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Appunti, Tesina di, appunto latino

Seneca

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Le prime opere letterarie in latino, risalgono alla metà del terzo sec a.C. Precedentemente si ha notizia di carmi religiosi e conviviali che allietavano le feste, cantilene funebri e rudimentali forme drammatiche con danze mimiche, registrazioni dei pontefici riguardanti gli eventi dell'anno, iscrizioni votive, dedicatorie e funerarie, testi di leggi.

La letteratura sorge dall'incontro stabile di Roma con la Grecia nel sud della penisola, finite le guerre contro Pirro. Inoltre il latino premuto da lingue diverse, solo dopo la vittoria definitiva di Roma sul Sannio, riuscì a liberarsi dalla condizione di piccola lingua provinciale.

Nel 240 a.C. Livio Andronico, schiavo affrancato proveniente da Taranto, tradusse l'Odissea e allestì per la prima volta drammi greci in versione latina.

Il primo poeta di cui si possano leggere opere intere è l'umbro Plauto; fra lui e Terenzio corrono 20 anni, ma ai frizzi e alle oscenità di Plauto quest'ultimo contrappone l'analisi psicologica e un'accentuata sensibilità per l'uomo. Questa trasformazione è conseguenza di una più matura spiritualità affermatasi a Roma nella prima metà del II secolo con Scipione l'Africano, Emilio Paolo compenetrato di cultura stoica, suo lio l'Africano Minore discepolo del greco Polibio e amico dello stoico Panezio.






Gli stoici presero il nome dal portico (stoà) da dove Zenone in Atene dettò i principi della sua dottrina nel III sec. a.C. Essi consideravano la filosofia come la scienza della perfezione umana, la legge essenziale della vita. La sapienza è il bene supremo dell'animo, la filosofia è l'amore e la ricerca della sapienza. Dividevano la filosofia in tre parti : logica (il guscio), fisica (la chiara), morale (il tuorlo dell'uovo). Secondo la logica stoica tutte le conoscenze umane derivano dalle impressioni lasciate sui sensi dalle cose. Depositandosi nella memoria e accumulandosi, le impressioni fungono da "anticipazioni" e da "nozioni comuni" e rendono possibile il ragionamento.

La fisica è in funzione dell'idea centrale secondo cui il mondo è necessario, razionale e costruito secondo un disegno provvidenziale.

L'etica dipende dalla fisica: compito del saggio è inserirsi nei voleri del fato e della provvidenza, essere sapiente e vivere secondo natura seguendo la ragione.


Diogene da Babilonia, uno dei tre ambasciatori mandati a Roma dagli Ateniesi nel 155 a.C., rivelò per primo la dottrina degli Stoici, mentre Panezio da Rodi la insegnò.

Egli interpretò il dominio universale di Roma come premessa alla missione provvidenziale della città e compose il "catechismo" dei doveri sociali e politici per i dominatori del mondo. Così maturò il concetto di "humanitas", già noto come ricerca di tutto ciò che all'uomo si addice e nell'uomo si può comprendere e perdonare, ma che ora si arricchisce di un più vasto significato, imponendo di essere tutti integralmente "uomini" acquisendo "umanità" per mezzo della cultura che diventa maestra di vita e strumento di elevazione morale.

Coltivato da uomini dediti alla pratica degli affari civili lo stoicismo inclinò la legislazione romana alla morale e la improntò profondamente del suo carattere severo.

Fiorito sotto la repubblica, non declinò sotto l'impero e suoi seguaci furono: Varrone, Plinio, Tacito, Seneca e Marco Aurelio. Lo "stoicismo romano" è rivolto quasi esclusivamente a meditazioni morali e a un ideale di saggezza fatto di virile sopportazione e serena rassegnazione.




Seneca nacque nel 4 a.C. a Còrdova e la provenienza di un tale ingegno e di tanti altri dalle province dell'impero sta ad indicare la profonda latinizzazione delle stesse.

Egli fu presto inviato a Roma per completare la propria formazione ed ebbe vari maestri di filosofia tra cui lo stoico Attalo. Dalla scuola filosofica dei Sestii che fondeva teorie diverse, Seneca derivò il concetto dell'importanza della libertà spirituale.

Implicato in una vicenda di adulterio, fu esiliato in Corsica e qui si avvicinò maggiormente allo stoicismo, da cui trasse due fondamentali insegnamenti: l'esercizio dell'impassibilità di fronte alla sventura e il riconoscimento di una Ratio, una ragione universale di natura divina che regge il mondo secondo un progetto a noi sconosciuto ma che giustifica ogni avvenimento, anche doloroso.

