ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto latino

LETTERATURA E PRINCIPATO: L'ETA' DI NERONE NELLA RAPPRESENTAZIONE LETTERARIA - Persio e il disprezzo per la corruzione e il vizio: la satira come "chi



ricerca 1
ricerca 2

LETTERATURA E PRINCIPATO: L'ETA' DI NERONE NELLA RAPPRESENTAZIONE LETTERARIA


Persio e il disprezzo per la corruzione e il vizio:

la satira come "chirurgia morale"


q     La conversione filosofica e alla satira



Alle radici della satira di Persio sta un evento che segna una svolta nella sua vita di uomo e di scrittore: la giovanile conversione alla filosofia stoica.

Quando a 16 anni - assunta la toga virile - lascia gli insegnamenti di retorica e grammatica (discipline nelle quali è stato istruito dai maestri più celebri del tempo) e passa allo studio della filosofia, è grazie alla conoscenza del maestro dello stoicismo romano, Anneo Cornuto, che scopre il fascino della filosofia e ne è conquistato per sempre. Il maestro diviene per lui la guida, l'amico inseparabile - sia nei momenti dello studio sia in quelli dello svago - per il quale egli nutre un'autentica venerazione: la guida alla verità e alla libertà per gli uomini che vivono nell'errore. E' preso da entusiasmo, quasi da fanatismo giovanile, nella decisione di rompere con la vita passata e non tardare a mettersi sulla via della salvezza.

Alla conversione alla filosofia si accomna la scelta della satira. Aveva già scritto versi nella sua prima età: una tragedia di argomento romano, la narrazione poetica di un viaggio, un carme breve su Arria (donna eroica che precede il marito nel suicidio e gli porge il pugnale perché faccia altrettanto).  Anche dopo la conversione alla filosofia non abbandonò l'ispirazione poetica, ma la volse ad un genere più congeniale.

L'antico biografo sostiene che fu la lettura di Lucilio a suscitare in lui l'entusiasmo per la satira; ma la ragione ultima di questa contemporanea conversione alla satira è più profonda:

"era il genere poetico che, dopo il poema didascalico di tipo lucreziano, meglio permetteva di conciliare l'originaria vocazione poetica col nuovo amore per la filosofia"[1];

alcuni caratteri propri della satira latina - in particolare l'attenzione al tema morale (ovvero all'analisi di comportamenti individuali e collettivi) e alla vita quotidiana - sono particolarmente congeniali ad una riflessione filosofica come la dottrina stoica, che si preoccupa di guidare nell'esistenza verso la conquista della sapienza, la meta cui il sapiens deve tendere. Si tratta infatti di una sapienza di vita, una sapienza morale, che consiste nel fuggire il vizio e sposare la virtù e la satira analizza, critica e orienta i comportamenti morali dell'individuo, per guidarlo alla felicità vera;

nel clima di quell'entusiastica conversione giovanile alla filosofia, avvertita come la via della salvezza, della liberazione dalla schiavitù delle passioni e dei vizi, Persio "sente la satira come una necessità", "un impulso irresistibile, a cui bisogna obbedire rompendo con le mode letterarie del tempo e rischiando il discredito, l'isolamento, l'ostilità pericolosa dei potenti . "

e per denunciare i vizi e le schiavitù morali in sé e negli altri;

e per compiere quell'opera di "chirurgia morale" necessaria alla scoperta e all'accoglienza della verità e della salvezza offerte dalla filosofia, al fine di portare gli uomini a prendere coscienza delle proprie schiavitù e orientarli verso la vera libertà.


q     La rivolta contro la letteratura e la realtà contemporanee


Contenuto della satira di Persio sono frequentemente la condanna della poesia contemporanea - che considera corrotta e corruttrice - e la denuncia delle abitudini di vita diffuse nella società contemporanea: la fenomenologia dei vizi imperanti, nel clima di una generale e nauseante corruzione dei costumi.

(A) Anzitutto, dunque, a caratterizzare la satira di Persio è la rivolta contro la poesia contemporanea. L'avversione radicale dell'autore è dovuta a una triplice ragione:

1 ) anziché spingere al rifiuto della corruzione contemporanea dilagante, partecipa ai suoi vizi, ne è intimamente corrotta e anzi diviene essa stessa causa di corruzione: il poeta e il suo pubblico si corrompono a vicenda ( il poeta deve compiacere la corruzione del pubblico se vuole essere letto e acquistare fama.

