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L'INFERNO, I CANTO

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L'INFERNO


È costante nei dannati il ricordo della loro vita e ciò getta anche nei più abietti una luce di umanità. È in tutti un motivo patetico, un oggetto di rimpianto, il segno che con il pensiero essi vivono ancora nel mondo che hanno lasciato. Tutti sono ancora attaccati al giudizio del mondo e desiderano di esservi ricordati o scagionati.

Alle anime del "Purgatorio", invece, il giudizio del mondo non duole: esse sono già avviate verso il Paradiso, e dai viventi non aspettano che preghiere che le avvicinino alla meta. Nel "Paradiso" il mondo è dimenticato del tutto.

Nell' "Inferno"  l'orizzonte è sempre tenebroso, le pene sono angosciose, l'umore dei dannati sempre scuro con riverberi del dolore e della miseria terrena. Tutti i dannati sono tormentati dal confronto fra la vita di una volta e quella di ora e da questo confronto si genera la tristezza: tutti hanno una storia malinconica da raccontare e dalla malinconia di queste storie individuali nasce la maggiore ricchezza poetica dell'"Inferno", il quale è la storia inesauribile della miseria umana, delle debolezze umane, con tanti personaggi tristi.






I CANTO


Il verso con cui si apre l' "Inferno" e la "Divina Commedia" emerge da una memoria percorsa da echi biblici e profetici ( Isaia, Salmo 89 ) che evocano un'atmosfera solenne in cui il discorso acquista dignità liturgica, il sigillo sacro di un annuncio misterioso.

La PROFEZIA attraversa tutto il poema, ne agita le ine, ma c'è una data, relativa all'anno 1300, che pone subito una prospettiva concreta, quella della condizione umana, del nostro esistere, del nostro "andare" che è come un viaggio.

La dimensione del tempo umano domina la fantasia di Dante che dovrà muoversi per gli abissi dell'eterno, non dimenticando mai le passioni e le vicende del nostro sentiero.

Nel secondo verso, dalla condizione umana universale, si passa ad una condizione di esperienza personale; e dalla dimensione temporale, si passa ad una dimensione spaziale. Col verbo riflessivo di prima persona, che dà inizio al verso, l'IO dantesco entra decisamente in azione come protagonista drammatico del poema (come una "Danteide"). C'è un fulmineo passaggio dalla "nostra vita"  al "mi ritrovai", per il quale il discorso si carica di vita vissuta e pone una relazione nobilissima fra un uomo e l'umanità, fra destino del singolo e destino di tutti. Il ritrovarsi di Dante nella selva, in una falsa direzione, segna uno spazio fisico e metafisico insieme, un luogo che è del corpo e dell'anima. Fin dalla prima terzina siamo di fronte alla poesia dell'io e dell'umanità, del concreto e del simbolico, del sacro e del profano.

La terzina successiva è impostata su un'interiezione e sfuma in un sospiro dolente per la rievocazione della memoria (e sulla ina) della "selva oscura". I tre aggettivi: "esta selva selvaggia e aspra e forte", rendono viva l'immagine.

Il verso 16: "guardai in alto", rappresenta il momento risolutivo del dramma di Dante. Da questo punto, agli oggetti della paura di Dante (la selva e la via smarrita), si sostituiscono gli oggetti della speranza: un colle e un cielo illuminati dal sole. Si delineano così i tre regni che il poeta si accinge a contemplare: l'Inferno = la selva, Il Purgatorio = il colle, e il Paradiso = il cielo. Il paesaggio e il dramma danno vita al tema del viaggio, al "romanzo itinerale", in cui si manifesterà la poesia delle prime due cantiche. Un viaggio con una fenomenologia oggettiva = di cose viste, e soggettiva = di azioni compiute e di sentimenti sofferti, con la registrazione, prima, di una vicenda interiore, cioè la paura acquietata, la fuga ideale, la contemplazione del passato pericolo, poi, di un agire esterno, cioè il riposo del corpo stanco e la salita del pendìo, e, infine, di un'oggettiva apparizione, cioè la lonza (verso 32).

Con l'affacciarsi della lonza alla vista di Dante inizia il secondo atto dei tre in cui potrebbe essere divisa la tragedia di questo canto d'introduzione; il terzo atto vedrà in scena Virgilio.

Tre fiere si succedono spirando una vitalità eccezionale. Dante nella "Commedia" descrive poeticamente tantissimi animali: il cane vorace, il toro furioso, il cavallo veloce, lo scorpione, i serpenti, ma anche le pecorelle, le capre, gli stormi, le gru, le colombe, il falcone, l'allodola. Dante ci presenta animali vivi e in movimento con ritratti dinamici. La LONZA è tutta balzante leggerezza e morbida agilità e sferzante eleganza. C'è come l'inquietudine di un felino pronto a lanciarsi, come l'attrazione sottile del suo mantello variegato e della sua sagoma flessuosa. Il LEONE invece ha qualcosa di statuario, un'imponenza monumentale (verso 45) , una ura tutta impeto, tanto che la stessa atmosfera sembra tremare. La LUPA (v. 49) ha un profilo nervoso, la "bestia senza pace" (v. 58). Il movimento si presenta così nei tre animali in un crescendo sempre più intenso. La lonza resta immobile ma è pronta al balzo, il leone sembra andare incontro al poeta, la lupa invece avanza passo passo contro di lui (versi 59-60) . L'intervento delle tre fiere porta la tragedia di Dante alla sua massima tensione (spannung). Alla dinamica degli animali corrisponde la dinamica intima ed esterna del personaggio Dante, che si sviluppa, anch'essa, in un crescendo. Prima, di fronte alla lonza, si delinea il proposito di ritornare (v. 36), tralasciato per un rinascere di speranza (v. 41). Poi, di fronte al leone, domina assoluta la paura. Infine, davanti alla lupa, aggiunta paura a paura, e perduta ogni speranza, si verifica l'arretrare (v. 60), un precipitare (v. 61).

Nei versi 60-61, alla vicenda di Dante si accomna una vicenda di luce e si afferma una "misura verticale". All'apparire della prima fiera e al primo istintivo proposito di fuga, subito deposto di Dante, a destare la sua speranza era stata la luce del sole (versi 37-38) del mattino, dell'alba, presentimento quasi di paradiso terrestre. A questo tempo e spazio si contrappone, al termine dell'episodio delle tre fiere, lo spazio buio dell'assenza del sole (v. 60), sempre nella "misura verticale" dello spazio, verso il basso (v. 61).

L'apparizione di Virgilio segna l'inizio del terzo atto del dramma. Fin qui c'è stata pura azione. Nessuna parola si è udita o è stata pronunciata. Dante ha visto, ha sofferto, ha agito. Con Virgilio egli dirà le prime parole, anzi le griderà in un'implorazione (v. 65) e così comincia il colloquio che finirà con la fine del canto.


Dante, homo viator della tradizione cristiana, la sua meta è Dio.

Quell'uomo smarrito può essere ogni uomo.

Tutta la "Commedia" tende ad un rinnovamento della "humana civilitas"  nella pace e nella giustizia, con la sconfitta della cupidigia = la lupa, e il ristabilirsi delle umane virtù. Rinnovamento morale e politico.



Studiare anche dal libro di letteratura : . 265, . 286-287, . 274-275 , tutto ciò che riguarda il canto primo dell' "Inferno" + lettura, parafrasi, riflessione e interpretazione dei primi 78 versi del I canto.



Buon lavoro!!!!!







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