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Tito Lucrezio Caro

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1Tito Lucrezio Caro


Problemi biografici

Tito Lucrezio - forse Caro di cognomen - è un grande poeta latino su cui le notizie pervenuteci sono talmente esigue e contraddittorie da far supporre una sorta di 'congiura del silenzio' nei suoi confronti.

I suoi pochi dati biografici ci furono tramandati dal Chronicon di san Gerolamo (IV secolo d.C. traduzione di quello di Eusebio di Cesarea )

A san Gerolamo si devono anche le notizie della follia e del suicidio del poeta, oggi per lo più ritenute inattendibili.


Chronicon

La datazione considerata più probabile colloca la sua vita fra il 98 e il 55 a.c. Scrive san Gerolamo, secondo alcuni codici relativamente all'anno 94 a.c., secondo altri, invece, all'anno 96 a.c.:

"T Lucretius poeta nascitur, qui postea amatorio

poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insaniae conscripsisset, quos postea Cicero emendavit, propria se manu interfecit anno aetatis XL/V.


Nasce il poeta Tito Lucrezio che, condotto alla pazzia per un filtro d'amore,dopo aver scritto nei periodi di lucidità della pazzia alcuni libri,che poi rivide Cicerone, si suicidò a 43 anni d'età




sarebbe nato nel 98 a.c. e morto nel 55 a.c.,

In base ad altri elementi cronologici pare tuttavia che san Gerolamo abbia scambiato i consoli dell'anno 98 a.c. con quelli del 94 a.c., per cui Lucrezio sarebbe nato nel 98 a.c. e morto nel 55 a.c.,

sia conteggiando i 43 anni d'età attribuitigli da san Gerolamo,sia sulla base del grammatico Elio Donato


il grammatico Elio Donato

il grammatico Elio Donato afferma che il poeta Lucrezio morì quando Virgilio indossò la toga virile (ovvero a 17 anni -in realtà a quindici essendo nato nel 70 a C ) ed erano consoli per la seconda volta Pompeo e Crasso.

Passaggio simbolico della poesia da Lucrezio a Virgilio


55 avvalorato anche da Cicerone

Cicerone in una lettera al fratello Quinto, scritta nel febbraio del 54 a.c., quando la ssa di Lucrezio doveva essere recente:

Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt, multis luminibus ingeni, multae tamen artis. (Ad Quintum fratrem II 10 )

I versi di Lucrezio, come tu scrivi, possiedono molti bagliori di intelligenza poetica, ma anche molta ricercatezza di stile

Alcuni deducono dal tono della frase che il poeta fosse morto da poco, e Cicerone desse il suo giudizio su un manoscritto affidatogli per la pubblicazione (come si ricava dalla notizia di Girolamo), ma la supposizione è labile. La stessa testimonianza utilizzata anche per giudizio su arte Lucrezio da parte di Cicerone


La notizia della follia

La notizia della follia e del suicidio attestata con Gerolamo, che si fondava sugli scritti di Svetonio, pare infondata: con tutta probabilità è sorta una confusione dovuta all'abbreviazione Luc. impiegata indifferentemente nei codici latini per indicare i nomi di Lucilius, Lucullus e Lucretius.

Infatti lo scrittore greco Plutarco (46-l25 d.C.) scrive che Licinio Lucullo, politico, generale e cultore dei piaceri, morì dopo essere impazzito a causa di un filtro d'amore: per un probabile errore di interpretazione ( tesi WinKilson )dell'abbreviazione Luc. il personaggio in questione fu erroneamente ritenuto Lucrezio


Lattanzio scrive

è pur vero che l'apologista cristiano Lattanzio scrive delirat Lucretius (Lucrezio delira), ma in senso metaforico-polemico, condannando un poeta che, essendo di fede epicurea, non credeva all'immortalità dell'anima.

Per di più proprio Lattanzio, non sfruttando a fini polemici antilucreziani ed antiepicurei la diceria sulla follia e sul suicidio, ci rivela - con un classico argumentum ex silentio - di ignorare tali eventi.


STAZIO usa termine furor ,ma

Stazio in Silvae II ,7,76 scrive: Et docti furor arduus (elevato) Lucreti

Ma furor è accostato a due termini positivi doctus e arduus quindi da intendere come dedizione strenua e coraggiosa da riferirsi alla difficile via poetica e filosofica intrapresa da Lucrezio con il De rerum


Ipotesi su origine e condizione sociale

Non abbiamo altre notizie sulla vita di Lucrezio, alcuni ipotizzano sia nativo della Campania, altri di Roma, certuni ritengono di famiglia aristocratica, altri invece liberto.

Unico riferimento certo al poeta è la citazione che ne fa Cicerone in una lettera al fratello Ouinto, scritta nel febbraio del 54 a.c., quando la ssa di Lucrezio doveva essere recente


il giudizio critico di Cicerone

Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt, multis luminibus ingeni, multae tamen artis.

E curioso appare il fatto che un avversario dichiarato e polemico dell'epicureismo come Cicerone abbia

riveduto e pubblicato il poema lucreziano De rerum natura, stando a quanto attestatoci da san Gerolamo:

il giudizio critico positivo sopra riportato lascia trapelare l'ammirazione di Cicerone per la multa ars, la consumata abilità stilistica e la doctrina di Lucrezio, al di là delle idee di fede filosofica epicurea che il poema presentava e che certo l'Arpinate non condivideva affatto.

Altri sottolinea il valore negativo o riduttivo del tamen multae artis.


Vita borgiana( falso umanista )

Una succinta biografia(scoperta solo nel 1894) composta dall'umanista Girolamo Borgia (e perciò denominata Vita Borgiana) sostiene che il poeta visse «in stretta intimità» con Cicerone, dal quale avrebbe ricevuto suggerimenti stilistici, Attico, M. Bruto, C. Cassio, cioè le personalità di maggior rilievo della prima metà del l secolo a.c.

Inoltre " visse 44 anni e quindi reso pazzo da una nociva pozione propinatagli da una donna di malaffare ,si uccise impiccandosi,o, come altri credono,gettandosi su una spada Ma si ritiene che i materiali di questa Vita non risalgano a fonti antiche ( considerata un falso


L'opera Il De rerum natura

poema epico-didascalico in sei libri

Titolo De rerum natura ('La natura»)

comprende 7415 esametri complessivi in cui Lucrezio espone la dottrina filosofica di Epicuro (relativa al cosmo e all'uomo), di cui il poeta si rivela un discepolo entusiasta.


Ripresa del Perì physeos Il dedicatario

Il titolo riprende letteralmente quello dato da Epicuro alla sua opera maggiore, (Perì physeos), «Sulla natura», che del resto ricalca numerosi altri trattati filosofici greci di titolo e argomento analoghi.

L'opera è dedicata a Gaio Memmio, un aristocratico filelleno che esercitò la pretura nel 58 a.c. e governò come propretore la Bitinia l'anno seguente, allorché Catullo faceva parte del suo seguito e visitò nella Troade la tomba del fratello. Evidentemente Memmio, potente e influente politico romano, proteggeva e forse finanziava il lavoro poetico di Lucrezio


La scelta della forma poetica

La scelta della forma poetica per diffondere a Roma il verbo di Epicuro è parsa ad alcuni critici contraddittoria il filosofo greco infatti condanna la poesia,che fomenta le passioni e distoglie dalla conoscenza razionale della natura, a causa dell'ampio spazio assegnato alla mitologia.

In realtà Lucrezio punta a farsi leggere ed apprezzare dai ceti sociali romani più elevati e tenta di rendere meno arida una materia difficile e ostica soprattutto se esposta sotto forma di rigoroso trattato filosofico.


