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Ugo Foscolo



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Ugo Foscolo


La vita


Gli anni giovanili

Niccolò Foscolo nacque nel 1778 a Zante, una delle isole Ionie, possedimento della Repubblica veneta. Il padre, Andrea, era medico, la madre, Diamantina Spathis, era greca. L'essere nato in terra greca e da madre greca rivestì molta importanza per Foscolo, che si sentì per tali origini profondamente legato alla civiltà classica e suo ideale erede. L'isola natia rimase sempre nella sua memoria come simbolo di se­renità luminosa, bellezza, gioia vitale, fecondità, e fu cantata più volte nella sua poesia. Trasferitasi la famiglia a Spalato, in Dalmazia, frequentò i primi studi presso il locale seminario. Alla morte del padre (1788) la famiglia conobbe gravi difficoltà economiche. La madre nel 1789 si stabilì a Venezia per cercare appoggio presso parenti ed amici, e lì Niccolò la raggiunse nel 1793, a quindici anni. Conoscendo poco la lingua italiana, si gettò negli studi in modo furioso ed appassionato, creandosi rapi­damente una notevole cultura, sia classica sia contemporanea.




Gli entusiasmi rivoluzionari e il trauma di Campoformio

Politicamente era entusiasta dei princìpi della Rivoluzione francese ed assunse posizioni fortemente li­bertarie ed egualitarie, che si rispecchiano poi in Jacopo Ortis. Ebbe pertanto noie con il governo oligarchico e conservatore della Re­pubblica di Venezia e, nel 1796, per sfuggire ai sospetti del governo, lasciò la città rifugiando­si per qualche tempo sui colli Euganei. Nel gennaio dei 1797 fece rappresentare la tragedia Tieste di impronta alfieriana, ricca di passionalità e contrasto. Nel frattempo le armate napoleoniche avanzavano nell'Italia del Nord. Foscolo fuggì a Bologna, arruolandosi nelle truppe della Repubblica Cispadana e pub­blicando un'ode A Buonaparte liberatore in cui esaltava il generale francese come portatore di libertà.

Formatosi a Venezia un governo democratico, vi fece ritorno, impegnandosi attivamente nella vita politica; ma nel novembre, dopo che Napoleone aveva ceduto la Repubblica veneta all'Austria con il trattato di Campoformio, lasciò di nuovo Venezia e si rifugiò a Mi­lano. Il 'tradimento' di Napoleone fu un trauma che segnò profondamente l'esperienza di Fo­scolo. Tuttavia, pur disilluso e pur avendo sempre un atteggiamento critico verso Napoleone, egli continuò sempre a operare all'interno del si­stema napoleonico, nella consapevolezza che esso era un punto obbligato di passaggio per la creazione di un'Italia moderna. Nonostante i numerosi erreri Napoleone è sempre visto come salvatore della rivoluzione. L'ambivalenza di Napoleone è rispecchiata in alcuni personaggi di Jacopo Ortis in particolare il signor T.


Relazioni intellettuali 

A Milano Foscolo conobbe Parini (che costituiva per lui un modello di ura intellettua­le), strinse amicizia con Monti (innamorandosi poi di sua moglie), con l' esule della Repubblica Partenopea Vincenzo Cuoco e con l'economista Melchiorre Gioia. Vincenzo Cuoco era stato autore del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 in cui questo filosofo italianista ( che rivalutava gli aspetti positivi della cultura italiana) aveva affermato che fra i motivi del fallimento rivoluzionario vi era stata la passività della rivoluzione che aveva trasferito le idee francesi in Italia senza che queste fossero mediate, rese più vicine al popolo stesso. Infatti queste erano espresse in un linguaggio troppo astratto per essere popolare; probabilmente il dialetto le avrebbe rese più coinvolgenti. Le idee di Cuoco furono riprese da Eleonora Fonseca De Pimentel, fondatrice del giornale «Il Monitore napoletano». Con Melchiorre Gioia, Foscolo fondò un giornale, il «Mo­nitore italiano», dove ebbe modo di profondere il suo impegno patriottico. In questi anni Fo­scolo cercò anche una collocazione sociale che gli consentisse di svolgere il suo lavoro intellet­tuale.


Esperienze militari e amorose

Nel '98 a Bologna fu aiutante cancelliere al Tribunale militare; con l'avanzata degli Au­striaci l'anno successivo tornò ad arruolarsi e partecipò a vari scontri, restando poi assediato a Genova col generale Massena. Dopo la vittoria di Marengo, con cui Napoleone riconquistò l'Italia, fu arruolato come capitano aggiunto nell'esercito della Repubblica Italia­na. Questi furono anche anni di intense passioni amorose, per Isabella Roncioni a Firenze, per Antonietta Fagnani Arese a Milano. Nel 1804, per ovviare alle continue difficoltà economiche, seguì la spedizione preparata da Napoleone contro l'Inghilterra, soggiornando due anni nella Francia settentrionale. Qui, da una relazione con una donna francese,ebbe la lia Floriana che conobbe solo in vecchiaia e che lo assistette fino alla morte.



I Sepolcri, la cattedra a Padova e gli anni fiorentini

Ritornato in Italia, si recò a Venezia per rivedere la madre, ed ivi ebbe un incontro con Ippolito Pindemonte, che gli offrì lo spunto peri Sepolcri.

Nel 1808, grazie all'interessamento di Monti, ottenne la cattedra di eloquenza all'Università di Pavia. Sembrava la sistemazione tanto sperata, ma la cattedra fu presto soppressa dal governo. In­tanto le posizioni poco ossequenti verso il regime napoleonico ed il carattere fiero ed insoffe­rente gli attirarono le inimicizie di molti nell'ambiente letterario milanese, tra cui quella di Aiace Monti stesso, provocando acri polemiche. Nel 1811 fece rappresentare la tragedia Aiace dove, nella ura del tiranno Agamennone, furono ravvisate allusioni a Napoleone. Le repliche della tragedia furono soppresse e il poeta fu privato degli incarichi di cui godeva.

Si recò allora a Firenze, dove soggiornò per due anni. Fu un periodo sereno, allietato dal­l'ambiente amichevole della città, da amori felici e dal fervore creativo. Nella villa di Bellosguardo, sui colli fiorentini, si dedicò intensamente alla composizione delle Grazie, di cui ab­bozzò un nucleo consistente (1812-l3).


