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L'Umanesimo e Leonardo - Il ritorno al latino

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L'Umanesimo e Leonardo - Il ritorno al latino

Pico della Mirandola

L'Umanesimo può essere definito la letteratura e la cultura congeniali alla borghesia italiana nella fase di sviluppo raggiunta nel corso del Trecento e sbocciata in tanta parte dell'Italia, nella signoria, e a Firenze in quel tipo particolare di 'comune borghese' che si era instaurato dopo il tumulto dei Ciompi (1378). Proprio per la continuità tra Umanesimo e civiltà comunale, dove già erano evidenti i sintomi di una nuova valutazione dell'uomo e del suo operare mondano e civile (questi tratti erano già presenti in Petrarca e in Boccaccio), il comporre in latino - che pare costituire il carattere saliente della letteratura umanistica - non si conura come un ritorno al Medioevo, ma come una riscoperta dei valori di un'età giudicata 'aurea' e segnata dall'opera di Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia.



All'origine della nozione di Umanesimo sta infatti la distinzione ciceroniana fra humanitas e divinitas, dove humanitas era il termine che esprimeva la rinascita o la riabilitazione dell'uomo (homo) naturale, ovvero la centralità, nell'universo, dell'essere umano con tutte le sue potenzialità.

Rimane costante l'esaltazione della nobiltà dell'uomo, fautore del proprio destino e capace di elevarsi dalla condizione ferina a quella di piena umanità. Si afferma una concezione ottimistica dell'uomo, sicuro di sé e in grado di contrastare con la propria intelligenza i capricci della fortuna.

In questo armonico equilibrio tra le facoltà spirituali e il corpo, il fine ultraterreno non viene eliminato ma ha priorità assoluta la realizzazione sulla Terra, nella vita sociale.

I modelli classici

Dal momento che gli scrittori classici, secondo gli umanisti, raggiunsero questi scopi, proprio loro costituiscono il modello ideale cui ispirarsi. Pertanto per ottenere validi risultati è necessario imitarli nelle lettere, nelle arti, nelle istituzioni politiche e sociali, nella lingua e nel costume. Si afferma così il principio di imitazione, che aiuta a scoprire la propria individualità. Il periodo è quindi contraddistinto da una frenetica ricerca di manoscritti che consentano di recuperare il patrimonio della letteratura latina nella sua interezza e originalità.

Lo studio del greco e del latino

In molte biblioteche monastiche d'Europa furono rinvenuti preziosi codici mentre la conoscenza della lingua greca cominciava a diffondersi grazie all'opera di Manuele Crisolora, maestro bizantino rifugiatosi in Italia dopo la caduta di Bisanzio in mano turca (1453).

La caduta di Costantinopoli

Istanbul porta d'Oriente

Questa attività di studio della lingua latina e greca consentì di conoscerne morfologia e sintassi tanto da far fiorire una nuova disciplina, la filologia, che si occupava di emendare gli errori di trascrizione compiuti dagli amanuensi.

Primo e secondo Umanesimo

Rinascimento e mecenatismo

Tradizionalmente si è soliti dividere l'età umanistica in due periodi, che, pur partecipando degli stessi valori, presentano aspetti alquanto diversi.

Il primo Umanesimo fu caratterizzato dall'opera di esponenti dell'alta borghesia fiorentina, detentori del potere cittadino e assidui protagonisti della vita politica, ricoprendo cariche pubbliche importanti (Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Giannozzo Manetti, Poggio Bracciolini). Ben presto però la posizione sociale dell'umanista mutò, in concomitanza con il cambiamento politico di quegli anni: l'avvento della Signoria. Nel perseguire i propri interessi letterari, gli umanisti divennero letterati di professione al servizio di un signore. Si diffuse così il fenomeno del mecenatismo, grazie al quale le corti più illustri stipendiavano gli intellettuali per assicurarsi fama immortale e dar lustro al proprio dominio. Accanto all'ambiente aristocratico della corte si sviluppa quello dell'Accademia, animata dai dibattiti dei più illustri letterati che si scambiavano le proprie esperienze culturali nel corso di dotti dibattiti.