Il miele delle muse libro I (vv. 935-950

Scrive, infatti, con un felice paragone nel primo libro (vv. 935-950 )

ld quoque enim non ab nulla ratione videtur,935

sed veluti pueris absinthia taetra medentes 936

cum dare conantur, prius oras pocula circum 937

contingunt ,mellis dulci flavoque liquore, 938

ut puerorum aetas improvida ludificetur 939

Traduzione

E anche ciò non sembra privo di ragione

Ma come quando coloro che curano (medentes) cercano

di dare (dare conantur ) ai bambini l'assenzio ripugnante e,prima,

cospargono (contingunt) l'orlo intorno al bicchiere con il dolce e biondo liquore del miele,perché l'incauta età dei bambini sia ingannata

Il miele delle muse libro I (vv. 940-950

e questi bevono frattanto tutto il succo amaro e ingannati non ricevono danno, anzi risanati con tale mezzo riacquistano le forze così io ora,poiché questa dottrina sembra per lo più troppo sgradevole a coloro che non l'hanno studiata e il popolo da essa fugge via,ho voluto esporti la mia teoria filosofica con il dolce canto delle Muse e quasi cospargerla con il dolce miele della poesia, (per vedere) se io per caso sia in grado in tal modo di trattenere il tuo animo sui miei versi, mentre tu ammiri tutta la natura e di quale bellezza essa sia rivestita.


Libro I Nulla nasce dal nulla.

Il proemio presenta lo stupendo Inno a Venere, genitrice degli Eneadi (Aeneadum genetrix), celebrata come dea dell'amore, forza vitale della natura, fecondatrice dell'universo e simbolo della voluptas epicurea, il sommo bene, il 'piacere catastematico' o 'in riposo', l'atarassia intesa come imperturbabilità dello spirito che sa dominare le passioni. Venere è invocata dal poeta perché chieda a Marte, suo amante, la pace per i Romani.

Segue l'elogio di Epicuro, il salvatore dell'umanità, colui che ha vinto le tenebre con la luce del suo pensiero e dei suoi insegnamenti, rivelando la natura del mondo e l'assurdità della superstizione religiosa.

Quindi Lucrezio illustra la fisica epicurea, che riprende le teorie atomistiche di Leucippo e Democrito: nulla nasce dal nulla, ma tutto si trasforma; eterna è la sostanza materiale delle cose, che nascono per aggregazione di atomi e cessano di esistere per la loro disgregazione, ma trasformandosi in altre realtà. Gli atomi (corpuscula minima) sono quindi indistruttibili, eterni, in­visibili e immutabili.

La materia e lo spazio sono infiniti, come il cosmo, nel quale esistono infiniti mondi.


Libro II Moto e qualità degli atomi

Dopo una breve introduzione che esalta la felicità del sapiente epicureo, il quale vive lontano dalle passioni e dai tumulti del mondo, viene presentata la teoria dei moti incessanti degli atomi e della formazione degli aggregati corporei: gli atomi - dal greco atomos, «indivisibile» - cadono verso il basso per la forza di gravità, ma deviano spontaneamente e casualmente dalla loro normale traiettoria verticale rettilinea (il clinamen, «deviazione»).

Gli atomi sono privi di qualità secondarie: non hanno colore, né sapore, né sensibilità ed essendo infiniti avranno sicuramente originato altri mondi e altre specie viventi.

In tutto il cosmo regna sovrana la legge della natura, secondo la quale ogni realtà vive finché incrementa i suoi elementi atomici costitutivi e decade quando li perde (come accade al nostro mondo terreno, che sta inevitabilmente declinando, destinato a perire e a disgregarsi).


Libro III L'anima, una realtà mortale

Dopo aver celebrata nuovamente la grandezza del maestro Epicuro, liberatore dell'umanità dalla paura degli dèi, Lucrezio tratta della natura dell'anima, ossia del principio vitale di ogni corpo, che non è un'entità incorporea, ma una combinazione fortuita di quattro tipi di atomi molto sottili: vento, calore, aria e una «quarta essenza priva di nome».

Quest'ultima genera la sensibilità e la riflessione, che hanno sede nell'animus - il centro dell'anima - il quale si trova nel petto.Anche l'anima è mortale e cesserà di vivere insieme al corpo:infatti non si potrebbe immaginare l'unione di un essere immortale con una realtà mortale.Insensata è la paura della morte e dell'aldilà, poiché non ci tocca per nulla e non è un male: dopo di essa, infatti, non avremo più alcuna sensibilità.


Libro IV Le sensazioni.L'amore

espone la dottrina epicurea delle sensazioni, prodotte da sottilissime membrane di atomi (simulacra) che si staccano dalla superficie delle cose, conservando l'aspetto dell'oggetto da cui si staccano. Queste immagini pervengono così ai nostri occhi, dandoci la visione delle cose. Lucrezio passa poi a descrivere le illusioni ottiche e i miraggi, che sono pure illusioni della ragione umana, in quanto i sensi non ingannano mai.

Del tutto materialistica è la visione dell'amore :anche l'amore è una folle e pericolosa illusione dei sensi,

un impulso fisiologico che provoca solo tormento e ansia in chi ne è vittima.


Libro V: Il mondo è mortale e casuale la storia dell'umanità e del progresso

Dopo un nuovo ( terzo)solenne elogio di Epicuro, Lucrezio ribadisce che anche il nostro mondo è prossimo alla fine. Gli dèi esistono, ma la loro esistenza è al di fuori del mondo (nelle loro sedi chiamate intermundia), a cui sono totalmente estranei.

Il  mondo, formatosi casualmente e non per volere divino, finirà perché i suoi elementi costitutivi (terra, acqua e fuoco) sono mortali.


Viene poi ricostruita la storia dell'umanità e del progresso: dalla vita selvaggia dei primi­tivi, alla nascita della convivenza umana e della civiltà quando furono scoperti i lin­guaggi, il fuoco, i metalli, la tessitura, l'agricoltura, la monogamia. Purtroppo l'avidità di ricchezze, le guerre conseguenti e il timore religioso causarono paure d'ogni tipo e la degenerazione della società. Tutti i fenomeni terreni sono invece determinati da cause naturali e non da interventi divini: gli dèi non si devono temere poiché essi vi­vono senza minimamente preoccuparsi delle vicende umane. La paura degli dèi e del soprannaturale non ha pertanto alcun fondamento razionale.


Libro VI il determinismo dei fenomeni naturali

Anche l'ultimo libro inizia con l'elogio di Epicuro, benefattore dell'umanità, per poi trattare dei singoli fenomeni naturali: così il tuono, il lampo, il fulmine, le nubi, i terremoti, le eruzioni vulcaniche sono tutti indipendenti da cause divine, ma spiegabili con cause naturali, come scontri tra atomi particolari di vento e fuoco. Vengono poi esaminati alcuni fenomeni misteriosi, spiegabili anch'essi naturalmente, come le inondazioni del Nilo, le esalazioni mortifere dei laghi Averni, le calamità, le epidemie.


Libro VI il finale la peste di Atene

E con la tragica e ampia descrizione della peste di Atene del 430 a.c. si chiude il poema, ricalcando efficacemente il resoconto dello storico greco Tucidide (v secolo a.c.).

Sembra tuttavia - e quasi tutti i critici concordano - che il De rerum natura dovesse finire con la rappresentazione delle dimore beate degli dèi, annunciata da Lucrezio nel quinto libro (vv. 153 ss.):

la morte non gli consentì di concludere e di riordinare il poema, eliminando anche alcune ripetizioni e attenuando certi aspri passaggi concettuali


2 TITO LUCREZIO CARO Lucrezio e l'epicureismo


Epicureismo e aristocrazia romana

La classe dirigente romana non si era opposta all'influenza della cultura greca, Aveva limitato la propria opposizione a quelle sole correnti di pensiero che contenevano elementi pericolosi per l'assetto istituzionale della res publica.

