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Machiavelli - La vita (Firenze 1469 - 1527), Il pensiero politico, "Fortuna" e "virtù" negli eventi umani

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Machiavelli


La vita (Firenze 1469 - 1527)

Di famiglia antica ma di modeste fortune, dopo una buona formazione umanistica entra al servizio della repubblica fiorentina come segretario di cancelleria. L'esperienza diretta acquisita in questo modo starà anche alla base della sua successiva riflessione teorica e storica; allorché,  in seguito alla caduta della repubblica (1512), egli verrà escluso dalla vita pubblica. Costretto al ritiro in camna compone Il Principe, I Discorsi, Dell'arte della guerra, opere minori e La Mandragola. Dal 1520 riprende, in forme modeste, l'attività pubblica al servizio dei Medici, e per ciò verrà tenuto da parte al momento della restaurazione della repubblica a Firenze (1527). Quattro anni dopo escono, postumi, Il Principe e I Discorsi, le opere di maggior rilevanza teorica di Machiavelli, dedicate l'una ai problemi dei principati, l'altra a quelli delle repubbliche.


Il pensiero politico

Al centro di tutti i suoi interessi c'è il problema politico: come possa costituirsi saldamente uno stato nuovo e, una volta costituito, come possa conservarsi.  Per la durata di uno Stato Machiavelli pensa che siano rilevanti soprattutto le qualità (virtù) del popolo, per l'instaurazione dello Stato le virtù del singolo. La "virtù" machiavelliana non ha più nulla della omonima nozione cristiana: non solo perché questa è politica anziché individuale, riguarda il cittadino anziché la sua anima, ha per scopo la patria terrena e non quella celeste, ma anche perché è intesa nel senso antico, come capacità e forza, e può qualificare anche comportamenti che altrimenti sarebbero condannati dall'etica cristiana. Questa spregiudicata concezione dell'agire politico è esposta particolarmente in riferimento di chi vuole fondare uno stato nuovo: per avere prospettive di successo egli deve impiegare la sua forza e la sua abilità senza lasciarsi intralciare da scrupoli morali, fino ad usare la crudeltà e la frode, per i propri fini, contro chi si oppone al proprio disegno o anche solo contro chi si trova in contrasto con esso. La religione stessa è considerata quale strumento di potere, fa parte dell'abilità di un principe farsi credere privilegiato dalla divinità, o comunque quale strumento di coesione e ordine sociale, poiché la sanzione religiosa favorisce l'osservanza di patti e impegni giurati all'interno di un popolo, diminuendo le contese fra i privati.




"Fortuna" e "virtù" negli eventi umani

A fondamento di questa concezione c'è il programma metodologico nitidamente esposto da Machiavelli: una concezione dell'uomo e della politica che sia il più possibile realistica, rivolta solo alla "verità effettuale", di contro ai miti e alle utopie, caratteristici della tradizione filosofica e teologica. Infatti tutta la storia degli uomini, grande maestra di vita, dimostra che l'uomo rimane sempre lo stesso, sostanzialmente, nelle diverse epoche e sotto i vari regimi politici, che non c'è modo di estirpare dal cuore dell'uomo le passioni che vi albergano naturalmente; e fra esse non sono certo le meno forti quelle che portano ai conflitti e alla competizione, come l'avidità, l'ambizione e il desiderio di potere. Relativamente alle vicende politiche Machiavelli accenna ad adottare lo schema ciclico teorizzato da Polibio, le tre forme di governo che si succedono ciclicamente all'infinito, ma vi apporta un'importante correzione, sostenendo che tale processo non è inevitabile, poiché può venire efficacemente contrastato dalle virtù del popolo e dei suoi magistrati, come è avvenuto tante volte nell'antica Roma, attraverso una sorta di ritorno alle origini, cioè di restaurazione delle condizioni che primitivamente costituirono la forza dello Stato. Questa posizione s'inquadra nel problema del rapporto tra "virtù" e "fortuna" negli eventi umani. Il termine "fortuna" denota le condizioni di fatto, sulle quali non può nulla la scelta e la volontà degli uomini; ma, se c'è un compito che Machiavelli considera proprio dell'uomo, è quello di non attendersi nulla dagli eventi, adagiandosi passivamente alla speranza, bensì di intervenire attivamente in essi, per dominarli e guidarli il più possibile. Talvolta Machiavelli dice che si può stimare che la fortuna domini per metà le vicende umane; talora sembra invece assegnare alla virtù possibilità ben maggiori, di contro alla fortuna; in ogni caso egli pensa che, se l'agire umano non è mai incondizionato e perciò la scelta è sempre limitata, tuttavia l'intervento attivo negli eventi, da parte dell'uomo, non è votato al fallimento necessariamente, per natura: le probabilità di successo dipendono comunque dalle virtù di chi agisce e dalla capacità di questo di cogliere "l'occasione" giusta per agire.


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