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FIGURE RETORICHE Procedimenti stilistici del linguaggio letterario e poetico, che lo allontanano dall'uso comune e gli conferiscono maggiore espressiv

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Figure retoriche Procedimenti stilistici del linguaggio letterario e poetico, che lo allontanano dall'uso comune e gli conferiscono maggiore espressività e pregnanza.

Ø  ure di morfologia

Allitterazione ura retorica che consiste nella ripetizione degli stessi suoni (lettere o sillabe) all'inizio o all'interno di due o più parole vicine. L'effetto fonico prodotto dall'allitterazione (dal latino adlitterare, 'allineare le lettere') si riflette sui significati, perché attraverso di essa si stabiliscono rapporti privilegiati tra le parole. Esempi: 'di me medesmo meco mi vergogno' (Francesco Petrarca, Canzoniere); 'nell'ampia terra il nostro limitare' (Giovanni Pascoli, Suor Virginia); 'Solo nelmemoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria che si sfolla (Eugenio Montale, Non recidere, forbice, quel volto).



Assonanza Forma di rima imperfetta che si produce quando due o più versi successivi terminano con parole che hanno vocali uguali a partire dalla vocale accentata, mentre le consonanti sono tra loro diverse, anche se spesso di suono simile. Si differenzia dalla rima perché questa implica l'eguaglianza anche delle consonanti. Esempi: 'Il varco è qui? (Ripullula il frangente / ancora sulla balza che scoscende . )' (Eugenio Montale, La casa dei doganieri).

Ø  ure di sintassi

Ipotassi (dal greco hypó, 'sotto' e táxis, 'disposizione') è la strutturazione sintattica per cui in un periodo le proposizioni vengono ordinate secondo un rapporto di subordinazione, vale a dire di dipendenza logica o temporale (ad esempio, 'dopo aver chiuso il libro, spensi la luce') .Ha lo scopo di mettere in evidenza, in modo più o meno esplicito, le relazioni logico-temporali che intercorrono tra le varie proposizioni.

Paratassi (il greco pará significa 'vicino') è la strutturazione sintattica per cui in un periodo le proposizioni vengono coordinate, risultando in tal modo equivalenti tra loro e non interdipendenti ('chiusi il libro e spensi la luce'). È tipica del linguaggio semplice e popolare, e crea l'effetto stilistico di velocità e immediatezza comunicativa.

Asindeto (dal greco asýndeton, 'non legato insieme') consiste nell'omissione della congiunzione tra due o più termini oppure tra due o più proposizioni nello stesso periodo. Esempi: 'ritrovavo un sapore più antico, contadino, remoto' (Cesare Pavese, La casa in collina); 'forte, bella, vivace, bruna' (Guido Gozzano, Le due strade); 'veni, vidi, vici' (Cesare). L'asindeto, usato spesso nelle enumerazioni e nelle accumulazioni, conferisce forza e rapidità al discorso.


Polisindeto consiste nel collegare due o più parole di una frase oppure due o più frasi ripetendo la congiunzione per ogni termine della serie. Esempi: 'e sempre corsi, e mai non giunsi il fine; / e dimani cadrò' (Giosue Carducci, Traversando la Maremma toscana). Il polisindeto (dal greco polysýndeton, 'legato insieme molto') serve a rallentare il ritmo del discorso mettendo in risalto ogni termine.

Endiadi consiste nell'esprimere un concetto attraverso due termini coordinati, ad esempio due sostantivi (al posto di sostantivo e aggettivo o di sostantivo e complemento di specificazione), due aggettivi, o due verbi. Esempi: 'de la vita mortale il fiore e 'l verde' (Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, XVI), dove 'il fiore e 'l verde' indicano la giovinezza; 'e ha natura sì malvagia e ria' (Dante, Inferno, I); 'e la trafitta / vergine minacciando incalza e preme' (Tasso, Gerusalemme liberata, XII). L'endiadi (dal greco hén dià dyóin, 'uno attraverso due') divide il concetto nei due componenti che lo costituiscono attivandone così il senso.