La filosofia fondata dall'ateniese Epicuro ,l'epicureismo, era forse quella più antitradizionalista e anticonformista tra le filosofie che avevano continuato la speculazione socratico-platonica


Epicuro insegnava

Epicuro insegnava che gli dèi esistono, ma non intervengono nelle vicende degli uomini, che sommo bene è il piacere, e che al piacere (un concetto in realtà altamente intellettuale, e lontano dalle caricature che ne avrebbero fatto gli oppositori dell'epicureismo) si arriva attraverso l'atarassia, l'indifferenza alle passioni.

Fra gli ammonimenti che impartiva ai suoi discepoli, Epicuro invitava al distacco dalla vita politica, origine di turbamenti e confusione.


più eversivo sembrava l'invito al disimpegno

La concezione epicurea del divino sembrava mettere in pericolo l'organizzazione romana dei culti, a controllo statale; ancora più eversivo sembrava l'invito al disimpegno dall'attività pubblica che trovava seguaci fra gli aristocratici romani, spesso impauriti dai pericoli delle fazioni e della lotta tra i partiti. Di qui la forte ostilità dei tradizionalisti, per esempio di Cicerone, contro la filosofia di Epicuro . Già prima di Cicerone, nel Il secolo, si era arrivati ad un procedimento di espulsione nei confronti di due filosofi epicurei, Alceo e Filisco, che volevano diffondere la loro dottrina a Roma


DIFFUSIONE EPICUREISMO NEL PRIMO SECOLO a.C.

a Roma nel I secolo a.c. in fasce sempre più ampie della società stava penetrando la dottrina epicurea, nonostante i fulmini scagliatile contro dai benpensanti, con Cicerone in prima fila, terrorizzati dal rischio di disintegrazione del mos maiorum, vista la condanna della religione e dell'impegno civile e politico pronunciata da Epicureo.Nel I secolo, però, l'epicureismo viene ormai tollerato, e raggiunge una discreta diffusione negli strati elevati della società romana. Erano propensi alle dottrine epicuree Attico, l'amico di Cicerone, Cesare, di altri personaggi famosi

ERCOLANO :Filodémo di Gàdara- NAPOLI :Sirone

Filodémo di Gàdara, diligente filosofo greco divulgatore della filosofia epicurea viveva e insegnava a Ercolano, dove divenne amico di Cicerone (nonostante le diversità di opinioni), di Virgilio e di Orazio, che furono allievi forse anche suoi, ma certamente di un altro celebre maestro epicureo,

Sirone, insegnava a Napoli.


penetrazione fra le classi inferiori

Meno sappiamo sulla penetrazione delle dottrine epicuree fra le classi inferiori; interessante (anche se forse falsa) è una notizia che ci dà Cicerone nelle Tusculanae disputationes (4,7): i volgarizzamenti epicurei in prosa latina degli altrimenti ignoti Amafinio e Cazio sarebbero circolati presso la plebe, attratta dalla facilità di comprensione di quei testi e dagli inviti al piacere in essi disseminati


Lucrezio divulgatore di Epicureo

Lucrezio decide di farsi divulgatore di Epicuro, ma sceglie una strada radicalmente diversa.

Sceglie infatti di scrivere un poema epico­didascalico, che riprende modelli antichi, come l'arcaico Esiodo oppure il filosofo Empedocle, autore in greco di un poema Sulla natura, del V secolo a.c

La scelta della poesia : condanna epicurea della poesia

Ciò destò sorpresa, giacché Epicuro stesso aveva condannato la poesia, fonte di inganni, a suo dire, che allontanava dalla comprensione razionale dell'universo. Epicurei più tardi, come Filodemo, che teneva scuola a Ercolano al tempo di Lucrezio, avevano forse attenuato questa condanna, coltivando almeno una poesia scherzosa o di puro intrattenimento.Lucrezio scelse probabilmente la poesia di ispirazione solenne (questa era la tradizione del poema epico-didascalico) per il desiderio di raggiungere anche gli strati più alti della società con il proprio messaggio.

Nella dolcezza della poesia, Lucrezio cerca l'antidoto al «sapore amaro» (così si esprime il poeta) di una dottrina ardua e difficile, e che - teme - potrebbe impaurire i suoi lettori.


Il tetrafarmaco

i quattro rimedi:

La concezione degli dei distaccati dalla vita umana

l'eliminazione del timore della morte

la limitazione dei desideri

l'eliminazione della paura del dolore


1 LUCREZIO Proemio del libro primo Inno a Venere


Apertura con un'invocazione

Il poema si apre con un'invocazione a Venere, cui il poeta rivolge la preghiera di concedere 'eterno fascino ai suoi versi e d'indurre Marte, con le arti della seduzione amorosa, a desistere dalle minacce di guerra.

Solo in pace infatti Lucrezio potrà attendere con serenità alla composizione del poema e il destinatario Memmio sarà disponibile ad accogliere il messaggio salvifico della scienza epicurea.


L'invocazione una deviazione dall'ortodossia ?

In questa preghiera rivolta a una divinità dell'Olimpo tradizionale molti critici hanno scorto una deviazione dall'ortodossia epicurea, che esclude l'interessamento degli dei alle vicende umane

Per sciogliere la contraddizione s'è invocata la libera inventiva dell'artista o il peso della tradizione letteraria, che esige che un poema cominci con la preghiera a una divinità (così il cristiano Dante chiede l'aiuto del dio ano Apollo all'inizio del Paradiso).


Conciliazione della supplica con l'estraneità degli dei

Pertanto s'è parlato del valore allegorico di Venere, qui rappresenterebbe la voluptas epicurea, il piacere come elemento propulsore della vita (il 'piacere cinetico cioè 'in movimento), e s'è anche ipotizzato l'influsso della filosofia empedoclea, dove s'oppongono due principi, quello costruttore della philia (amore ) e quello distruttore dell'odio (eris ) , che in questo Proemio sarebbero personificati rispettivamente da Venere e Marte. E su cui si fonda l'ordine e la vita del mondo

Per il Boyance si tratta della forza fecondante della natura

Per il Giancotti allegoria del principio della vita contrapposto alla morte

Si è posto l'accento sulla romanità della dea, peraltro oggetto di uno speciale culto della gens Memmia, e s'è perfino supposto nell'inno un intento ironico o parodistico.


L'intenzione di Lucrezio   sarebbe quella di non turbare il discepolo esordiente


Suggestiva è poi l'interpretazione di chi adduce motivi di strategia educativa nell'ambito di un progetto formativo che prevede l'acquisizione graduale della sapienza da parte del discepolo L'intenzione di Lucrezio - peraltro chiarita in I 931 ss., dove è detto che la poesia è solo strumento di verità, miele delle Muse che addolcisce, rendendola più accetta, l'amara dottrina epicurea -sarebbe quella di non turbare il discepolo esordiente.In questa fase preliminare dell'iniziazione alle ardue verità scientifiche, un esordio tradizionale sarebbe, nella sua falsità provvisoria, più rassicurante per il discepolo, che invece si ritrarrebbe di fronte all'enunciazione diretta ed esplicita della teologia epicurea


Inno versi 1-4

Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas, 1

alma Venus, caeli subter labentia signa 2

quae mare navigerum, quae terras frugiferentis 3

concelebras, per te quoniarn genus omne animantum 4


Traduzione Madre degli Eneadi ,voluttà (piacere )degli uomini e degli dei

Alma Venere,che sotto gli astri vaganti (labentia signa )

Popoli (concelebras) il mare solcato da navi e la terra ricca di frutti

Per te ogni genere animale (ogni specie vivente )

Note

Aeneadum è genitivo plurale di un sostantivo con suffisso derivato dal greco; da ciò dipende la desinenza in -um in luogo di -arum, che sarebbe stata poeticamente pesante

alma Venus:l'aggettivo alma deriva dal verbo alere (far crescere-nutrire) e pertanto significa «datrice di vita»; si trova attestato spesso in unione con Venere e col nome di altre divinità e rinvia al concetto filosofico di 'Afrodite datrice di vita' del greco Empedocle. -