L'esilio   

Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia tornò a Milano, riprendendo il suo posto nell'esercito. Rientrati a Milano gli Austriaci, dopo la sconfitta definitiva di Waterloo, il generale Bellegarde gli offrì la direzione di una rivista culturale, la «Biblioteca italiana», con cui il nuovo regime cer­cava di conquistare il consenso degli intellettuali. Ma Foscolo, dopo alcune esitazioni, rifiutò per coerenza con il suo passato e con le sue idee. Fuggì da Milano e andò in esilio prima in Svizzera poi a Londra. Qui fu accolto con onori e simpa­tia, ma sorsero presto attriti ed incomprensioni, persino con gli esuli italiani, che lo ammirava­no come modello poetico e politico. Le sue condizioni economiche si fecero sempre più gravi, an­che a causa della vita follemente dispendiosa che conduceva. Per alleviare tali difficoltà, cercò collaborazioni con riviste inglesi, pubblicando saggi sulla letteratura italiana del passato e dei presente, dove tra l'altro prese posizione contro la nuova scuola romantica che si stava affermando a Milano. Negli ultimi tempi, ammalato e in miseria, fu co­stretto a nascondersi dai creditori andando a vivere nei sobborghi più poveri di Londra. Qui, come scrive in una lettera del 1826. «tra il trambusto di uomini in rissa, di donne in litigio, di fan­ciulli sbraitanti, di esecutori pignoranti», trovò conforto continuando la traduzione dell'Iliade. Morì nel villaggio di Turnham Green nel 1827, a 49 anni. Nel 1871 i suoi resti furono portati in Italia e sepolti in Santa Croce, vicino alle tombe dei grandi uomini da lui cantati nei Sepolcri.


La "religione delle illusioni" e il pessimismo foscoliano

Foscolo aveva una visione materialistica della realtà, per cui credeva che la morte fosse la fine di tutto. Proprio la visone materialistica lo porta ad avere un profondo pessimismo: poiché la morte è la fine di tutto la vita non è altro che sofferenza e dolore. L'uomo però si crea, a buon diritto, delle illusioni che lo rendono dimentico della sua sofferenza e gli permettono di trascorrere con meno dolore la propria vita. Dunque l'uomo deve credere nelle illusioni, perché senza di esse non può essere felice.


Le Ultime lettere di Jacopo Ortis


Le tre redazioni

La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo, Ultime lettere di Jacopo Ortis. Un accenno ad un progetto di romanzo, Laura. Lettere si trovava già in un Piano di studi del 1796 ma dell'opera non è rimasta traccia. Una prima redazione dell'Ortis fu parzialmente stampata dal giovane Foscolo a Bologna, nel 1798, ma restò interrotta per le vicende belliche, che spin­sero lo scrittore a combattere contro gli Austro-Russi. Lo stampatore, per poter vendere il libro, lo fece concludere da un certo Angelo Sassoli (che tenne però presenti materiali di Foscolo stesso). Il romanzo fu ripreso da Foscolo e pubblicato, con profondi mutamenti, nel 1802. Su di esso lo scrittore ritornò ancora, durante l'esilio, ristampandolo nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra, con ritocchi ed aggiunte. L'Ortis è dunque un'opera giovanile, ma anche un'opera che Foscolo sentì come centrale nella sua esperienza, se vi ritornò a più riprese a distanza di parecchi anni.


Lo stile e l'ispirazione

Si tratta di un romanzo epistolare, una forma di narrativa che aveva goduto di larga fortuna nel Settecento europeo: il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all'amico Lorenzo Alderani, con alcuni interventi narrativi dell'amico stesso in particolar modo relativi alla morte di Jacopo. Il carattere dei personaggi si rispecchia nel loro stile di scrittura: Lorenzo è infatti una persona molto pratica, ha dunque uno stile secco, oggettivo, "attico", poco retorico rispetto a quello di Jacopo. Il modello a cui Foscolo guarda è soprattutto I dolori del giovane Werther di Goethe (1774). Chia­ramente ispirato al Werther è il nodo fondamentale dell'intreccio, un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro.


La vicenda e la ura del Parini

Jacopo è un giovane patriota che, dopo la cessione di Venezia all'Austria col trattato di Campoformio, si rifugia sui colli Euganei poiché è finito sulle liste di proscrizione. Qui s'innamora di Teresa, ma il suo è un amore impossibile, perché la giovane è già promessa ad Odoardo, un ottimo partito scelto dal padre( la madre di Teresa infatti fugge, non sopportando che la lia abbia così poca libertà), che è l'esatta antitesi di Jacopo, uomo gretto e prosaico, freddo e razionale, tanto quanto l'eroe è impetuoso e appassio­nato. Inoltre Jacopo stesso non desidera essere marito e padre in una tale epoca di tirannide. La disperazione amorosa e politica spinge Jacopo ad un pellegrinaggio per l'Italia : a Firenze, dove visita le tombe di Santa Croce perchè necessita del contatto con la patria per prendere decisioni importanti e a Milano, dove ha un incontro col Parini. Emerge una visione foscoliana del Parini assai particolare: questi appare infatti come un uomo venerando fremente di passione. Nel corso del colloquio fra i due, Parini afferma che non ci sono più soluzioni alla situazione storica per cui sia più utile uccidersi. Jacopo decide allora di fuggire ma si ferma a Ventimiglia, ai confini con la Francia. La notizia del matrimonio di Teresa lo riporta nel Veneto: rivede ancora una volta la fanciulla ama­ta, si reca a visitare la madre, poi si uccide con un pugnale, riprendendo dunque la tradizione catoniana e dando alla propria morte un significato politico.


Jacopo Ortis e gli eroi alfieriani

Il romanzo è stato definito da Mario Fubini come una "tragedia alfieriana in prosa": il protagonista, di fronte alla tirannia di Napoleone, che gli toglie la patria, e alla tirannia delle convenzioni sociali (incarnate dal padre di Teresa), che gli tolgono la donna amata, afferma la propia libertà attraverso il suicidio, secondo il modello alfieriano. Di alfieriano possiamo inoltre notare la ricerca dell' "ubi consistam", cioè la ricerca continua di un luogo dove poter vivere serenamente.