Seneca non riesce però ad essere sempre coerente: per esempio si mostra servile nei confronti dell'imperatore Claudio sperando di essere richiamato dall'esilio, quindi ne scrive l'elogio funebre e subito dopo compone una satira animosa contro di lui.

Era stato infatti richiamato a Roma da Agrippina, seconda moglie di Claudio, a far da precettore a Nerone, lio del suo primo marito.

Seneca progettò di educare il futuro imperatore secondo i principi dello stoicismo per dar vita a un governo filosoficamente orientato. Per qualche anno Nerone governò con moderazione, restituendo dignità al Senato e al ceto aristocratico; egli non è più un primus inter pares come Augusto, è il primus ma buono e giusto verso i suoi sudditi, mostra la clementia suggerita dall'omonimo trattato di Seneca. In seguito Nerone rivelò la sua natura sospettosa e sanguinaria e allora Seneca si allontanò da corte, fatto che non servì ad evitargli il congedo, ovvero l'ordine di suicidarsi (65 d.C.).


Seneca aderì principalmente allo stoicismo ma non ne fu solo un seguace; egli sviluppò con originalità per esempio la ura del sapiens che sa porre la virtù sopra ogni preoccupazione umana, che è libero, quasi simile a un dio perché sa vincere le passioni e far fronte alle traversie, interessandosi solo al presente e vivendo ogni giorno come fosse l'ultimo.

Il messaggio fondamentale dell'intera produzione è che il dolore serve a mettere alla prova il saggio che deve resistere e far trionfare l'interiore libertas.


Le Epistulae morales ad Lucilium mostrano una straordinaria maturità, propria di chi è veramente libero da ogni passione e sa trasmettere con forza conclusioni di grande saggezza.

Si discute ancora oggi se si tratta di una reale corrispondenza; in ogni caso le epistole svolgono, seppure in tono colloquiale, pensieri e spunti solo in apparenza occasionali, ma inseriti in realtà in un profondo e universale messaggio di saggezza. Egli si rivolge sì a un interlocutore ben preciso, ma anche all'intero genere umano.

Seneca inaugura così un nuovo genere letterario trattando un argomento per lettera (sono 124).

Nella prima tratta il concetto che il tempo è prezioso; ogni giorno moriamo un po' (cotidie mori), dobbiamo vivere bene l'oggi dedicandoci esclusivamente (otium) alla filosofia perché la sapienza è l'unica vera libertà.

In un'altra epistola Seneca critica i filosofi che girano con capelli lunghi, barba incolta, vestiti laceri per distinguersi dal disprezzato volgo. Il vero saggio vive come tutti, ma con uno spirito diverso, la filosofia non deve isolare dal resto dell'umanità. Bisogna evitare il rischio di considerare come necessaria beni in realtà supervacua rendendosi infelici; il saggio è colui che basta a se stesso, non disprezzando, ma servendosi con distacco di quei beni.


Per il filosofo tutti gli uomini sono uguali: dipende solo dalla sorte capricciosa se alcuni sono liberi e altri schiavi; si può esser schiavi delle proprie passioni o di una persona pur essendo liberi e avere un animo libero pur essendo schiavi. Il saggio deve "volere" ciò a cui il fato lo obbliga, altrimenti risulta insopportabile il capriccio del destino; così invece egli diventa simile a dio. Come modello di saggio Seneca propone Catone Uticense perché si oppose valorosamente a Cesare, incarna la chiaroveggenza, il coraggio, la fermezza, la giustizia e l'onore.


In tutta la sua opera Seneca si mostra contro la filosofia insegnata nelle scuole come sinonimo di erudizione fine a se stessa, contraria al principio che la sapienza non è in verbis ma in rebus. Egli invita a una filosofia intesa come perfezione interiore e poiché importano le res e non le parole lo stile deve essere inlaboratus et facilis. Sul piano stilistico e linguistico Seneca fece una vera rivoluzione nella prosa: coniò parole nuove e neologismi, usò l'inconcinnitas, cioè periodi brevi, frasi incalzanti, conclusione con un componimento di pochi versi (l'epigramma). Il suo stile complesso nasce anche dall'unione tra il tema della libertà interiore, che fa abbondare le forme riflessive, e la necessità didattica che richiede l'uso dell'imperativo.