I labentia signa sono i pianeti e le costellazioni, identi­ficati con il participio labentia (da labor, «scivolo»), perché si muovono lentamente in cielo; il verbo labor usato in riferimento ai moti degli astri si ritrova abbastanza frequentemente

Navigerum, come il successivo frugiferentis,è aggettivo composto (navis + gero) di sapore epico ma di conio lucreziano; frugiferentis è forma di accusativo plurale, normale in Lucrezio per i temi in -i- della terza declinazione; composto da frux e fero, rappresenta un hapax,

per te è complemento di mezzo, posto in particolare rilievo dall'iperbato, a sottolineare il ruolo di Venere come principio di fecondità;

quoniam è posposto in iperbato secondo un uso molto frequente in Lucrezio


Versi 5-6-7-8-9

concipitur visitque exortum lumina solis 5

te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli 6

adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus 7

summittit flores, tibi rident aequora ponti 8

placatumque nitet diffuso lumine caelum. 9


Traduzione

(ogni genere animale ) è concepito,e nato cede la luce del sole

Te,o dea,te fuggono i venti ,te le nuvole del cielo e il tuo arrivo

Per te la industriosa (daedala ) terra fa nascere( produce ) i fiori soavi

Le distese del mare ridono a te


Note

concipitur visitque exortum:

la serie delle tre forme verbali indica i tre momenti che accomnano la nascita di un essere vivente: concepimento, nascita e apertura degli occhi;

exortum, participio perfetto da exorior, congiunto con genus, ha valore temporale (propriamente: «dopo che è ve­nuto alla luce»).

Visit lumina solis è richiamo di una espressione omerica, già presente, seppur in modo parziale, in Ennio (Annales, lumine solis);

«vedere la luce del sole» è metafora assai usata per indicare la «vita».

te adventumque tuum: una fitta rete di ure retoriche concentrate sui pronomi personali di seconda persona concorre a collocare Venere al centro di un vasto affresco naturalistico e a celebrarla come il principio datore di vita;

summittit: iI verbo è usato abbastanza frequentemente da Lucrezio in unione con 'terra» come soggetto e ne indica l'opera produttiva (quindi 'produce»); qui però ha in sé anche il significato di totale dipendenza della terra da Venere, come rivela il prefisso sub. -

rident . caelum: 'per te sorridono le distese dei mari e il cielo rasserenato splende di luce diffusa».

Una serie di elementi lessicali, fonici e retorici contribuisce a rendere l'effetto di particolare luminosità della scena.

Innanzitutto : i termini nitet lumine; poi la frequenza delle consonanti liquide, dei dittonghi e l'incontro di consonanti dal suono non aspro; infine l'anafora tibi tibi dei vv. 7-8,

L'immagine che contiene i I verbo rideo è stata usata per la prima volta da Eschilo (Prometeo 89 s.): 'il riso infinito delle onde marine», e ricorre in altri passi lucreziani (Il, 559; 111, 21 s.).

Aequora è plurale poetico; aequor e pontus sono vocaboli propri del linguaggio poetico.


Versi 10-l1-l2-l3

Nam simul ac species patefactast verna diei 10

et reserata viget genitabilis aura Favoni,11

aeriae primum volucres te, diva, tuumque 12

significant initum perculsae corda tua vi. 13

Traduzione

Infatti non appena appare l'aspetto primaverile del tempo

e liberato dai chiavistelli(reserata )prende vigore il soffio del favonio fecondo

Per primi gli uccelli dell'aria annunciano te ,o dea,e il tuo arrivo

colpiti (perculsae ) nel cuore dalla tua forza


Note

La particella nam ha valore esplicativo. Simul ac introduce una proposi­zione temporale e indica perfetta contemporaneità.

Patefactast è aferesi per patefacta est, l'uso del per­fetto rivela il ripetersi dell'azione.

Species verna diei è perifrasi poetica per ver, in cui si riconosce anche l'enallage di verna riferito a un elemento di­verso (species) da quello cui sarebbe logicamente riferibile (diel).

Aeriae è un epiteto esornativo.

Primum è da porre in correlazione con inde del v. 14 e con denique del v. 17.

perculsae corda tua vi: 'colpiti nel cuore dalla tua forza».

Il verbo percello, da cui deriva il participio perculsae, indica l'atto di dare un colpo e, in senso metaforico, il provocare una profonda emozione.

Corda è accusativo di relazione.

Tua vi è ablativo di causa efficiente;


Versi 14-l5-l6

Inde ferae pecudes persultant pabula laeta 14

et rapidos tranant amnis: ita capta lepore 15

te sequitur cupide quo quamque inducere pergis 16


Traduzione

Allora le fiere e gli armenti saltano per i pascoli rigogliosi14

E guadano i rapidi fiumi :così catturati dal fascino (lepore) ti seguono

Bramsamente dovunque tu li voglia portare

Inde è avverbio di moto da

Per ferae pecudes O come asindeto fiere e armenti altri intendono 'gli animali divenuti feroci», dando a ferae il significato di 'bestie feroci» e un valore predicativo rispetto a pecudes, 'branchi». Persulto è verbo derivato da per + salto, a sua volta frequentativo di salio, saltare».

L'accusativo pabula è retto dal preverbio per- di persultant.

Da notare l'allitterazione pecudes persultant pabula.


Versi 17-l8-l9-20

Denique per maria ac montis fluviosque rapacis 17

frondiferasque domos avium camposque virentis 18

omnibus incutiens blandum per pectora amorem 19

Efficis ut cupide generatim saecla proent 20

Traduzione

E infine sui mari e sui monti e nei corsi impetuosi dei fiumi ,

Nelle frondose dimore degli uccelli ,nelle verdi pianure ,

Infondendo (incutiens )la dolcezza dell'amore ,fai sì che nel desiderio prohino le generazioni (saecla) secondo le stirpi (generatim avv. Secondo i generi / specie per specie )


Note

In frondiferasque domos avium si ha una perifrasi di ambito poetico per designare il cielo: 'le frondose dimore degli uccelli». L'espressione sarà ripresa da Virgilio nelle Georgiche (11, 209): antiquasque domos avium.

Saecla vedere nota 20 voces


2 LUCREZIO DE RERUM NATURA   LA DEDICA


VERSI 21-22-23

Quae quoniam rerum naturam sola gubernas ,21

nec sine te quicquam dias in luminis oras 22

exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,23

TRADUZIONE

Poiché tu solamente governi la natura delle cose,

e nulla senza di te può sorgere alle divine regioni della luce, nulla senza te è reso lieto e amabile,

desidero averti comna nello scrivere i versi


Note :

Quae quoniam = anastrofe

Quae . . Quicquam = rimodulazione dei motivi di fondo precedenti cioè Venere è l'unica forza che governa la natura

Senza l'azione di V non nasce nulla


VERSI 24-25- 26

te sociam studeo scribendis versibus esse 24

quos ego de re rum natura pangere conor 25

Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni 26

omnibus ornatum voluisti excellere rebus.

Traduzione

desidero aver ti comna nello scrivere i versi

che intendo(conor) comporre sulla natura di tutte le cose, per il nostro lio di Memmio che sempre tu, o dea, ornato volesti eccellesse di tutti i pregi


Note

Socius nel linguaggio militare è l' «alleato

Il verbo studeo racchiude in sé l'idea dello sforzo e insieme quella del desiderio.

Scribendis versibus è dativo con valore finale; il gerundivo è dipendente da sociam.

Memmiadae è il patronimico, con suffisso greco, del destinatario dell'opera, Memmio;

l'impiego del patronimico obbedisce a due esigenze: elevare il tono del discorso e costruire l'esametro, operazione impossibile col dativo Memmio,

omnibus ..excellere rebus: «hai voluto che eccellesse, ornato di ogni virtù».