Confronto tra Ortis e Werther

Ma vicino a Goethe è anche il nucleo tematico profondo: la ura di un giovane intellettuale in conflitto con un contesto sociale in cui non può inserirsi. Goethe per primo aveva colto questa situazione di conflitto tra intellettuale e società, intuendo con grande anticipo un motivo che sarà poi centrale nel­la cultura moderna; ed aveva avuto la geniale in­tuizione di rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica, sul terreno dei rapporti amorosi, nell'impossibilità, da parte del giovane protagonista, di avere una rela­zione con la donna amata e di concluderla con il matrimonio (che nella cultura borghese di que­st'età è il segno per eccellenza dell'avvenuta maturazione del giovane, del suo equilibrato in­serimento nella società). Foscolo riprende questo nucleo tematico, sviluppandolo in relazione alle particolari caratteristiche del contesto italiano dei suoi anni.

Il dramma di entrambi i personaggi si misura essenzialmente sul piano privato dei rapporti personali, a cui corrisponde un piano politico.

Il dramma di Werther:

Dietro il giovane Werther c'è la Germania dell'assolu­tismo principesco, caratterizzata dal dominio sociale dell'aristocrazia e da una borghesia pa­vida e filistea

Il dramma di Werther è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza: lo slancio del cuore, la passionalità veemente, la superiore sensi­bilità del giovane artista sono respinti dal mondo borghese, che si fonda sulla razionalità, sul calcolo, sul culto dell'ordine. Dall'altro lato l'artista borghese è respinto anche dall'a­ristocrazia, che è ancora la classe dominante, chiusa ottusamente a difesa dei suoi privilegi di casta

"I dolori del giovane Werther" fu scritto prima della Rivoluzione francese: in esso c'è la disperazione che nasce dal sentire il bisogno di un mondo diverso, senza però in­travedere alcuna possibilità concreta di una trasformazione profonda;

Il dramma di Jacopo:

Dietro il giovane Ortis c'è invece l'Italia dell'età napoleonica, con i suoi tumul­tuosi rivolgimenti ed il delinearsi del nuovo regime oppressivo del 'tiranno' straniero.



Il dramma di Jacopo non è tanto l'urto contro un assetto sociale ferreo che lo respin­ge, quanto il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una «patria», un tessuto sociale e politico degno di questo nome entro cui inserirsi.

"Ultime lettere a Jacopo Ortis" fu scritto dopo la rivoluzione: in esso c'è la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite tutte le speranze pa­triottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi conto che lo strumento rivoluzionario è ormai impraticabile.


Il suicidio di Ortis: protesta o rinuncia?

La morte di Jacopo è drammatica, straziante, ben diversa dalla morte moderna di Werther. Questa può essere interpretata come una protesta rivolta a tutte le generazioni, con l'obiettivo di indurre uno spirito rivoluzionario in tutte le persone contro lo stato di fatto, per la libertà (assumendo dunque il valore di exemplum) oppure come un atto individualistico di rinuncia di una persona incapace di accettare i tempi.


Interpretazione psicanalitica dell'Ortis

La lettura psicanalitica offre poi un'altra interpretazione mostrando un complesso di Edipo non risolto. Jacopo infatti ama tutte le ure femminili (patria, Teresa, madre) e odia tutte le ure maschili (Odoardo, Signor T, Napoleone). Questo complesso può anche essere visto in Foscolo, considerando come ura femminile la patria e come ura maschile Napoleone (che appunto si riflette nel Signor T). Foscolo ama la patria e gli ideali di eguaglianza e libertà, ma dopo l'avvento di Napoleone e il trattato di Campoformio odia questa ura poiché ha distrutto l'idea di patria.


I testi letti del romanzo

«Il sacrificio della patria nostra è consumato»

È la lettera di apertura del romanzo. Il giovane Jacopo, profilandosi la cessione di Venezia all'Austria da parte di Napoleone, nell'ottobre 1797 si è rifugiato sui colli Euganei, ad Arqua Petrarca (luogo ricco di reminescenze), per evitare le persecuzioni contro i patrioti giacobini.

Jacopo, inserito nelle liste di proscrizione, si sente profondamente tradito da Napoleone. Le sue preoccupazioni sono rivolte alla madre, affidata a Lorenzo, che lo ha convinto a lasciare Venezia per sfuggire alle prime persecuzioni.

Conscio che dovrà lasciare anche i colli Euganei, chiede inorridito delle prime persecuzioni perpetrate dagli stessi italiani fedeli all'Austria ("noi stessi italiani laviamo le mani nel sangue degl'italiani").

Rassegnato agli avvenimenti, preferisce morire in patria piuttosto che andare in esilio, in modo che il suo cadavere non cada nelle braccia straniere e sia compianto da pochi uomini buoni.

Note: per molti aspetti le vicende di Jacopo sembrano rispecchiare quelle dell'autore. Tuttavia vi è qui una prima differenza: Jacopo vuole morire nella terra dei padri, non accetta il pensiero dell'esilio che invece Foscolo sceglierà, rimanendo sempre fedele a Napoleone.

Il colloquio con Parini: la delusione storica

Jacopo nel suo peregrinare per l'Italia è giunto a Milano, capitale della Gallia Cisalpina. Qui incontra il vecchio poeta Parini in un bosco di tigli. Parini viene rappresentato come una persona molto dignitosa ed eloquente, zoppicante come ne "La caduta".

Parini analizza lucidamente la situazione dell'Italia napoleonica: "fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza", si scaglia contro i letterati che si vendono al potere, contro la mancanza di passione, contro la fine degli antichi valori. Chi compie delitti è solo un omiciattolo "ladroncello, tremante e saccente", non certo dotato di grandezza d'animo come gli scellerati Silla e Catilina.

Dinnanzi a questo quadro Jacopo reagisce con un'eroica smania d'azione, disposta anche alla morte perchè mossa da una speranza nel futuro ("frutterà dal nostro sangue il vendicatore"). Egli è dunque disposto a prestarsi alla morte pur di salvare la patria.

Parini gli domanda perché non possa dirigere quel suo ardore in altre passioni. Allora Jacopo gli racconta la storia delle sua passioni e il suo amore impossibile con Teresa. Jacopo confessa che non vede altra soluzione oltre la morte ed elogia la madre che spesso gli è stata vicino. L'unica fiamma che arde ancora in lui è la speranza di liberare la patria.

