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LA GUERRA

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LA GUERRA


La guerra esiste da sempre ma oggi sta cambiando forma. E' proprio vero. La guerra è sempre stata giudicata negativamente, è sempre stata oggetto di critiche, ma è sempre stata necessaria e utile al mantenimento della pace. Le cause che innescano le guerre possono essere molteplici: cause politico-militari, cause territoriali, cause economiche, cause religiose. Si è infatti sentito parlare di guerra preventiva, guerra economica, crociate(guerre religiose), guerra civile.

Le cause politico-militari comprendono tutti i fattori che dipendono dalla necessità di un'affermazione assoluta: questa guerra ha quindi uno scopo di dimostrare la superiorità di chi la compie nei confronti degli altri potenti. Porta spesso all'ampliamento dell'esercito o viene usata addirittura, come fece Cesare, contro il proprio Senato, per tentare il colpo di Stato. Questa azione viene spesso affiancata da una "guerra dell'informazione" che grazie all'eco mediatica, presente ai giorni nostri, riesce a diffondere meglio e più rapidamente il messaggio.

Le cause territoriali sono quelle legate alla necessità di un'espansione territoriale: nell'antichità questa espansione era spesso necessaria poiché le popolazioni in crescita andavano, volenti o nolenti, a "invadere" i territori vicini, popolati da altre genti. Ciò avveniva perché le civiltà sorgevano tutte in prossimità degli stessi luoghi, spesso mari o fiumi, per sfruttare al meglio le condizioni climatiche favorevoli. Andando avanti negli anni, con la scoperta di nuovi continenti, non sono più giustificabili guerre con scopo di necessaria espansione, tuttavia, necessaria o non, l'espansione dei propri territori è sempre stata molto gradita a chiunque.



Ai giorni d'oggi le due principali responsabili delle guerre sono la causa economica e quella religiosa. Le due cause sono le due facce di una stessa medaglia: infatti la "causa religiosa" è quella che viene palesata, il lato visibile della medaglia; la "causa economica" è invece il vero retroscena delle guerre odierne. Un esempio ne è l'attacco americano all'Iraq del 1991: i costi della guerra sono stati enormi, circa quaranta miliardi di dollari (42 miliardi di euro). In realtà gli U.S.A. hanno ato solo il 25% dei costi (10 miliardi $); il resto è stato a spese dei paesi arabi, particolarmente Kuwait e Arabia Saudita (30 miliardi $). Ma da dove sono state prese queste ingenti quantità di denaro? Verrebbe da pensare: dalle tasche degli americani . . ma, strana coincidenza, il prezzo del petrolio si è triplicato e da ciò si è ricavato un guadagno di 60 miliardi $. Nei paesi arabi vigeva la legge del "fifty-fifty": metà guadagno al governo locale, metà alla multinazionale che controllava il giacimento:così sono andati 30 miliardi $ ai governi locali e altrettanti sono stati intascati dalle comnie petrolifere, che sono le "sette sorelle" americane: 5 di proprietà statale, 2 di privati. Così lo stato ha guadagnato 21 miliardi $ e 9 sono invece andati nelle tasche dei privati americani. Come se non bastasse i soldi "investiti" nella guerra sono in parte tornati al punto di partenza, in quanto l'industria bellica che ha appoggiato la guerra è quasi totalmente americana. Di fronte a così grandi cifre è lecito che il dubbio sorga: la vera ragione della guerra è stata l'esportazione della democrazia o il ricavo economico? L'altra grande problematica è quella della questione religiosa: dopo la fine del fanatismo religioso cristiano e dell'era delle crociate, è arrivato il momento del fanatismo religioso musulmano. Infatti per rispondere alla guerra "imposta" dai potenti, i paesi arabi sono stati costretti a combattere una "guerra per la paura", dove le armi principali e meno economicamente costose sono i famigerati kamikaze: questi uomini vengono "usati", dietro l'ombra di false interpretazioni del loro testo sacro, il Corano, secondo le quali è onorevole suicidarsi per la fede, per danneggiare i nemici. Quest'arma viene gestita da potenti organizzazioni che vengono combattute nascoste sotto il nome di "terrorismo". Proprio per la lotta al terrorismo negli ultimi anni si è scelta la politica della "guerra preventiva": questa guerra consiste nell'attaccare i potenziali nemici o terroristi prima che essi siano in grado di trasformare le proprie potenze in atti. La guerra preventiva non è tuttavia un fenomeno di moderna nascita; già ai suoi tempi, Cesare, nel De bello gallico, aveva presentato la propria camna di conquista delle Gallie come "guerra preventiva".

Nonostante ciò le organizzazioni terroristiche non vengono debellate perché l'attacco programmato di un singolo paese diventa troppo prevedibile e i veri responsabili non stanno a guardare: così ci vanno di mezzo i poveri civili e nessun altro. Sarebbe stato di gran lunga più utile un attacco contemporaneo di tutti i potenziali "focolai terroristici": azioni mirate e non guerre e massacri.

Oggi nelle menti della gente, così come in passato "negro" aveva il valore di "cattivo", ha valore l'equazione musulmano/arabo = terrorista.

Bisogna comunque ricordare che l'Italia, come ribadito nell'articolo 11 della costituzione, "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

La guerra è dunque ripudiata ma solo in parte così come sono consentite le "limitazioni di sovranità": pensare dunque alla fine delle guerre o ad una pace perpetua è e resterà un'utopia.

Dovremmo invece impegnarci affinché le guerre rimangano fenomeni sporadici e circoscritti per evitare grandi catastrofi che, grazie alla potenza delle armi nucleari o biologiche dell'era moderna, potrebbero assumere proporzioni enormi e sfuggire al controllo dell'umanità stessa.




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