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CAIO GIULIO CASARE

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CAIO GIULIO CASARE


Cesare, Caio Giulio (Roma 100-44 a.C.), generale e uomo politico romano, una delle ure più leggendarie e controverse del mondo antico, gettò le basi del futuro sistema imperiale romano alla fine della repubblica.

Le tappe della conquista del potere

Nato da famiglia nobile, appartenente alla gens Giulia, era nipote di Caio Mario, capo dei populares, che aveva sposato la sorella del padre e la cui influenza fu determinante per il futuro politico di Cesare. Quando il rivale di Mario, Silla, capo del partito degli optimates, dopo aver vinto la guerra civile fu nominato dittatore nell'82 a.C., ordinò a Cesare di ripudiare la moglie Cornelia, lia di Cinna (che era seguace di Mario e perciò nella lista delle proscrizioni di Silla): egli si rifiutò di sottostare alle disposizioni del dittatore e perciò fu messo al bando e dovette allontanarsi da Roma. ½ rientrò nel 78 a.C., dopo la morte di Silla, ma in seguito si recò a Rodi, dove intraprese - secondo le usanze del tempo - studi di retorica.



Tornato di nuovo a Roma nel 73 a.C., iniziò una brillante carriera politica: fu questore in Sna nel 70 a.C., edile nel 65 a.C., pontefice massimo nel 63 a.C., pretore nel 62 a.C. e propretore in Sna l'anno seguente. Nel 60 a.C. si unì a Pompeo (del quale sposò la lia Giulia) e a Crasso costituendo il primo triumvirato, accordo politico di natura prettamente privata che gli spianò la strada verso l'assunzione di maggiori responsabilità di governo. Console nel 59 a.C., si fece assegnare il proconsolato dell'Illiria e della Gallia cisalpina e fece votare le leggi agrarie che, ideate per gratificare con distribuzioni di terre i veterani di Pompeo, gli assicurarono il sostegno delle classi inferiori; nello stesso tempo si guadagnò il favore dell'ordine equestre, promuovendo leggi che migliorassero a favore dei pubblicani le condizioni d'appalto per la riscossione delle tasse in Oriente. Mostrò dunque di cercare il consenso soprattutto al di fuori della cerchia della vecchia aristocrazia senatoria, coerente fin dalle sue prime esperienze politiche, quando si era schierato in senato dalla parte dei populares.

Nel 58 a.C. Cesare avviò, prendendo le mosse dalla difesa dei possedimenti romani nella Gallia meridionale, la conquista di tutta la Gallia Transalpina, conseguita attraverso le lunghe (58-52 a.C.) e durissime guerre galliche, che gli offrirono tra l'altro l'occasione di costituire un fedelissimo esercito personale e di assicurarsi fama e ricchezza; soprattutto la fase finale del conflitto, quando dovette domare una ribellione antiromana di popoli gallici capeggiata dal principe arverno Vercingetorige, mise in luce le straordinarie capacità militari di Cesare, che seppe scongere il nemico nel proprio territorio con una perdita davvero esigua di legionari.

Morto Crasso, sconfitto e ucciso a Carre (53 a.C.) nel corso di una spedizione contro i parti, il triumvirato si sciolse e Pompeo, rimasto solo in Italia, assunse pieni poteri con l'inusitato titolo di 'console senza collega' (52 a.C.). All'inizio del 49 a.C. Cesare, avendo rifiutato di obbedire agli ordini di Pompeo, appoggiato dal senato, e di rinunciare al proprio esercito, attraversò in armi il Rubicone, fiume che delimitava allora l'area geografica che doveva essere interdetta alle legioni (il pomerium sillano); marciò poi su Roma terrorizzando il senato e facendosi proclamare dittatore, carica che mantenne fino all'anno seguente, quando gli fu affidato il consolato. Pompeo, privo del sostegno militare delle proprie legioni, stanziate in Sna, si rifugiò in Grecia; sconfitto a Farsalo (48 a.C.), fuggì in Egitto, dove venne assassinato dagli uomini di Tolomeo XIV; esposto alle rivolte del popolo ad Alessandria e ai problemi di successione, Cesare conferì il trono d'Egitto a Cleopatra e si preoccupò di domare, negli anni immediatamente successivi, i restanti focolai di resistenza dei pompeiani.