Parini sostiene allora che "la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti" e che a quei tempi sarebbero stati necessari molti delitti per scongere il nemico. L'eroe è visto come una persona ben lontana dall'essere incontaminata, disposta ad infliggere grandi crudeltà pur di raggiungere il suo scopo e destinata inesorabilmente alla tirannide. È difficile costruire uno stato fondato sulle virtù ottenendolo con la forza. Inoltre il nobile animo di Jacopo non sarebbe stato capace di compiere una così crudele strage.

L'unica soluzione appare dunque la morte; tuttavia mentre a Parini questa sembra solo l'inizio di una nuova vita ultraterrena, per Jacopo, ateo, questa è l'annullamento totale.

Note: Parini frequentava realmente un bosco di tigli tuttavia questo assume per Foscolo un significato particolare poiché "l'arbore" (femminile) è amico delle tombe, rifugio accogliente, generoso.

Analisi del testo

Rivolta appassionata e lucida consapevolezza

L'episodio coglie il nucleo centrale della problematica politica del romanzo e di tutto il dramma del protagonista, rappresentando la situazione negativa dell'Italia napoleonica. Jacopo e il Parini presentano due atteggiamenti dinanzi ad essa:

a)  la rivolta generosa ma astratta, pronta a tentare il tutto per tutto pur di contrastare una situazione intollerabile;

b)  l'analisi lucida e puntuale, ma realisticamente consapevole dell'impossibilità di ogni alternativa.

L'analisi dell'Italia napoleonica

Parini compie un esame delle condizioni dell'Italia presente, in cui:

la licenza, la degenerazione della libertà rivoluzionaria si sostituisce alla tirannide dei passati regimi; le armate napoleoniche non hanno portato la libertà, ma l'arbitrio e la violazione di ogni diritto;

la condizione della letteratura è degenerata; gli uomini di cultura si prostituiscono vendendo la loro opera pur di ottenere favori, privilegi e prestigio, riproducendo quindi la ura del letterato cortigiano;

si è spento lo spirito eroico, la capacità di compiere azioni generose, e si è diffusa l'indolenza, la passività e la corruzione (Foscolo ha una concezione energica, attiva ed eroica dell'esistenza);

sono ssi i valori basilari che devono reggere la vita quotidiana (benevolenza, ospitalità e amore filiale) e si intravede una società dominata dalla guerra feroce, dalla violenza e dallo spirito di sopraffazione.

L'impossibilità dell'azione politica:il pessimismo foscoliano

Jacopo reagisce con un'eroica smania d'azione, pronto anche ad affrontare la morte, pur di lottare contro quello stato di cose. Jacopo quindi ha ancora fiducia nell'azione e ripone una speranza, nel futuro, in un gesto rivoluzionario. Ma Parini smonta gli eroici furori del giovane; lo disillude sul mito della purezza incontaminata dell'eroe, che non può evitare di subire l'influenza delle sue azioni crudeli. Ma anche se l'eroe potesse superare questi ostacoli il prezzo di un'azione rivoluzionaria sarebbe troppo alta. Il discorso di Parini esprime l'amara esperienza che Foscolo aveva fatto della Rivoluzione francese. Sulle sue scelte politiche pesa enormemente la delusione storica della rivoluzione; acceso dagli ideali giacobini, si è reso conto del fallimento delle idee rivoluzionarie e per questo si mostra pessimista sulla possibilità dell'agire politico in questo momento, specie in una prospettiva rivoluzionaria: un'azione rivoluzionaria contro la dittatura napoleonica non risolverebbe nulla, poiché riprodurrebbe gli stessi orrori della Rivoluzione francese e sfocerebbe inevitabilmente in un'altra dittatura.

Il problema di una classe dirigente in Italia

In Italia i preti ed i frati non sono sacerdoti perchè mirano solo al lucro; vi sono molti nobili, tuttavia questi non possono essere detti patrizi poiché questi difendevano la repubblica in guerra e la governavano in pace. I nobili oggi invece non vogliono fare né sapere nulla. ½ è finalmente la plebe, ma non i cittadini (da intendere come civis e citoyen). Infatti i professionisti che non possiedono terra sono solo plebe poiché è il possesso della terra che garantisce il potere. È necessario che i preti diventino sacerdoti, i nobili patrizi, i popolani cittadini abbienti ma senza riforme sacrileghe della religione, carneficine, spargimenti di sangue, riforme agrarie. Tuttavia esistono altre possibilità: se non altro la morte. Ma non è possibile che l'Italia si sotterri tutta quanta dunque se Jacopo pubblicasse un'opera esorterebbe l'Italia a rassegnarsi al suo presente.

La lettera da Ventimiglia: la storia e la natura

Jacopo giunge a Ventimiglia e la vista dei confini gli suggerisce una serie di considerazioni pessimistiche sulla storia e sulla natura.

Jacopo descrive la natura che lo circonda, arida e ostile. Un luogo solitario in cui "la Natura siede solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi".

Jacopo si sofferma a riflettere sui confini dell'Italia, più volte varcati a causa dell'ostinata avidità delle nazioni, pronte a saccheggiarla. Non ci sono i suoi li a difenderla, e la nuda voce di Jacopo, il suo solo braccio, possono ben poco.

La libertà e la gloria degli avi sono motivo di superbia, non incitamento a liberarsi della schiavitù straniera prima che questa disperda le ceneri dei grandi per cancellarne la memoria. Pur essendo fiero del nome di italiano Jacopo non riesce a trovare la sua patria.





La sepoltura lacrimata  

12 novembre

Piantando dei pini sulle vicine collinette Jacopo immagina il giorno in cui, anziano, si compiacerà con gli altri contadini dei frutti degli alberi piantati da suo padre. Racconterà ai nipotini di Lorenzo e di Teresa, le loro umili storie.

Immagina il giorno in cui le sue ossa riposeranno sotto gli stessi pini appena piantati, quando gli anziani del villaggio pregheranno per lui e raccomanderanno la sue memoria ai li, quando il mietitore accaldato trovando fresco sotto quegli alberi lo ringrazierà per averli piantati. Queste sono illusioni ma chi non ha patria non può rassegnarsi all'idea di lasciare qua o là le sue ceneri.

25 maggio

Jacopo si conforta nella speranza di essere compianto. Nessuno è disposto a rassegnarsi all'idea che la vita, seppur travagliata, debba trapassare nell'eterna dimenticanza della morte, tutti lasciano dietro di sé un sospiro, un rimpianto e desiderano che le persone care versino lacrime per loro, siano vicine nel momento del trapasso.

