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L'ideologia letteraria e filosofica

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L'ideologia letteraria e filosofica

Il segno della vivacità degli interessi del Leopardi è dato anzitutto dalla viva partecipazione alle polemiche ed alle discussioni letterarie del suo tempo: una parte­cipazione che ebbe sempre l'impronta della originalità e non si lasciò mai influenzare da una conformistica accettazione delle mode di attualità.

Egli intervenne nella polemica tra classici e romantici già nel 1816, con una lettera alla Biblioteca italiana in risposta all'articolo di M.me de Staél (che non fu pubblica­ta) in cui sosteneva ingenuamente le ragioni del classicismo; ben più personale e vali­do fu invece uno scritto del 1818, il Discorso di un Italiano sulla poesia romantica, in cui è già affermata quella concezione della poesia alla quale rimase fedele negli anni seguenti. Per il Leopardi non è possibile nel mondo moderno una poesia di immaginazione quale quella degli antichi, non è possibile cioè ideare situazioni fantastiche che si risolvono in forme narrative e oggettive, com'era per l'epica e la dram­matica dei classici: l'unica forma di poetare consentita all'uomo moderno è la poesia di sentimento, quella cioè in cui l'uomo indaga sul suo cuore ed analizza la realtà della sua condizione di fronte alla società ed alla natura.



Così intesa, la poesia è anzitutto espressione di stati d'animo indeterminati e linguag­gio dell'arcano, si rivolge a particolari contenuti quali il senso dell'infinito e la dol­cezza del rimembrare, soprattutto si avvale di un tipo di espressione decisamente antiprosastica che ha nella vaghezza musicale la sua caratteristica principale; ed infat­ti ad un certo punto è con l'intenzione di sottolineare questo carattere che il poeta da il titolo di Canti all'edizione delle sue liriche nel 1831. La poesia diviene così un momento essenziale della propria vita spirituale, è confessione ed indagine nello stes­so tempo, e soprattutto voce personale ed autobiografica, anche se nello svolgimento della sua attività letteraria il Leopardi tenderà sempre più ad analizzare ed esprimere i suoi sentimenti e le sue esperienze come simbolo e voce dell'universale condizione umana. Non meraviglia comunque che, partendo da questa premessa, egli si oppones­se decisamente alla scuola romantica italiana: dei romantici infatti egli rifiuta i conte­nuti storici, le esigenze di popolarità, l'intenzione di proanda patriottica, la fede in una missione morale ed educatrice dell'arte. Per questo egli fu poco conosciuto o misconosciuto al suo tempo da quegli stessi ambienti letterari che si riconoscevano invece nel Manzoni come in un maestro ed in una guida.

Accanto all'ideologia letteraria anche l'atteggiamento filosofico contribuì ad isolare il Leopardi all'interno del suo tempo. Egli ebbe infatti una formazione di pensiero strutturata sui testi che gli offriva la biblioteca paterna, ricca oltre che di autori clas­sici anche di opere di pensatori illuministi: ben presto aderì alla concezione sensista della realtà e la venne svolgendo con un'interpretazione che via via accentuò la coscienza della piccolezza e fragilità della condizione umana nell'eterno svolgersi delle leggi meccaniche della vita della materia universale.

Se questo è l'atteggiamento fondamentale, in una fase che corrisponde all'incirca al decennio 1820-l830 si risente nelle sue opinioni soprattutto l'influenza del pensiero del Rousseau e del Vico attraverso l'affermazione di un contrasto dialettico tra natu­ra e ragione che la critica del secondo Ottocento definì un po' scolasticamente come « pessimismo storico »; l'uomo fu felice finché visse secondo natura, fonte prima del­le dilettose illusioni, si creò della vita un'immagine bella e grande e seppe vivere per realizzarla. Ma accanto all'immaginazione l'uomo venne a poco a poco sviluppando la propria razionalità, che lo portò ad indagare ed a scoprire sempre più la realtà della propria condizione e quella del mondo in cui viveva, fino ad acquistare una chiara coscienza della vanità delle illusioni di grandezza e di felicità in un mondo dominato da leggi meccaniche immutabili. L'umanità antica fu quindi grande e felice perché visse secondo le illusioni e credette nella realtà del piacere e della gloria, l'umanità moderna è mediocre ed infelice perché vive secondo ragione ed ha la co­scienza della propria infelicità; e questo fatale decadere della realtà della condizione umana si rinnova nell'esperienza di ogni singolo individuo: l'adolescenza è l'età delle felici immaginazioni, la maturità rappresenta la scoperta dell'arido vero e dell'infe­licità.

