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ITINERARIO POETICO - MONTALE



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ITINERARIO POETICO


Montale stesso invita il lettore a considerare la sua opera poetica 'nella sua totalità', come un organico itinerario di esperienza conoscitiva ed espressiva scandito in tempi, articolato in successivi sviluppi. Sarà proficuo seguire il suo consiglio, ripercorrendo in sintesi l'intero cammino, tenendo conto delle grandi tappe, dei momenti fondamentali. La Liguria dell'infanzia e della giovinezza (nato a Genova il l2 ottobre 1896, Montale trascorre le prime trenta estati della sua vita nella vasta villa paterna a Monterosso nelle Cinque Terre) offre alla sua prima poesia il costitutivo teatro di un paesaggio intenso di grandi luci estive e di inquieti orizzonti marini. Pienamente immerso nel paesaggio ligure, e in gran parte 'all'aria aperta' e accomnato dal 'delirio del mare', segnato ma non sopraffatto da un intimo rovello filosofico, il suo libro iniziale, Ossi di seppia, è già un capolavoro, uno dei libri-chiave del Novecento poetico. Apparve in prima edizione nel 1925, in seconda edizione accresciuta di alcune importanti poesie, nel 1928.

Al 1916 risale la prima redazione del testo più antico della raccolta, che comincia coi versi famosi 'Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d'orto', già portatori di alcuni segni-simboli fondamentali del libro (come l'ora meridiana, il muro, l'orto), e che si conclude non meno significativamente: 'E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia /che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia'. (Si noti l'asprezza anche fonica dell'immagine finale, inserita nella tonalità caratteristica della cosiddetta 'linea ligure' della poesia italiana del Novecento). Il senso angoscioso di una chiusura e costrizione esistenziale (il muro, appunto, che e in diversi testi, la 'rete che ci stringe', la 'ferrea catena della necessità', la 'catena che ci lega', la 'giostra d'ore troppo uguali' della ripetizione banale) domina l'immaginario del primo libro. ½ si oppone la ricerca di sperati spiragli di libertà e di vita autentica: la 'maglia rotta' nella rete, 'l'anello che non tiene', la 'lima che sega' la catena (in limine), l'inaspettato prodigio che salva (il 'miracolo laico'), di cui è portatrice l'immagine femminile, che assumerà nei due libri seguenti la fondamentale funzione di una moderna e laica Beatrice. La poesia, in questo contesto tematico, in questa cupa e pessimistica visione del mondo, non può indicare la strada per uscire dalla crudele morsa del mondo (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti), poiché è venuto meno il suo potere conoscitivo ed interpretativo del reale, a causa della perdita, da parte del soggetto, della fiducia nella possibilità di una corrispondenza logica ed analogica, tra io e mondo, può solo offrire "qualche storta sillaba e secca come un ramo", può solo  rappresentare questa condizione negativa, rinvenendola negli oggetti attraverso il correlativo oggettivo eliottiano.  La poesia è ancora il risultato della  consapevolezza della negatività, di questo non essere dell'uomo. Negli "Ossi di seppia" tale negatività è riscontrabile nel medesimo titolo della raccolta: gli ossi rappresentano il correlativo oggettivo della condizione dell'uomo, ridotto appunto a rifiuto, ad inutile rottame dell'esistenza, espulso, esiliato dalla vita, quella reale, quella autentica, quella vera, quella rappresentata dal mare. La tematica del detrito comporta un sentimento di scacco e di fallimento esistenziale e sociale, ma non esclude totalmente un riscatto, un appiglio, una salvezza.Ma dove trovare questo appiglio, dove rintracciare una qualche piccola possibilità di salvezza? Paradossalmente proprio nella condizione di rifiuto, proprio nella diversità che tale condizione determina:la leggerezza. Solo grazie a questa l'osso potrà galleggiare sulle onde e confondersi con la natura, con l'armonia cosmica e diventare quasi parte di questa, perché in fondo è questo il tormento dell'uomo, non poter essere in armonia con il cosmo, non poter aderire panicamente e completamente alla natura.



La leggerezza è anche, da un punto di vista pratico, la possibilità di vivere in un piccolo mondo infantile, protetto ma fragile ("Penso ad un giorno d'incantesimo"), che consenta un minimo di libertà adolescenziale, quella negata all'uomo che vive nel momento della decisione e dell'inserimento nella vita sociale.
Ma restare nel mondo degli incanti adolescenziali significa rifiutare le responsabilità di una vita adulta, significa allontanarsi da quella che è la vita reale, significa essere vili.

Con la fine dell'infanzia l'uomo deve dire addio al grembo protettivo, in cui l'adesione al ritmo cosmico era spontanea e naturale. Il distacco da quell'età mitica, avviene con il "minuto violento" della consapevolezza che distrugge ogni illusione. Quell'età perduta è possibile riviverla soltanto nella dimensione della memoria. Quella montaliana è però una memoria difficile, fatta di ricordi fulminei destinati subito a svanire, ad allontanarsi, a diventare di un altro; è una memoria che cigola per un ingranaggio, per un meccanismo non funzionante e non controllabile.Nonostante questo, il ricordo è spesso un talismano che, per pochi istanti, può introdurre l'uomo nel miracolo della salvezza; un miracolo, però,  avvertito, creduto, ma non reale e presto dimenticato.

Ogni possibilità di salvezza, di miracolo, di prodigio, è  affidata ad una memoria fragile, desultoria ed involontaria (a differenza di quella leopardiana, ma bisogna tenere presente che, il tempo di Montale, è quello bergsoniano dell'anima, non quello fiico-oggettivo), che difficilmente riuscirà ad assolvere la propria funzione, ad una memoria inadeguata ed arbitraria: è lei che decide chi deve apparire in ricordo e chi no, è lei che poi deforma  il passato, lo fa vecchio.