Chiasmo ripetizione in ordine inverso di due (o più) membri di una frase secondo lo schema ABBA (o ABCCBA). Esempi: 'Il vento (A) soffia (B) e nevica (B) la frasca (A)' (Giovanni Pascoli, Lavandare); 'Viva (A) la fama (B) loro (C); e tra lor (C) gloria (B) / splenda (A) del fosco tuo l'alta memoria' (Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, XII). In espressioni come 'Difficile (A) è la virtù (B), il vizio (B) facile (A)', il chiasmo è in relazione con l'antitesi e diventa un modo per renderla più evidente. Il termine 'chiasmo' deriva dal greco chiasmós, derivato a sua volta dalla lettera dell'alfabeto greco X (chi), che illustra graficamente la disposizione incrociata degli elementi del chiasmo.

Anacoluto Rottura della regolarità sintattica di una frase quando in uno stesso periodo ci sono due costruzioni diverse di cui la prima resta incompiuta, oppure quando la sintassi normale non viene rispettata. Esempi: 'Lui, alla fine gli giunse la nausea', 'Voglio leggere il libro che tutti ne parlano', 'Mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch'io nacqui per lui' (Niccolò Machiavelli, Lettera al Vettori). L'anacoluto (dal greco anakólouthos, 'che non segue', 'che non è conseguente') serve a mimare il linguaggio colloquiale o a caratterizzare la parlata di personaggi di basso livello culturale.

Anafora ripetizione (questo il significato della parola greca anaphorá) di una parola o di un gruppo di parole all'inizio di più versi o di più frasi successive. Serve a sottolineare la parola o il concetto ripetuti in posizione retoricamente forte. Esempi: 'Per me si va nella città dolente, / per me si va nell'etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente' (Dante, Inferno, III); 'albero infermo della tua salute, / albero che non hai gemme fiorite, / albero che non vedi ali cadute' (Giovanni Pascoli, Il vischio).

Anastrofe inversione dell'ordine normale di due parole in una frase. Ricorre con particolare frequenza nelle lingue classiche, soprattutto in poesia ma anche in prosa, e serve a dare risalto a un termine. L'esempio che segue è tratto da Piccolo testamento di Eugenio Montale: 'Non è lume di chiesa o d'officina / che alimenti / chierico rosso o nero', in cui il soggetto 'chierico' è spostato dopo il predicato 'alimenti'. Un esempio di anastrofe nel linguaggio comune è 'eccezion fatta'.

Ellissi omissione, in una proposizione, di qualche elemento, che viene sottinteso. L'ellissi (dal greco élleipsis, attraverso il latino ellìpsis, 'omissione') ricorre nei proverbi e nel linguaggio sentenzioso e concentrato: 'rosso di sera, bel tempo si spera' (l'iniziale 'Se c'è' è sottinteso); 'Ai posteri l'ardua sentenza', in cui Alessandro Manzoni, nel Cinque maggio, omette il verbo 'toccherà'. In narratologia indica l'omissione di qualche segmento della storia narrata: Dante, nel III canto dell'Inferno, non racconta come abbia superato l'Acheronte

Iperbato consiste nel separare elementi costituenti un unico sintagma, inserendone altri che producono un andamento irregolare della frase rispetto all'ordine previsto (il termine deriva dal greco hypér, 'sopra', e báino, 'sposto'). Esempio: nei versi 'e tutti l'ultimo sospiro / mandano i petti alla fuggente luce' (Ugo Foscolo, Sepolcri), i termini 'tutti' e 'petti', costituenti un sintagma, vengono separati da 'l'ultimo sospiro mandano'. L'iperbato è una struttura di tipo latineggiante e infatti viene normalmente impiegato nella poesia greca e latina, anche per ragioni metriche oltre che espressive, cioè per ottenere effetti di suggestione poetica.

Parallelismo ura che consiste nel mettere in rilievo un'idea, nel suo sviluppo, attraverso una disposizione simmetrica di brevi enunciati perlopiù in coppia. In poesia la simmetria riguarda soprattutto il ritmo.

Enallage (dal greco enallaghé, 'scambio interno') è una ura retorica di tipo sintattico, che consiste nello scambio di funzione di una parte del discorso con un'altra, di solito aggettivo/avverbio ('fila veloce' per 'fila velocemente'), oppure nello scambio di due forme verbali ('domani arrivo' per 'domani arriverò'). Nella lingua latina, sono casi di enallage l'uso dell'infinito storico per l'imperfetto indicativo e l'uso del presente storico per il perfetto.