L'interesse d'oggi per l'opera di Seneca sta nel fatto che essa ci attesta l'evoluzione dello stoicismo a Roma dove il confronto col materialismo epicureo si era risolto a favore del primo già negli ultimi tempi della repubblica, grazie a Cicerone, secondo cui il materialismo poteva risultare pericolosamente corrosivo del mos maiorum, del concetto di autorità e delle istituzioni. Il pensiero stoico ebbe successo anche in età imperiale perché con la sua concezione di una ragione-divinità offriva una legittimazione al potere del principe e inoltre col tema della libertas interiore offriva consolazione anche agli "ultimi", insomma andava bene per tutti.


Passi tratti dalla lettera di Seneca a Lucilio sul problema della schiavitù


Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere [ . ] "Servi sunt." Immo homines. "Servi sunt." Immo contubernales. "Servi sunt." Immo humiles amici. "Servi sunt." Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae.


Traduzione: Ho appreso con piacere da coloro che provengono da casa tua che tu tratti con familiarità i tuoi schiavi [ . ] "Ma sono schiavi." No, sono uomini. "Ma sono schiavi." No, sono comni di alloggio. "Ma sono schiavi" No, sono comni di schiavitù, se avrai considerato che alla sorte è lecito esercitare potere analogo su entrambi (schiavi e uomini liberi).


Vis tu cogitare istum quem servum tuum vocas ex isdem seminibus ortum eodem frui caelo, aeque spirare, aeque vivere, aeque mori! Tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum.


Traduzione: Pensa che costui che chiami schiavo è nato dallo stesso seme, che gode dello stesso cielo, che respira, vive e muore proprio come te! Tanto tu puoi vedere lui libero quanto egli può vedere te schiavo


Haec tampen praecepti mei summa est: sic cum inferiore vivas quemadmodum tecum superiorem velis vivere.


Traduzione: Questa è in sintesi la mia regola: possa tu comportarti con il tuo inferiore come vorresti che si comportasse con te il tuo superiore.

(Osservazione: con questa frase Seneca anticipa il pensiero cristiano che imposterà in modo pressoché identico l'uguaglianza tra le persone, "non fare a nessuno ciò che non vorresti fosse fatto a te")


Non ministeriis illos aestimabo sed moribus: sibi quisque dat mores, ministeria casus adsignat..


Traduzione: non li giudicherò per il loro mestiere, ma in base alla loro condotta, che è appunto una conquista personale, non ci viene data dalla sorte.

(Osservazione: in queste parole è racchiuso il concetto stoico secondo cui l'uomo raggiunge la libertà dalle miserie in cui la sorte lo ha gettato con una condotta virtuosa.


[ . ] alius libidini servit, alius avaritiae, alius ambitioni, omnes spei, omnes timori.


Traduzione: [ . ] uno è schiavo della dissolutezza, uno del denaro, un altro dell'ambizione, tutti della speranza, tutti del timore.





Epitteto fu un grande dello stoicismo, influenzato dal pensiero di Seneca. Nato in Asia Minore (60 d.C.), giunse giovanissimo a Roma come schiavo di un liberto al servizio di Nerone. Il suo padrone seguiva le lezioni del filosofo Rufo e notò l'interesse del suo schiavo per la filosofia e decise di affrancarlo. Epitteto aprì una scuola che si ricollegava alle posizioni più rigorose dello stoicismo antico.

Egli afferma: "Tutte le passioni sono una malattia dell'anima e il saggio si libera da esse vivendo in conformità con la natura, che è come dire secondo ragione. La felicità sta nella conquista della imperturbabilità: il filosofo stoico sa distinguere le cose che dipendono dall'uomo, come l'intelligenza e la volontà, da quelle che non dipendono da lui, come la ricchezza e la salute; egli si preoccupa solo delle prime e resta indifferente alle seconde. Questa indifferenza la si realizza mediante il controllo di se stessi di fronte alle vicende della fortuna: non si può sopprimere la malattia ma l'idea di essa."

Epitteto ci lascia dei concetti basilari: la virtù consiste nel vivere con coerenza, scegliendo sempre ciò che è conveniente alla propria natura di essere ragionevole. Il saggio stoico raggiunge certe altezze raccogliendosi in se e vivendo in una sorta di impassibile autosufficienza, deve dire a se stesso "sopporta!" e con distacco "astieniti da ogni desiderio". Infine lancia un messaggio ben definito: "gli uomini sono tutti forniti di pari dignità e legati da un rapporto solidale, che ignora la irragionevole boria individuale e di stirpe."


BIBLIOGRAFIA

-Enciclopedia Tuttaitalia (Lazio) Ed. De Agostini

-Enciclopedia Universo ("Seneca", "Stoici") Ed. De Agostini

-M.Menghi, M.Gori "Vocis Imago: Autori Latini per il liceo Scientifico, vol.2" Ed. Mondadori




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