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DECADENTISMO

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DECADENTISMO


La parola Decadentismo deriva da décadent, termine usato in Francia con significato dispregiativo nella seconda metà dell'800, contro i 'poeti maledetti', che con la novità della loro arte e la loro vita irregolare e disordinata, apparivano alla gente comune dei 'decadenti', cioè corrotti e dissoluti. Ma loro non si offesero e usarono questo appellativo come vessillo di battaglia nella loro rivista 'Le Décadent' uscita nel 1886. Oggi il termine Decadentismo non ha alcun significato dispregiativo: infatti la parola serve ad indicare sul piano storico-culturale la civiltà sorta dalla crisi del Positivismo. In Italia la parola ha finito per indicare tutta la letteratura del '900.

Il Decadentismo penetra e si sviluppa in Italia molto lentamente, con il ritardo di circa un quarantennio rispetto alle più significative manifestazioni del Decadentismo europeo. Affiora confusamente nelle prime esperienze innovatrici degli Scapigliati, fra il 1860 e i11880; lo troviamo più o meno mescolato ad elementi culturali tradizionali nelle opere di Pascoli e D' Annunzio; si avverte più chiaramente in Pirandello, nei crepuscolari, nei futuristi e, in modo più deciso, nei poeti ermetici fioriti tra le due guerre mondiali. Inoltre esso assume aspetti diversi in rapporto alla personalità di ciascun artista. Nel Pascoli, assume l'aspetto simbolistico e vittimistico; in D'Annunzio l'aspetto estetizzante, superomistico e sensualistico; in Pirandello l'aspetto dialettico, polemico, demolitore delle ipocrisie e dei luoghi comuni; in Italo Svevo l' aspetto apatico e rinunciatario; nei poeti crepuscolari l'aspetto smarrito ed estenuato; nei poeti futuristi l'aspetto vitalistico ed attivistico; nei poeti ermetici l'aspetto simbolistico; negli scrittori neorealisti del secondo dopoguerra, infine, riscontriamo la contaminazione di elementi decadenti con elementi realistici. La lentezza con cui il Decadentismo fu fatto conoscere e diffondere in Italia -per merito de « La Voce », una rivista fiorentina dei primi anni del '900- è dovuta: 1) anzitutto alla tenacia della tradizione culturale italiana da poco rinverdita dal Carducci; 2) all'opposizione implacabile condotta dal Croce contro il Decadentismo, considerato come la fabbrica del vuoto ed espressione di quell'irrazionalità, istupidimento, bestialità e disumanità « che travagliano il mondo intero e che ha celebrato la sua orgia sanguinosa nell'ultima guerra »; 3) al senso di misura e di equilibrio dello spirito nazionale. « L'Italia -scrisse Eugenio Montale- è senza dubbio il paese nel quale hanno fatto minor guasto il culto dell'irrazionalità, l'esasperazione dell'io, le teorie dell'arte intesa come pura magia, in una parola tutto quanto si designa con l'abusato termine di Decadentismo. Ciò che è entrato di questa teoria in casa nostra, ha mutato volto, si è temperato, si è fatto più vero ».



Alla vigilia della grande guerra l'Europa «dominante», costituita dai paesi occidentali e centrali, offriva un'immagine di forza e di prosperità: prosperità per le nazioni, ricchezza e benessere per i ceti dirigenti, diffuso senso di sicurezza, libera circolazione di uomini, di merci, di capitali, di idee. Il sistema liberale e quello capitalista davano l'impressione di avere raggiunto il loro apogeo e di avere assicurato all'Europa l'incontestato dominio del mondo. Si trattava in realtà di un fragile equilibrio e non erano mancati segni premonitori di crisi ( prima e seconda crisi marocchina, 1905-06 e 1911, annessione da parte dell' Austria della Bosnia e della Erzegovina, 1908 , prima e seconda guerra balcanica, 1912-l3 ), che dovevano di fatto precipitarla in una guerra «civile» che avrebbe segnato la fine del suo predominio mondiale a vantaggio degli Stati Uniti d' America e del Giappone. Lo scoppio della rivoluzione in Russia concorse potentemente a determinare la rovi del sistema liberale e capitalista già prima che la grande depressione del 1929 la seconda guerra mondiale del 1939-45 le vibrassero nuovi irreparabili colpi. Per quanto attiene alla situazione politica l'Europa si presentava nella primavera del 1914 lacerata e divisa in blocchi contrapposti: da un lato Francia, Russia, Inghilterra, unite dal 1907 nella Triplice intesa, dall'altro Germania, Austria-Ungheria, Italia, strette dal 1882 nella Triplice alleanza, anche se l'Italia, pur nel rispetto formale del trattato, si muoveva in effetti con una sempre maggiore autonomia. Le più gravi ragioni di conflitto erano la rivalità austro-russa nei Balcani, il mutuo risentimento e la diffidenza reciproca tra Francia e Germania, l'insanabile rivalità navale anglo-tedesca. La situazione era resa esplosiva dal fatto che il «contenzioso» diplomatico era immerso in una atmosfera che la «logica dell'imperialismo» e la larghissima diffusione delle passioni nazionali avevano reso incandescente


Quella di Nietzsche è una filosofia della crisi ed è espressione di una critica radicale della civiltà occidentale. Tre sono le fasi del pensiero nietzschiano:

l'influenza di Schopenhauer e Wagner;

la critica nella metafisica e della morale; la trasvalutazione di tutti i valori; l'affermazione della volontà di potenza;

il nichilismo.