Da notare l'accumulo di ure: l'iperbato, l'allitterazione (omni / omnibus orna­tum), con enjambement, il poliptoto (omni / omnibus).

De rerum natura è il titolo del poema, ricalcato sul greco perì physeos con cui vennero intitolate molte opere di argomento naturalistico dai filosofi fisici ionici, da Empedocle e dallo stesso Epicuro, che diede questo titolo alla sua opera maggiore in 37 libri.


Versi 28-29-30

Quo magis aeternum da dictis, diva, leporem,28

effice ut interea fera moenera militiai 29

per maria ac terras omnis sopita quiescant 30

Traduzione

Ancora più per questo concedi, o dea, eterna grazia ai miei detti.

E fa' che intanto le feroci opere della guerra per tutti i mari e le terre riposino sopite.


Note

Quo è nesso relativo (= et eo);

magis: «a maggior ragione».

Da notare l'allitterazione in da dictis, diva.

effice: «fa' in modo»; da effice dipende la completiva ut quiescant (che si acquietino») -

interea: «frattanto», cioè finché dura il lepos della poesia lucreziana.

fera moenera militiai: «le feroci imprese della guerra»; è una perifrasi epica per indicare la guerra. Moenera è forma arcaizzante per munera. Militiai


Versi 31-32-33 e note

nam tu sola potes tranquilla pace iuvare31

mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors 32

armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se33

reiicit, aeterno devictus vulnere amoris, 34

Traduzione

Infatti tu sola puoi aiutare i mortali con una tranquilla pace, poiché le crudeli azioni guerresche governa Marte possente in armi, che spesso rovescia il capo nel tuo

che spesso abbandona (qui saepe se reiicit) sul tuo grembo (in gremium tuum), vinto dalla ferita

d'amore che dura per sempre (aeterno devictus vulnere amoris)'.

Note

tranquilla pace: ablativo di mezzo. - iuvare: «aiutare».

Quoniam introduce una causale

Mavors è forma arcaica per Mars. Armipotens è aggettivo composto dello stesso tipo di omnipotens;

in gremium tuum: acc. di direzione


Versi 35-36-37 e note

atque - ita suspiciens tereti cervice reposta 35

pascit amore avidos inhians in te, dea, visus, 36

eque tuo pendet resupini spiritus ore. 37

Traduzione

e così guardandoti ,reclinato il collo ben tornito. sazia d'amore gli sguardi desiderosi (avidos visus

guardando inhians fisso verso di te'e alla tua bocca è sospeso il re­spiro di lui abbandonato';


Note

tereti cervice reposta: 'reclinato il collo ben tornito'. - pascit visus: '- eque tuo ore: 'e alla tua bocca è sospeso il respiro di lui abbandonato';

eque vale et


Versi 38-39-40 e note

Hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto 38

circum fusa super, suavis ex ore loquellas 39

funde, petens placidam Romanis, incluta, pacem! 40


Traduzione

Tu, o dea, volta (circum fusa) sopra di lui, quando giace abbandonato sul tuo santo corpo emetti (funde) dalle labbra soavi parole, e chiedi, o gloriosa, una placida pace per i Romani


Note

Il passo è ricco di composti con re: se reiicit (v. 34), reposta (v. 35), resupini (v. 37) e appunto recubantem. -petens: il participio petens costituisce una sorta di preghiera dopo la preghiera:

Lucrezio chiede a Venere di domandare a sua volta la pace per i Romani. -

incluta: l'aggettivo inclutus (grafia comune anche inclftus) è di uso poetico


Versi 41-42-43

Nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo 41

possumus aequo animo, nec Memmi clara proo 42

talibus in rebus communi desse saluti. 43

Traduzione

Poiché io non posso compiere la mia opera in un'epoca avversa alla patria, né l'illustre stirpe di Memmio può mancare in tale discrimine alla salvezza comune.


Note

agere hoc significa 'realizzare questo',vedi dia succ )

Al v. 42 da notare come aequo animo contrasti chiaramente con l'espressione del verso precedente tempore iniquo, contrasto sottolineato dalla disposizione chiastica dei termini.


Versi 41-42-43   tempore iniquo(41)

41 agere hoc significa 'realizzare questo', ovvero comporre il poema stesso.

L'espressione tempore iniquo(41) si riferisce a un'epoca di difficoltà:è arduo stabilire esattamente una data, anche se è senza dubbio suggestiva l'ipotesi di Giancotti, secondo cui questi versi sono da riferirsi al periodo di tranquillità goduto a Roma nel 62 a.c. (dopo il fallimento del colpo di Stato tentato da Catilina);

Lucrezio starebbe dunque auspicando il perdurare di un momento di serenità nella vita di Roma. Altri invece pensano a un periodo di assoluta mancanza di tranquillità, e dunque agli anni 59-58 a.c.: riferendo l'e­spressione del v. 43 a un incarico prestigioso di Memmio, si può pensare alla sua pretura nel 58.

Si tratta comunque di differenze non grandi per quanto riguarda la complessiva cronologia del poema.

Analisi (De rerum natura, I, vv. 31-43

Si tratta di un gruppo di versi dei quali non è semplice cogliere a prima vista l'unità e l'articolazione vv. 31-37 spiegano le ragioni per le quali è stata rivolta a Venere la richiesta di pacificare il mondo

il passo in traduzione

Tu sola infatti puoi con pace serena giovare ai mortali, in quanto i terribili atti di guerra domina Marte, potente nell'armi, lui che spesso sul tuo grembo s'abbandona, vinto da ferita d'amore che dura per sempre;

35 e così, reclinato il collo ben fatto, guarda in alto e sazia d'amore gli sguardi desiderosi a te, o dea, rivolgendo, così riverso, e alla tua bocca ne è sospeso il respiro.

(trad. G. Milanese) .

Pertanto solo Venere può aiutare i mortali (vv. 31-32) e la ragione di quest'affermazione consiste nel fatto che ella -la dea della forza naturale - è in grado di dominare addirittura Marte, il feroce dio della guerra.

Pensare a un quadro o ad un affresco

La rafurazione deriva probabilmente dalla suggestione di opere d'arte (come accade anche per la scena del sacrificio di Ienia) Pensare a un quadro o ad un affresco rende semplice capire la rafurazione dei vv. 35-36: atque - ita suspiciens tereti cervice reposta 35

pascit amore avidos inhians in te, dea, visus, 36 'e così, guardando verso l'alto':

l'immagine è quella di Marte che, abbandonatosi sul grembo di Venere, innalza lo sguardo verso l'alto (suspicio, 'guardo dal basso in alto'), te reti cervice reposta 'reclinato il collo

ben fatto'.

16 il verbo hiare 'guardare con stupore

L'aggettivo teres (Iett. 'tornito') indica qualcosa che è della giusta forma e dimensione,

dunque 'elegante',

e il dettaglio serve a determinare ancor meglio il quadro: Marte, reclinato sul grembo di Venere, è completamente 'rilassato', non ha più nulla della temibilità del dio della guerra:

al v. 36 visus sono 'gli sguardi', che 'si nutrono' della visione della dea.

Propriamente, infatti, il verbo hiare significa 'stare a bocca aperta',

ma da questo significato si sviluppa quello di 'guardare con stupore', 'guardare estaticamente'


Lucrezio intensifica direzionalità sguardo

Lucrezio intensifica qui con grande forza la direzionalità dello sguardo, usando il composto in-hiare e rideterminandolo ancora (in te). A ragione Giancotti rifiuta l'interpretazione di Ernout, che vede in questo passo traccia della teoria epicurea dei simulacri; la proposta più convincente è sempre quella dell'influenza di rafurazioni pittoriche o comunque delle arti visive del tempo.