Nel secondo Umanesimo si sostituisce al culto per i classici, e al valore civile in cui questo si traduceva, un gusto per la retorica e l'eleganza formale fine a se stessa. Il letterato perde il contatto con la vita civile e la letteratura diventa uno strumento per evadere dalla realtà o per celebrare la vita di corte.

Pico della Mirandola e Marsilio Ficino

La culla dell'Umanesimo italiano è costituita dalla Firenze comunale e, in seguito, dalla Signoria dei Medici. Qui agirono alcune fra le personalità più eminenti del periodo, alle quali si deve l'elaborazione dei concetti generali del movimento umanista. La celebrazione della dignità dell'uomo e della sua capacità di agire nella vita civile si ritrova nell'opera De dignitate et excellentia hominis di Giannozzo Manetti.

Nella stessa ottica si pone l'orazione di Giovanni Pico della Mirandola (1463-l494), il De hominis dignitate, il quale però amplia la visione del primo, esaltando l'uomo, posto al centro dell'universo, in una prospettiva cosmica, partecipe dell'immortalità di Dio e libero di scegliere il proprio destino. Pico deriva il suo pensiero dalla rilettura dei testi filosofici di Platone, pensatore del tutto ignorato nel Medioevo rispetto all'autorità di Aristotele, del quale, peraltro, non si conosceva il pensiero originale ma i compendi degli arabi Averroè e Avicenna.

Infatti, Pico della Mirandola fu, assieme con Marsilio Ficino (del quale ricordiamo la Theologia platonica) fra i maggiori esponenti dell'accademia platonica, che propugnava l'esistenza di un mondo ideale di forme perfette ed eterne in cui la ragione dominava sugli istinti passionali. Negli scritti di Leonardo Bruni (1374-l444) si trova l'affermazione dei principali valori dell'Umanesimo: la funzione civile della cultura, l'esaltazione degli studi classici, il valore della ricchezza e dei beni terreni intesi come strumenti per realizzare la felicità dell'uomo sulla Terra.

L'Umanesimo contempla in sé e ammette molteplici atteggiamenti dovuti alle differenti posizioni ideologiche di ciascun letterato. Non si può quindi parlare di Umanesimo 'civile' contrapposto a quello 'retorico' o di Umanesimo 'ano' contrapposto a quello 'cristiano' perché spesso le due anime coincidono come in Tommaso Parentucelli (1374-l455), poi Niccolò V, ed Enea Silvio Piccolomini (1405-l464), poi Pio II, autore della commedia Chrisis e di una novella di stampo boccaccesco Historia de duobus amantibus. Così Ambrogio Travesari, Marsilio Ficino, Cristoforo Landino con le sue Disputationes camaldulenses sono esempi di umanisti nei quali l'amore per i classici si concilia con i princìpi della fede cristiana.

Valla e la filologia

Anche Roma fu centro vivo di studi filologici e archeologici non solo a opera dei papi appena ricordati, ma di Giulio Pomponio Leto, fondatore dell'accademia romana. Lorenzo Valla (1407-l457) è il protagonista della nuova scienza filologica. Nel De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio dimostrò la falsità del documento con il quale si sancisce il potere temporale dei papi. Negli Elegantiarum linguae latinae libri, trattato in sei libri, Valla fissa come modello letterario Cicerone.

Altro centro umanistico importante fu Milano, dove si svolse l'attività di Francesco Filelfo (1398-l481).

Palazzo dei Diamanti a Ferrara

A Mantova, presso i Gonzaga, operò Vittorino da Feltre (1373-l446), che nella scuola da lui fondata applicò i principi della pedagogia umanistica, mirata allo sviluppo completo di tutte le facoltà fisiche e spirituali dell'uomo. Di stampo simile fu l'insegnamento dell'umanista Guarino presso la corte dei duchi d'Este a Ferrara.