Cesare dittatore

Ormai padrone assoluto di Roma, Cesare ottenne la dittatura (prima a tempo determinato e poi, forse dal 45 a.C., a vita), dalla quale conseguiva il comando supremo delle forze armate, cui associò come magister equitum l'emergente Marco Antonio; il consolato per cinque (e poi per dieci) anni; la nomina a praefectus morum per tre anni, funzione che - di fatto - si sostituiva alla censura. Non meno importante fu la progressiva detenzione delle prerogative dei tribuni della plebe, dei quali assunse il diritto di veto e l'inviolabilità personale (sacrosanctitas).

Lo straordinario accentramento di poteri nella sua persona fu confermato poi dall'attribuzione a Cesare del titolo permanente di imperator (comandante generale delle forze armate) nel 45 a.C., che egli poté esibire come praenomen; ed è ulteriormente testificato dalla presenza di sue statue nei templi, dalla venerazione del suo genius, dalla denominazione di un mese dell'anno come Iulius. Cesare non volle però che si arrivasse a modifiche costituzionali che trasformassero formalmente lo stato romano in una monarchia, anche se ciò era sostanzialmente avvenuto.

Dal 47 al 44 a.C. egli attuò comunque una serie di riforme: limitò il potere della vecchia aristocrazia ampliando il numero dei seggi in senato, per destinarne alcuni a membri delle élites delle province occidentali, e riducendo - a vantaggio dei cavalieri - il numero dei senatori nei tribunali per il controllo delle amministrazioni provinciali; ridusse, col potere che gli derivava dalle numerose cariche assunte, le prerogative dei comizi e delle altre magistrature; sciolse le associazioni religiose o professionali, perché temeva potessero assumere caratteri di eccessiva politicizzazione. Dal punto di vista economico promosse alcune riforme a favore dei lavoratori agricoli liberi, riducendo il numero di schiavi e fondando colonie a Cartagine e a Corinto; promosse numerose opere pubbliche e la bonifica delle paludi pontine; introdusse inoltre la riforma del calendario, secondo il corso del sole e non più secondo le fasi della luna.

Per timore che Cesare volesse trasferire a un successore i poteri acquisiti (aveva adottato Ottaviano, il futuro imperatore Augusto), fu ordita una congiura contro di lui guidata dai senatori Cassio e Bruto, che lo assassinarono il 15 marzo del 44 a.C. (Idi di marzo). Cesare venne ucciso proprio quando stava per intraprendere una spedizione contro i parti, e lavare così l'onta della sconfitta subita da Crasso a Carre: dopo aver domato le più fiere popolazioni d'Occidente - i galli - gli mancava solo la sottomissione dei più ostili a Roma tra i popoli orientali - i parti - per essere consacrato davvero come l'erede di Alessandro Magno.

Oratore e scrittore di talento, Cesare scrisse i Commentarii de bello gallico, sulla guerra di conquista della Gallia, e i Commentarii de bello civili, sulla guerra che lo oppose a Pompeo. Il suo stile, asciutto ed essenziale, ben si adatta in entrambi i casi alla narrazione degli eventi bellici, anche se l'opera sulle guerre galliche - ricca anche di vivaci digressioni etnografiche sui popoli da lui combattuti e di descrizioni geografiche della loro terra - viene dai critici considerata il suo capolavoro.

Commentari de bello gallico


Sono sette libri , uno per ognuno dei sette anni della guerra gallica dall'inizio ( 58 ) alla presa di Alesia e alla sconfitta di Vercingetorige ( 52 ).

E' opera scritta tutta di seguito e, per così dire, di getto, probabilmente fra il 51 e il 50 e, in ogni caso, quando già si era delineato il conflitto fra Cesare da una parte, il senato e Pompeo dall'altra.