Con il v. 37 il quadretto mitologico si completa: 'alla tua bocca è sospeso il sospiro (di lui), abbandonato'. Da osservare come Lucrezio insista nei tratti che descrivono il totale abbandono di Marte in grembo a Venere, sottolineando dunque la completa vittoria della forza generatrice della natura contro le forze della distruzione e della guerra


si capiscono bene i vv.38-40

Collocati dopo questo 'quadro', si capiscono bene i vv.38-40: Tu, o dea, volta sopra di lui quando giace abbandonato sul tuo santo corpo, dolci parole dalla tua bocca fa sgorgare, 40 e domanda, o inclita, per i Romani pace serena. La richiesta corrisponde all'ideale filosofico epicureo, la ataraxia

La richiesta corrisponde all'ideale filosofico epicureo, la ataraxia, ovvero 'mancanza di sconvolgi menti' (taraché significa appunto 'agitazione', 'sconvolgimento'): chiedendo placidam pacem per Roma,

Lucrezio formulava una vera e propria richiesta 'filosofica'. Venere, che è riuscita a dominare il feroce dio della guerra, può ora rivolgersi a lui per chiedergli di allontanare i suoi fera moenera da Roma.

Da un punto di vista stilistico, da notare come nel v. 38 si ripeta due volte l'indicazione del destinatario (tu tuo), ritornando a una caratteristica innodica presente nella prima parte del passo.

Naturalmente Venere intercede in quanto non può, da sola, ottenere la pace.

Il verbo petens costituisce così una sorta di preghiera che ne segue un'altra: Lucrezio prega Venere di chiedere a Marte la pace per i Romani.

i vv.41-43:

E infatti né noi possiamo, in questo tempo infausto alla patria, realizzare quest'opera, né la nobile discendenza di Memmio può in tali frangenti mancare a comune salute. (trad. G. Milanese


Preghiera letteraria' e 'civile


Il poeta esprime ora le ragioni della sua richiesta di pace: essa è condizione indispensabile perché egli stesso sia in grado di realizzare il suo progetto poetico e, parallelamente, perché Memmio, uomo politico, possa adoperarsi per la communis salus, il bene collettivo dello Stato romano.

Questi versi 'saldano' le due preghiere, cioè quella 'letteraria' e quella 'civile': in realtà esse sono indissolubilmente collegate, giacché solo il rag­giungi mento di ciò che auspica la seconda preghiera (cioè la p/acida pax del mondo politico e sociale) rende possibile la realizzazione dell'attività intellettuale, quindi anche il lavoro poetico e filosofico di Lucrezio


4 Lucrezio Elogio di Epicureo De rerum natura, I, vv. 62-79

Dopo l'entusiastica esaltazione dei meriti di venere ,troviamo l'elogio di un essere umano, Epicuro.

Per capire bene il senso di questo testo - e anche la sua posizione subito dopo l'inno alla divinità ­occorre tener presente quanto abbiamo detto sulla dottrina epicurea (individuazione nella divinità di un modello )

Infatti il rapporto con il modello accomuna quello dell'uomo con il dio e quello con il grande filosofo: per l'uomo ambedue sono riferimenti per costruire la propria vita.




l'influsso degli inni agli eroi

Nell'inno a Epicuro è presente l'influsso degli inni agli eroi, genere assai praticato nella poesia greca. Nel mondo ellenistico era molto viva l'idea del théios anér, cioè dell'uomo che si avvicina al livello della divinità: e in questo contesto culturale va inteso il testo lucreziano.


i valori di base ai quali farà riferimento anche negli altri elogi

Lucrezio dedicherà vari inni a Epicuro,ma dichiara fin da questo i valori di base ai quali farà riferimento anche negli altri: il filosofo è colui che ha liberato l'umanità da una condizione di servitù e di dipendenza, restituendo agli uomini la dignità e la libertà della ragione.

È un atteggiamento tipicamente "illuminista'( convinzione che le forze della ragione umana siano in grado, da sole, di liberare l'uomo).


Il testo v 62-63-64-65

Humana ante oculos foede cum vita iaceret 62

in terris oppressa gravi sub religione, 63

quae caput a caeli regionibus ostendebat 64

horribili super aspectu mortalibus instans, primum 65

Traduzione

Mentre la vita umana giaceva sulla terra,orribilmente(foede) , oppressa dal grave peso della religione, che mostrava il suo capo dalle regioni celesti con orribile aspetto incombendo (instans) dall'alto sugli uomini,


Note

62-67. Humana obsistere contra: questi versi descri­vono la condizione dell'umanità prima delle scoperte scien­tifiche di Epicuro.Lucrezio accumula tratti semantic i di 'pesantezza': vedi iaceret al v. 62 e, al verso seguente, la successione in terris oppressa gravi sub

Commento

La religione, che è una costruzione umana, una pura proiezione, s'affaccia come un mostro a caeli regionibus 'incombendo con il suo terrificante sguardo sui mortali' (horribili super aspeetu mortalibus instans);


Testo versi 66-67

primum Graius homo mortalis tollere contra 66

est oculos ausus primusque obsistere contra; 67

Traduzione

per primo un uomo di Grecia ardi sollevare gli occhi mortali a sfidarla, e per primo drizzarlesi contro:


Note

primum 'per la prima volta': l'avverbio, ripreso dall'aggettivo primus al verso seguente, evidenzia il primato di Epicuro

67, l'avverbio contra: è l'opposizione epicurea a­la sofferenza causata dalle 'vane opinioni', dalle proiezioni mentali che generano inutili sofferenze.  

Commento v 65-67

Epicuro è definito Graius homo 'un uomo di Grecia'. Riconosce fin da qui il debito della cultura latina verso quella greca: il mondo greco con Epicuro ha scoperto la filosofia liberante, il compito di Lucrezio consiste nel trasmettere ai Romani le scoperte dei Greci.


Testo versi-69-70-71

quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti 68

murmure compressit caelum, sed eo magis acrem 69

inritat animi virtutem, effringere ut arta 70

naturae primus portarum claustra cupiret

Traduzione

né le opinioni diffuse sugli dèi, né i fulmini, né il cielo con il tuono minaccioso( Giove) sono riusciti a trattenerlo ma ancor più (sed eo magis )ciò sollecita (Inritat) la forza del (suo) animo (acrem animi virtutem) sì ch'egli desideri fortemente svellere (ut Cupiret effringere) per primo le 'le strette barriere delle porte della Natura')'. (arta naturae portarum claustra,)


Note quem compressit; quem è nesso relativo),


Commento versi-69-70-71

L'immagine è quella della Natura come un geloso padrone che custodisce i suoi segreti ben protetti in un palazzo inaccessibile. Da un punto di vista stilistico, la descrizione del tuono è realizzata con la ripetizione del suono m (minitanti murmure), secondo una tecnica imitativa consueta alla poesia romana, e con un effetto sospensivo dovuto all' enjambement


Testo versi-72-73-74

Ergo vivida vis animi pervicit et extra 72

processit longe flammantia moenia mundi 73

atque omne immensum peragravit mente animoque 74

Traduzione

E dunque trionfò la vivida forza del suo animo e si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti

del mondo, e percorse con il cuore e la mente l'immenso


Note

73 Le flammantia moenia mundi sono le 'fiammeggianti mura', i confini del nostro mondo;

74 omne è sostantivo e significa 'il tutto', dunque 'la totalità' dell'universo

La coppia di ablativi mente animoque indica che Epicuro compie un'esplorazione filosofica che impegna mens e animus, quindi la totalità intellettuale dell'uomo


Commento versi-72-73-74

Epicuro è capace (nella sua esplorazione razionale rappresentata nel testo metaforicamente, come un viaggio) di percorrere non solo il nostro mondo, ma tutto l'universo:

Epicuro compie un'esplorazione filosofica che impegna mens e animus,( mente animoque )quindi la totalità intellettuale dell'uomo