Giovanni Pontano

Singolare è la ura di Giovanni Pontano (1429-l503), attivo alla corte di Alfonso d'Aragona a Napoli. Pontano animò l'Accademia, fondata da Antonio Beccadelli grazie al mecenatismo della corte aragonese. Suoi sono gli Amorum libri e gli Hendecasyllaborum libri, che narrano degli amori vissuti dal poeta; le elegie De amore coniugali e De tumulis, nei quali si esprimono i sentimenti più autentici, come l'amore per la casa e per la famiglia. Nel poemetto astrologico Urania e nell'idillio Lepidina, il poeta immagina un'atmosfera in cui prevalgono l'abbandono sentimentale e la musicalità del verso.

La sua produzione si estese a trattati di astrologia (Meteororum liber, De rebus coelestibus), testi filosofico-morali (De fortitudine, De prudentia, De fortuna), opere storico-politiche (De principe, De bello neapolitano) e ai dialoghi Aegidus, Actius, Asinus, Antonius, Charon. Molto diffuso tra gli umanisti fu l'epistolario, di derivazione petrarchesca. Celebri sono gli scambi di lettere tra Poggio Bracciolini ed Enea Silvio Piccolomini.

La ripresa del volgare

Nella prima metà del Quattrocento, dopo i primi entusiasmi degli umanisti nei confronti del latino classico che veniva impiegato per esprimere le forme più alte della letteratura, si assiste a un recupero del volgare, al quale vengono affidati tutti gli scritti di natura pratica o indirizzati a un pubblico meno colto. Questo bilinguismo comportò un'influenza reciproca: il volgare assume l'eleganza della lingua latina che, a sua volta, acquista la scioltezza sintattica del volgare.

La ripresa ufficiale del volgare si fa risalire al Certame coronario (gara di poesia in lingua volgare con metri latini promossa da Leon Battista Alberti nel 1441 a Firenze) e alle prime opere a stampa fiorentine (1470): dapprima l'edizione del Canzoniere di Petrarca, poi del Decameron e della Commedia.

Laude, prediche e agiografie

La continuità del volgare si manteneva presso gli strati più bassi della popolazione alla quale è indirizzata tutta la produzione delle sacre rappresentazioni, drammi di carattere religioso derivati dalla lauda drammatica. In questi scritti il gusto per la narrazione talvolta sembra prevalere sugli intenti moralistici. Quasi immutata prosegue la stesura di laude, trattati ascetici, agiografie. Tra i principali esponenti di questi generi letterari ricordiamo Feo Belcari (1410-l484) e il veneziano Leonardo Giustinian (1388-l446). Tra i predicatori spicca la personalità di san Bernardino da Siena (1380-l444) che compose una raccolta di prediche in volgare (Quaresimale del 1424, Quaresimale del 1425, Prediche volgari), trascritte da anonimi ascoltatori. Scritte in dialetto senese e con uno stile popolaresco, le prediche assumono toni cupi e pessimistici ma tuttavia riflettono una serena saggezza.

Girolamo Savonarola

Pianta di Firenze

Assai differente è l'oratoria del domenicano Girolamo Savonarola (1452-l498), che dapprima svolse la sua attività di predicatore presso la Firenze di Lorenzo il Magnifico e in seguito, dopo la caduta dei Medici, fu tra i principali sostenitori della repubblica. Autore di trattati di teologia e di politica, di poesie e di laude, nelle sue Prediche esprime una concezione apocalittica del mondo e della religione.

Savonarola si scaglia contro la libertà di costumi, invitando a bruciare i libri dei classici e le opere della nuova cultura perché causano l'affievolirsi del fervore religioso. Ma la sua condanna morale investe in particolar modo la corruzione della Chiesa e la mondanizzazione della curia, per la quale invoca un ritorno ai valori evangelici. Scomunicato dal papa Alessandro VI fu processato per eresia e arso sul rogo.