Jacopo, nelle tenebre silenziose e malinconiche della sera che portano via la luce del giorno (percepite con l'immagine del perire continuo delle cose), immagina la propria lapide nel boschetto di pini, immagina che la madre e Lorenzo vadano a visitarla, che Teresa venga a dirgli nuovamente addio. Se qualcuno dovesse indagare dopo la sua morte sulle sue opinioni, Lorenzo dovrà rispondere solo: Era uomo, e infelice.

Illusioni e mondo classico

Il bacio che Jacopo da a Teresa lo riempie di amore, lo rende compassionevole e tutto si abbellisce al suo sguardo. La Natura gli sembra sua e il suo ingegno è tutto bellezza e armonia. L'amore ha dato vita alle belle arti e alla poesia che sprona a compiere imprese eroiche. L'amore fa nascere nei cuori la Pietà e l'impulso alla proazione della vita, fa dimenticare le proprie sventure. L'amore è fondamentale per la vita.



Rivolgendosi a Lorenzo, Jacopo racconta di quando, sdraiato vicino ad un lago immaginava di vedere le ninfe e le naiadi ed invocava in loro comnia le muse ed Amore. Quelle erano illusioni ma poiché tutto è illusione beati gli antichi che trovavano il bello ed il vero attraverso miti e poesie. Senza le illusioni egli non sentirebbe la vita se non nel dolore e nell'indolenza.


I Sonetti

Alla sera

vv. 1-8

Il poeta gradisce sempre l'arrivo della sera perché la vede come immagine della morte. Sia in estate che in primavera, sia autunno che in inverno, quando l'inquietudine prende l'anima di chi guarda scendere la notte cupa e lunga, raggiunge dolcemente le zone più segrete del suo cuore.

vv. 9-l4

La sera conduce i pensieri del poeta all'idea della morte, intesa materialisticamente come annullamento totale e definitivo della vita, mentre il tempo portatore di sofferenze e delusioni, scorre cancellando le preoccupazioni del presente. E mentre il poeta pensa alla pace eterna, dentro di lui si apa il sentimento di ardore.

Note: composto tra il 1802 e il 1803 fu collocato dal Foscolo in apertura della sua raccolta Poesie.

In morte del fratello Giovanni

vv.1-l1

Un giorno, se il poeta non andrà più fuggendo di gente in gente, si recherà presso la tomba del fratello per piangere la sua morte prematura. La madre sola, trascinando la propria vecchiaia, parla del poeta alla tomba del lio, ma egli può solo protendere le braccia nel desiderio di riabbracciare i propri familiari a causa della lontananza; egli sente i numi nemici che lo respingono e i tormenti interiori che sconvolsero la vita del fratello e invoca la pace della morte.

vv.12-l4

L'unica speranza che rimane è quella della morte. Prega le genti straniere presso cui morirà di rendere le sue ceneri alla madre mesta.

Note: il sonetto è ricco di sineddoche (" di gente in gente", "su la tua pietra", "suo di tardo traendo"..). La fuga a cui accenna all'inizio del sonetto è una fuga esistenziale, una fuga da sè stesso. La madre, ura femminile positiva, protettiva che trae dall'abisso anche in "Jacopo Ortis"

A Zacinto

vv. 1-l1

Il poeta non toccherà mai più le sponde sacre dove il suo corpo giacque da bambino, nella sua Zacinto che si specchia su mare greco da cui Venere nacque fanciulla e portò la vita col suo primo sorriso, tanto che le sue limpidi nubi e la sua vegetazione furono celebrate dall'insigne poesia di Omero che cantò le peregrinazioni per mare e l'esilio errabondo per cui Ulisse, carico di fama e di sventura, tornò a baciare la sua pietrosa Itaca.

vv. 12-l4

Ma, a differenza di Ulisse, il poeta non potrà tornare all'isola natia, sicché questa potrà avere solo il suo canto; inoltre il destino gli ha imposto la sepoltura in terra straniera dove nessuno potrà piangere sulla sua tomba.

Note: sonetto dedicato all'isola natia, Zante nel mar Ionio, chiamata con l'antico nome omerico. La poesia è un esempio di neoclassicismo foscoliano: il tema riprende l' Inno a Venere di Lucrezio, la sintassi è assai complessa, lo stile elevato e sublime. Il suo ritmo è molto musicale, rispecchia la musica del cuore. Il secondo verso " ove il mio corpo fanciulletto giacque" si riferisce ad un rito della tradizione classica secondo cui il bambino appena nato doveva essere deposto a terra e per essere riconosciuto dal padre, questi doveva sollevarlo. Il sonetto fu composto nel 1802 quando ancora al poeta non si prospettava l'esilio per cui si tratta di una profezia della morte in terra straniera. Ulisse diventa metafora del poeta a riguardo dell'esilio, tema tipicamente romantico.


Confronto tra "Inno a Venere" e "A Zacinto" (Lucrezio-Foscolo)

Nella poesia si parla della nascita di Venere dal Mar Egeo e rimanda alla tradizione classica. Venere, dea dell'amore, è sentita come una forza della natura, un principio generatore. Venere implica l'idea di fecondità, Zacinto quella di maternità, ed entrambi sorgono dalle acque. Il bambino appena nato viene fatto giacere sulla terra (madre), come se fosse stato generato da essa.

Inoltre Lucrezio nell'inno del "De Rerum Natura" parla di "patriai tempore iniquo" (v. 41), per indicare un'epoca avversa come la sua, piena di contrasti civili e guerre. Anche nel sonetto del Foscolo appare questo argomento, caratterizzato dal poeta esule.



I sepolcri

Le Odi e i Sepolcri

Fra le odi scritte dal poeta ricordiamo All'amica risanata del 1802 dedicata alla donna amata, Antonietta Fagnani Arese che, guarita da una malattia si appresta a rientrare in società.

