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L'ENEIDE



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L'ENEIDE


L'Eneide è un poema epico diviso in dodici libri scritto da Virgilio. L'opera è stata scritta con l'intenzione di celebrare Augusto e richiamare, così, il popolo romano alle sue origini, riportando alla memoria il destino di Roma. Il protagonista, dal quale prende il nome il poema, è l'eroe troiano Enea, lio di Venere e fondatore della gens Julia alla quale, peraltro, Augusto rivendicava di appartenere. Il pio Enea è chiuso e triste, assorto nel suo interminabile viaggio che a volte sembra non avere senso.

L'Eneide narra i sette di anni di pellegrinaggio dell'eroe dalla caduta di Troia alla vittoria in Italia, preludio della futura grandezza di Roma. La narrazione inizia nel momento in cui la flotta, che trasporta Enea in fuga da Troia con pochi superstiti, è costretta ad approdare faticosamente a causa di una tempesta, suscitata da Giunone, sulle coste dell'Africa, presso Cartagine. Qui vengono accolti dalla regina Didone alla quale Enea racconta la caduta di Troia, la fuga con il padre Anchise e il lio Ascanio, e la dura missione affidatagli. Didone, innamoratasi del valoroso Troiano, cerca di trattenerlo a Cartagine, finchè Giove non manda Mercurio per ricordargli la missione a lui affidata. Così Egli, senza avvertire l'innamorata regina, riprende il viaggio, ma questa, disperata, si uccide. Sbarcato in Sicilia, l'eroe celebra i giochi funebri in onore del padre; poi, a Cuma, consulta la Sibilla e con lei scende agli Inferi, dove l'ombra di Anchise gli preannuncia il destino glorioso di Roma. Giunto alle foci del Tevere, riconosce che quella è la terra destinatagli e stringe alleanza con il re del luogo, Latino, chiedendogli in sposa la lia Lavinia. Da questo nascerà il conflitto che vedrà i troiani contrapposti ai latini, guidati da Turno, re dei rutili e pretendente di Lavinia. Gli dei decidono di sospendere ogni intervento nella guerra e di lasciare libero corso al volere del fato. Il racconto finisce con il duello tra Enea e Turno e con la morte di quest''ultimo.



Virgilio al protagonista affianca la ura di Didone, regina di Cartagine, la quale era di una bellezza suadente, una donna di potere, fondatrice di una città che avrebbe per secoli conteso a Roma il primato e che i romani avrebbero sconfitto. La regina, abbandonata da Enea, soccombe per amore, soffre, gli scaglia maledizioni e si pente dei suoi errori; da Enea avrebbe desiderato un bambino, per vederlo giocare nelle stanze del palazzo, così la delusione sarebbe stata mitigata.

La storia di Didone, prima di fondare Cartagine, ha un certo parallelismo con quella di Enea. Infatti lei nasce a Tiro, dove, morto suo padre, il re , succedettero al trono i due li: Pigmaglione e Didone, che allora si chiamava Elissa. Didone aveva sposato Sicheo, uomo ricchissimo e assai potente. Ma Pigmaglione, poco disposto a dividere il potere con la sorella e geloso delle immense ricchezze accumulate dal cognato, lo fa uccidere. Didone in sogno vede il marito che le dice di fuggire informandola dei tesori nascosti. Fidandosi del marito la regine fugge con un gruppo di fedeli e con i tesori del marito Sicheo. Arrivata in Africa con la poco numerosa flotta la regina acquista dai popoli nativi un terreno ampio quanto la pelle di un bue. l'astuta Didone, fa tagliare la pelle in striscioline sottilissime che bastano a circondare tutto il terreno sul quale sorgerà la splendida e potente città di Cartagine.



Sia Didone che Enea hanno regneranno in una terra straniera. Ma, mentre Didone muore perché viene meno al patto di fedeltà giurato al defunto marito Sicheo, Enea viene premiato perché rispettoso del volere degli dei. In questo, a mio avviso vi è un'ulteriore glorificazione, da parte del poeta, dei discendenti di Enea ed una giustificazione della distruzione di Cartagine da parte dei romani.

Pur tuttavia, a livello emozionale, secondo me, il personaggio di Didone non è sgradevole, commuove molto e la sua disperazione è indimenticabile e colpisce dritto al cuore.






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