[ Cfr. due immagini della Satira I:

Cavalieri romani imponenti nell'aspetto che durante le "recitationes" si sentono solleticati fin nelle viscere dai versi che un poeta elegante e imbellettato recita;

O dei discendenti di Romolo che a banchetto, con la pancia piena, stanno ad ascoltare ed elogiano un poetino effeminato con una mantellina color giacinto che recita lamentosi, brevi componimenti erotici. ]

2 ) è appunto caratterizzata da una mollezza effeminata: l'allusione evidente è al nuovo gusto poetico diffusosi in Roma, orientato al recupero della poesia di ispirazione neoterica (breve, raffinata, di contenuto amoroso . ) come reazione alla poesia augustea dalle alte ambizioni, all'epica solenne.

3 ) nell'ambito dell'epica e della tragedia è viziata dalla ricerca del grandioso: di "una sublimità fittizia e vacua", di una "falsa grandiosità" (=di grandi ambizioni che vuol contendere con Virgilio nella grandiosità; si narra che Nerone ambisse a comporre un poema in 400 libri sulla storia di Roma . ) e dall'esasperazione dell'orrore e del macabro.

Il netto rifiuto della poesia contemporanea si accomna all'irrisione e al disprezzo per i poeti contemporanei, per i quali maestro dell'arte è il ventre (ossia la fame, il bisogno di campare . ) e, spinti in realtà solo dalla brama di guadagno, imitatori servili, privi di originalità, si fanno passare per ispirati dalle Muse. Il giudizio è drastico: papalli che parlano in greco (= poetastri ellenizzati, imitatori privi di originalità); gazze ( . ladre, per il loro mirare solo al guadagno).


(B) Alla radice del rifiuto per la poesia contemporanea sta il rifiuto della realtà morale contemporanea che descrive con grande realismo nelle sue satire (un realismo giustificato proprio dalla convinzione che il compito della letteratura sia un compito etico, di demistificazione, di chirurgia morale . ), rappresentando una fenomenologia del vizio molto cruda nei toni, che, soprattutto in alcune scene più originali offre un quadro di vita imperiale romana (come altre ine di Petronio o Marziale o Giovenale).

Accanto ad alcuni quadretti di vizi rappresentati in modo abbastanza convenzionale (fonti: tradizione satirica e diatribica), Persio crea personaggi e immagini originali nello stigmatizzare i due vizi principali: l'accumulo di ricchezza grazie al risparmio e all'usura (l'avarizia) e lo sperpero di essa; la lussuria.

[ es.         - l'avaro mercante (Satira IV) che cena sulla sua nave seduto su un mucchio di gomene;

- l'avaro padrone di un latifondo in Sabina, che nel giorno di festa solenne addenta una cipolla, beve aceto e concede a i suoi servi una minestra di farro.

Fino alle scene più urtanti

- del gaudente che, tutto unto d'olio, prende i bagni di sole, interamente depilato, eccetto che nella barba, che si pettina in continuazione (Sat. IV,33ss.);

- del crapulone che muore di ingordigia durante un banchetto, perché non si è curato degli ammonimenti del medico: occasione per stigmatizzare lo sperpero di ricchezza e l'assoluta mancanza di ogni limite nei consumi (Sat. III).

(C) Cosa caratterizza - in conclusione - la satira di Persio nei confronti del costume contemporaneo se la confrontiamo con la precedente tradizione della satira in Roma?

Persio è più vicino alla aggressività, alla satira mordace di Lucilio che alla divertita indulgenza di Orazio (bonaria ironia nell'osservare i difetti umani). La ripulsa per i costumi contemporanei lo spinge a sfogare la sua nausea: la "pars destruens" domina sulla "pars costruens". La fenomenologia del vizio si impone come contenuto dominante, nettamente prevalente rispetto alle scarse indicazioni positive sul "recte vivere".

[NB: nella satira oraziana è più evidente una precettistica positiva; Orazio ribadisce frequentemente i principi ispiratori della sua morale: metriòtes, autàrcheia, carpe diem . ; nella satira di Giovenale "la patologia del vizio prenderà uno spazio ancora più ampio"[4].]

Nella Sat. III condensa in pochi vv. il succo della saggezza (cfr. III,63-76).

Nella Sat. V dissemina nel testo i principi ispiratori di una esistenza retta: moderazione nei desideri e nell'uso della ricchezza; buoni rapporti con gli amici; rifiuto della avarizia, lussuria, ambizione, superstizione .


q     Persio e lo stoicismo


Non ritrovava Persio tutti questi motivi nella satira precedente, senza che ci sia bisogno di chiamare in causa la dottrina stoica per spiegare l'insistenza su questi temi?