E' questa, dunque, una memoria che ha come sua pare fondante l'oblio e che da questo è regolata e resa crudele, poiché non solo impone ciò che è indesiderato, ma sottrae anche il ricordo desiderato. Questa crudeltà è propria di una memoria quale è presente negli "Ossi di seppia", grigia, stanca, scialba, dilavata e terribile. Nella seconda edizione di Ossi di seppia e un testo- chiave, Arsenio, in cui il poeta condensa gli elementi che caratterizzano il 'personaggio che dice io' in questo primo libro. Arsenio, in parte alter ego di Montale (non certo per caso in rima con Eugenio), reincarna il tipico eroe negativo, o antieroe, romantico o decadente, del quale proprio in quegli anni Montale scopriva e proclamava, primo forse tra gli italiani, la grandezza. Arsenio è incapace di vivere.

Il secondo libro, Le occasioni, esce in prima edizione in un anno funesto per il destino d'Europa, il 1939. Presagi dell'immane tragedia, non tanto espliciti quanto di 'atmosfera', si potrebbero reperire in alcune delle splendide poesie conclusive, senza però dimenticare che una certa vocazione 'apocalittica' è presente anche altrove. Primo nucleo del libro è la raccoltina La casa dei doganieri e altri versi, in cui ancora e il motivo del 'varco'. Nel cuore del libro troviamo i Mottetti, piccolo canzoniere d'amore profondamente originale e moderno, incentrato nel tema della lontananza, dell'assenza. Un critico che di Montale fu commilitone e amico, Sergio Solmi, per far meglio capire il passaggio dal primo libro al secondo, dall'autobiografismo 'universalistico', 'esemplare' della giovinezza, alla dimensione di un destino personale, carico di segreto, ombre, reticenze, proprio della maturità ricorre a una pertinente citazione da Rilke: 'più andiamo lontano, e più personale, più unica si fa la vita'. Anche il paesaggio muta dopo che il poeta si trasferisce a Firenze: non più la dismisura irrequieta del mare di Liguria, ma la misura 'umanistica' delle armoniose colline. Montale al tempo delle Occasioni, ricercava una poesia simile 'a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli. Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e il di dentro, tra l'occasione e l'opera-oggetto bisognava esprimere l'oggetto e tacere l'occasione-spinta. Un modo nuovo, non parnassiano, di immergere il lettore in medias res, un totale assorbimento delle intenzioni nei risultati oggettivi'.



Come Arsenio, secondo Montale, rappresenta una cerniera tra il primo e il secondo libro, così Nuove stanze, del '39, può considerarsi una cerniera tra Le occasioni e Finisterre, primo nucleo del terzo libro, La bufera e altro (1956), forse il più alto e certo il prediletto dal poeta. In Nuove stanze l'atmosfera della guerra ormai alle porte è molto più esplicita che altrove, ed è significativo che si apra una finestra 'non vista', e nella sfera del privato, rappresentata dal chiuso di una stanza, penetri minacciosa, allarmante, la Storia, la 'tregenda' di un destino comune. Finisterre (quasi finis terrae come finis Europae, minacciata fine di una certa Europa umanistica e illuminata) esce in prima edizione a Lugano in piena guerra, come 'un'appendice alle Occasioni, per gli amici che non vorrebbero fermarsi e far punto a quel libro'. E ancora: 'Le Occasioni erano un'arancia, o meglio un limone a cui mancava uno spicchio. Ho completato il mio lavoro con le poesie di Finisterre, che rappresentano la mia esperienza, diciamo così, petrarchesca. Si tratta di poche poesie, nate nell'incubo degli anni '40-42,forse le più libere che io abbia mai scritto'. A proposito del titolo del terzo libro, Montale scrive: 'La bufera è la guerra, in specie quella guerra dopo quella dittatura; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti'. Il terzo libro sviluppa con ammirevoli esiti il tema della memoria. Sullo sfondo disumano di una guerra totale, l'amorevole pietas per le memorie personali e familiari, può rappresentare un'intatta isola di squisita umanità.

L'ultimo Montale segna una netta svolta nel cammino. Nel l971 appare Satura. Nel 1973, Diario del '71 e del '72. Nel l977, Quaderno di quattro anni. Nel 198l, anno della sua morte (avvenuta a Milano il 12 settembre), vedono la luce Altri versi e poesie disperse. Non va dimenticato, anche se questo ragguaglio concerne soltanto l'opera poetica, che Montale ci ha lasciato un'imponente opera in prosa, che comprende i finissimi racconti di Farfalla di Dinard, le felici prose di viaggio intitolate Fuori di casa, scritti saggistici, di critica letteraria, musicale e di costume, che documentano la lunga e assidua attività di giornalista. Nell'insieme dell'opera in versi di Montale successiva alla Bufera gli studiosi hanno tentato di operare distinzioni (un posto a parte occupa in Satura la serie degli Xenia, affettuoso colloquio, fondato sulle dimesse e tenere rievocazioni del quotidiano, con la moglie morta). La tensione lirica è ora o totalmente assente o dissimulata con abilità: il poeta ama ora mostrarsi 'in pigiama', abitare 'a pianterreno', abbandonare la pittura di cavalletto per un''arte povera', frequentare e lasciar intravedere il 'retrobottega' . Egli stesso ci dice: 'ho scritto un solo libro, di cui prima ho dato il recto, ora do il verso'. Il linguaggio è prosastico, trito, spesso volutamente sciatto, ma in realtà per lo più frutto di notevole, sorniona scaltrezza espressiva. Frequente la riduzione autoparodica di trascorsi e sintomatici momenti "alti" della propria poesia.







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