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La morte di Papa Giovanni Paolo II

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La morte di Papa Giovanni Paolo II


In tanti abbiamo seguito con apprensiva partecipazione l'agonia del papa.
Da ventisette anni alla guida della Chiesa, ferito gravemente in un feroce attentato, minato nel fisico possente da una lunga sequela di malattie, papa Wojtyla si era guadagnato la simpatia di molti, anche nella cerchia dei non credenti.

Conservatore, ma nello stesso tempo aperto alle novità nel campo della comunicazione e dell'informazione, - soltanto pochi mesi prima di morire tessé l'elogio di Internet e delle sue potenzialità -, il papa polacco ha attraversato il Novecento da protagonista.

Si è opposto, nei fatti e con efficacia e concretezza, ai totalitarismi, nazifascismo e comunismo, ha lottato contro le storture e le ingiustizie indotte dal capitalismo e dalla globalizzazione, ha predicato un cattolicesimo ortodosso e rigoroso, alieno dal lassismo contemporaneo.

Ha contribuito a mantenere solide l'autorità e l'immagine della Chiesa, conservando la schiena diritta anche nei confronti della prima potenza economica e militare del mondo, gli Stati Uniti, di cui ha stigmatizzato l'intervento in Iraq.

Uomo del dialogo, ha sempre dato l'impressione che quello che diceva fosse il prodotto di un indefesso lavorio interiore, di un sofferto tentativo di conciliazione fra istanze diverse, di una meditata e travagliata sintesi fra vecchio e nuovo.

Ha manifestato apertura verso le altre religioni e ha avuto la forza e il coraggio di riconoscere, scusandosi, gli errori e le colpe che la Chiesa ha compiuto nei secoli passati.

Sportivo, operaio, scrittore, infaticabile viaggiatore, provinciale e cosmopolita allo stesso tempo, Wojtyla ha saputo conquistarsi la simpatia e la fiducia dei giovani che continuano a riconoscere in lui un modello morale ed esistenziale da ammirare e imitare.



Tuttavia tutto ciò spiega soltanto in parte la viva ondata di cordoglio che ha accomnato la morte di un papa, pur popolare come Giovanni Paolo II.

Qualcuno ha criticato l'operato dei mass media, la spettacolarizzazione e il cattivo gusto di tante dirette televisive. Ma i giornalisti fanno il loro mestiere, stanno sulle notizie che interessano il pubblico.

Soprattutto la grancassa dei mezzi di comunicazione non ha impedito in tutti noi, durante la lenta agonia, l'emergere di un autentico sentimento del sacro e della trascendenza. I valori materiali dell'esistenza, così dominanti nella nostra epoca, sono stati, almeno per qualche istante, accantonati, in quelle ore drammatiche, per lasciar posto ai grandi interrogativi circa il significato della nostra esistenza, di cui la morte rappresenta la terrena, inevitabile conclusione.

La morte, così respinta dalla società contemporanea, allontanata da pubblicità e intrattenimento, negata dai consumi e dal divertimento, soffocata e confinata nelle corsie d'ospedale, è così diventata, per alcuni giorni, lo sfondo dei nostri pensieri.
Quella morte che è l'origine e il motivo di tutta la filosofia occidentale, il fondamento della nostra cultura.

Davvero aleggiava, nei giorni dell'agonia del papa, malgrado il chiasso massmediatico, un benefico clima di raccolta spiritualità a testimonianza dell'insopprimibile bisogno dell'uomo di conferire alla propria esistenza un significato che trascenda la mera, grezza materialità.

Non è infondata  la speranza che la morte del papa abbia costituito l'occasione, per credenti e non credenti, di apprendere che non si muore mai veramente e che fra vivi e morti continua nei secoli un fecondo, ininterrotto dialogo e una silente, interiore solidarietà. Tutti, vivi e morti, partecipiamo del medesimo mistero della nostra tragica, fragile esistenza.





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