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PERSONAGGI STORICI RINTRACCIABILI NEL ROMANZO - FATTI STORICI RIEVOCATI DAL ROMANZO



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PERSONAGGI STORICI RINTRACCIABILI NEL ROMANZO

1) Il cardinale Federigo Borromeo;

2) l'Innominato, in cui rivive Bernardino Visconti;

3) Gertrude, ovvero Marianna de Leyda;

4) padre Cristoforo, al quale corrisponde, in parte, Lodovico Picenardi di Cremona;

5) gli uomini di governo.



FATTI STORICI RIEVOCATI DAL ROMANZO

1) La carestia del 1628;

2) la sommossa milanese del novembre 1628;

3) la conversione di Bernardino Visconti;

4) il passaggio dell'esercito imperiale (Lanzichenecchi) per recarsi all'assedio di Mantova;

5) la guerra di successione per Mantova e il Monferrato;

6) la peste del 1630 a Milano e in Italia.



Storia di una corruzione





La storia della monaca di Monza fu sempre giustamente lodata come una delle parti più belle de I Promessi Sposi; aggiungiamo che, non a caso, è la storia di una lunga e tortuosa corruzione, ossia della trasformazione di un personaggio innocente in malvagio, seguita passo passo con una mirabile capacità realistica e inventiva che si cercherebbe invano nelle descrizioni delle conversioni ossia delle trasformazioni dei personaggi malvagi in buoni. Dell'infanzia dell'Innominato, tanto per fare un solo esempio, non sappiamo niente; Gertrude invece ci viene presentata quando, addirittura, sta «ancora nascosta nel ventre di sua madre» La progressiva metamorfosi dell'innocente bambina prima in disperata bugiarda, poi in monaca fedifraga, quindi in adultera e infine in criminale, è quanto di più forte sia stato scritto sull'argomento della corruzione. Si confronti la storia di Gertrude con quella analoga della Religeuse di Diderot e si avrà l'impressione di paragonare un pozzo profondo di acqua nera e immobile a un liquido e veloce ruscello. E questo perché mentre Diderot conosce le cause della corruzione e ce le addita, Manzoni, come nel caso di don Abbondio, preferisce tacerle. Per Diderot la catarsi è fuori del romanzo, di fatto nella Rivoluzione imminente che lo scrittore pare annunziare in ogni riga; per il Manzoni, conservatore e cattolico, non c'è catarsi se non estetica, la quale infatti è notevolissima; ma le catarsi soltanto estetiche sono proprie del decadentismo. Perfino la corruzione del regno di Danimarca trova una sua pratica purificazione nello squillo delle trombe che, dopo il sanguinoso convito, annunziano l'arrivo di Fortebraccio. Ma la corruzione di Gertrude è una corruzione « bella »; ossia una corruzione misteriosa, oscura, senza cause e, si direbbe, senza effetti: nata da una fatalità ambiguamente storica e sociale, essa si perde nel silenzio e nell'ombra della Chiesa.


Ad ogni modo, il Manzoni decadente qui è al colmo della sua potenza. La storia di Gertrude non ha mai un momento di astrazione, mai cade nell'affermato e non dimostrato, nel detto e non rappresentato, come avviene per la storia dell'Innominato. È invece un seguito serrato e incalzante di immagini, di cose, di oggetti, di situazioni, di personaggi. E il Manzoni non si limita a fare lo storico imparziale, come quando riassume in poche ine la criminale carriera dell'Innominato; al contrario stabilisce fin dall'inizio un suo forte e soggettivo rapporto con la ura di Gertrude; rapporto fatto al tempo stesso di accorata pietà e di raffinata crudeltà.