I Sepolcri sono un poemetto (definito da Foscolo "carme") di 295 endecasillabi sciolti sotto forma di epistola poetica indirizzata all'amico Ippolito Pindemonte. L'ispirazione a comporre il carme venne da una discussione avvenuta con lo stesso Pindemonte a Venezia nel 1806 nel salotto di Isabella Totochi Albrizzi. Questi aveva iniziato la stesura di un poema Sui cimiteri sulla scia della poesia cimiteriale che in quel momento in Inghilterra stava riscuotendo un grande successo (infatti il pubblico inglese che amava le atmosfere ricche di ricordi e di pathos, aveva apprezzato l'idea delle tombe come memoria dei defunti in Elegia di un cimitero di camna di Gray e la Poesia su un urna greca di Keats). Pindemonte e Foscolo discussero in questa occasione a proposito dell'editto napoleonico di Saint Cloud (1804) il quale imponeva che le sepolture non avvenissero più in chiesa o nei recinti adiacenti ma, per questioni igieniche, avvenissero fuori dalle mura cittadine; regolamentava inoltre le lapidi che dovevano avere tutte le stesse dimensioni, non essere disposte ciascuna sulla tomba di appartenenza ma essere appese alle mura del cimitero, e dovevano avere iscrizioni semplici, secondo il concetto illuminista per cui la morte livella tutti, rende tutti uguali. L'editto, che aveva suscitato scandalo in Francia, era destinato ad essere applicato di li a poco anche in Italia.


Il significato delle tombe: "corrispondenza di amorosi sensi" (versi 1-50)  

Nel corso della discussione Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva difeso le norme igieniche e negato l'importanza delle tombe poiché la morte produce la fatale dissoluzione dell'essere. Tuttavia, in seguito ad una profonda riflessione, si era reso conto del fatto che le tombe sono strumenti che permettono la corrispondenza fra i vivi e i defunti, in particolar modo nei giardini-cimitero, la natura stessa è complice del dialogo. Nel caso in cui le tombe appartengano a personaggi illustri e chi si rechi a visitarle abbia animo sensibile, queste trasmettono valori positivi (in particolare quelle di S. Croce trasmettono l'amor di patria e i sentimenti nazionali): si crea appunto una sorta di "corrispondenza di amorosi sensi".


La struttura del carme

La struttura del carme risultò, secondo Guillon, poco chiara, complessa a causa della mancanza di nessi logici. A queste critiche Foscolo rispose che nella stesura si era ispirato a Pindaro ed inviò a Guillon lo schema del carme.


Dei sepolcri

vv. 1-22

All'ombra dei cipressi e nelle tombe il sonno della morte è meno duro? Quando il sole non feconderà più piante ed animali per me, quando non ci saranno più speranze future, quando non potrò sentire la poesia del Pindemonte, quando non potrò più essere ispirato dalle Muse e da Amore, unico stimolo alla mia vita di esule, quale consolazione sarà per ma una lapide che distingua le mie ossa dalle altre? È vero Pindemonte, anche la speranza fugge dai sepolcri e l'oblio nasconde ogni cosa e la forza sempre all'opera della natura trasforma con travaglio gli esseri umani, distruggendo le forme assunte provvisoriamente dalla materia e ricreando da esse forme diverse, e tutto ciò che resta è travolto dal tempo.

Note: il carme si apre con una citazione della legge romana delle XII tavole che dispone che ai Mani(defunti) siano tributati rispetto e culto: "DEORUM MANIUM IURA SANCTA SUNTO XII TAB."( i diritti degli dei Mani siano sacri).

vv.22-50

Ma perchè l'uomo deve privarsi prima del tempo dell'illusione che lo trattiene al di qua della soglia di Dite (regno dei morti)? Infondo egli si illude di non morire del tutto se rimane nel ricordo dei suoi cari. Questa corrispondenza affettiva fra il morto e i vivi è una dote divina in quanto crea una forma di immortalità; per questo però è necessario che la terra accolga le ossa dell'estinto,proteggendole dalle tempeste e dai profanatori, la pietra tombale conservi il suo nome ed una "arbore amica" che consoli le ceneri con le sue ombre. Solo chi non lascia nessun caro fra i vivi non ricava alcun conforto dalla propria tomba e immaginando la morte vede la sua anima errare all'inferno o chiedere il perdono di Dio, ma nessuno piangerà sulla sua tomba ed il passante solitario non sentirà il sospiro che la natura ci manda dalla sua tomba.

vv.51-90

Ma la nuova legge nega ai morti il loro nome, tanto che lo stesso Parini, a cui la musa Talia ispirava l'ironia per comporre canti con cui colpire i nobili lombardi simili al re assiro Sardanapalo (noto per il lusso e la sua corruzione), giace senza tomba. Foscolo non sente odore d'ambrosia che indichi la presenza della musa nel boschetto di tigli in cui il poeta era solito andare e che adesso freme perchè non può offrire riparo al suo sepolcro. La musa infatti non trova la tomba del suo Parini. Milano, città che compensa i cantori evirati con fama e successo, non gli ha dedicato una tomba ed un'epigrafe ma forse un ladro, col suo capo mozzato, ne insanguina le ossa, mentre una lupa si aggira famelica fra le macerie delle tombe e l'upupa lancia alla Luna il suo lugubre verso. La musa non speri che la notte bagni di rugiada le sue ossa (la rugiada è vista come pianto che conforta), sui morti non spuntano fiori se l'estinto non riceve le cure dei vivi che lo onorano.

vv.90-l36

Dal giorno in cui gli altari ed i tribunali concessero agli uomini di avere pietà per sé e per gli altri, i vivi sottraevano i corpi all'aria che disgrega e alle fiere. Le tombe erano altari per i li che vi si recavano per chiedere responsi ai Lari( defunti divenuti numi) o per fare sacrosanto giuramento. Non sempre le sepolture avvenivano in chiesa, come nel medioevo, dove il lezzo dei morti e il puzzo di incenso contaminavano i vivi in preghiera; né le città erano rattristate da pitture di scheletri tanto da spingere le madri a svegliarsi la notte terrorizzate e a protendere le braccia verso il piccolo nel timore che questi sia svegliato dai gemiti di un defunto che chiede agli eredi il amento di una messa (descrizione dell' orrore del medioevo). Nell'età classica invece le tombe ane erano protette da cipressi e cedri profumati e accomnate da preziose urne che raccoglievano le lacrime e da lampade votive. Le fontane facevano crescere fiori viola e amaranto(note funebri dolci, colori spirituali) per cui chi sedeva presso la tomba spargendo latte(secondo il rituale antico) o a raccontare le sue pene ai defunti sentiva un profumo come se si trovasse nei campi Elisi. La sensazione di trovarsi insieme al defunto è una pietosa insania (illusione); come un illusione rende cari alle fanciulle inglesi i giardini dei cimiteri dove pregano la madre perduta ma anche i Geni protettori della patria affinché concedano il ritorno dell'eroe nazionale Nelson, impegnato contro Napoleone, il quale aveva fatto intagliare nell'albero maestro dell'Orian, la nave francese sconfitta nella battaglia di Abukir, la propria tomba.

