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Saggio breve - La fede laica



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Saggio breve - La fede laica


Destinazione editoriale: giornalino scolastico


Nel discorso, tenutosi a Ratisbona il 12 settembre, Papa Benedetto XVI si è espresso sul rapporto tra ragione e fede, arrivando alla conclusione che esse devono collaborare e che la ragione è sorda di fronte al Divino e incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. Il Pontefice ha inoltre richiesto l'inserimento di teologia tra le materie universitarie, in quanto essa va intesa come interrogativo sulla ragione della fede, cioè la ragione applicata alla fede. Egli afferma che se la fede si unisce alla ragione e se questa ultima si libera dal limite di credere solo a ciò che è dimostrato dall'esperimento allora si avrà un mondo nuovo nel quale non vi sarà più un uso distorto delle conquiste scientifiche,  perché esse saranno dettate dalla fede.

Il rapporto tra ragione e fede è dibattuto fin dai tempi di S. Paolo, che precede l'epoca detta della filosofia religiosa o medievale. Durante questo periodo la ragione è totalmente assoggettata al cattolicesimo, tanto da essere definita da S. Tommaso "ancella della fede". Egli riteneva infatti che la ragione senza la fede non fosse nulla. Durante questo periodo la filosofia subisce una battuta d'arresto e la scienza pressoché se.

Si ritornerà ad una filosofia indipendente verso la fine del medioevo, quando dei pensatori, appartenenti all'ordine dei Francescani giungono alla conclusione che è possibile arrivare alla verità del cattolicesimo solo tramite la rivelazione e non per mezzo della ragione. Questo porta alla formazione di due ambiti distinti e paralleli. Il primo è quello della fede che dovrà occuparsi degli oggetti intangibili con un approccio di totale fiducia e abbandono; l'altro è quello della ragione rivolta agli oggetti tangibili che approfondirà la ricerca su base empirica. Se da una parte ciò permette alla filosofia di tornare ad occuparsi di argomenti come la politica, la natura e l'astrologia, dall'altra viene a crearsi  una assoluta mancanza di dialogo tra ragione e fede che sfocerà poi nel conflitto. La cui scintilla si può far risalire alla teoria eliocentrica di Copernico che rivoluzionò non solo l'astronomia ma tutta la scienza, in quanto si oppose alla concezione tolemaica adottata dalla Chiesa che vedeva la Terra al centro dell'Universo. Per la Chiesa mettere in discussione tale sistema equivaleva ad essere bollati come eretici. Ciò non toccò a Copernico perché morì poco dopo la pubblicazione della sua opera, se ne fecero invece promotori e divulgatori Giordano Bruno e Galileo Galilei.



Effettivamente, chi irrompe nel quadro culturale dominante del XVI secolo come un fulmine a ciel sereno, è appunto Giordano Bruno che, pur partendo da presupposti di natura filosofico-metafisica, quindi di carattere pre-scientifico, aprirà nuovi e rivoluzionari scenari nel campo dell' astronomia.  

Bruno assegna all'innata tensione umana verso l'infinito non un carattere religioso, nel senso tradizionale del termine, quanto una motivazione di carattere metafisico, cioè il naturale desiderio dell'uomo (che è un essere finito ma che ha in sé una parte di natura infinita) di ricongiungersi all'Infinito globale che si esprime e si manifesta nella Natura. Da qui la definizione che egli dà dell'uomo: un essere 'finitamente infinito'. L'essere umano infatti è 'finito' per estensione fisica e per la durata dell' esistenza ma è anche 'infinito' in quanto, pur nella sua finitezza, egli ha dentro di sé una natura infinita, responsabile della sua perenne tensione verso l'Illimitato. Giordano Bruno, quindi, trasferisce l'innata tensione dell'uomo verso l'infinito, dalla tradizionale concezione cristiana, a un piano naturalistico-immanente. In quanto l'uomo non ricerca l'infinito perché attratto da Dio, ma perché egli vuole ricongiungere la parte di infinito che è dentro di sé con l'infinito totale, che non è trascendente ma immanente, cioè dentro il mondo sensibile, che per Bruno è comunque dotato di anima sensitiva e intellettiva. Pertanto, Dio, che si identifica con la Natura, si manifesta nel Finito, e il Finito si manifesta nell'Infinito, essendo parte integrante del Tutto; cioè l'uomo si manifesta in Dio. Il filosofo fonda questa concezione sul presupposto che se la causa dell' origine dell'universo, quindi Dio, ha una natura infinita, deve essere infinito anche l'effetto (il Creato). Possiamo quindi dire che Giordano Bruno è il primo ad elaborare una teoria cosmologica moderna fondata sull' eliocentrismo copernicano e sostenuta dall'idea che l'universo è infinito. Giordano Bruno herà con la vita l'elaborazione di questa nuova concezione cosmologica.

Anche Galileo cercò in tutti i modi di garantire al copernicanesimo l'appoggio della Chiesa. A testimonianza di questo suo impegno è la lettera che egli scrisse al suo allievo e collaboratore, monaco benedettino dove si vide costretto ad intervenire sulla questione del rapporto fra scienza e fede, sul concetto di verità, con lo scopo principale di difendere la propria autonomia di scienziato, esponendo la sua concezione di cristiano e scienziato che rivendica l'autonomia della scienza dalla religione. ½ conclude che scienza e fede non interferiscono affatto, dato che lavorano su piani separati: la fede ricerca ed opera sul piano metafisico del mondo, mentre la scienza sul piano fisico. Nonostante la chiarezza e l'inattaccabilità delle sue tesi gli fu proibito dalla Chiesa di continuare a diffondere le proprie scoperte perché contrastavano, apparentemente, con alcuni passi della Bibbia. Galilei, tuttavia, obiettò alle accuse, affermando che la Bibbia non è un trattato d'astronomia, ma avendo come fine il suggerire la salvezza dell'anima, per poter essere compreso da tutti ,il linguaggio adottato, usa delle espressioni che non rispecchiano la realtà. Nasce così la visione galileiana secondo la quale esistono due 'libri', che sono in grado di rivelare la stessa verità, anche se attraverso campi differenti: uno è la Bibbia, che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell'anima, scritto in termini scientificamente approssimativi, per essere comprensibile al volgo, l'altro è l'universo (cioè la natura), che, a differenza del primo, va letto in maniera scientifica e quindi, per essere ben interpretato, deve essere studiato oggettivamente. Secondo Galileo, i due libri, essendo opera di un unico Autore, non potevano contraddirsi. La sua visione della verità non era dunque, come molti credono, antireligiosa ed atea, al contrario, Galileo fu uno dei primi scienziati a voler conciliare le verità scientifiche con le verità di fede, senza intaccare minimamente né le une né le altre. Questa chiara distinzione, inaccettabile per la chiesa di allora mirava ad emancipare la scienza dalle intrusioni e limitazioni del pensiero teologico e dal controllo dall'autorità ecclesiastica ma apriva anche la possibilità di vivere un'esperienza spirituale in modo più autentico e personale. Così come Giordano Bruno descrivendo l'eterna saggezza di Dio, la paragonava alla radiazione della luce infinita che discende tra noi attraverso i raggi e viene comunicata a tutte le cose in un universo senza limiti di spazio.



La storia ci insegna che la religione non può fare altro che ostacolare e rallentare il cammino della scienza. Ma il Papa ha ragione quando afferma che la scienza per progredire ha bisogno della fede, solo che essa non è il cattolicesimo, l'ebraismo o il buddismo ma è la "fede laica" che ha animato e motivato le ricerche di Giordano Bruno e di molti suoi successori.







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