Le cronache e la novellistica

Accanto alle opere devozionali prosegue una letteratura costituita da cronache domestiche e cittadine, raccolte di novelle che riportano sentimenti e interessi della gente comune. Per la novellistica un posto a sé merita Tommaso Guardati detto Masuccio Salernitano (1410-l475). Vissuto presso la corte aragonese, scrisse il Novellino, una raccolta di cinquanta novelle divisa in cinque decadi, che richiama l'opera di Boccaccio. Ma l'assenza della cornice, l'uso di espressioni dialettali, la violenta satira contro la corruzione ecclesiastica e contro la cattiveria delle donne fanno dell'opera di Masuccio un prodotto originale assai distante dallo spirito del Decameron. Il gusto per i toni cupi e violenti si accomna a un moralismo talvolta fuori misura.

Il genere burlesco e la poesia cortigiana

Il genere burlesco fu ripreso da Domenico di Giovanni detto il Burchiello (1404- 1449). Autore di curiosi sonetti scritti in linguaggio gergale dal senso assai oscuro, si applicò nella riproduzione dei temi cari alla poesia comico-realistica, rappresentando la sua vita sregolata e vagabonda. Un ultimo filone della produzione volgare del tempo, accanto a quella dei cantari cavallereschi, è dovuto all'opera di poeti cortigiani quali Giusto di Conti di Valmontone, Antonio Tebaldi, Benedetto Gareth, Serafino de' Cimminelli dell'Aquila grazie ai quali si afferma l'imitazione della lirica petrarchesca, caratterizzata da un esasperato uso di artifici formali e concettuali.

Lorenzo de' Medici

Lorenzo I de' Medici, il Magnifico

Artefice del ritorno in auge del volgare fu Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico (1449-l492). Salito al potere in giovane età, fu abile politico e diplomatico e attuò una politica di equilibrio tra i vari stati italiani. Al tempo stesso il suo mecenatismo consentì a letterati e artisti di raccogliersi attorno alla sua corte e celebrarne i fasti. Lorenzo fu a sua volta poeta, animato da un amore per la tradizione poetica comunale che riuscì a conciliare con i nuovi fermenti dell'Umanesimo. Nel biennio 1471-l472 si svolge la prima fase della sua produzione poetica caratterizzata da poemetti in stile comico quali L'uccellagione di starne, in ottave, i Beoni, galleria dei più famosi bevitori della Firenze contemporanea, la Nencia da Barberino, poemetto in ottave che riporta le lodi cantate dal contadino Vallera alla pastorella di cui si è innamorato. I toni idillici caratterizzano il poemetto mitologico Ambra, che canta dell'amore del fiume Ombrone per una ninfa trasformata da Diana in sasso.

Nel poemetto pastorale Corinto, il poeta canta con toni pessimisti il fugace scorrere della giovinezza. La stessa tematica si ritrova nel famoso Trionfo di Bacco ed Arianna, appartenente ai Canti carnascialeschi, e nelle Canzoni a ballo. Di sapore neoplatonizzante o ficiniano sono le Selve d'amore e il Commento ad alcuni sonetti d'amore, raccolta di sonetti con un commento in prosa che si ispira alla Vita nova di Dante, e le Rime, dai forti accenti stilnovistici e petrarcheschi.

Tra le opere di Lorenzo de' Medici bisogna annoverare anche quelle di carattere religioso (i moduli, parafrasi di testi biblici, le Laude, e la Sacra rappresentazione dei Santi Giovanni e Paolo) a ulteriore conferma del carattere poliedrico della sua personalità di letterato.