Ipallage (dal greco ypallaghé, 'scambio collocato sotto') consiste nel cambiare il normale rapporto sintattico e semantico tra le parole, ad esempio attribuendo un aggettivo a un sostantivo diverso da quello cui logicamente sarebbe attribuito, come avviene nel verso 'il divino del pian silenzio verde' (da Il bove di Giosue Carducci), dove 'verde' è riferito a 'silenzio' e non a 'pian', come dovrebbe.

Ø  ure di significato

Similitudine agisce sul piano dei significati e rende più chiaro un concetto o più evidente un'immagine, stabilendo un confronto con altro concetto o altra immagine attraverso connettivi quali 'come', 'così come', 'simile a', oppure verbi quali 'pare', 'sembra'. La similitudine è un traslato perché implica lo spostamento e l'avvicinamento di parole che appartengono ad ambiti semantici diversi. Esempio: 'Lasciatemi così / come una / cosa posata / in un angolo / e dimenticata' (Giuseppe Ungaretti, Natale).

Metafora spostamento di significato da un ambito proprio a uno non proprio in base a un rapporto di somiglianza (il termine deriva dal greco metà, 'oltre', e phéro, 'porto') . La metafora può essere infatti considerata una similitudine abbreviata: nell'esempio 'Giovanni è un fulmine' è sottintesa l'equivalenza 'Giovanni è come un fulmine', e la nozione di 'fulmine' passa dall'ambito proprio, quello atmosferico, in cui si manifesta rapidamente, a quello non proprio della velocità di Giovanni nella corsa (o nel capire ecc.). Si può dire che due termini tra loro lontani (Giovanni e fulmine), avendo una caratteristica in comune (la velocità), vengono connessi tra loro e identificati.

Sineddoche (dal greco syn, 'insieme' e dékhomai, 'ricevo'), trasferimento di significato da una parola a un'altra in base a una relazione di contiguità, nel senso di maggiore o minore estensione, come la parte per il tutto ('le vele' per 'le navi') o il tutto per la parte ('montone' per 'la pelle di montone'), o il genere per la specie ('felino' per 'gatto') o viceversa la specie per il genere ('il pane' per 'il cibo'), o il singolare per il plurale ('il francese' per 'i francesi') o il plurale per il singolare ('noi' per 'io').

Metonimia (dal greco metà, 'oltre', e ónoma, 'nome') trasferimento del significato da una parola a un'altra in base a un rapporto di contiguità spaziale, temporale o causale. Si usa cioè il nome del contenuto per il contenente ('passami l'acqua' per 'passami la bottiglia dell'acqua') o viceversa; il nome della causa per l'effetto o viceversa ('le sudate sectiune' per 'lo studio che fa sudare sui libri'); l'astratto per il concreto ('bella gioventù' per 'bei ragazzi') o viceversa; l'autore per l'opera ('leggo Dante' per 'leggo l'opera di Dante'); il simbolo per la cosa simbolizzata ('onore alla bandiera' per 'onore alla patria'); lo strumento per chi l'adopera ('è una buona forchetta' per 'è un buon mangiatore'); il luogo per gli abitanti ('l'Italia ha vinto l'oro' per 'gli italiani hanno vinto la medaglia d'oro').

Sinestesia consiste nell'associare in stretto rapporto due termini appartenenti a sfere sensoriali diverse: 'va col suo pigolio di stelle' (Giovanni Pascoli, Il gelsomino notturno); 'le trombe d'oro della solarità' (Eugenio Montale, I limoni). Con la sinestesia (dal greco synáisthesis, 'percezione congiunta') si rende più incisivo o suadente il messaggio, perché si mobilitano contemporaneamente sensi diversi.