Testo versi 75-76-77

unde refert nobis victor quid possit oriri,75

quid nequeat, finita potestas denique cuique 76

quanam sit ratione atque alte terminus haerens. 77

Traduzione

da là (unde )riporta a noi vittorioso quel che può nascere, quel che non può (nequeat), e infine per quale ragione( qua ratione) ogni cosa ha un potere definito( dativo di possesso) e un termine profondamente infisso


Note

cuique è dativo di possesso di sit

77 alte indica la profondità, non l'altezza


Commento versi 75-76-77 Epicuro

75 Da unde refert haerens: segue la descrizione di ciò che accade al ritorno da questo viaggio (unde ): Epicuro riferisce all'umanità (nobis) ciò che ha scoperto.

nella sequenza dei vv. 64 ss.Epicuro veniva dipinto come un eroe epico,Anche qui, dopo la vittoria, egli viene rappresentato come un generale romano che celebra il trionfo: quello di Epicuro è un trionfo intellettuale e spirituale, e ciò ch'egli mostra nel suo trionfo è l'insieme delle regole della natura


Commento versi 75-76-77 La regolarità della natura

La regolarità della natura è descritta da Lucrezio come 'ciò che possa aver nascita (quid possit oriri), ciò che non possa ( quid nequeat), per quale legge infine ogni cosa abbia un campo d'azione determinato (qua nam sit ratione finita potestas cuique;) e un limite infisso nel profondo (atque alte terminus haerens) alte indica la profondità, non l'altezza. I vv. 75-77 hanno caratte­re formulare e sono ripetuti in altri passi del poema.


Testo versi 78-79

Quare religio pedibus subiecta vicissim 78

obteritur, nos exaequat victoria caelo.

Traduzione

Perciò la religione, gettata sotto i piedi (pedibus subiecta), a sua volta è schiacciata (vicissim opteritur), (mentre) la vittoria rende noi uguali al cielo


Note vicissim avverbio a sua volta (parla chiave )


Commento versi 78-79

La parola chiave del passo è l'avverbio vicissim 'a sua volta': come, prima della vittoria di Epicuro, la religione dominava l'umanità, così, dopo la scoperta delle leggi della natura, gli uomini sono 'a loro volta' in grado di schiacciare loro stessi quelle immagini (ad esempio gli dèi adirati contro l'uomo), che si sono rivelate pure proiezioni delle paure generate dall'ignoranza.


riepilogo Commento la religio schiaccia /sguardo fuori campo

Ai vv. 62-71 Lucrezio delinea il quadro delle condizioni dell'umanità prima che il genio di Epicuro la liberasse e realizza questa descrizione in una maniera assolutamente "fisica': gli uomini sono schiacciati sotto un peso, quello della religione, e la sua forza oppressiva è dipinta come quella di uno sguardo terrificante che incombe sui poveri mortali.La tecnica efficacissima di questo passo ricorda quella molto usata nel cinema dello sguardo fuori campo di cui il regista fa avvertire la presenza, senza mostrare direttamente allo spettatore chi sia colui che guarda, con effetto di tensione assai più forte di quello ottenibile attraverso una rafurazione diretta (ad esempio l'assassino che entra in scena non visto ma 'avvertito').

il Maestro come un esploratore

Al quadro della religione e dei suoi effetti, segue la rappresentazione dell'intervento liberatorio di Epicuro (vv. 72-79): il Maestro è rafurato come un esploratore che si slancia fin oltre i confini del mondo e che, al ritorno dal suo viaggio, riferisce ciò che ha veduto e scoperto.In conseguenza di quest'atto eroico, il rapporto di sudditanza con la religione è superato ed è anzi essa, ora, a essere schiacciata sotto i piedi da un'umanità finalmente vittoriosa.

ambito metaforico di tipo 'romano': il generale - il cippo (terminus)

L' altro ambito metaforico usato da Lucrezio è di tipo 'romano': Epicuro è descritto come un generale vittorioso (victor, v. 75) e ciò ch'egli mostra nel suo trionfo (come i generali romani vittoriosi, che nel trionfo esibivano le ricchezze delle nazioni sottomesse) è la sua vera scoperta: la regolarità e la dominabilità intellettuale delle leggi di natura. Lucrezio, per indicare l'essenzialità di queste leggi di natura, ricorre ancora a un'immagine 'romana', quella del cippo di confine (terminus, v. 77) che è profondamente radicato nella terra e che segna un limite invalicabile: è un concetto filosofico espresso con una metafora estremamente familiare al lettore medio


5 LUCREZIO Il sacrificio di Ienia DE RERUM NATURA I 80 101


Il contenuto

La potente immagine con cui si è chiuso l'inno ad Epicuro "obbliga" Lucrezio a dimostrare che la dottrina che sta per divulgar non è passibile di empietà Anzi servendosi del procedimeno retorico della RELATIO CIMINIS ( rovesciamento dell'accusa contro l'accusatore stesso )Lucrezio mostra che la superstizione ha avallato orribili misfatti,Ciò è dimostrato dal racconto mitico del sacrificio di Ienia, la giovane lia di Agamennone sacrificata in Aulide per garantire una buona partenza agli Achei che si riunivano in spedizione contro Troia.


Il significato

Il racconto si integra nel contesto con la funzione di prevenire una eventuale accusa di empietà che potrebbe essere rivolta alla filosofia epicurea in conseguenza del suo laicismo nello studio della natura.Lucrezio procede sulla scorta di Epicuro, secondo il quale, infatti, «empio non è colui che rinnega gli dèi del volgo, ma colui che le idee del volgo applica agli dèi» (Epistola a Meneceo 123).


Le fonti

Il mito di Ienia era noto attraverso

1)l'Agamennone di Eschilo

2)e l'Ienia in Aulide di Euripide;

si è anche pensato a una suggestione derivata dall 'arte urativa attraverso una pittura o un rilievo scultoreo.


il mito è sentito in modo drammatico

il mito è sentito in modo altamente drammatico da Lucrezio: nel suo racconto a scorci, per scene successive, dominano la pietas e l'umana compassione per la sventurata vittima,ma soprattutto l'orrore che un tale delitto suscita, non senza una vena polemica contro la ragion di stato che in Roma più che in Grecia era avvezza a onorare il sacrificio del singolo a vantaggio della comunità.


la lingua e lo stile

La narrazione è condotta con sapiente psicologismo di marca ellenistica: Lucrezio mira razionalmente a suscitare orrore avvalendosi degli strumenti stilistici e retoriciallitterazioni, antitesi, immagini iconiche e a effetto per esprimere tutto il suo sdegno polemico e l'intenzione dissacratoria nei confronti di antichi pregiudizi


La finezza stilistica

La finezza stilistica del passo è soprattutto nella patetica ura della giovane, vittima di un tragico inganno vissuto come cerimonia nuziale. Le allusioni omeriche e il registro elevato accentuano per antitesi il sarcasmo, che culmina nell'immagine finale, con il tragico ribaltamento del rituale di nozze e la sentenziosa conclusione Tantum religio potuit suadere malorum, che sintetizza laconicamente la natura polemica del passo.


Testo versi 80-81-82-83

Illud in his rebus vereor, ne forte rearis 80

impia te rationis inire elementa viamque 81

indugredi sceleris. Quod contra saepius illa82

religio peperit scelerosa atque impia facta. 83

Traduzione

Questa è la mia paura a questo proposito. che per caso tu pensi di accettare i princìpi di una dottrina empia, e di avanzare su una via di scelleratezza.