Per quali aspetti è evidente la dipendenza della satira di Persio nei confronti dello stoicismo?
Per la sua esigenza di "inquadrare l'etica in un ordine cosmico" che è quello - appunto - della filosofia stoica: fine dell'uomo (di cui la filosofia deve renderlo consapevole), che gli consente di tornare in armonia con l'ordine cosmico ed è stato assegnato all'uomo dalla divinità concepita come ragione universale, è la libertà dalle passioni. Per conquistare la vera libertà, bisogna estirpare le passioni.

Rispetto alla libertà politica, come si pone Persio? Non dimentichiamo che lo stoicismo nella prima età imperiale alimenta ideologicamente l'opposizione senatoria al Principato e Persio vive nell'Età di Nerone!
La sua ispirazione stoica non lo porta a prendere posizione in politica: né lo induce alla condanna intransigente del tiranno (come invece Lucano), né - sull'altro fronte (come Seneca) - a tentativi di collaborazione per influenzarne positivamente le scelte di governo.
La tematica politica (interventi espliciti o allusioni a questi temi . ) è assente dalla satira di Persio. Perché? Per i pericoli che questo comportava? Più probabilmente perché lo stoicismo di Persio propende per la scelta della vita interiore (laddove Seneca era invece diviso tra le due alternative..); non ha vero interesse per la lotta politica, mentre avverte spiccatamente il gusto per il raccoglimento interiore.

La sua poesia è anche animata da un forte spirito di proselitismo (il desiderio di fare discepoli . ). Si rivolge a tutti gli uomini in errore, ma è consapevole che non tutti capiscono la filosofia. Il volgo non la comprende e la disprezza; il filosofo è spesso un isolato.

[ Nella Satira III, il centurione rozzo mette in ridicolo i filosofi; la gente ride; e i giovani, tanto muscolosi quanto privi di cervello, approvano la derisione del filosofo da parte del centurione.]

Assume un atteggiamento di distacco aristocratico nei confronti del volgo: un atteggiamento già presente nella tradizione satirica e diatribica, che però si approfondisce. L'antinomia tra proselitismo e distacco aristocratico si evidenzia nello stile, per la scelta di un linguaggio che attinge alla lingua viva quotidiana -da una parte - e la complessa elaborazione formale - dall'altra.


q     Il "metodo" adottato da Persio nelle sue satire:
la dissimulazione della trama concettuale (dell'argomentazione filosofica)


Nella lettura, l'impressione immediata e irritante che suscitano le satire di Persio è quella di trovarsi di fronte ad "una giustapposizione più o meno casuale di immagini o di quadri" [5]. L'accostamento di scene, immagini, situazioni tra loro apparentemente prive di nessi espliciti di collegamento induce a trarre la conclusione che manchi una logica argomentativa e l'autore giochi ad offrire al lettore un flusso di immagini sconnesse, da gustare come una serie di quadretti a sé stanti ( surrealismo? Poesia puramente visiva, priva di spessore ragionativo?).

In realtà si tratta di comprendere la peculiarità del metodo compositivo di Persio: una trama concettuale c'è, ma è volutamente nascosta, mascherata, lasciata implicita, chiedendo al lettore di scoprirla.

Già Orazio aveva voluto differenziare la satira dall'argomentazione filosofica: come? La satira oraziana ha inizio da un'esperienza quotidiana presentata come casuale; non si apre ponendo in anticipo il problema né la sua risoluzione. C'è un filo logico ma viene dissimulato; non è in primo piano: lo sono la rappresentazione e il dialogo; anzi è spesso dissimulato così bene che è difficile ritrovarlo.

Persio non ha fatto altro che portare all'estremo limite questo procedimento, moltiplicando le difficoltà di interpretazione. In realtà ogni satira affronta un tema etico dominante e lo svolge seguendo una sua logica interna, anche se non è esplicita ma da scoprire:

"La prima vuole definire la posizione e il compito del poeta satirico di fronte alla corruzione della letteratura e della vita. La seconda svolge coerentemente l'irrisione delle preghiere stolte. La terza indica le ragioni per cui il giovane non deve tardare a imboccare la via della filosofia come ricerca e pratica del 'recte vivere'. La quarta, prendendo l'avvio dall' 'Alcibiade I' di Platone, discute sulla necessità di conoscere se stesso, di scavare nelle proprie malattie per guarirsi, anziché guardare alle malattie degli altri. La quinta, dopo il lungo esordio, svolge con coerenza il concetto della libertà vera come libertà dalle passioni. La sesta si propone come tema l'avarizia e la prodigalità; se solo il tema dell'avarizia viene effettivamente svolto, non dobbiamo stupirci troppo: il caso è analogo a quello di Orazio, Sat. I,



Il procedimento graziano è accentuato: nessuna satira comincia col porre chiaramente la questione (il problema morale in discussione) ed anche quando pone il lettore davanti a un nuovo tema, non lo annuncia esplicitamente, non guida il lettore a rendersene conto: "gli getta dinnanzi una nuova scena o un nuovo quadro: il legame logico si chiarirà dopo o è lasciato al lettore il compito di ritrovarlo"[7].

