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Percorso sulla satira di Laera Davide



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Percorso sulla satira

di

Laera Davide


"Satura tota nostra est", afferma Quintiliano, rivendicando l'originalità di quello che, a suo dire, è l'unico genere letterario latino autonomo rispetto ai modelli greci. Infatti, la stessa etimologia del genere risale probabilmente ad una formula etrusca satura lanx che indicava un piatto (lanx) pieno (satura è femminile dell'aggettivo satur) di primizie da offrire agli dèi nel corso d'alcune feste religiose; termine sicuramente scelto per indicare il carattere 'aperto' del genere, caratterizzato soprattutto da un'inesauribile varietà d'argomenti e dall'assenza di una rigida codificazione di temi e di moduli stilistici.

Inventore della satira letteraria è unanimemente considerato Lucilio - in quanto di Ennio non ci sono pervenute opere -, un poeta vissuto nella seconda metà del II secolo A. C durante il periodo di massimo splendore della Roma repubblicana che si apprestava a consolidare il suo dominio sul Mediterraneo scongendo Cartagine. Con Lucilio la satira assume per la prima volta una fisionomia più precisa: suoi tratti specifici divengono, sul piano formale, l'uso dell'esametro, su quello dei contenuti e del tono, l'attacco personale e l'uso del ridicolo come arma di un aggressivo moralismo. Dal punto di vista contenutistico caratteristica della sua letteratura è il rifiuto del fantastico e dell'inverosimile e, quindi l'adesione al vero. In questa ottica si inseriscono perfettamente la trattazione d'eventi colti dalla vita quotidiana, facendo riferimento con puntigliosa esattezza e competenza ad oggetti d'uso comune, a pratiche e abitudini correnti, a particolari dei mestieri e delle tecniche più varie; l'interesse per fatti di cronaca che avevano destato scalpore quali ad esempio un processo o anche un evento sportivo(combattimento tra gladiatori).



Sul piano prettamente formale è importante porre l'accento sul carattere soggettivo della sua satira: il poeta, che spesso si atteggia a spettatore e narratore dei casi trattati, sce­glie talora di raccontare in prima persona e crea un personaggio in cui trasfonde alcuni tratti del suo carattere. Tuttavia non manca né l'invettiva personale(infatti, Lucilio, spinto dal suo intento moralista, non esita a condannare i viziosi e i corrotti per nome, atteggiamento che diviene tanto più significativo quanto più illustre è la vittima scelta); né l'obbiettivo di divertire il lettore. Lo spirito è infatti un elemento primario della sua poesia, che del resto era così conscio della sua impor­tanza da definire le sue composizioni come un ludus (gioco, scherzo). Esso è largamente diffuso, e a seconda delle circostanze si presenta come facezia, beffa o scherno; diversi sono anche i mezzi e le tecniche con cui viene perseguito, come il ricorso a situazioni paradossali, l'uso della parodia, il riferimento a fatti e personaggi famosi e proverbiali, la battuta, il doppio senso, il gioco di parole.

Per quanto riguarda lo stile vi è il rifiuto della magniloquenza dei generi alti per attestarsi su un livello medio, non senza assumere tuttavia, qualora l'argomento lo richieda, un tono più sostenuto. Il linguaggio adottato, ricco di grecismi di termini tecnici, atti a definire esattamente gli oggetti e i particolari della realtà quotidiana,è dunque quello del sermo, del parlare comune, del resto il poeta stesso in parecchi frammenti definisce i suoi comportamenti appunto sermones.

Nel periodo di Cesare, non vi sono scrittori di satire perché, essendo questo un genere utilizzato per ironizzare sui costumi e quindi sui vizi umani, in un'età dove questi sono in grande degrado, anche i costumi più corrotti sono considerati normali e quindi non danno adito all'ironia.

Nel periodo d'Augusto Orazio fa rinascere la satira perché è un periodo di restaurazione in cui i costumi degradati vengono notati e messi in discussione; perciò un'opera di questo genere viene piacevolmente letta da tutte le persone che aderiscono al programma.

Le sue opere risentono fortemente della 'pax romana' e del nuovo rapporto instaurato tra intellettuali e potere ancora lontano dalla forte censura che caratterizzerà gli anni a venire: infatti, molti intellettuali, ansiosi più cha mai di un periodo di pace, divengono collaboratori della politica riformatrice.

Per questo i toni delle sue opere si smorzano,sostituisce all'invettiva il sermo, ovvero quella formula d'amabile colloquio fra pari destinato ad una ricerca morale che coinvolge l'autore in prima persona.

Anche se identifica il fondatore della satira in Lucilio, attribuendogli il merito della scelta dell'esametro come forma metrica e il suo utilizzo come strumento d'aggressione personale e di critica, gli rimprovera la ridondanza dello stile e l'insofferenza al labor limae, cui è riservata molta importanza dallo scrittore augusteo. Anche in Lucilio c'è l'interesse per la riflessione morale e filosofica, la descrizione difatti e personaggi connessi alla vita personale del poeta, tuttavia non è chiaro in lui il rapporto tra ricerca etica e aggressività, mentre la coniugazione organica di queste due componenti è fra le caratteristiche fondamentali della satira oraziana. Al piacere gratuito dell'aggressione sostituisce la ricerca dell'autarkeia e della metriotes; l'esigenza di analizzare i vizi mediante l'osservazione critica e la rappresentazione comica della realtà, con lo scopo di individuare una strada per pochi attraverso le storture di una società in crisi. e vengono a mancare nel momento in cui Orazio si serve della forma del dialogo, in cui egli ha uno spazio alquanto limitato, mentre la funzione protagonistica è svolta dagli interlocutori. In generale l'obbiettivo non è attaccare con la satira personaggi politici, ma, prende in considerazione i vizi e i difetti delle persone comuni perché vuole fare del moralismo sui comportamenti umani in generale e non di un personaggio in particolare.