L'episodio della Monaca di Monza è di sorprendente ampiezza, e, quel che più conta, risulta perfettamente conchiuso, come un piccolo romanzo autonomo nel vasto corpo della narrazione. La sua storia, per quanto s'innesti organicamente nel tessuto del romanzo e ne confermi la genesi etico-sociale, ha nondimeno un trattamento psicologico assai distinto, che si potrebbe definire atipico. Anzitutto appare sostanzialmente mutato il rapporto consueto fra l'autore e il suo personaggio. Rispetto a tutti gli altri protagonisti il Manzoni si suole porre in una condizione dialettica. Di solito egli avverte di collaborare con la realtà, con il destino, con i segreti disegni della Provvidenza. Ciascuno dei suoi attori è gradualmente riguadagnato alla sfera della ragione dal fondo della biografia psicologica. È questo processo intrinseco della coscienza che consente alla scrittura manzoniana di accogliere una sensibilità passionale e romantica per catalizzarla nell'ordine razionale. All'incontro, nel dipanare il groviglio morale di Gertrude lo scrittore si sente interdetto e allarmato. Non dispone più della collaborazione provvidenziale, né questa volta lo soccorre la costante parabola del suo ingegno, che di solito gli fa acquistare alla responsabilità etica le zone inconsulte o ignare dell'esperienza. Con la Monaca di Monza il margine recondito della psicologia si allarga sempre di più, e tutte le volte che lo scrittore cerca di portarla sul piano dell'analisi e della consapevolezza, scopre le inesplicabili ombre del suo sottofondo patologico.




[] Il narratore non riesce a superare la perplessità dell'uomo sano che si arrischia di sondare le regioni malate della vita. Più che un'esitazione egli avverte la oscura minaccia del contagio morale. Perché anche il male, non appena si anatomizza, comincia ad ottenere un margine di giustificazione, o per lo meno beneficia delle attenuanti che la vita e la società finiscono sempre per concedergli. L'analisi stessa porta al realismo, vale a dire ad una disposizione comprensiva verso


la realtà e l'esperienza. Nei riguardi, ad esempio, di don Rodrigo il Manzoni è reciso, il suo giudizio è netto; ma rispetto a Gertrude egli diventa cauto, si direbbe circospetto. Sente di maneggiare sostanze venefiche. Ne deriva un'elaborazione stilistica d'impareggiabile delicatezza. Neanche la conversione dell'Innominato, che è il tratto più difficoltoso di tutto il romanzo, gli è costata tanta attenzione e scrupolo. Il tratteggio ch'egli fa della Monaca di Monza è di una consapevolezza così tesa che pare debba spezzarsi ad ogni istante. Da un rigo all'altro il Manzoni guadagna alla luce dell'espressione un lembo di vita maledetta. Per questo la Monaca di Monza è il personaggio più moderno dei Promessi Sposi. I protagonisti che la narrativa dell'Otto e Novecento è venuta allineando nella nostra letteratura, non hanno, tutti insieme, la profondità ermetica che possiede la creatura manzoniana, o per lo meno, nessuno di loro lascia quel segreto sgomento che comunica Gertrude. Il Manzoni è riuscito a renderla patentissima pur lasciandola avvolta in una insondabile segretezza. Questa duplice qualità stilistica - l'evidenza e il mistero - costituisce il pregio inimitabile della scrittura manzoniana. Ogni particolare che lo scrittore sollecita per chiarire la condizione morale di Gertrude, finisce col darle un più esteso alone d'ombra. Le ine del « ritratto », relativamente poche, sono come una quintessenza, di cui continuano a rimanere ignoti gli elementi che la costituiscono, e che in seguito lo scrittore penserà di sciogliere e riannodare nella più vistosa prospettiva storica e sociale.


Ma più che cause determinanti, tutte le condizioni oggettive che lo scrittore avrà cura di analizzare, si possono considerare concomitanti come altrettante concause. Per uno scrittore di educazione etica e religiosa come il Manzoni, che non poteva concepire il mondo degli uomini se non edificato sul principio della responsabilità, anche l'esistenza abietta di Gertrude trovava le ragioni più reali, e perciò più liricamente personali, all'interno della coscienza. E tuttavia è anche vero che per la prima volta nella nostra letteratura il senso del male del peccato risulta radicato nel sangue e nel costume come in un suolo di formazione millenaria e la società sono chiamate ad una precisa corresponsabilità. In questa prospettiva il destino della Signora di Monza si pone a massimo esponente della struttura di tutto il romanzo.








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