E' un modo di procedere che La Penna definisce "mimo diatribico", perché è caratteristico della diatriba (la predicazione filosofica popolare) il procedere del dialogo con un interlocutore inventato, alternato a aneddoti, tavolette, scene di vita quotidiana, come in un mimo si assiste ad un susseguirsi di schetch accostati uno all'altro.


q     Il realismo, il gusto barocco, lo stile di Persio


Realismo

Nella satira dio Persio "c'è una forte tendenza alla rappresentazione concreta e visiva" [8]. Si veda ad es. la scena del risveglio del giovane poltrone nella Satira III. Una concretezza e una nitidezza visiva che penetra nei dettagli, nelle metafore, nell'aggettivazione. Del mercante spilorcio che mangia per pranzo una cipolla, si dice che addenta "tunicatum caepe" - una "cipolla in tunica" - perché non butta via nemmeno la buccia. Il dettaglio realistico non tende a scopi esornativi, ma nasce da una istintiva cura di "tenere il concetto sempre attaccato all'immagine, radicato nella sensazione". Nella Satira I (v.24) ad es., per esprimere il desiderio irresistibile di esibirsi del poeta alla moda, usa l'immagine del caprifico (fico selvatico) nato dentro, che rompe il fegato e vien fuori, come il fico selvatico nasce tra i sassi delle muraglie screpolate e si fa strada sgretolandole.

Gusto barocco

E' un realismo, il suo, che vuole mettere in luce - sempre a fini di chirurgia morale - il marciume nascosto sotto le apparenze di rispettabilità: la piaga purulenta che suscita disgusto e nausea. Nel compiere questa operazione di svelamento della malattia, per suscitare la ripugnanza ricorre frequentemente, con gusto barocco, al fetido, al macabro, all'orripilante, al disgustoso.

[Es. : il poetino con la mantellina color giacinto (comico) recita, "con inflessioni nasali e balbuzie da cinedo . versi che puzzano di rancido": un dato non più comico, ma disgustante.

Es. : il giovane che russa e non ha ancora smaltito la sbornia è descritto con "la . testa ciondoloni, come disarticolata, sbadiglia la sbornia di ieri, con le mascelle che paiono scucite da ogni parte" (Sat. III,58 ss.): "più che la testa di un ubriaco sembra il teschio macabro di un moribondo"- commenta La Penna[9].

Es. : il barocco in macabro del quadro del crapulone nella Sat. III (vv. 98-l06) ]

Un gusto barocco deformante, che del resto colora buona parte della letteratura latina dell'età imperiale: lo si ritrova nelle tragedie di Seneca, in Lucano, Tacito, Apuleio, Ammiano Marcellino, Girolamo .

Persio è tuttavia più misurato, procede per pennellate essenziali, come nel definire l'atmosfera che si respirava ai suoi tempi: "crassos . dies lucemque palustrem", "aria crassa di corruzione, luce di palude" (commenta La Penna : "un cielo non inadatto al nostro tempo . ").

Lo stile di Persio

E' originalissimo lo stile di Persio, alambiccato e oscuro, frutto di un finissimo lavoro di cesello. Cosa lo rende così "oscuro", di difficile comprensione?

La poetica di Persio, la sua concezione dell'arte, il suo ideale di stile è condensato in un unico verso:


"Verba togae sequeris iunctura callidus acri" (Sat. V,14)


che potremmo tradurre "Tu cerchi parole comuni, fine e ingegnoso conoscitore dell'accostamento tagliente", ma "acri" significa anche penetrante, aspro, stridente, acuto, violento e sono tutti sensi appropriati per descrivere il suo gusto degli accostamenti tra parole del tutto inusuali e sconcertanti.