Antonomasia consiste nell'indicare una persona o una cosa, invece che col nome proprio, con un nome comune o con una breve locuzione che ne caratterizza le qualità. Il termine deriva dal greco antonomasía, 'cambiamento di nome', attraverso il latino antonomàsia. Esempi: 'l'Apostolo' per 'san Paolo'; 'l'Eroe dei due mondi' per 'Garibaldi', 'il segretario fiorentino' per 'Machiavelli'. Per converso, talvolta l'antonomasia consiste nella sostituzione di un nome comune con uno proprio: 'un Giuda' per 'un traditore', 'un Ercole' per 'una persona molto forte'.




Ø  ure di pensiero

Iperbole ricorso a parole esagerate, per eccesso o per difetto, oltre i limiti della verosimiglianza e fino alla deformazione del reale. L'iperbole (dal greco hypér, 'oltre', e bállein, 'gettare') è comune anche nell'uso quotidiano per esprimere espansività o per sottolineare stati d'animo o giudizi. Può essere usata in funzione ironica per sottolineare la sproporzione tra parole e realtà. Esempi: 'è un secolo che aspetto; 'sei magra come uno stecchino'; 'sei proprio un asso del volante', detto ironicamente per indicare una guida precaria. Opere come I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, il Morgante di Luigi Pulci, Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll mostrano le possibilità creative dell'iperbole.

Climax e anticlimax (dal greco'scala'), che consiste nel disporre parole o gruppi di parole in un ordine di intensità concettuale crescente (climax ascendente) oppure discendente (climax discendente o anticlimax). Esempi: 'bruttino, brutto, bruttissimo, spaventoso, orrendo'; 'Dunque andate, dunque ci lasciate Dunque, rondini rondini, addio' (Giovanni Pascoli, Addio). Il climax, creando effetti - anche ritmici - di gradazione verso l'alto o verso il basso, produce tensione, suspense, oppure, all'opposto, distensione. Per il suo effetto di gradazione è usato nella grafica pubblicitaria attraverso la disposizione graduata dei caratteri delle parole o la progressione dei colori dai più intensi ai più fievoli.

Antitesi dissimulazione  del pensiero con parole che esprimono il contrario di ciò che si intende dire. Lo scarto tra ciò che si dice e ciò che si pensa viene suggerito, nella lingua orale, dal tono della voce o da gesti che consentono di decifrare il messaggio. Nel linguaggio quotidiano, due esempi di ironia (greco eironéia, 'dissimulazione') sono: 'Centrato in pieno!' per 'Sbagliato!', 'Hai capito al volo' per 'Hai frainteso'. Questo terzo esempio è tratto dal primo modulo dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni: 'Al tempo in cui accaddero i fatti quel borgo era anche un castello e aveva però l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati snoli, che insegnavano la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavano di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e sul finir dell'estate non mancavano mai di spargersi nelle vigne per diradar l'uve e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia'.

Ossimoro (dal greco óxys, 'acuto', e móros, 'ottuso', 'stupido') forma particolare di antitesi che accosta, nella stessa locuzione, parole di senso opposto. Lo scopo è quello di attirare l'attenzione o di produrre un effetto di straniamento, oltre che di sottolineare i concetti con acutezza: 'silenzio eloquente', 'un bel bruttino', 'le convergenze parallele'.

Litote attenuazione o nella dissimulazione di un'idea o di un giudizio attraverso la negazione del suo opposto, ad esempio 'non difficile' per 'facile'. Talvolta l'effetto sortito dalla litote (dal greco litótes, 'semplicità') è un rafforzamento, invece di un'attenuazione, di quell'idea o quel giudizio, come in 'non era un genio' per 'era piuttosto stupido', dove la litote assume una sfumatura ironica. In altri casi può esprimere delicatezza nei confronti di altri, come in 'non udente' per 'sordo'.

Apostrofe consiste nel rivolgersi a un interlocutore reale o fittizio nel corso di un discorso di tipo espositivo. Ciò comporta una 'deviazione' (questo il significato del termine greco apóstrophe) rispetto al tono o al genere di discorso fin lì condotto. Tale deviazione viene segnalata dal passaggio, nel verbo, dalla terza o prima persona alla seconda, 'tu' o 'voi'. Ad esempio Dante, dopo aver narrato le vicende del conte Ugolino (Inferno, XXXIII) e prima di riprendere il racconto del viaggio, così esclama: 'Ahi Pisa, vituperio delle genti / del bel paese là dove 'l sì suona'.

