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Letteratura latina classica - I 'poeti nuovi', Catullo, Lucrezio, Cicerone



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Letteratura latina classica

I 'poeti nuovi'

Con la morte di Silla e la salita al potere di Giulio Cesare inizia il periodo cosiddetto classico della storia romana. Cesare, eletto dittatore, pose fine agli anni di inquietudine politica seguìti alla morte di Silla e introdusse di fatto quel regime monarchico che porterà suo nipote Ottaviano a diventare il primo imperatore romano.

Cesare influenzò profondamente il suo tempo e molti intellettuali dell'epoca ebbero contatti e scontri con lui, da Cicerone a Catullo, da Sallustio a Varrone.

L'oratoria e la storiografia continuarono a essere legate all'impegno politico, mentre la poesia diventò espressione di sentimenti sempre più intimi, perdendo le caratteristiche di celebrazione delle glorie nazionali. Poesia e politica non furono più strettamente legate come in passato e il messaggio poetico non fu più destinato a un grande pubblico, ma ai pochi appartenenti a una cerchia.



I poetae novi rappresentarono l'espressione di questo nuovo modo di interpretare l'arte. Erano, più che un circolo letterario, un gruppo di amici e la loro poesia era rivolta alla brevità e alla raffinatezza stilistica, tipiche delle concezioni di Callimaco e dell'alessandrinismo. Tra i 'poeti nuovi' si ricordano Terenzio Varrone Atacino, Furio Bibaculo, Valerio Catone, Elvio Cinna e Licinio Calvo, autori di opere che cantavano la vita raffinata, gli amori impossibili con donne splendide e di spirito libero, la vita vissuta intensamente e lontana dai problemi concreti e politici. Ma il più grande tra loro fu certamente Catullo.

Catullo

Caio Valerio Catullo, nato a Verona nell'84 a.C., si trasferì a Roma da ragazzo e lì visse fino alla sua morte prematura, avvenuta nel 54 a.C., quando il poeta aveva solo trent'anni. La sua breve vita fu tormentata dall'amore per Clodia, la spregiudicata sorella di Clodio, alleato di Cesare, donna di animo indipendente con la quale il poeta ebbe una relazione contrastata e insoddisfacente. Nella sua raccolta di poesie, dette nugae (ossia scherzi) e ispirate alla concezione alessandrina della poesia come passatempo, Catullo affronta spesso l'argomento amoroso, parlando della sua passione per Lesbia, nome dietro il quale si celava la sua Clodia.

Catullo sa che l'amore non è un sentimento lineare e univoco: è fatto di passione e di dolcezza e, in certi casi, può trasformarsi in odio. Nelle sue poesie tratta anche argomenti impegnativi come la morte e l'amicizia, e argomenti più frivoli, e in alcuni casi insulta senza mezzi termini i suoi nemici e i detrattori; si cimenta inoltre, nella parte centrale della raccolta, in componimenti più lunghi, i carmina docta, nei quali la lingua è più ricercata e sono rappresentati alcuni miti. Catullo mette in poesia la sua stessa esperienza di vita, utilizzando un linguaggio apparentemente semplice, ma frutto di studi attenti e di una revisione continua del testo al fine di conferirgli la forma migliore.

Il poeta si pone dichiaratamente contro la tradizione e si tiene, come tutti i poetae novi, volontariamente lontano dalla vita politica e dai problemi sociali, rifugiandosi in un mondo a sé, non meno affascinante di quello reale.

Lucrezio

Poche sono le notizie su Tito Lucrezio Caro, il quale visse tra il 98 e il 55 a.C., morendo probabilmente suicida a 44 anni, vittima secondo gli antichi di un filtro d'amore, ma piuttosto di una forma depressiva della quale, a fasi alterne, aveva sempre sofferto.

Lucrezio era un convinto seguace della dottrina filosofica dell'epicureismo.

Il suo poema, De rerum natura (La natura delle cose), è dedicato al suo benefattore Gaio Memmio, influente aristocratico dell'epoca, che Lucrezio intendeva convertire alla dottrina epicurea.

Il De rerum natura è un poema epico di intento educativo, scritto in esametri e diviso in sei libri, nel quale viene spiegata la filosofia epicurea, al fine di trovare nuovi seguaci del pensiero di Epicuro, capace, secondo Lucrezio, di fornire una risposta adeguata alle più importanti domande dell'uomo.

Nel corso della trattazione Lucrezio spiega come l'uomo non debba temere la morte e nemmeno l'inferno, falsa proiezione dei dolori terreni, e come la conoscenza dei fenomeni fisici e delle leggi della vita e della natura possa liberarlo dalla paura degli eventi naturali e dei cambiamenti. Lucrezio intende insegnare a usare la ragione, attraverso la quale si può raggiungere la voluptas, ossia il piacere, l'equilibrio interiore e l'armonia con ciò che circonda l'uomo.

