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Anton Cechov

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Anton Cechov


Anton Pavlovic Cechov nasce a Taganrog nel 1860 in una famiglia economica disagiata (il nonno era stato servo della gleba). Dopo gli studi nella città natale, si iscrive nel 1879 alla facoltà di medicina dell'università di Mosca, ma dopo la laurea ottenuta nel 1884 esercita saltuariamente la professione di medico dedicandosi a tempo pieno all'attività letteraria.

Esordisce con novelle e racconti umoristici nei quali, dietro il sorriso, si profila già la sua concezione dolorosa della vita. I suoi scritti vengono pubblicati dapprima su giornali o riviste e poi compresi nella raccolta Racconti di Melpomene del 1884. La fama e la notorietà arrivano con le sue due raccolte successive: Racconti variopinti (1886) e Nel crepuscolo (1887), dove crea personaggi inquieti, falliti e delusi, che naufragano nell'incomprensione e nella monotonia della vita provinciale.

Minato dalla tubercolosi, passa ormai la sua esistenza nella piccola tenuta di Melichiovo presso Mosca. Si dedica anche al teatro, per il quale compone otto atti unici o vaudevilles e sei lavori in quattro atti, tra i quali Il gabbiano (1895) e Zio Vanja (1899). Gli altri suoi due capolavori, Le tre sorelle e Il giardino dei ciliegi, appartengono invece già al nuovo secolo (rispettivamente 1901 e 1904).



Nel 1895 conosce Lev Tolstoj a cui rimane legato per tutta la vita. Eletto membro onorario dell'accademia russa delle scienze, si dimette per protesta contro l'espulsione di Gorkij, due anni prima della morte sopraggiunta nel 1904 a Badenweiler, nella Foresta Nera, dove si era recato nell'estremo tentativo di combattere il male.


Opere principali

Racconti: Racconti di Melpomene (1884); Racconti variopinti (1886); Nel crepuscolo (1887); La steppa (1888); La corsia n° 6 (1892); Il duello (1892); La mia vita (1895); I contadini (1897); Una storia noiosa (1898); Il racconto di uno sconosciuto (1898). Drammi: Ivanov (1888); Il gabbiano (1886); Zio Vanja (1899); Le tre sorelle (1901); Il giardino dei ciliegi (1904).


Zio Vanja

Il professore ha appena annunciato alla famiglia riunita che intende vendere la proprietà per investire il ricavato in titoli e comprare per sé e la moglie una villetta in Finlandia. La notizia sconvolge Vojnickij che si ribella e sfoga la sua amarezza.


da Atto III

VOJNICKIJ Per venticinque anni ho amministrato questa proprietà, ho sgobbato, t'ho spedito i tuoi soldi come il più pignolo dei contabili, e in tutto questo tempo non mi hai detto una volta «grazie»! In tutto questo tempo, da quando ero giovane a adesso, ho ricevuto da te come stipendio cinquecento rubli all'anno - una miseria! - e mai una volta che ti sia saltato in testa di aumentarmelo anche soltanto di un rublo!

SEREBRJAKOV  Ivan Petrovic, come facevo a saperlo? Io non sono un uomo pratico e non me ne intendo! Tu potevi aumentartelo quando volevi!

VOJNICKIJ  Dovevo rubare? Disprezzatemi, tutti voi, perché non ho rubato! Dovevo rubare! E adesso non mi troverei in mezzo a una strada. [] Ho passato venticinque anni, con mia madre, qua, come una talpa, sempre seduto tra quattro mura Tutti i nostri pensieri e sentimenti appartenevano solo a te. Di giorno parlavamo di te, delle tue opere, pronunciavamo il tuo nome, con riverenza. La notte ci accecavamo a leggere giornali e libri che adesso disprezzo profondamente! []

SEREBRJAKOV  Io non capisco, che vai cercando?

VOJNICKIJ  Tu per noi eri un padreterno, sapevamo i tuoi articoli a memoria Ma ora ho aperto gli occhi! Ora vedo tutto! Tu scrivi d'arte ma d'arte non capisci niente! Tutte le tue opere che una volta amavo, non valgono un mezzo copeco di bronzo! Tu ci hai truffati!

SEREBRJAKOV  Signori, fatelo smettere, insomma! Io me ne vado!

VOJNICKIJ  Aspetta, non ho finito! (Gli sbarra la strada). Tu mi hai assassinato! Io non ho vissuto! Grazie a te ho sprecato, ho distrutto i migliori anni della mia vita. Tu sei il mio peggior nemico! [] Che devo fare? Non occorre che parliate. So da me quello che devo fare. (A Serebrjakov) Ti ricorderai di me! (Esce per la porta centrale).»


Zio Vanja

Ivan Petrovic Vojnickij (zio Vanja) ha amministrato scrupolosamente per anni la tenuta della nipote Sonja versandone gli introiti al cognato, il professor Aleksandr Vladimir Serebrjakov, vedovo di sua sorella e padre di Sonja. L'esistenza di Vojnickij e della nipote (innamorata non corrisposta dal medico Astrov) è tutta spesa nella devozione di Serebrjakov che credono un genio, ma la convivenza con lui e con la sua seconda moglie, Elena, distrugge l'illusione. Quando Vanja capisce che il cognato è solo un mediocre, un egoista e un ingrato, si ribella con violenza e in un momento d'ira giunge persino a sparargli, senza conseguenze. Ma il gesto estremo è teatrale e inutile; Vanja e Sonja riprendono la loro vita rassegnata, continuando a inviare le rendite della tenuta al professore che fa ritorno in città con la moglie.




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