Il Poliziano

Alla cerchia medicea appartiene Angelo Ambrogini detto il Poliziano (1454- 1494). Per la grande cultura classica acquistò fin da giovane notevole fama a corte, tanto che Lorenzo gli affidò l'educazione dei due li Piero e Giovanni. Ottenne numerosi benefici ecclesiastici che gli consentirono una vita agiata ed ebbe la cattedra d'eloquenza greca e latina nello Studio di Firenze, che occupò fino al 1494. Frutti di questa cultura umanistica furono numerose opere latine di carattere erudito e filologico. Ma la sua fama è legata alla produzione in volgare che si svolse tra il 1473 e il 1478.

Nel poemetto in ottave le Stanze per la giostra di Giuliano de Medici, Poliziano celebra la vittoria ottenuta da Giuliano in un torneo cavalleresco. L'opera, rimasta interrotta alla quarantaseiesima ottava del secondo libro a causa della morte del protagonista nella congiura dei Pazzi, sviluppa in un'atmosfera idillica e di fiaba la storia d'amore tra Giuliano, sempre dedito alla caccia e sdegnoso di abbandonarsi all'amore, e la ninfa Simonetta, che gli cattura il cuore.

Nel 1480, a seguito di alcuni dissapori con la corte medicea, Poliziano fu ospite presso la corte dei Gonzaga a Mantova. In occasione di una festa nuziale celebrata presso i nuovi signori compose la Favola d'Orfeo, breve dramma teatrale, in cui tornano temi cari all'autore: la bellezza, l'amore e la giovinezza. In questa breve composizione, il poeta utilizza il modulo espressivo tipico del dramma sacro, elaborando così il primo esempio di teatro in volgare di argomento profano.

Pulci e il Morgante

Frontespizio del 'Morgante' di Luigi Pulci

Anche Luigi Pulci appartiene alla cerchia medicea, sebbene la sua poesia si richiami più alla tradizione burlesca e giocosa della Firenze del Duecento che al filone classicheggiante di un Poliziano. Nato a Firenze nel 1432 da famiglia nobile ma disagiata, dopo un'educazione di stampo umanistico cominciò a frequentare, nel 1461, casa Medici. Per esortazione della madre di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, iniziò la composizione del suo capolavoro il Morgante.

L'intento originale del poeta era di dare dignitosa veste letteraria a un rozzo cantare popolare, l'Orlando, appartenente a quei poemi che venivano cantati dai saltimbanchi nelle piazze. Invece, il risultato dei suoi sforzi fu un'opera di grande originalità nella quale si riflettono l'animo bizzarro e gli umori mutevoli dell'autore.

La prima stesura del poema, comprendente ventitré canti, ve nel 1478. La redazione definitiva in ventotto canti in ottave, metro usato con grande sapienza stilistica, fu pubblicata nel 1483, un anno prima della morte del poeta.

L'aggiunta degli altri cinque canti era imperniata sull'episodio della rotta di Roncisvalle. In quell'occasione Orlando e la retroguardia di Carlo, sorpresi dai ani, vengono sterminati.

La trama del Morgante

L'argomento del poema è costituito dalle avventure di Orlando il quale, abbandonata la corte di Carlo Magno per gli intrighi di Gano di Maganza, libera il gigante Morgante, eroe di smisurata forza fisica e di pari arguzia, fedele scudiero del paladino.

Nello svolgersi del racconto ai due protagonisti si unisce Margutte, gigante per metà. Sulle difficoltà e le avventure che la coppia di giganti affronterà si snoda la trama dell'opera, tutta rivolta alla trattazione delle vicende d'amore vissute dai vari paladini. Il Morgante è tutto pervaso da una comicità irresistibile che si traduce nelle immagini di abbondantissimi banchetti, in dialoghi scoppiettanti di risa e in una fantasia sbrigliata (basti pensare alla morte di Morgante, punto da un granchiolino o a quella di Margutte, in preda a un eccesso di ilarità per aver visto le smorfie di una bertuccia), tuttavia l'aspetto più umano dell'autore emerge quando si sofferma su episodi densi di tristezza come per esempio la morte, o il distacco dagli affetti familiari.