Secondo la visione del poeta il mondo è tormentato dalla culpa naturae, il difetto della natura, che perseguita l'uomo e rende estremamente difficile la sua vita sulla Terra. Per dare una risposta al male, per combattere lo smarrimento inevitabile di fronte alla potenza della natura e delle sue espressioni, l'uomo ha iniziato a rifugiarsi nella religione.



L'unica risposta ai quesiti esistenziali non risiede nella fede, ma nella mente umana, nel non facile tentativo di comprendere la natura delle cose e di trovare l'equilibrio tra le inevitabili contraddizioni dell'esistenza. Lucrezio tratta argomenti molto complessi e lo fa in modo grandioso ed evocativo, cercando una spiegazione, ma anche abbandonandosi alla meraviglia e all'orrore suscitati dall'osservazione della grandezza della natura e dell'uomo.

Cicerone

Cicerone fu un protagonista della politica del suo tempo. Oltre a essere uno straordinario oratore, cercò di divulgare il pensiero greco armonizzandolo con la cultura romana e scrivendo sempre in una prosa di altissimo livello.

Marco Tullio Cicerone, nato ad Arpino nel 106 a.C, proveniva da una famiglia di possidenti che riuscirono, tramite le loro conoscenze, ad avviare il lio alla carriera politica. Cicerone, grazie alla sua abilità oratoria, dapprima esercitò la professione di avvocato e in seguito ricoprì cariche pubbliche, fino a diventare console nel 63 a.C., anno in cui sventò la congiura di Catilina. La sua posizione politica conservatrice, legata ai ceti economicamente più forti, gli attirò gli odi del partito democratico, vicino a Giulio Cesare, e quando Cesare giunse al potere con il primo triumvirato, Cicerone fu esiliato (58-57 a.C.). Tornato in patria, visse da spettatore il periodo travagliato della guerra civile tra Cesare e Pompeo, simpatizzando comunque per quest'ultimo.

Dopo la definitiva affermazione politica di Cesare, Cicerone si allontanò dalla vita politica, per tornarvi dopo le Idi di marzo, schierato con Ottaviano che lottava contro Antonio per la successione. Contro Antonio e in difesa della repubblica senatoriale minacciata dalla monarchia scrisse delle orazioni simili a quelle che aveva scritto Demostene contro Filippo e perciò intitolate Filippiche. Quando Antonio si alleò con Ottaviano nel secondo triumvirato, mise il nome di Cicerone in cima alle liste di proscrizione. Il grande oratore fu ucciso a Formia dai seguaci di Antonio il 7 dicembre del 43 a.C.; la sua testa e le sue mani furono mozzate e in seguito esposte nella tribuna del Foro Romano.

L'opera di Cicerone

Cicerone, per la sua attività politica e di principe del foro romano, scrisse, oltre alle già citate Filippiche, molte orazioni, tra le quali le più significative sono: Pro Roscio Amerino (Per Roscio Amerino), accusato di aver ucciso il padre; le sette Verrinae (Discorsi contro Verre), pronunciate in una causa intentata contro Verre, ex governatore della Sicilia accusato di concussione; De lege agraria, tre orazioni sulla legge agraria osteggiata da Cicerone; le Catilinariae, quattro discorsi contro Catilina, per smascherare la sua congiura contro le istituzioni repubblicane. La più bella orazione è la Pro Milone, in difesa di Milone, uccisore di Clodio, cesariano nemico di Cicerone e responsabile del suo esilio.