L'arte greca classica è stata il frutto della combinazione dello spirito apollineo e dello spirito dionisiaco. L'ebbrezza dionisiaca è esaltazione, della spontaneità umana. L'arte è intensificazione e divinizzazione dell'esistenza. Il Razionalismo socratico-platonico è stato la negazione dello spirito dionisiaco, un appiattimento intellettualistico del reale. Con l'ideale della scienza ha contribuito a smorzare la forza vitale degli individui e ad avviare a decadenza il mondo greco. Anche la cultura dell'ottocento, dominata dall'intellettualismo, è condannata alla decadenza, perché è incapace di esprimere il senso dell'esistenza.Un mondo essenzialmente meccanico, come quello della scienza, è privo di senso. Ma la scienza è strettamente legata all'azione e valida è la scienza che realizza il dominio dell'uomo sulle cose: ma i concetti della scienza non sono altro che finzioni o illusioni necessarie all'azione dell'uomo sul mondo

La stessa funzione negativa dello 'scientismo' e della visione intellettualistica della scienza ha avuto lo Storicismo, cioè l'illusione ch'e il corso della storia abbia un carattere razionale, 'provvidenziale'. Nietzsche combatte, comunque, non la storia in quanto tale, ma quella che indebolisce l'uomo perché lo radica tutto nel passato (come fa la storia archeologica) e non la storia in quanto tale (accetta, infatti, la storia monumentale e quella critica).

Emblema della metafisica è il Platonismo, che ha considerato il mondo sovrasensibile come il 'mondo vero', degradando Il mondo della sensibilità a mondo dell'apparenza e alimentando nell'uomo uno spirito rinunciatario rispetto alla vita. La metafisica è disprezzo del mondo, dell'uomo, dell'intensità dei suoi bisogni e delle sue passioni. Ma la volontà del vero, da cui è nata la metafisica, sta portando alla negazione della metafisica stessa. L'annuncio nietzschiano della morte di Dio vuol essere annuncio della morte di ogni metafisica e rivelazione dell' assenza di ogni fondamento, che conduce al nichilismo, come annullamento dei miti della metafisica. Metafisica e religione, hanno mirato alla svalutazione del nostro mondo. Il Cristianesimo è una religione della rinuncia, annullamento del mondo di fronte alla trascendenza. In più, ha diffuso il veleno della dottrina dell'uguaglianza dei diritti per tutti'.

La morale tradizionale è una morale della rinuncia e del risentimento dei più deboli contro i più forti. Nietzsche propone una radicale inversione di valori, che implica una liberazione dell'uomo, di cui Zarathustra è stato profeta. È ora di abbandonare l'uomo della mediocrità e di passare al Superuomo (o Oltreuomo), che è il senso della Terra. La sua morale è quella della volontà di potenza (io voglio! E non tu devi!}, è volontà di oltrepassamento. L'eterno ritorno è una scelta pratica, è l'accettazione del mondo per imprimergli il sigillo della propria volontà. Quello dell'Oltreuomo è un modello di vita amorale, nel quale contano soprattutto le passioni e l'amore dell'esistenza. Non è, quindi, identificabile con una apologia della forza e della violenza.

Non esiste una conoscenza 'oggettiva' della realtà stessa, ma solo una molteplicità di prospettive, punti di vista basati su bisogni umani. Non ci sono fatti, ma solo interpretazione di fatti: la conoscenza è ermeneutica. Cade la pretesa di una ricostruzione matematico-geometrica del mondo; Una genealogia del pensiero ci conduce a vedere -nella stabilità e nell'ordine del mondo - nient'altro che una proiezione del nostro bisogno di sicurezza, di autoconservazione, che ha orrore del caos s del disordine del divenire.