Boiardo e l'Orlando innamorato

Altro esponente della poesia cavalleresca, ma inserito in un diverso clima culturale e sociale, è il conte Matteo Maria Boiardo (Scandiano, 1441 - Reggio Emilia, 1494). Dalla Firenze borghese ci si sposta all'aristocratica corte di Ferrara governata dalla signoria estense, presso la quale Boiardo visse e della quale condivise i valori. La sua cultura umanistica lo portò a scrivere opere in latino di carattere idillico ed encomiastico, parallelamente alla traduzione di testi classici.

Ma le opere più originali sono il Canzoniere e dall'Orlando innamorato. Nel primo, Boiardo raccoglie una serie di poesie ispirate all'amore per Antonia Caprara, aderendo alla lirica di imitazione petrarchesca fiorita nel Quattrocento. Nel primo libro il poeta canta la gioia per un amore felice e ricambiato; nel secondo si sofferma sulla sofferenza per l'amore tradito; nel terzo predominano il pentimento e la preghiera.

Differente per materia e trattazione è il suo capolavoro, l'Orlando innamorato, iniziato nel 1476 e interrotto alla venticinquesima stanza del nono canto del III libro.

La trama del poema

Il poema, la cui stesura era stata originariamente prevista in tre libri, narra in ottave le vicende dei paladini di Carlo Magno, innamoratisi della bella Angelica, lia del re del Cataio, sa improvvisamente a corte, dove si trovano riuniti i migliori cavalieri cristiani e ani, per lanciare la sfida di un duello con il fratello Argalia: chi vincerà otterrà di sposare Angelica, chi sarà sconfitto cadrà prigioniero. Riprendendo il filone epico del ciclo carolingio, caratterizzato dall'eroismo dei paladini, Boiardo vi innesta le trame d'amore romanzate caratteristiche del ciclo bretone, incentrato sul gusto per l'avventura, per il fiabesco, per il meraviglioso. Il libro è rivolto a un pubblico d'élite, composto anche dai nuovi esponenti della ricca borghesia mercantile, entusiasmati dalle vicende private dell'eroe. Un'altra novità nell'indirizzare il poema alle dame di corte è la consapevolezza di Boiardo per il ruolo svolto dal pubblico femminile nel giudicare il filone letterario. Il poeta partecipa intensamente dai valori cavallereschi, assai diversi da quelli medievali e portatori di istanze modernissime. Non si tratta più del cavaliere legato da obblighi di devozione al suo signore o alla fede cristiana, ma di un individuo libero che, secondo i motivi ispiratori dell'Umanesimo, impone il proprio dominio sulla fortuna. Ne risulta un quadro animato da una forte vitalità che investe il mondo fantastico dell'Innamorato, nel quale si affollano avventure, battaglie, incontri con mostri, fate, giganti. La devastazione dei soldati di Carlo VIII lungo la penisola italiana interrompe la stesura dell'opera e infrange il mondo di cortesia e lealtà vagheggiato dall'autore.

Leon Battista Alberti

La personalità di Leon Battista Alberti si segnala nel panorama della letteratura italiana per aver promosso, come già accennato, la ripresa del volgare nella prosa, partecipando al Certame coronario, gara di poesia tenutasi a Firenze nel 1441.

Nato a Genova nel 1404, dimorò in varie città italiane, specialmente a Firenze e a Roma, dove fu a servizio dei papi e ivi morì nel 1472. Il suo spirito eclettico si manifestò in numerose discipline: fu architetto illustre, teorico di arti urative, fisico e scienziato, rappresentando un esempio tipico dell'uomo nuovo dell'Umanesimo. Come umanista dotto si impegnò nella stesura di opere in latino, le Intercoenales e il Momus, romanzo mitologico e allegorico.