Due aspetti contraddittori connotano tali scelte espressive:

la lingua che sceglie di adottare è quella della conversazione comune (realismo), in polemica con la ricerca falsa del grandioso e del sublime dell'epica e della tragedia contemporanee;

ma lo stile è raffinato e ricercato, caratterizzato dal modo nuovo di unire, di accostare le parole, da oscurità e finissimo lavoro di cesello, in evidente polemica con la faciloneria e l'improvvisazione dei poeti coevi. Nessuno di loro, infatti, "si rode le unghie fino alla carne nel labor limae, nella ricerca dell'espressione adeguata e rifinita"[10], come sostiene nella Sat.I.

Si tratta evidentemente dell'aspirazione a cercare una composizione, della ricerca di equilibrio, tra due tendenze divergenti: la fedeltà alla lingua comune e la ricerca di sempre nuove iuncturae. Già Orazio chiedeva al poeta la "callida iunctura",ma Persio si spinge molto più in là, con un'audacia che scuote il lettore, con un'arte "allusiva" che gli chiede una continua collaborazione interpretativa, per gli accostamenti inusuali, sottili e difficili.

[Es. : "saliva Mercurialis" (Sat. V,113) : per dire - essendo Mercurio il dio dei commerci - "che viene in bocca pregustando il guadagno" 

Es. : "puteal flagellare"(Sat. IV,49) : per dire "esercitare l'usura flagellando i debitori", in quanto il "puteal"  di Libone è il luogo dove si riuniscono gli usurai . ]

Le metafore sono nuove e arditissime "nello spostare il termine reale di riferimento della metafora e specialmente nell'accorciare la distanza tra termine reale e immagine analogica" attuando un processo di "condensazione o salto dell'analogia"(tali da far pensare a poetiche novecentesche, da Rimbaud in poi..): "pallentis mores" (Sat V,15), per significare "i costumi corrotti come malattia che fa impallidire".

[Es. : Un'immagine usata da Varrone: "i peli si rizzano come le reste sulla spiga dell'orzo" ( "ut arista in spica ordei") diventa in Persio "excussit membris timor albus aristas" ovvero "la pallida paura ti ha drizzato tutti i peli del corpo". Il lettore deve ricavare dall'immagine ("aristas") il termine reale ("peli")

Es. : "Il filosofo strappa dal giovane i pregiudizi che gli hanno tramandati le vecchie nonne: ma nello stile di Persio egli strappa dai polmoni del giovane le vecchie nonne (5,92 "veteres avias tibi de pulmone revello"): cioè viene saltato il termine intermedio, le idee che le vecchie hanno insegnato."

E' innegabile la potenza espressiva dell'ultima immagine citata.

L'oscurità di Persio non appare - in conclusione - come il frutto di un puro gioco letterario fine a se stesso, ma nemmeno come "la veste del rigore stoico"[12]. Le due principali cause dell'oscurità consistono nella dissimulazione del filo teorico e nel sottile lavoro di cesello (iunctura acri) con il quale "sposta i rapporti comuni delle parole e i rapporti tra la metafora e la cosa" . Non si tratta di un gioco gratuito, bensì funzionale sia "all'energia espressiva" sia alla "ricchezza e nitidezza della rappresentazione". E' infatti "strettamente legato alla sua reazione di fronte alla realtà contemporanea e ai suoi ideali morali, che sono alla base della sua poetica".

Anziché condividere il drastico giudizio di Mommsen su Persio ("il perfetto ideale del giovane orgoglioso e arido di cuore, diligente cultore della poesia"[14]) ci appare, pertanto, più calzante quello di La Penna: "un artista autentico, e nello stesso tempo tutt'altro che un artista puro."



LA VITA OZIOSA E LA VERA EDUCAZIONE FILOSOFICA

( Persio, Satira III )



IL FILO DISSIMULATO DELL'ARGOMENTAZIONE

NELL'INTERPRETAZIONE DI UN CRITICO (A. La Penna)



Sequenze

("scene")

Il filo rosso dell'argomentazione, sapientemente dissimulato

vv. 1-9

"Anche l'inizio della terza satira ci getta subito nel mezzo di una scena. Il "giovin signore", dopo la crapula della sera precedente, dorme fino a mattina inoltrata. Uno dei comni, forse Persio stesso (anzi lo Housman pensava che Persio si fosse sdoppiato nel giovane ignavo e nel comno, quindi supponeva una specie di monologo), lo rimbrotta per la sua ignavia. Il giovane si alza gonfio di bile (1-9).

vv. 10-l9

Messosi al lavoro, trova pretesti futili per non studiare (10-l9);

vv. 19-30

Ma il comno lo incalza perché non tardi a imboccare la via degli studi filosofici e della liberazione morale: non si contenti dei beni apparenti che possiede (ricchezze, nobiltà), prenda coscienza dei suoi vizi, che lui, il comno, conosce bene (19-30).

