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IL PASSERO SOLITARIO (1828 - 1835) - Analisi



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IL PASSERO SOLITARIO (1828 - 1835)

Analisi



Composto al tempo dei grandi idilli, fu posto da Leopardi alla fine delle Canzoni Filosofiche, a segnare il distacco dalle liriche precedenti e a introdurre gli Idilli.

Se è vero, come dice il De Sanctis, che  la musa ispiratrice dei primi Idilli sia la contemplazione solitaria, nessun canto meglio del Passero era atto a far da Prologo. Dal punto di vista metrico L. compie la sua rivoluzione metrica, distaccandosi dagli schemi dei precedenti canti che si ricollegavano, pur con molte libertà, alla tradizione petrarchesca e secentesca della canzone, eliminando anche l'abitudine di chiudere le strofe con la rime baciata. La canzone libera adottata è vincolata solo al ritmo che sale dal cuore, con rime libere, come è libero il numero dei versi per ogni strofa.

Il solo condizionamento è l'uso del l'endecasillabo e del settenario, senza disposizione fissa.

Tre strofe.

Nella prima la commozione di chi avverte l'incanto della primavera e della giovinezza e si avvede di li lasciarla fuggire di perdere l'unica gioia della vita. Si affaccia il motivo dell'essenza della vita che fu certamente tipico del L. ma che si ripete in misura minore per ogni uomo, per l'impossibilità di compenetrarsi pienamente in quella idea della giovinezza che è in ognuno.



Nella seconda strofa è posto il confronto tra il passero solitario e il poeta: come il passero vive solitario, e pensoso contempla il tripudio dei comni, così il poeta solitario "alla camna uscendo, rimanda ad altro tempo gioia e diletto".

Il tema della solitudine, uno dei più ricorrenti il L. esercitò una suggestione sul poeta, continuamente vagheggiata e respinta, nei modi stessi dialettici propri di quel canto: unità cioè sempre alla proposizione di un tema opposto, quello dell' amante comnia, della possibilità tra gli uomini di realizzare un incontro positivo, tema che perverrà alla sua espressione più conseguente nei versi della Ginestra.

Nella terza strofa è posto il contrasto tra il poeta e il passero. La solitudine del passero deriva dal suo istinto, è lio della natura stessa, il poeta invece rimpiangerà di vivere gettando il tempo migliore.

De Sanctis riteneva non necessaria la terza strofa, in quanto la differenza è già presente nelle prime due strofe (la solitudine del passero contrapposta all'immagine del poeta). Qui però in questa strofa emerge la poesia del rimpianto.






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