La sua produzione in volgare gli valse grande fama. In primo luogo si ricordano i quattro libri del trattato Della famiglia, composto tra il 1433 e il 1441, nel quale si affronta il problema dell'educazione dei li, del matrimonio, dell'amministrazione oculata dei beni familiari, dell'amicizia. Nelle altre opere come il Teogenio, Della tranquillità dell'anima, De iciarchia, l'Alberti ripropone i temi fondamentali dell'Umanesimo: la dignità dell'uomo, l'esaltazione per il lavoro e l'ingegno umano, la capacità di opporsi alla fortuna.

Dalla sua produzione letteraria traspare una concezione borghese della società nella quale la prosperità economica si accomna alla virtù e all'intelligenza dell'individuo diventa strumento per arginare i capricci della fortuna.

Jacopo Sannazaro

Altro sostenitore della dignità letteraria assunta dal volgare è Jacopo Sannazaro (1456-l530). Nato a Napoli, visse presso la corte aragonese dove strinse amicizia con il Pontano, fondatore dell'Accademia pontaniana. Nelle sue opere latine si ritrova una raffinata cultura classica come nelle Eclogae piscatoriae, trasposizione dei temi pastorali nel mondo dei pescatori, e nel poema De partu virginis, dove la materia religiosa viene proposta imitando le forme virgiliane. Già in questa prima fase della sua produzione poetica vengono enucleati il vagheggiamento della natura, il culto e l'imitazione delle forme letterarie classiche. Nell'Arcadia, romanzo pastorale composto tra il 1480 e il 1485, e rivisto negli anni successivi fino alla pubblicazione nel 1504, il poeta ripropone il mito della Grecia, dove gli uomini vivevano una sorta di età dell'oro, dedicandosi alla pastorizia e conducendo un'esistenza semplice, priva degli affanni della civiltà. La ripresa del motivo poetico degli Idilli di Teocrito e dei componimenti bucolici di Virgilio e Ovidio, consente al Sannazaro di proporre all'intellettuale di corte l'evasione di quel mondo immaginario quale sollievo dai disagi della vita politica.

Leonardo da Vinci

'Codice di Leicester' di Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci e il Rinascimento italiano

Ancor più di Leon Battista Alberti, Leonardo (Vinci, 1452 - Cloux, 1519) incarna l'uomo dell'Umanesimo aperto a tutte le esperienze. Accanto all'attività pittorica sviluppò interessi per la scultura, per la matematica e per la fisica. Fu curioso indagatore di tutte le scienze, dalla meccanica all'anatomia, fino alle scienze naturali. Non pubblicò mai opere compiute, ma dei suoi molteplici studi ci rimangono numerosi manoscritti e schizzi di soggetti animali, caricature umane, disegni di meccanica, di idraulica, di anatomia, oltre a brevi racconti e a riflessioni morali.

Tutto questo materiale fu raccolto dal suo discepolo Francesco Melzi che lo riorganizzò nel Trattato di pittura e negli scritti letterari come i Pensieri, le Favole, le Facezie, le Profezie, il frammento sul Primo volo, le Lettere.

Sebbene Leonardo non avesse un'educazione umanistica e si definisse omo sanza lettere, tuttavia la sua visione della vita si armonizza con i dettami dell'Umanesimo nell'esaltazione delle capacità dell'individuo come mezzo per risollevarsi dalla propria condizione animale. Ne deriva un atteggiamento nei confronti della natura che si traduce nella contemplazione quasi religiosa dei suoi misteri e, al tempo stesso, nel desiderio di indagarli per conoscerli a fondo.

Per Leonardo l'universo è animato da forze tumultuose che si compongono armonicamente per una sorta di disegno divino, incomprensibile alla mente umana. Il culmine della conoscenza è raggiunto con l'esercizio della pittura, responsabile di riprodurre la realtà circostante, quasi come in una seconda creazione. Dalla partecipazione intensa alle fasi della sua ricerca nasce una prosa in volgare di grande efficacia espressiva, sebbene non rispettosa dei canoni stilistici imposti dalla retorica.







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