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LA NECESSITÁ DI UN INTERVENTO O.N.U. IN IRAQ

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LA NECESSITÁ DI UN INTERVENTO O.N.U. IN IRAQ

Quanto i pacifisti temevano alla vigilia della guerra in Iraq si è purtroppo avverato, superando ogni pessimistica previsione. Infatti la guerra non è assolutamente finita con l'occupazione americana di Baghdad e l'abbattimento del regime di Saddam Hussein che soltanto di recente è stato catturato.
Il dopoguerra dell'Iraq si sta rivelando sempre più complesso da gestire e rischia di diventare un grosso ostacolo alla pace nel mondo, poiché può destabilizzare l'intera regione mediorientale che, come sappiamo, è un'area strategicamente decisiva per le immense riserve di petrolio custodite nel suo sottosuolo. E non a caso il petrolio è stata una delle ragioni di fondo che ha spinto l'amministrazione americana Bush ad attaccare l'Iraq, anche perché il motivo della presenza di armi di distruzione di massa, chimiche e batteriologiche, negli arsenali di Saddam Hussein si è rivelato del tutto infondato, nient'altro che un pretesto, ma questo già in molti lo pensavano prima della guerra. La difficile situazione che si è venuta a creare richiede un immediato intervento dell'ONU, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, allo scopo di dare all'Iraq nuovamente una stabilità, possibilmente insediando un governo democratico locale con le truppe americane che devono quanto prima lasciare il Paese. I rischi, specialmente adesso, dopo la cattura dell'ex dittatore Saddam Hussein, sono di una 'libanizzazione" dell'Iraq, cioè di una sua frammentazione in tante correnti religiose che si raccolgono intorno ai due filoni storici dei musulmani sciiti e dei musulmani sunniti in perenne guerra tra di loro, come già si è verificato prima in Somalia e poi, più di recente, in Afghanistan. Per fugare questo pericolo è necessario che l'ONU intervenga con decisione e in piena autonomia, allo scopo di ripristinare ordine e pace ed insediarvi un legittimo governo nazionale. Sarebbe anche un modo, per l'ONU, di riscattare la propria immagine offuscata dagli eventi immediatamente precedenti la guerra in Iraq. Ricordiamo che nel Consiglio di Sicurezza la maggior parte dei Paesi che ne facevano parte era contraria all'intervento armato americano, così come del resto la gran parte dell'opinione pubblica mondiale, con milioni di pacifisti scesi più volte in piazza, nelle città di tutto il mondo, per manifestare il loro dissenso. Ma l'amministrazione americana Bush, con l'appoggio della Gran Bretagna, non ha voluto ascoltare ragioni e, evitando accuratamente che il Consiglio di Sicurezza si pronunciasse, ha cominciato una guerra che rischia di creare più problemi di quanti ne avrebbe voluti risolvere. In quella circostanza l'ONU è sembrato troppo condizionato dall'unica superpotenza ormai rimasta dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Che gli Stati Uniti rivestano un ruolo di primissimo piano nel panorama politico internazionale è fuor di dubbio, ma non possono arrogarsi il diritto di decidere per tutti, soprattutto quando è in gioco il futuro dell'umanità. Si attende pertanto una decisa presa di posizione dell'ONU per quanto concerne la situazione attuale irakena che, se non gestita con saggezza, rischia di precipitare da un momento all'altro: dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, il Paese è ormai in preda al disordine, con una miriade di organizzazioni terroristiche minori, oltre ovviamente ad Al Qaeda, che diffondono morte e paura soprattutto tra la popolazione civile. A rendere ancora più problematica la situazione restano la miseria dilagante e l'incapacità del Consiglio di governo, instaurato dagli Irakeni che collaborano con le forze d'occupazione, di gestire questa fase di transizione. Encomiabile è l'impegno di circa tremila soldati italiani che operano in favore della pace in Iraq, con il compito di mantenere l'ordine pubblico e proteggere la distribuzione degli aiuti umanitari alla popolazione locale. In particolare, il contingente italiano di stanza a Nassiriya, nonostante l'attentato di cui è stato bersaglio, continua a fare il suo dovere, instaurando anche buoni rapporti con la popolazione locale che, ovviamente, non può essere considerata responsabile di quanto accaduto.







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