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MONTALE E LA FLOSOFIA

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MONTALE E LA FLOSOFIA

Montale ha detto in una importante autointervista del 1946: 'mi pareva di vivere sotto a una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo. L'espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo: una esplosione, la fine dell'inganno del mondo come rappresentazione'.

Per Schopenahuer, fortemente echeggiante nel pensiero e nell'opera montaliana, il mondo non è frutto della ragione, ma di una volontà senza meta, di un impulso senza norma.In questo senso egli mostra una chiara opposizione al razionalismo ottimistico proprio di Hegel, sostituito da un volontarismo pessimistico. Il mondo per Shopenahuer è volontà e rappresentazione e come tale è negativo; è la volontà che ci spinge verso un mondo di cui noi conosciamo soltanto l'aspetto fenomenico, solo una rappresentazione attraente; ci sfugge il senso vero dell'universo, che è riposto nel dolore. Il piacere ci incatena alla vita, ma esso è solo un'illusione. Montale, senza dubbio, è esente da un tale inganno, così fermo nella consapevolezza di una rottura fra soggetto e mondo, inconoscibile e non ordinabile, di una lacerazione profonda fra realtà e soggettività che porta ad una completa disarmonia che soltanto il miracolo può sanare.

Sappiamo in realtà, grazie al Quaderno genovese, un taccuino di appunti del 1917 che Montale leggeva molto e disordinatamente, magari i libri della sorella Marianna, studentessa di filosofia.



Solo per dare un'idea, vediamo la lista dei quaranta libri da portare con sé in un romitorio che Montale stilò un po' per gioco nel Quaderno: 'una scelta da Dessectiunes, Spinoza, Schopenhauer, Bergson. I Vangeli, Epitteto' e poi alla rinfusa Tolstoj, Flaubert, Baretti, Dante, Leopardi, Tasso, ecc.

In più occasioni Montale cercò di attenuare il peso delle letture filosofiche nella sua opera: 'la mia cultura filosofica è modesta e non è neppure di prima mano' (Auto da fè); 'mia sorella studiava filosofia. Qualcosa più del nome di Boutroux e di Bergson mi sarà passato tra le mani; 'agli inizi ero scettico, influenzato da Schopenhauer', ecc. Anche se il poeta si difende come può, comincia dunque a delinearsi una mappa di letture: un po' di Platone,  Schopenhauer, Lachelier, Boutroux, Bergson. Il poeta degli Ossi sente delle affinità con pensatori, diciamolo all'ingrosso, che tendono alla svalutazione della realtà esterna alla coscienza e alla riduzione della scienza a conoscenza falsa o propedeutica; non ne condivide però il finalismo religioso. L'influenza di Bergson sulle arti è stata enorme (il concetto di durée interiore, ecc.) e neppure Montale sarà stato esente dal contagio, anche se in Auto da fè semina dubbi sull'élan vital: 'privilegiare l'energia anziché la ragione idealistica o Dio sconosciuto non sana alcun dissidio'.










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