vv.137-l50

Ma nei paesi come l'Italia, in cui è spento l'ardore di gesta eroiche e la vita civile è dominata solo dalla smania di arricchirsi e dalla paura servile dinnanzi al potere, cippi e tombe di marmo sono solo inutile sfoggio e malaugurate immagini di morte. La popolazione italica, divisa dai Comizi di Lione in 3 collegi aventi diritto di voto, "il dotto il ricco ed il patrizio vulgo"(in senso dispregiativo), è già morta poiché costretta ad adulare ed avente come unico onore uno stemma. Foscolo si augura che la morte gli prepari un rifugio di pace, dove finalmente la sorte non lo perseguiti più, e che gli amici raccolgano come sua eredità appassionati sentimenti e l'esempio di una poesia che ispiri dignità e libertà.



vv.151-l85

Le tombe dei grandi infiammano gli animi nobili a compiere grandi azioni. Quando il Foscolo vide le tombe di Santa Croce gridò: beata te Firenze, per la bellezza del tuo paesaggio, per le tue glorie letterarie e soprattutto perchè accogli in quel tempio le glorie italiane, le uniche rimaste da quando i confini delle Alpi mal difesi e la legge delle sorti umane hanno fatto sì che gli stranieri la spogliassero di tutto tranne che delle memorie del passato. Egli vide infatti la tomba dove riposa Machiavelli, quel grande che, insegnando ai regnanti l'arte di governare(nel Principe), li privò delle apparenze di gloria che li circondano; vide la tomba di Michelangelo che innalzò a Roma la cupola di san Pietro, paragonabile per la sua mole al monte Olimpo, ed il sepolcro di Galileo che vide più pianeti ruotare nella volta celeste e il sole illuminarli immobile, anticipando gli studi di Newton. Firenze per prima udì il poema che alleviò le pene dell'esilio di Dante ( il Ghibellin fuggiasco), e desti i natali a Petrarca, attraverso la cui bocca sembrava parlare la musa Calliope, il quale spiritualizzò l'amore che nella poesia classica era sensuale.

Note: Foscolo riprende l'interpretazione settecentesca del Machiavelli che lo vede come un campione di libertà, un repubblicano che, col pretesto di dare consigli ai principi, avrebbe avuto l'intento di svelarne le crudeltà. Dante è definito ghibellino perchè dopo la battaglia della Lastra abbandona il gruppo degli esuli guelfi ed elabora una nuova dottrina politica enunciata nel De monarchia che sostiene l'indipendenza dell'imperatore e del papa. Anche la visione di Petrarca differisce da quella attuale perchè egli non ricondusse l'amore ano a quello cristiano ma visse nel dissidio fra i due.

vv.186-l97

Se un giorno tornerà a risplendere una speranza di gloria per l'Italia e per gli animi generosi, questi verranno a Santa Croce a trarre ispirazione. Fra questi marmi spesso venne l'Alfieri, irato con gli dèi protettori della patria, ed errava in silenzio nei luoghi sublimi in riva all'Arno, guardando i campi ed il cielo, cercando consolazione alle delusioni politiche; poiché nessun aspetto del mondo dei vivi alleviava la sua pena.    Quell' uomo austero veniva a fermarsi fra le tombe dei morti a Santa Croce, avendo sul volto il pallore della morte vicina e la speranza di una rinascita futura dell'Italia. Anche Alfieri è sepolto a Santa Croce e le sue ossa ancora fremono di amor di patria.



Note: viene data una interpretazione repubblicana dell'Alfieri: il suo odio per ogni tirannia e la ricerca di liberta esistenziale vengono interpretate dal punto di vista strettamente politico.

vv.197-212

Dalla pace di Santa Croce spira un senso religioso di amor di patria; questo stesso spirito alimentò il valore e l'ira dei greci contro i Persiani invasori a Maratona(490 a.C.) dove Atene consacrò la tombe dei suoi guerrieri. Secondo la leggenda i naviganti che costeggiano Eubea di notte possono vedere le ombre dei guerrieri rinnovare la battaglia, i roghi funebri bruciare ancora. E nel silenzio si ode il rumore delle armi, il suono di trombe di guerra, il pianto degli sconfitti, gli inni dei vincitori, il canto delle Parche.

Note: nel romanticismo sono molto apprezzate le storie di fantasmi, gnomi, follettiperchè fanno parte del folklore.

vv.213-225

Felice il Pindemonte che viaggiò nel Mediterraneo e potè sentire il muggire della marea che riportò le armi di Achille sulle ossa di Aiace, giacenti sul promontorio Reteo, vicino Troia. La morte distribuisce equamente la gloria agli animi generosi; né l'astuzia né il favore dei re (Agamennone e Menelao), consentirono a Ulisse di conservare le spoglie d'Achille, poiché il mare, sconvolto dagli dèi infernali le tolse alla nave di Agamennone.

Note: Alla morte di Achille, le sue armi sarebbero dovute toccare al più forte dopo di lui, Aiace; ma Ulisse con astuti raggiri riuscì a farsele assegnare ingiustamente. Aiace per il dolore impazzì e tornato in sè, si suicidò. Ma mentre Ulisse tornava in patria una tempesta lo fece naufragare riportando le armi sul sepolcro di Aiace.

vv.226-234

Foscolo si augura che le Muse lo chiamino a cantare le imprese degli eroi. Quando il tempo distrugge le tombe e ne cancella persino le rovine, la poesia eredita la loro funzione di conservare la memoria e ridà vita al deserto vincendo la dimenticanza di mille secoli.

vv.235-295

Grande è la fama di Troia perchè Elettra amata da Giove ottenne di restare immortale nel ricordo. Sulla tomba di Elettra, Cassandra profetizzò la fine di Troia e la schiavitù dei piccoli troiani che non avranno più patria. Ella gli insegna a proteggere il ricordo degli antenati che rimarrà vivo per sempre. Un giorno verrà dato di nuovo onore alle gesta di Ettore.



La ura di Omero  e la funzione della poesia(versi 280-295)

Foscolo immagina che  Omero, che secondo la tradizione era cieco, venga ad interrogare le tombe dei progenitori di Troia per trarre ispirazione al suo canto. Egli, cantando la guerra di Troia, placherà il dolore delle ombre dei padri per la rovina della loro città.