Un'altra importante novità introdotta da Orazio è la concezione aristotelica della satira che è riservata solo per pochi eletti -Mecenate, Vigilio e gli altri membri del circolo di Mecenate- coloro che intendono di poesia.

Per quanto riguarda lo stile è utilizzato un livello linguistico e stilistico apparentemente non elevato in quanto contiene termini della vita familiare ed espressioni colloquiali; elimina i grecismi e i termini greci che si usavano nella lingua parlata e tutti quei termini che rientravano nella conversazione della plebe. Altra caratteristica è l'apparente semplicità, ottenuta col principio della brevitas, eliminando cioè tutto ciò che è superfluo, artificioso e troppo abbondante; e con l'utilizzo della "callida iunctura" tecnica che consiste nel disporre le parole nella frase o nel verso tramite un'associazione originale dei termini per cui, anche quelli più comuni assumono un significato nuovo.



Quasi contemporaneamente Orazio e Virgilio è Varrone Reatino "inventore" della satira menippea genere modellato sulla diàtriba cinico-stoica di Menippo di Gàdara -filosofo cinico del III sec. A.C. , vissuto fra la Palestina e la Grecia - la cui struttura prevede un protagonista che si rivolge ad un pubblico d'ascoltatori, i quali tuttavia non intervengono attivamente nel dialogo.

Si tratta di un genere molto aperto sui versanti di contenuto e forma, caratterizzato dalla forma prosimetrica, dalla forte caratterizzazione dei personaggi, spesso irrigiditi in veri e propri tipi, e da un'alternanza di registri dall'effetto sorprendente e spesso intenzionalmente comico; è inoltre frequente l'elemento novellistico.

Dopo il principato d'Augusto, la situazione a Roma precipita: durante l'età Giulio-Claudia si instaura una vera e propri tirannide caratterizzata da corruzione e vizio,eliminata la "libertas" e trasformata la "pax romana" in un imperialismo avido e ingiustificato. Il rapporto tra intellettuali e princeps si incrina,la letteratura viene definita "argentea"perché non produsse i grandi capolavori del periodo augusteo.

In questa situazione si inserisce la satira di Persio Flacco severamente moralistica, con violenti attacchi diretti contro il malcostume dilagante della società sempre più corrotta e in contrasto con l'ideale stoico della virtus, ponendo scrittore come maestro di virtù e spietato censore dei vizi sociali.

Lo stile risulta essere molto più originale rispetto ai contenuti: il giovane poeta utilizza un impasto linguistico assolutamente inedito, che non ha precedenti né imitatori nella letteratura latina. L'effetto complessivo è ermetico, l'espressione è contorta ed oscura fino al limite dell'indecifrabilità, lo stile è aspro, con espressioni oscure;tuttavia il risultato è raggiunto facendo uso di un linguaggio quotidiano, persino piuttosto volgare. Non è dunque la lingua di cui si serve, ma il modo in cui la rielabora a risultare del tutto originale: utilizzo dell'acris iunctura -contrariamente ad Orazio- che consiste nell'accostamento di parole d'uso comune, poste però in un rapporto logico del tutto inusuale; dell'aprosdòketon ( 'inatteso')l a frustrazione dell'attesa, che consiste nel creare un'aspettativa nel lettore per poi deluderla di proposito;dell'alternanza di registri linguistici.

Lo scopo di queste scelte stilistiche è palesemente (e dichiaratamente) demistificatorio: lo scrittore vuole "detrahere pellem teneris auribus", 'strappare la pelle alle tenere orecchie' (Satira I); vuole cioè strappare il velo del perbenismo ipocrita, del rispetto delle convenzioni sociali che copre il vero volto della realtà.

Nello stesso periodo storico è inserita la poetica dell'"indignatio" di Giovenale: la satira è la sola forma letteraria adatta ad esprimere lo sdegno dell'autore, che vede lo sfacelo morale dei suoi tempi laddove i suoi coetanei vedono l'approssimarsi di una nuova 'età dell'oro'. E' evidente che egli non crede alla possibilità di un riscatto da quella situazione, si limita a denunciare senza neppure tentare di proporre correttivi; in questo si differenzia da Persio e addirittura si contrappone ad Orazio: rinnega cioè il pensiero moralistico romano tradizionale che propone, di fronte alla corruzione e al vizio, risposte di carattere filosofico -la posizione del saggio stoico-, di morale sociale. L'astio sociale di Giovenale, che gli deriva dalla sua condizione di cliens, sfocia nell'invettiva dell'emarginato: estraneo al panorama sociale e politico, egli osserva la società romana alla luce degli ideali nazionali e repubblicani -nostalgia per il mos maiorum, per le caste matrone e per i contadini frugali-; ne esce un quadro di grande corruzione e confusione sociale, in cui la nobiltà non è più garante e promotrice di cultura ma lussuriosa e corrotta, inquinata da liberti volgari e arricchiti che detengono un grande potere, orgogliosa delle sue squallide donne 'emancipate'.

Dal punto di vista stilistico Giovenale non utilizza più il sermo cotidianus proprio della satira luciliana ed oraziana ma un tono altisonante e magniloquente; si perde il gusto del ridiculum in favore del sublime, con un intenzionale riferimento alla tragedia.






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