Lungi dal rivolgersi ad una sorta di elegiaco vagheggiamento della felicità perduta, la meditazione del Leopardi (ed è questo un altro segno della sua esigenza di aderire costantemente alla realtà del suo mondo e di inserirvisi attivamente) venne sempre più approfondendo l'analisi della condizione della vita dominata ormai dalla ragione e dalla consapevolezza. Contemporaneamente a queste opinioni che si risolvono sostan­zialmente in una condanna della ragione ed in una affermazione della necessità degli affetti e delle illusioni, troviamo già in questo stesso periodo, in parecchie Operette morali (basta pensare al Dialogo della natura e di un islandese) e nei pensieri dello Zibaldone altri atteggiamenti più direttamente collegati alla posizione sensista, che già presentano quello che si suoi definire il « pessimismo cosmico » del poeta che andò sempre più affermandosi nella fase conclusiva del suo pensiero. La vita della I   Natura si attua secondo leggi eterne ed immutabili che non tengono conto della realtà dei singoli esseri; il ciclo di perenne trasformazione della materia travolge l'uomo come ogni altro essere in un destino di sofferenza e di morte cui nulla può opporsi, e che condanna al dolore ogni forma di vita, non solo l'uomo; il dolore è dunque l'unica realtà per tutti gli esseri, anzitutto perché esistere significa lottare per sopravvivere in una lotta fatalmente perduta perché condizionata dalle inevitabili scadenze biologi­che della trasformazione, della decadenza, della morte.

Nell'uomo, che ha una consapevolezza razionale di questa sua condizione, il senso della propria incapacità a capire e spiegare l'esistenza genera l'insofferenza, come coscienza frustrante della propria vanità ma anche come segno della propria nobiltà spirituale: « la noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani ». E infatti il Leo­pardi, man mano che chiarisce ed approfondisce questa sua concezione, viene sempre più svolgendo una polemica aspramente ironica contro gli aspetti più ottimi­stici della cultura spiritualistica del suo tempo, che tendeva a celebrare la pos­sibilità dell'uomo di realizzare la propria felicità attraverso l'esaltazione dei valori dello spirito e della sua capacità di realizzarsi positivamente nella storia. Per il Leopardi l'unica dignità dell'uomo sta nella capacità di leggere fino in fondo, senza tremare, nella vanità del proprio destino rifuggendo da ogni illusione consolatoria, quali possono essere l'idea della libertà, della patria, del premio ultraterreno: egli, che ha avuto questo coraggio, che si è separato infine da ogni illusione per credere solo nell'eternità e grandezza del Nulla, si sente non il più debole e malato ma il più grande e coraggioso tra tutti gli uomini: e solo quando tutti avranno come lui preso coscienza della vanità della propria condizione l'umanità, liberata infine dalle illusio­ni mistificatrici, saprà trovare la forza di superare ogni discordia per stringersi in un'unione fraterna contro la malignità della Natura.

Così, se in una prima fase il Leopardi aveva visto nella ragione la nemica dell'uomo e la causa vera del dolore umano, ora conclude salutando nella ragione la liberatrice dell'uomo dai falsi miti per rivendicare fino in fondo la realtà del suo destino: ed anche la poesia, che nella fase precedente si era essenzialmente sviluppata come lin­guaggio del sentimento e delle emozioni indefinite, viene negli ultimi anni assumen­do, nei concetti e nell'espressione, una lucida, spietata, implacabile chiarezza di argomentazioni e diviene, a sua maniera, un messaggio.




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