Proprio la ura di Omero introduce l'argomento della poesia, per la quale si delineano diverse funzioni:

Innanzitutto quando le tombe degli eroi non sono più in grado di suscitare il desiderio di gloria negli animi nobili, o per corruzione, o per desiderio di potere, la poesia deve svolgere questo compito.

La poesia ha la funzione consolatrice: essa infatti placherà il dolore dei progenitori di Troia

La poesia è eternatrice di gloria: essa, come le tombe, tiene vivo il ricordo del passato e per questo la memoria delle grandi gesta rimarrà per sempre

La poesia ispira pietà per le sofferenze: essa eternerà non solo la gloria dei vincitori, ma anche quella degli sconfitti


Il valore civile dei Sepolcri

Facendo un excursus sui metodi di sepoltura che avevano caratterizzato l'età antica, il medio evo e il mondo classico )in particolar modo quello inglese, delinea attraverso degli esempi il valore civile dei sepolcri:

Testimonianza delle glorie del passato e dei defunti

Altare per i li (in età antica i defunti venivano venerati come dei)

Consolazione e ispirazione (in età antica i defunti divenuti Lari, cioè divinità domestiche, mostravano la loro presenza attraverso i responsi

Impegno, poiché ogni giuramento fatto sulla tomba dei propri cari è considerato sacro


Interpretazione psicanalitica dei "Sepolcri" (versi 22-50)

Anche per i Sepolcri, come in Jacopo Ortis è possibile un'interpretazione psicanalitica. Di nuovo e il complesso di Edipo: ai versi 35-40 possiamo vedere come la terra sia rafurata con sembianze materne; morire infatti è come rientrare nel grembo che ci ha generati. Anche verso l'Italia stessa, anche se corrotta e inesistente, è rivolto l'amore del poeta.


Rapporti con la filosofia di Vico (versi 90-l36)

Foscolo riprende, anche se non precisamente, le idee del filosofo illuminista-preromantico Vico il quale suddivise la storia umana in 3 età, nel corso delle quali l'uomo imparava cose nuove: età del senso, degli dèi, della ragione. Nella prima età gli uomini sentono senza avvertire ed iniziano le prime sepolture che li rendono "umane belve" distinguendoli dagli animali a cui sono vicini Propone la falsa etimologia della parola Humanitas collegandola ad humo:(sotterrare) invece che a "uomini che abitano la terra". Nell'età degli dèi gli uomini scoprono il culto religioso e iniziano a scrivere poesia epica. Vico si dedica fra le altre cose alla questione omerica scrivendo "Sulla discoperta del vero Omero" secondo cui è tutto il popolo greco a scrivere l'Iliade e l'Odissea poichè queste rappresentano ed esprimono tutto il popolo greco. Egli sposta dunque la ricerca dell'autore sulla ricerca del significato. Nella terza età nascono la filosofia, il diritto, la legge. Foscolo invece cita la nascita di tribunali(III età) e altari(I età) come contemporanei.


Le tombe di Santa Croce a Firenze

Parini: Foscolo descrive la tomba del poeta come una fossa comune, poiché vigeva già l'editto illuministico di Saint Cloud. Il corpo dell'uomo non ha ricevuto una grande tomba ed è mescolato a persone ignobili.

Tombe di Santa Croce a Firenze, che infiammano gli animi nobili a compiere grandi azioni, instaurando una "corrispondenza d'amorosi sensi" con i grandi uomini defunti che vi sono sepolti.

Tomba di Machiavelli: ha rivelato al popolo i meccanismi del potere di come si fondi sulle sofferenze dei sudditi.

Tomba di Michelangelo: ha innalzato a Roma la cupola di San Pietro, paragonata al Monte Olimpo.

Tomba di Galileo: aprì la strada alla ricerca astronomica, confermando le tesi del moto dei pianeti attorno al Sole.

Il Foscolo elogia Firenze per aver accolto la poesia e in particolare Dante e Petrarca: il primo venne esiliato, sostenne l'indipendenza dell'imperatore dal Papa e fu artefice della restaurazione del potere temporale in Italia; il secondo spiritualizzò l'amore e sembrava che la Musa Calliope parlasse attraverso di lui.

Alfieri: viene descritto come una persona irrequieta e scontenta della realtà politica del suo paese. Per questo motivo si recava a visitare le Tombe di Santa Croce, dove trovava conforto e le speranze di una libertà politica e di una rinascita dell'Italia (Alfieri in realtà desiderava la "libertà in astratto")


Le Grazie


La struttura dell'opera

Il progetto iniziale di un inno venne invece ad articolarsi in tre inni:

Il primo inno parla della nascita di Venere e delle Grazie nel mar Ionio

Il secondo inno il poeta immagina un rito in onore delle Grazie

Il terzo inno è collocato nella mitica isola di Atlantide, dove viene tessuto un velo per proteggere le Grazie dalle passioni umane


Il velo delle Grazie

Ad Atlantide, Pallade affida ad una schiera di dee minori il compito di tessere un velo alle Grazie che "a guisa di amuleto invisibile le difenda dal fuoco delle passioni divoratrici". È un velo così trasparente che non adombra le bellissime forme. Contiene diversi colori, ognuno rappresentante un significato profondo, un'ideale:

giovinezza, rappresentata dal colore roseo e dal fiorire dei fiori

amore coniugale, rappresentato dal colore niveo e da due tortorelle che tubano mentre si baciano

la gloria del guerriero vittorioso, rappresentata dall'alloro

l'amicizia, rappresentata dal colore dorato e da un convito

dolore, come quella della madre che scambia il pianto del bambino per un presagio di morte e sofferenza, rappresentato dal colore ceruleo


Il significato delle "Grazie": contestazione

L'opera del Foscolo assume un valore civile perché le Grazie sono divinità intermedie tra il cielo e la terra e portano civiltà. Le tre Grazie sono: Aglaia, Eufrosine e Talia; nascono insieme a Venere e tutta l'umanità che viveva in uno stato barbarico si ingentilisce. L'opera rappresenta un mondo perfetto e dunque è una contestazione dell'età contemporanea dell'autore, fatta di violenza e guerra; infatti le Grazie portano non solo la civiltà, ma anche la pace.

Proprio questa è l'interpretazione di Masiello e Lucax, secondo cui Foscolo è alla ricerca di un'opera e di uno Stato migliore.








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