vv. 31-43



Il giovane ignavo vive come il dissoluto Natta; ma Natta è come un bruto immerso nel fango, che non ha coscienza di nulla; il giovane, che ha preso coscienza della virtù, sarà tormentato dal rimorso, come i tiranni siciliani (31-43).

vv. 44-58

Il poeta ricorda come egli da fanciullo cercasse con piccoli imbrogli di sottrarsi ai suoi doveri; nei fanciulli questi sono peccati scusabili; ma il "giovin signore" è in un'età più matura e la filosofia gli ha indicato già la via giusta (44-58).

vv. 59-65

Invece continua a vivere nell'ignavia; il poeta gli chiede se vive con uno scopo o vive a caso. Eppure non c'è tempo da perdere: bisogna combattere la malattia ai suoi inizi (59-65);

vv. 66-76

e qui il poeta gli dà una breve 'summa' della sapienza stoica da seguire; la segua, e non stia a morire d'invidia per chi è più ricco di lui (66-76).

vv. 77-87

Questa sapienza viene irrisa dal rozzo e fetido centurione e dal volgo (77.87);

vv. 88-l06

ma chi non prende in tempo coscienza della propria malattia e persiste nel vizio, non evita una morte ripugnante (88-l06):

vv.
        107-l18

Il pezzo comprende il magnifico e terribile quadro della morte del crapulone nel bagno durante il banchetto. Né bisogna preoccuparsi solo delle malattie del corpo; si può essere sani nel corpo e malati nell'anima; le malattie dell'anima sono più nascoste e, per questo, più pericolose (107-l18): la satira si chiude col quadro fiammeggiante della malattia dell'ira."

La satira come chirurgia morale (Persio, Satira III) L'esortazione a lasciare una vita insulsa e corrotta per seguire la filosofia


Sequenze

("scene")

Il filo rosso dell'argomentazione, sapientemente dissimulato

vv. 1-9

"Ogni giorno è la stessa storia!"

E' lo sguardo di un "amico" che vorrebbe tirarti fuori dal fango delle abitudini contratte (ignavia) in cui sguazzi tanto comodo .

La reazione: . non me n'ero accorto!!! Ma vi sbrigate a servirmi o no?

Non l'autorità di un re, ma . il raglio di un asino (anzi una mandria..)

vv. 10-l9

Comincia lo studio. Ha tutto: non gli manca nulla, ma non gli va bene niente e si lamenta in continuazione . (accusando il mondo intero . )

Perché? Perché l'inchiostro è un po' seccato o troppo liquido? No. Perché non ha voglia di far fatica, lo strappano a forza al suo sport preferito (..non fare un tubo..) e lo condannano a studiare .

E' un "autentico" infelice! La vita è veramente un dramma! [ironia]

Cosa ha tutto ciò di diverso dai capricci infantili? . del bambino viziato che sbraita perché vuole la pappina già tritata o del lio di re che pretende tutti siano ai suoi servizi?

vv. 19-29

Ma chi crede di ingannare prendendosela con la penna che non scrive, quando sa benissimo che è in se stesso la causa vera della sua insoddisfazione e della sua rabbia verso tutti? Se va avanti così lo prenderanno in giro tutti e lo disprezzeranno .

"E invece è proprio questo il tempo in cui curare la tua 'formazione'!
Già, ma chi te lo fa fare, dato che tanto i soldi te li passa papà, anche se non combini niente nella vita?"

"Ho tutto! Sto bene così!" ("sufficiente"!)

Anzi te ne fai bello e vai in giro vantandoti ai quattro venti  che la tua famiglia è "nobile" e avrai vita facile senza bisogno di fare alcuna fatica .

vv. 30-43

"Lascia questi discorsi a chi ti sta ad ascoltare, magari anche ammirato..
Io ti conosco bene: dentro e fuori! (« intus et in cute ») Non ti vergogni di vivere così ? "affogato" in una vita insulsa? perché dovresti vergognarti? Perché nonostante la tua età sei
totalmente privo di coscienza della realtà, della vita e della condizione umana!                 
Tre storie, tre situazioni radicalmente diverse, ma tutte e tre emblematiche dei dolori e delle sofferenze comuni a chi condivide la condizione umana:

l'angoscia di chi è torturato e schiacciato da un potere ingiusto e crudele (le vittime del tiranno Falaride e delle sue terribili torture);

il tormento di chi esercita quel potere tirannico, che solo apparentemente lo rende un uomo al di sopra degli altri, invidiabile nella sua apparente onnipotenza (i rimorsi della coscienza per il male commesso; l'incubo costante del tradimento, della congiura da parte dei numerosi nemici nell'ombra . );

la condizione disperata dell'uomo comune che (con la responsabilità di una famiglia..) si rende conto che precipita in rovina (per sue colpe o per le avversità della sorte?) e non osa dire nulla alla moglie .