Se Van Gogh ha cercato la risposta ai suoi assillanti interrogativi esistenziali nel suicidio, Paul Gauguin (Parigi, 1848 -Isole Marchesi, 1903) lo ha fatto consegnandosi volontariamente ad una sorta di «morte civile». Agiato funzionario di borsa fino all'età di trentacinque anni, d'improvviso decide di gettarsi alle spalle lavoro e famiglia per correre un'avventura che lo porterà sempre più lontano nello spazio e nel tempo, sul filo di ricerca di una libertà espressiva che è anche - e innanzi tutto - ricerca delle proprie radici in un mitico «primordio» . Dopo un timido avvio da pittore «della domenica» - come si direbbe oggi -, alla metà degli anni '70 Gauguin entra in contatto con Pissarro, frequenta gli impressionisti, si applica con diligenza alla loro lezione e, dal '79 in poi, partecipa a tutte le mostre del gruppo. Alla sesta, una sua opera, Susanne che cuce (1880), ottiene un lusinghiero Commento dallo Huysmans che, non avendo ancora abiurato il naturalismo zoliano, apprezzava in quel nudo femminile la «veemente nota di realtà» . Ma non è questa la strada che Gauguin intende seguire e, mentre la pittura lo prende sempre più, sempre più netta appare anche la divaricazione dall'impressionismo. Lasciata Parigi nel 1886, dà inizio al suo irrequieto vagabondare: la Bretagna, Panama, Arles; poi - dopo lo sfortunato sodalizio con Van Gogh - ancora la Bretagna. Qui, tra Pont-Aven e Le Pouldu, vanno rapidamente maturando, nel sodalizio con il giovane Emile Bernard, nuove scelte poetiche e formali. Nella visione dopo il sermone (1888) già si registra lo scavalcamento dei puri dati di realtà fenomenica: le donne bretoni, che hanno ascoltato in chiesa la narrazione di un fatto biblico, lo rivivono nella loro fantasia come accadimento reale e pieno di forza drammatica. La lotta fra Giacobbe e l'angelo, cui le donne assistono mentre sono ancora in preghiera, è infatti carica di sottintesi morali: chiama in causa il bene e il male, la concessione del favore divino. Gauguin unifica due momenti temporali (prima/dopo) e due livelli (naturale/sovrannaturale) normalmente distinti, con l'espediente formale dell'albero - specie di boccascena teatrale al quale le donne s'affacciano per assistere alla «sacra rappresentazione» in atto - e, saturando di rosso lo spiazzo dove si svolge la lotta, carica di tensione emotiva e di valori simbolici l'immagine. Immagine che, nella misura in cui assegna alle forme e ai colori contenuti di natura soggettiva e spirituale, non ha più solo carattere illusivo, ma allusivo. A differenza di quella impressionista, essa dovrà pertanto scartare gli effetti mimetico-atmosferici per accentuare quelli evocativi e «di memoria» .Così, le gamme frazionate, la pennellata multiforme, finalizzate ad una resa «illusionistica», vengono da Gauguin ridotte a campiture uniformi, stese à plat e marginate da contorni netti, segnati in nero (cloisons ) . Sono elementi, tutti, che concorrono a trasformare gli oggetti reali in «cifre» stilizzate e fanno pensare alle caratteristiche «sintetiste» e decorative degli smalti medievali o delle vetrate gotiche, ma anche alloro innegabile potere di suggestione mistica. Sono anche scelte indicative di una decisa volontà di rivalutare la dimensione «sacrale», legata ad una intuizione religiosa schietta, magari primitiva ma profondamente sentita, del vivere.

La vita di colui che può a buon diritto essere considerato la personalità più notevole della letteratura latina del II secolo, Apuleio di Madauro, è a noi nota solamente per alcuni fatti illuminati dalla viva luce che vi proiettano le parole dell'autore stesso; al di fuori di essi ci sono pervenuti pochissimi dati. Un elemento fondamentale nella biografia di Apuleio è la magia: la fama di mago gli fu rinfacciata in un momento cruciale della sua vita e lo seguì anche dopo la morte, come attestano gli scrittori cristiani Lattanzio e Agostino. Appunto l'episodio dell'autodifesa dall'accusa di magia (nel 158-l59) ci illumina e ci informa sulle vicende precedenti il processo.

Apuleio nacque a Madauro (nell'odierna Algeria). Studiò a Cartagine e perfezionò poi la sua istruzione ad Atene. Viaggiò molto, e quasi sicuramente fu anche a Roma, di cui sembra conoscere alcuni luoghi; ci informa inoltre di essere stato a numerosi riti misterici.

Presso la corte imperiale Apuleio si trova a suo agio: brillante oratore, si procura, per mezzo della sua eloquenza, rispettabilità fama e prestigio. All'inizio delle vicende che portarono al processo per magia, lo troviamo in viaggio per Alessandria, proveniente non si sa da dove; stanco del viaggio, si ferma ad Oea, dove ritrova Ponziano, che, più giovane di lui, era stato suo comno di studi ad Atene e che lo persuade a trasferirsi in casa sua. Poco dopo Apuleio sposa Pudentilla, madre di Ponziano, vedova già da 14 anni e molto più anziana dello scrittore. Dopo la morte improvvisa di Ponziano, i parenti di Pudentilla intentarono contro Apuleio una causa per magia, accusandolo di averla sedotta con filtri e fomule magiche, per costringerla alle nozze al fine di carpirne le ricchezze

Il processo fu celebrato nel 158 o 159, tre anni dopo l'arrivo di Apuleio ad Oea, nella città di Sàbrata, dove il proconsole Claudio Massimo amministrava la giustizia. Gli avversari di Apuleio non riuscirono a provare le accuse, e l'imputato si difese brillantemente dispiegando la sua consumata abilità oratoria.

Si presume che abbia scritto la sua opera principale, le Metamorfosi, dopo il De magia, e che sia morto dopo il 170 e prima del 190.





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