Note

IlIud: pronome neutro prolettico della completiva

rearis: la 2 persona è variamente intesa dagli interpreti

come impersonale (tu retorico') o come apostrofe diretta a Memmio, dedicatario del poema,

indugredi: forma arcaica, metricamente opportuna per il più usato ingredi,

Quod contra: nesso di congiunzione avversativo


Testo versi 84-85-86

Aulide quo pacto Triviai virginis aram 84

lphianassai turparunt sanguine foede 85

ductores Danaum delecti, prima virorum. 86

Traduzione

Come in Aulide brutalmente deturparono l'altare della vergine Trivia con il sangue di lfianassa i capi scelti dei Danai, fior fiore di eroi

Note

Aulide: ablativo semplice di stato in luogo, di uso poetico.

quo pacto: nesso pronominale

Triviai è genitivo di desinenza arcaica e bisillaba perTriviae

lphianassai Lucrezio identifica con Ienia la ragazza di questo nome, che invece in Omero è presentata come un'altra lia di Agamennone (Iliade IX 145).

ductores - virorum. formula epicheggiante ripresa con evidente senso ironico


Ienia in Aulide di Euripide Ienia in Tauride

Aulide La località, nello stretto dell'Eubea, era stata il punto di raccolta degli eroi in partenza per Troia, da dove la flotta non riusciva a salpare per i venti contrari.

L'indovino Calcante profetizzò che solo il sacrificio d'Ienia, lia di Agamennone e Clitemnestra avrebbe mitigato lo sfavore degli dèi e reso possibile la partenza.La triste fine della giovane è argomento dell' Ienia in Aulide di Euripide.Un'altra tragedia euripidea,Ienia in Tauride , accoglie una versione del mito nella quale lfìgenia si salva, sostituita all 'ultimo momento con una cerva da Artemide impietosita. L'episodio del sacrificio ha rilevanza centrale nelle vicende della casa di Argo, poiché esso è la causa dell'odio mortale concepito da Clitemnestra per il marito. che condurrà alla serie di vendette descritte nell'Orestea di Eschilo.


Diana-Artemide è detta Trivia

Diana-Artemide è detta Trivia divinità protettrice dei trivii, cioè degli incroci, prerogativa variamente spiegata dagli antichi con la natura triforme dlella dea (Diana in terra. Luna in cielo Proserpina negli Inferi) o con la triplice possibilità di movimento della luna con la quale si identifica,Diana è nume tutelare della verginità adolescenziale, particolarmente quella femminile: un ruolo che la porta non di rado a scontrarsi con le prerogative di Venere


Testo versi 87-88-89-90-91-92

Cui simul infula virgineos circum data comptus 87

ex utraque pari malarum parte profusast, 88

et maestum simul ante aras adstare parentem 89

sensit et hunc propter ferrum celare ministros 90

aspectuque suo lacrimas effundere civis 91

muta metu terram genibus summissa petebat. 92

Traduzione

Non appena la benda sacra, posta intorno alle chiome (comptus) della vergine, le ricadde alla pari su entrambe le guance e non appena si accorse (sensit) che il padre se ne stava triste davanti agli altari, accanto a lui gli officianti nascondevano il ferro, i cittadini si mettevano a piangere alla sua vista,). muta per il terrore piegandosi sulle ginocchia cadeva a terra».

Note   Cui: nesso relativo

infula: è la benda del sacrificio, che portavano sacerdoti e vittime.

maestum: predicativo

muta metu allitterazione


Maestum-- muta metu

maestum: in posizione iniziale perché indica l'aspetto principale dell'osservazione di Ienia: è l'atteggiamento, non certo gioioso, del padrc a metterla in sospctto. -muta metu: segna il passaggio dal dubbio alla consapevolezza, da parte della giovane, del destino di morte riservatole.

Il crescendo drammatico della scena, magistralmente impostato dal poeta, culmina nel mancamento di Ienia di fronte alla spaventosa realtà. -

genibus summissa

genibus summissa: la forza icastica ed evocativa delle immagini usate dal poeta ha fatto pensare a una suggestione proveniente dall'arte urativa il sacrificio di Ienia era un motivo diffuso di dipinti e bassorilievi:

Il famoso dipinto di Timante ricordato da Cicerone (Orator 22,74), da Plinio (Naturalis Historia XXXV 36, 22) e da Quintiliano (Institutio Horatoria Il 13, 13) di epoca posteriore il bassorilievo del cosiddetto altare di Cleomene a Firenze e un dipinto di Pompei.


Testo versi 93-94-95-96-97

Nec miserae prodesse in tali tempore quibat,93

quod patrio princeps donarat nomine regem;94

nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras 95

deductast, non ut sollemni more sacrorum 96

perfecto posset claro comitari Hymenaeo 97

Traduzione

Né all'infelice poteva servire (prodesse), in tale circostanza, il fatto che per prima aveva donato al re il nome di padre

infatti sollevata dalle mani degli uomini e tremante venne condotta agli altari non per poter essere accomnata da uno splendido corteo matrimoniale. dopo aver compiuto il rito sacro usuale, (sollemni more sacrorum)


Note

Donarat forma sincopata è qui costruito con l'accusativo della persona a cui si dona e l'ablativo della cosa che si dona,

sollemni. .. perfecto ablativo assoluto


quod regem: Ienia era la primogenita di Agamennone. La perifrasi con la quale Lucrczio allude a questa circostanza ne acuisce il significalo patetico, con il contrasto tra patrio nomine  e regem, ulteriormente sottolineato dall''allitterazione patrio princeps

sollemni. .. Perfecto :introduce l'immagine del contrasto tra la cerimonia nuziale e la cerimonia di sacrificio, immagine suggerita dal mito stesso (Ienia era stata attirata in Aulide dalla promessa del matrimonio con Achille) e non priva di implicazioni religiose e antropologiche. Lucrezio la sfrutta come motivo patetico, per colorire di contenuti emotivi la scena descritta.


Testo versi 98-99-l00-l01

Sed casta inceste nubendi tempore in ipso 98

hostia concderet mactatu maesta parentis 99

Exitu ut classi felix faustusque daretur .100

Tantum religio potuit suadere malorum 101

Traduzione

ma perché cadesse impuramente, lei così pura, proprio nel tempo delle nozze, vittima infelice per mano del padre affinchè si desse una partenza fausta e felice alla flotta

A mali così grandi pote' indurre la superstizione


Note

casta inceste ura etimologica che forma allitterazione e ossimoro


mactatu maesta parentis l'allusione al ruolo del genitore è volutamente ambigua Non si deve intendere un intervento diretto di Agamennone nell'esecuzione del sacrificio ,quanto la sua responsabilità in esso ,elemento fondamentale del mito per le conseguenze tragiche che innescherà dopo il ritorno dalla guerra del re argivo

Tantum . malorum la conclusione sentenziosa sancisce la condanna a definitiva della religio ,e quindi,per contrasto ,l'assoluzione preventiva del razionalismo epicureo dall'accusa di empietà


Ienia lia del re acheo Agamennone e di Clitemnestra, fu sacrificata dal padre dopo che l'indovino Calcante aveva rivelato che la flotta greca avrebbe potuto salpare verso Troia solo se prima fosse stata placata la dea Artemide, che suscitava venti contrari. Il mezzo era appunto il sacrificio di Ienia, che il padre mandò a chiamare con il pretesto di darla sposa ad Achille.Secondo l'Agamennone di Eschilo, la fanciulla fu effettivamente sacrificata;

invece Euripide, nel I 'Ienia in Tauride, racconta che Artemide rapì all'ultimo istante la ragazza, sostituendola con una cerva e facendola sua sacerdotessa nel paese dei Tauri, in Crimea.

Qui ella presiedeva ai sacrifici umani di tutti gli stranieri che giungevano nel paese.

Ma quando fu catturato suo fra­tello Oreste con l'amico Pilade, Ienia ne scopri l'identità e fuggi con lui dalla Tauria, portando con sé l'immagine della dea: questa fu po­sta in un tempio in Attica, dove Ienia divenne sacerdotessa i n perpetuo della dea Artemide


















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