[ E' questo il dramma (percepire la vita come infelicità e tormento) da cui la via proposta dalla filosofia ti può liberare!

E il nostro giovane . ? Ne è totalmente ignaro. E anzi crede di sapere tutto della vita, di averla in pugno .

Si ritorna a lui nella scena successiva: . ]

vv. 44-58

. continua a vivere come un bambino, con gli stessi obiettivi a breve termine: mezzucci e piccoli inganni per riuscire a marinare una scuola noiosa che insegna cose insulse; la ricerca dei piccoli piaceri e successi nel vincere gli amici al gioco. Un vivere alla giornata senza guardare più in là, senza progetti .

Nonostante l'età e gli insegnamenti ricevuti, ignaro del bene e del male (della vita, nelle sue complessità e durezze..) .

[ del tutto privo di consapevolezza, di umanità seria: un fantoccio .

Un bambino egocentrico e "stupido" (=incapace di capire cosa è la vita per l'uomo), un irresponsabile in un corpo di uomo di vent'anni .

Più che pena, suscita disprezzo: come fa a non rendersene conto? (questo è il punto: non se ne accorge; non capisce la sua situazione!) . come fa a non vergognarsene ? ]

All'opposto della gioventù che cresce riflessiva alla scuola stoica di Atene: una scarsa cura dell'esteriorità, sobri i cibi e le abitudini di vita.

"Tu che dovresti aver ormai capito che la via della virtù è stretta e ripida e invece voli giù a capofitto per la via larga e comoda del non fare un . e lasciarsi vivere alla giornata: a letto il mattino fino a tardi a smaltire la sbornia sistematica delle feste notturne.

Come un alienato, una marionetta disarticolata, grottesca, non un uomo . "

[ chi comanda dentro di te? Si preoccupa di costruire? Pensa il tuo futuro? Medita e compie le scelte? Altri: le situazioni, le circostanze, le voglie, l'istinto . ]



vv. 59-65

C'è qualcosa a cui ti riesce di appassionarti? Per cui sei disposto a spenderti? O vivi galleggiando alla superficie della vita, lasciando che siano le onde a portarti dove vogliono loro? E vivi alla giornata?

[ Questa è la tua grave malattia e la cosa più grave è che nemmeno ti rendi conto, nemmeno sospetti che lo sia. La credi e la chiami la tua LIBERTA'! Vivere facendo quel che ti pare . Proprio ciò che in realtà è la tua rovina ]

Il guaio è che se certe malattie non le prendi in tempo, quando ti decidi a curarla - perché stai male - poi è troppo tardi e nessun medico, anche se bravissimo, ti può più salvare .

vv. 66-76

Solo a questo punto si può aprire la parentesi: l'invito alla conversione filosofica. "Ma ti rendi conto di come stai vivendo la tua vita?" [v.66 "rendetevi conto!" .

Solo a partire dalla presa di coscienza [consapevolezza] della propria condizione è possibile che cominci un cammino verso l'essere umano .

[ E' l'appello all'interiorità: "scendi in te stesso e guardati dentro! Smetti di vivere da imbecille alla superficie delle cose; come un turacciolo di sughero in balia della corrente . ]

[v. 66 "o infelici"! . ] Questa è la vera infelicità [ spesso mascherata da un'allegria sguaiata: il più chiaro sintomo della confusione, della sofferenza o della disperazione interiore ]: quella di chi non si è reso conto, non ha ancora capito niente della vita. Di qui l'invito a prendere coscienza, a cercare risposte alle domande di senso . e tante lamentazioni inutili per ritenerti l'essere più sfortunato al mondo [perché non ti hanno scelto tra le cinque pop star . o perché non hai i soldi dell'avvocato, che in realtà si è arricchito con le mazzette dei suoi potenti clienti . svaniranno da sole.

vv. 77-87

[ . da questo punto in poi - raggiunta la vetta dell'esortazione a seguire  gli insegnamenti della filosofia(parenèsi)- come può continuare la satira?

Con le argomentazioni in difesa del proprio modo di vivere da parte del giovane imbecille  e di tutti i seguaci della stessa "filosofia" di vita .