Ecco i fatti narrati nei singoli libri:

Libro 1° (58) Breve introduzione sulla geografia e l'etnografia della Gallia. Guerra contro gli El. Guerra contro Ariovisto.

Libro 2° (57) Guerra contro i Belgi.

Libro 3° (56) Conquista dei paesi lungo l'Atlantico e sottomissione degli Aquitani.

Libro 4° (55) Vitttoria sulle popolazioni germaniche degli Usipeti e dei Tencteri. Primo passaggio del Reno. Prima spedizione in Britannia.

Libro 5° (54) Seconda spedizione in Britannia. Ribellione degli Eburoni.

Libro 6° (53) Secondo passaggio del Reno. Punizione degli Eburoni.

Libro 7° (52) Sollevazione generale della Gallia e vittoria finale di Cesare.

Un generale di Cesare, Aulo Irzio, ha con discreta perizia esposto in un libro, che di solito si fa seguira come ottavo ai Commentari della guerra gallica, i fatti degli anni 51 - 50 seguenti i alla guerra gallica e precedenti alla guerra civile, colmando così la lacuna esistente fra le due opere di Cesare.

I commentari di Cesare furono variamente giuducati dagli antichi e dai moderni. Mentre tutti ammirano senza restrizioni la bellezza della forma, parecchie riserve si sogliono invece fare circa il loro valore storico. Senza arrivare alle esagerazioni di chi vorrebbe escludere dai commentari ogni alterazione della verità, ci pare di poter ammettere che sostanzialmente la narrazione cesariana è degna di fede. Intanto non si dimentichi che Cesare non avrebbe potuto contraddire troppo le relazione che della guerra gallica inviava ogni anno al Senato che fatti narrati tanti, e non tutti amici, erano i testimoni.

E' naturale e umano che Cesare sottolinei i successi che furono quasi costanti , e attenui gli insuccessi, che furono pochi e non mai seriamente compromettenti. Pretendere da chi scrive di sé che l'obiettività si spinga oltre questo limite è cosa che non pare umanamente possibile. D'altra parte bisogna ricordare che Cesare nello scrivere le sue imprese si propose scopi essenzialmente politici, poiché di fronte ai suoi avversari di Roma, che lo minacciavano di porcessi per abuso di potere non appena fosse ridiventato cittadino privato, volle presentare la conquista della Gallia come una necessità difensiva .

Concorde è invece il giudizio di tutti intorno al valore artistico e letterario dei Commentari .

Secondo dichiarazioni di contemporanei , Cesare si prefisse solo il compito modesto di fornire materiale agli storici ed ha invece fatto opera artisticamente così perfetta da distogliere a giudizio di Cicerone le persone assennate dal tentare la prova .

Apparentemente è solo storia militare. Cesare non fa preamboli di carattere generale, ma da uomo d'armi si cura piuttosto di conoscere il terreno dell'azione, l'indole del nemico, le sue condizioni morali, politiche e religiose, i suoi sistemi di guerra, le sue riserve di uomini e di viveri. Si tratta in generale di preziose osservazioni incidentali ; solo raramente lo scrittore si ferma di proposito a descrivere usi e costumi, e lo fa con esattezza e sobrietà impeccabili. Particolarmente interessanti sotto questo riguardo le notizie ch'egli ci dà dei Galli , dei Germani e dei Britanni dela sua epoca.

La narrazione procede rapida, precisa, sempre composta anche quando è drammatica e sempre obiettiva; anzi l'obiettività si spinge a tale punto che cesare parla di sé come di un estraneo: l' io se per diventare semplicemente Cesare.

Sotto l'apparente obbiettività, che confina a volte con la freddezza, quest'opera è una delle più ricche di phatos: i fatti più che narrati sono fatti vedere al lettore, e questi è subito conquistato . Cesare scrive con la stessa straordinaria lucidità con la quale concepisce e vede.




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