Le opere retoriche di Cicerone sono incentrate sull'oratoria e sulla ura dell'oratore: il De inventione (Sull'invenzione) è un manuale per l'oratore; il De oratore (Sull'oratore), in tre libri, si concentra sulla ura del perfetto oratore e su quale debba essere definito il migliore stile oratorio; nel Brutus viene tracciata una storia dell'oratoria romana; mentre nell'Orator vengono ripresi e ampliati i concetti stilistici già espressi nel De oratore. Importanti sono anche gli scritti politici: nel De republica (Sullo stato), in sei libri, sono analizzate le varie forme di governo e il concetto di giustizia, mentre nel De legibus (Sulle leggi) viene tracciata una breve storia delle istituzioni romane e della repubblica, ormai destinata a lasciare posto all'impero. Cicerone si impegnò anche nella redazione di opere filosofiche a carattere divulgativo, nelle quali rielaborò le varie correnti filosofiche greche, facendo proprie dottrine diverse e a volte discordanti. Lo scopo non era di approfondire i concetti, ma esporli e trovare l'applicazione pratica del pensiero filosofico. Hortensius è un'esortazione alla filosofia, De finibus bonorum et malorum (Sul bene e il male) parla di etica e del fine ultimo dell'esistenza, i Tusculanae disputationes sono discorsi sulla felicità e sulla difficoltà di raggiungerla, De officiis (Sui doveri) è invece un trattato in tre libri che vuole dimostrare la coincidenza, per l'uomo saggio, tra ciò che è giusto e ciò che è conveniente fare. Sono inoltre famose le dissertazioni su argomenti come la religione, affrontata nel De natura deorum (La natura degli dèi), l'avanzare dell'età e la morte (Cato Maior de senectute, Catone maggiore o sulla vecchiaia) e infine l'amicizia (Laelius de amicitia, Lelio o sull'amicizia). Cicerone è inoltre il primo latino a fare delle lettere personali una forma artistica (epistolografia). Restano quattro raccolte di lettere private: Epistulae ad familiares (Lettere ai familiari), Epistulae ad Quintum fratrem (Lettere al fratello Quinto), Epistulae ad Marcum Brutum (Lettere a Marco Bruto) e le Epistulae ad Atticum (Lettere ad Attico). Nelle lettere Cicerone mostra il suo vero pensiero e i suoi sentimenti, soprattutto in quelle scritte ad Attico, il suo migliore amico.

Gli storici: Cesare e Sallustio

I più importanti storici del I secolo a.C. furono Cesare, generale oltre che letterato, e Sallustio. Caio Giulio Cesare (100-44 a.C.) scrisse i sette libri dei Commentarii de bello gallico sulle sue camne di guerra in Gallia e i tre libri dei Commentarii de bello civili sulla guerra civile tra lui e Pompeo. Cesare narra avvenimenti che lo vedono protagonista indiscusso in modo conciso e diretto, senza perdersi in particolari o in commenti personali, citando se stesso in terza persona. Nel De bello gallico appare evidente la volontà di Cesare di dare di se stesso l'immagine di un grande generale, mentre nel De bello civili l'autore afferma di non essere stato la causa scatenante della guerra fratricida scoppiata tra opposte fazioni politiche.

Caio Crispo Sallustio (86-35 a.C.), primo grande storico latino, seguì la carriera politica e fu un fautore del partito cesariano. Espulso dal senato, nel 50 a.C., con l'accusa di condurre una vita dissipata, fu in seguito reintegrato grazie a Cesare. Dopo la conquista del potere di Cesare, divenne governatore dell'Africa. Tornato a Roma a tal punto arricchito da essere al centro di sospetti, fu a stento salvato da un processo per concussione dai suoi alleati politici. Dopo la morte di Cesare si ritirò in un palazzo immerso nel verde (gli horti Sallustiani) e si occupò di storia.

Scrisse il De Catilinae coniuratione (La congiura di Catilina), una monografia nella quale spiega lo sviluppo e le cause della congiura, vista come sintomo della decadenza di uno stato democratico; il De bello iugurthino, sulla guerra contro Giugurta; le Historiae (Storie), opera incompiuta che doveva raccontare la storia di Roma tra il 78 e il 67 a.C. Malgrado la sua condotta di vita assai discutibile, Sallustio affronta la storia senza tralasciarne gli insegnamenti morali e cerca di mantenersi sempre equidistante dai fatti, senza astenersi dal criticare gli errori della sua parte politica.

Altri eruditi 

Oltre a Cesare e Sallustio, molto impegnati nella vita politica, operarono in questo periodo due storici, che si tennero invece sempre lontani dalle vicende del loro tempo: Cornelio Nepote (100-27 a.C.), autore del De viris illustribus (Gli uomini illustri), raccolta di biografie di grandi personaggi del passato e del presente, e Tito Pomponio Attico, l'amico più caro di Cicerone, che, oltre a pubblicare l'opera dell'illustre oratore, scrisse il Liber annalis, una storia di Roma elogiata da Cicerone e purtroppo perduta. Singolare è la ura di Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), legato al partito senatoriale, sfavorevole a Cesare, scrittore dai molteplici interessi e autore di più di settanta opere, per un totale di seicento libri. Della sua produzione sopravvivono cinque libri del De lingua latina, il dialogo De re rustica (Agricoltura), in tre libri, alcuni frammenti dei Logistorici, nei quali un personaggio storico era preso a paradigma di una caratteristica a lui peculiare; le Saturae Menippeae, che trattavano in modo semiserio di argomenti di ogni genere. Altro erudito dell'epoca fu Nigidio ulo, delle cui numerose opere non restano che pochi e brevi frammenti.






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