"Ma che . me ne frega di quello che mi dici? So io cosa conta nella vita Io sì che so cosa vuol dire godersi la vita!" [ ..ritorna la filosofia del "sufficiente": "quel che io so mi è più che sufficiente; non m'interessa affatto diventare sapiente . "

A difesa delle posizioni del giovane (che non si difende da sé; non interviene; non ha niente da dire . e non sorprende: è una nullità!) Persio non sceglie proprio il meglio della società del tempo: centurioni che deridono l'atteggiamento meditativo e le parole dei filosofi; ragazzotti "nerboruti" (fisici scultorei e teste di capre: i "Tariconi" della situazione . ) e la gente: sghignazzano, ti ridono in faccia a sentire  questo tipo di discorsi .

vv. 88-l06

[ Non risponde, Persio. Non replica agli insulti e alle risate dei più.
Non argomenta in modo esplicito, confutando le tesi dei suoi denigratori. Ma l'argomentazione - dissimulata - è schiacciante. E' come se dicesse:

"Sai chi sei tu che rispondi come mi hai risposto? Guardati bene allo specchio che adesso ti descrivo!" Ecco il senso della scena che si apre:

"sei la fotocopia esatta di questo tizio, se sei attestato sulla tua posizione; se non c'è in te nessuna disponibilità a riflettere su te stesso e a metterti in discussione. Sei ormai a questo punto: senza speranza . "

Il fatto che si parli di uno che mangia troppo è marginale; che conta è il suo atteggiamento    a) di fronte ai consigli del medico, per la sua "salute";

b) di fronte alla vita.

E' uno che si lascia vivere, abbandonato agli istinti (con l'idea che libertà sia: "faccio quello che mi pare e tu non mi seccare coi tuoi noiosi consigli. Fatti gli affaracci tuoi!")

E' la grande scena del crapulone, che muore durante il banchetto.

Qualche sintomo della malattia lo avverte [ che la vita che sta vivendo non sia il massimo, ogni tanto lo percepisce , ma ascolta il medico - che lo mette in guardia - giusto il tempo (effimero) in cui durano i suoi buoni propositi. E riprende subito le sue abitudini di sempre.

Altri gli fanno notare che è a rischio, se va avanti così. Ma manda al diavolo tutti quelli che vogliono dargli consigli e continua a modo suo [ anzi raddoppia il fumo, lo sballo . ], finché schiatta, nel vomito.

E' la degna morte - solenne! - di un simile "eroe" (ironia: "beato" = la felicità che una vita così vissuta promette): una morte simbolica dell'annullamento dell'essere umano, dell'uomo.

vv.
        107-l18

E' questo il senso della conclusione,in cui il poeta torna al "tu", a rivolgersi al giovane destinatario: "vuoi finire così? Senza accorgerti di come ci sei arrivato?".

"Già, tu - al momento - stai benone: non hai né febbre da cavallo, né il gelo della morte negli arti. Non vedi sintomi preoccupanti: non c'è nulla che ti costringa a renderti conto della malattia che ti sta portando alla rovina. Ma guarda un po' come reagisci alle situazioni della vita! Le passioni ti travolgono (il danaro, le fanciulle . ): non sei padrone delle tue reazioni; sei in balìa degli istinti, delle sensazioni, delle emozioni, dei desideri . . Altri ti trascinano dove non sei tu che hai deciso di andare: sei alienato da te stesso.

Dove sei? Chi c'è dentro di te che ti manovra, se non è la tua coscienza?

Sei "folle" a vivere così e non te ne accorgi.

Non te ne rendi minimamente conto! Questo è l'aspetto più grave della tua malattia. Ma è proprio la "condizione" senza la quale non si dà la follia: l'assenza della consapevolezza di essere folli!




Antonio La Penna, Persio e le vie nuove della satira latina, in  Persio, Satire, Milano, B.U.R., 1979, p.11.
La sintesi sull'autore che propongo in queste ine è una libera riduzione di questo saggio di straordinaria acutezza e fascino.

La Penna, op. cit., p.11.

Op. cit., p. 23.

Op. cit. p. 28.

Op. cit.,p.45.

Op. cit., pp.35-36.

Op. cit., pp.46.

Op. cit. , p. 49.

Op. cit. , p. 53.

Op. cit., p.61.

Op. cit. , p. 70.

Op. cit., p.74.

Op. cit., p. 75.

Riportato da La Penna in Op. cit. p. 74.

Op. cit., p.75.

Op. cit. pp. 41-42.






Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta