Focide, che domina con la sua bellezza e superiorità, sereno e felice, ma non trionfante e sfolgorante.


Winckelmann   La statua di Apollo: il mondo antico come paradiso perduto    .21


La scultura descritta è una copia in marmo del periodo adianeo (II secolo d.C.) dell'originale statua in bronzo di Leocrate che era stata fusa nel IV secolo a.C. per ricavarne armi. La ura benché molto maschile, alta snella, muscolosa, virile, è graziosa, elegante. Secondo la sua iconografia viene rappresentato come un giovane dai lunghi capelli ricciuti. Domina l'ira e tutte le passioni dall'alto della sua divinità. Nessuna immagine di Zeus è così bella e grande. La statua suggerisce oblio e adorazione, riempie di desiderio di spirito di vaticino, merita corone votive.




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