Epifonema frase sentenziosa o esclamativa posta a conclusione enfatica di un discorso. Il termine è la traslitterazione di una parola greca che significa 'voce aggiunta'. Esempi: 'E questo è il bel pasticcio che avete combinato!'; 'e 'l conoscer chiaramente / che quanto piace al mondo è breve sogno' (conclusione del sonetto proemiale del Canzoniere di Petrarca).



Ipotiposi (dal greco hypotipóo, 'abbozzo') descrizione di un oggetto o di una situazione in modo vivace e immediato attraverso particolari, similitudini, immagini accurate, per dare l'impressione che la realtà rappresentata sia sotto gli occhi. Si vedano, ad esempio, l'evocazione della battaglia di Maratona nei versi 201-212 dei Sepolcri di Ugo Foscolo o questi versi di Giacomo Leopardi: 'Come lion di tori entro una mandra / or salta a quello in tergo e sì gli scava / con le zanne la schiena / or questo fianco addenta or quella coscia'.

Eufemismo sostituzione, per scrupoli religiosi o morali o per rispetto delle convenienze sociali, a un termine o a un'espressione appropriata, ma sentita come troppo cruda, un'altra di significato attenuato: 'Non è più con noi', 'Se n'è andato' per 'È morto'; 'male incurabile' per 'tumore'; 'Dove posso lavarmi le mani?' per 'Dov'è il gabinetto?'. Talvolta l'eufemismo (dal greco eu, 'bene', e femí, 'dico'), soprattutto nelle esclamazioni, consiste nell'alterare una parola per non essere irriverenti o scurrili:'diamine' per 'diavolo', 'cribbio' per 'Cristo'.

Ø  ure di parola

Omoteleuto consiste nella terminazione uguale, sia sul piano fonico (rima o assonanza) sia sul piano ritmico (uguale clausola, specie nelle letterature greca e latina), di due o più parole collocate in posizione simmetrica. Il termine deriva dal greco hómoios ('simile') e teleuté ('fine'). Esempi di omoteleuto: Non ut edam vivo, sed ut vivam edo (Quintiliano, Institutio oratoria, IX, 'Non vivo per mangiare, bensì mangio per vivere'), con corrispondenze tra edam e vivam e tra vivo e edo; il detto Vinco seu vincor, semper ego maculor ('Vinca o perda, sempre mi imbratto').

Onomatopea imitazione di un suono naturale attraverso un segno linguistico. 'Tic-tac', ad esempio, imita il rumore dell'orologio. In poesia anche il ritmo può concorrere al processo espressivo dell'onomatopea (dal greco ónoma, 'nome' e poiéin, 'fare'): il verso 'volaron sul ponte che cupo sonò', di Alessandro Manzoni, ottiene l'imitazione del rimbombo delle assi del ponte levatoio sotto gli zoccoli dei cavalli con il ritmo e il gioco fonetico delle parole impiegate.

Paronomasia accostamento di due parole di suono simile (il termine deriva dal greco pará, 'vicino', e onomasía, 'denominazione') per metterne in risalto la diversità di significato e, insieme, rafforzarne la correlazione. È il procedimento base dei giochi di parole e degli scioglilingua: 'Chi non risica non rosica', 'Chi dice donna dice danno', 'Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa'.

Tmesi usata nelle lingue classiche, soprattutto in poesia. Consiste nel 'taglio' (questo il significato del greco tmesis) di una parola composta, ottenuto interponendovi altri elementi della frase. L'impiego di questa ura può essere dettato da ragioni metriche. Esempi: septem subiecta trioni ('che sta sotto l'Orsa Maggiore'), in cui septem trioni sono le due parti che compongono septemtrioni (Virgilio, Georgiche, III); garrulus hunc quando consumet cumque ('un chiacchierone una volta o l'altra lo rovinerà'), in cui quando cumque formano quandocumque (Orazio, Satire, IX). In origine, non di taglio si trattava, ma del normale distacco della preposizione dal verbo, quando il preverbo non era ancora solidamente fissato al verbo. Il procedimento appare evidente in Omero; in latino si tratta di imitazione, talvolta comoda per ragioni metriche.















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